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Autore: Melabanana_    15/08/2013    1 recensioni
{ questa storia partecipa al contest "{ change } -- when your life change radically" indetto da b l a c k s t a r }
La vita di Shirou è già stata cambiata una volta da una valanga, ma una seconda volta, una seconda disgrazia, fa precipitare la sua vita nella solitudine, proprio ciò che odia di più al mondo...
[Character Death! ; Drammatico ; alive!Atsuya ; GouFubu/EndoKaze]
Quel giorno nevicava, come tanto tempo prima. Era di nuovo sull’orlo di un baratro. (...)
Sarebbe rimasto da solo… solo… quanto odiava quella parola.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel/Shuuya, Hayden Frost/Atsuya Fubuki, Nathan/Ichirouta, Shawn/Shirou
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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autore/autori: Melabanana_
pacchetto: Demetra
personaggi: Shirou Fubuki, Atsuya Fubuki, Kazemaru Ichirouta, Endou Mamoru, Gouenji Shuuya, Hiroto Kiyama, Midorikawa Ryuuji.
eventuale paring: GouFubu, EndoKaze, accenni HiroMido.
rating: giallo
avvertimenti: Shounen-ai, Character Death
generi: Drammatico, Sentimentale, Introspettivo
numero di parole: 4.289 (word)
desclaimer: Inazuma Eleven e i suoi personaggi non ci appartengono, ma sono di proprietà della Level-5. Ci appartengono tuttavia l’idea e la fic, per le quali non è consentito il plagio.
possibili/eventuali note: Ciao siamo come al solito in ritardo, mh c: Questa fic si ambienta dopo la fine della terza serie dell’anime; ha uno svolgimento piuttosto drammatico, ma non vi preoccupate, c’è sempre una luce in fondo al tunnel (?). Essendo una simpatica ‘what if?’, inoltre, Atsuya Fubuki è vivo e vegeto e vive a Hokkaido. Rigraziamo blackstar per averci permesso di partecipare al suo contest c:
Roby&Camy

 

ALONE

 
“Ehi, calma!” Urlò Kazemaru, mentre cercava di tenere fermo Endou.
Shirou credeva che si sarebbe sentito solo, anche se, in fondo, sperava davvero che lo seguissero. Erano semplicemente i suoi migliori amici.
“A che pensi? gli chiese Gouenji. Era seduto al suo fianco, e i suoi occhi scuri e affascinanti lo squadravano curiosi. Shirou rispose ridendo: “Credevo di dover tornare in Hokkaido da solo!”
“Desideravi che ci unissimo a te, no?” Gouenji accennò un sorriso. “Figurati se Endou ti lasciava andare da solo…”
“Comunque non sarei stato da solo, vero?” Chiese l’altro, mentre cercava i suoi occhi.
“Certo che no, io ti avrei seguito in ogni caso” affermò calmo, poi voltò il capo verso Kazemaru ed Endou, che mossero il braccio in segno di saluto.
Shirou era consapevole del fatto che Gouenji non lo avrebbe mai lasciato da solo. “Cosa farai quando saremo arrivati?” domandò ancora.
“Non lo so… voglio solo vedere mio fratello” mormorò l’albino con un mezzo sorriso, gli sembravano passati secoli dall’ultima volta che lo aveva visto.
“Ehi, voi due!” Endou ci chiamò a gran voce dagli ultimi posti. Il color arancione acceso della sua fascia si riusciva ad intravedere anche dai primi posti, dove si erano sistemati. Lo videro venire verso di loro, beccandosi molte occhiate perplesse. “Che c’è?” chiese Shirou.
“Smettetela di fare i piccioncini e venite a parlare con noi!” Endou rise, gli altri due si scambiarono un’occhiata imbarazzata e arrossirono.
“D-d’accordo” balbettò Shirou, si alzò e si diresse verso il retro del pullman. Gouenji lo seguì pochi secondi dopo. “Fubuki, sei contento di averci con te?” Endou lo fissò con i suoi grandi occhi color cioccolato: si aspettava, sicuramente, una risposta affermativa e l’albino non lo deluse. “Certo” disse, sincero, poi lanciò uno sguardo fuori dal finestrino, ansioso di arrivare. Endou continuava a blaterare cose come “non ho mai visto tanta neve” e “ho voglia di giocare a calcio” e, appena il pullman arrivò e si fermò, scese di corsa. “Fa freddo!” esclamò rabbrividendo e strofinandosi i palmi sulle braccia.
“Capitano, siamo in Hokkaido” gli ricordò Gouenji. “Ed è inverno” aggiunse, ridacchiando alla vista di Endou tutto infreddolito, ma ancora entusiasta. Shirou stava per commentare, ma una voce familiare lo fece sussultare: si voltò di scatto e lo vide -una chioma rosa e arruffata, due occhi grigi come i suoi. “Atsuya!” Lo chiamai e il suo sorriso si allargò mentre gli correvo incontro per abbracciarlo.
“Quindi tu sei Atsuya?” Endou lo squadrava attentamente. “È un piacere conoscerti!”
“Lascialo perdere, è un po’ esaltato.” Si affrettò a dire Kazemaru, indicando il castano. Aleggiava un’atmosfera di serenità che non guastava affatto; Endou s’informò subito sull’esistenza di un campo da calcio e sulla possibilità di fare qualche tiro a pallone.
“Sì … ma prima venite a casa mia, poi andiamo a giocare a calcio.” Atsuya lanciò un’occhiata severa ad Endou ed indicò la direzione da seguire. Shirou trotterellò al fianco del fratello e lo prese a braccetto mentre guidavano i ragazzi verso la loro casa. “Mi sei mancato” bisbigliò nel suo orecchio, Atsuya arrossì leggermente e rispose sorridendo: “Anche tu.” E l’abbraccio che venne dopo fu ancora più bello del primo.
 
“Cioccolata!” Endou esultò, prendendo tra le mani la tazza bollente.
“Guarda che scotta.” Lo avvertì Kazemaru, ma, ovviamente, il danno era già stato fatto. Gouenji lanciò un’occhiata divertita a Shirou, che ricambiò con un sorriso complice; Atsuya li guardava con la coda nell’occhio, sembrava che provasse un po’ di gelosia nei confronti dell’attaccante di fuoco. Shirou se n’era accorto, anche perché Atsuya, d’indole tanto possessiva quanto infantile, amava contraddire Gouenji riguardo qualsiasi cosa. Si conoscevano da qualche ora e già erano ostili l’uno all’altro. Shirou non aveva idea di cosa fare, se non sorridere ad entrambi e sperare che non iniziassero a discutere animatamente. Portò la tazza di porcellana azzurra alle labbra e bevve un piccolo sorso di quel liquido denso, caldo e marrone, poi prese un respiro profondo e cercò di trattenere uno sbadiglio.
“Atsuya… dove posso dormire?” Chiese.
Il gemello lo guardò con aria interrogativa. “Ovvio, nella nostra vecchia camera.”
Shorou non riuscì a reprimere un sorriso nostalgico, gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo ed era una sensazione bellissima. Si alzò e Gouenji lo seguì con lo sguardo; quel giorno non erano riusciti a stare soli nemmeno un po’, ma l’albino era troppo stanco e assonnato per qualsiasi cosa. Accennò un saluto con la mano ed il suo ragazzo annuì, aveva capito tutto senza nemmeno una parola.
Pochi minuti dopo che Shirou aveva lasciato la stanza, qualcuno bussò alla porta. Atsuya andò ad aprire. Erano un ragazzo con i capelli rossi, e gli occhi verdi, limpidi, affiancato da uno con i capelli verdi e gli occhi cenere, due persone che non conosceva affatto.
“Per caso qui ci sono Endou Mamoru e dei suoi compagni?” Chiesero.
Atsuya annuì. “Chi siete?”
“Amici.” Risposero. Il ragazzo dai capelli rosa si spostò e li fece entrare, osservandoli diffidente, ma prima che potesse commentare Endou si alzò dal divano e li abbracciò calorosamente. “Hiroto! Midorikawa!” esclamò Kazemaru. “Che ci fate qui, ragazzi?”
“Diciamo che non avevamo nulla d’importante da fare” rispose Midorikawa, facendo spallucce. “Diciamo così…” Commentò Hiroto. “E diciamo anche che Endou ci ha telefonati invitandoci.”
I fratelli Fubuki lanciarono uno sguardo incredulo al castano, che dissimulò con un colpo di tosse e saltò su dal divano, allegro. “Domani possiamo andare al campetto tutti insieme!” Il castano si voltò verso Kazemaru, che scosse il capo esasperato.
“Vi farò vedere come sono forte.” Atsuya si mise le mani sui fianchi e sorrise beffardo. “Sono sicuro di essere più forte di tutti voi insieme.”
“Quante arie…” Gouenji ghignò, e loro due si scambiarono un’occhiata di fuoco
“Ci saremo” acconsentì il rosso. “Vero?” Si voltò verso Midorikawa, che fece sì con la testa. “Allora ci vediamo domani! Non vedo l’ora!” gridò Endou entusiasta.
“Avviso Shirou.” Atsuya corse su per le scale di legno, impaziente di parlare con il fratello. Non giocavano a calcio insieme da troppo tempo.
 
xxx
 
Il giorno dopo Shirou si alzò da letto, scosso dalle urla che venivano dal piano di sotto. Endou e Atsuya che continuavano a gridargli di fare presto, poi si udivano le parole “campetto” e “calcio”. Shirou sparì in bagno per una decina di minuti, si sentiva ancora parecchio assonnato. Le gambe erano pesanti, ma voleva giocare con suo fratello. Si vestì in fretta e scese dagli altri, già pronti e quasi fuori la porta. “Finalmente…” disse Gouenji, avvicinandosi al ragazzo con la pelle nivea e baciandolo sulle labbra, Atsuya rimase paralizzato, a bocca aperta. Quello con i capelli color panna gli lanciò un sorrisetto derisorio. Dopo una decina di minuti arrivarono al campetto, dove li stavano aspettando Midorikawa e Hiroto, Il tempo sembrava dei migliori, anche se tirava un po’ di vento, ma il sole splendeva tra le poche nuvole presenti nel cielo azzurro e limpido. I ragazzi si salutarono e strinsero la mano a Shirou, che non avevano incrociato il giorno prima. Giocarono per un bel po’, poi qualcuno tirò la palla fuori dal recinto di legno del piccolo campo di calcio pieno di neve soffice, la staccionata si affacciava su un versante, anche se non molto ripido, di un dosso.
“Vado a prenderla io” disse Shirou, scavalcando il muretto, Gouenji ed Endou lo seguirono subito, il castano cercava di aguzzare la vista e scorgere il pallone di cuoio bianco sporco.
“L’ho vista.” Shirou stava per recuperarla, ma udì un rumore forte. Orribile. Non gli diceva nulla di buono. Si girò di scatto, sentiva Gouenji ed Endou gridare il suo nome; il suo ragazzo lo prese in braccio, cercava di metterlo in salvo. Quella valanga stava per andargli addosso, travolgerli tutti come birilli. Intanto Kazemaru e gli altri guardavano impotenti la scena, mentre urlavano e strepitavano disperati. Shirou vide la valanga farsi sempre più vicina, tutto quel bianco e poi… tutto nero.
Shirou spalancò le palpebre, vedeva la luce del sole filtrare dalla finestra, intorno a lui vedeva solo muri bianchi, puri, puliti. Era scosso. Ricordava di essere stato travolto da chili e chili di neve densa e freddissima. Non era difficile intuire dove si trovasse. Osservò la flebo che gli attraversava il polso, una linea di sangue scuro in un tubicino trasparente. La sua mente volò ad Endou e Gouenji. Chissà come stavano loro. L’avevano salvato. Il niveo provò ad alzarsi, ma non ci riuscì. Un grosso gesso gli bloccava la gamba sinistra. La porta della camera si aprì, c’era Midorikawa che lo guardava malinconico, con gli occhi rossi e gonfi, come se avesse versato chissà quante lacrime. “Cos’è successo?” Shirou guardò allarmato il ragazzo con i capelli verdi. “Fubuki…” Sussurrò. Poi non aggiunse altro, soffocò un singhiozzo.
 “Come stanno Gouenji e Endou?” Shirou aveva una strana e orrenda sensazione che continuava a turbarlo. Hiroto comparve sulla porta e si avvicinò a Midorikawa, poi mi fissò serio. “Senti Shirou… noi dobbiamo dirti una cosa.”
“Così mi fate preoccupare! Dov’è Atsuya?”
“Eccomi.” Atsuya attraversò l’uscio dell’ingresso e si avvicinò al lettino dove giaceva paralizzato l’altro Fubuki. Con lui c’era anche Kazemaru, lo sguardo vuoto, pieno di lacrime. “Non è giusto” mormorò, senza lanciargli nessuno sguardo.
“Vedi.. Endou e Gouenji…” Hiroto iniziò a parlare, cercava di non far tremare la voce. “Non ce l’hanno fatta.” Parole che arrivarono come coltelli affilati. Non capì subito quella frase, preferì non assorbirle immediatamente. Ma appena ebbe compreso, gli occhi grigi gli si fecero lucidi, le lacrime gli rigavano il volto. “Non può essere.” Shirou singhiozzò, mentre Atsuya lo stringeva forte. Shirou si mise a sedere e guardò fuori la finestra.
Quel giorno nevicava, come tanto tempo prima. Era di nuovo sull’orlo di un baratro.
 
xxx
 
Era passata una settima, e ancora nulla sembrava vero.
Tutto pareva un enorme incubo.
Shirou era intenzionato a tornare a Tokyo e anche Kazemaru. Sarebbero tornati al più presto nella capitale giapponese. Atsuya aveva deciso di rimanere al fianco del fratello, nella speranza di smorzare un po’ il dolore che provava. Ma nessuno poteva rimpiazzare Gouenji, quel ragazzo dal sorriso gentile e l’animo determinato che l’aveva sempre aiutato. Che l’aveva fatto innamorare. Kazemaru arrivò puntuale al pullman, Shirou lo salutò, il blu lo guardò un attimo, fece un segno con il capo e poi salì sulla vettura che li avrebbe portati a casa. Shirou sapeva che era colpa sua. Sapeva che Kazemaru, nonostante fosse il suo migliore amico, non poteva non odiarlo. Gli aveva portato via Endou. Shirou non aveva idea di cosa potergli dire, seppur provassero un dolore simile. Una ferita che in nessuno dei due sarebbe guarita del tutto: una cicatrice che sarebbe rimasta per sempre.
Atsuya seguì i due sull’autobus, lanciò un’occhiata alla neve della sua terra e sospirò. Hiroto e Midorikawa ci seguirono. Il ragazzo con i capelli verdi si sedette al fianco di Kazemaru, per fare qualcosa che Shirou non poteva, nonostante la loro amicizia: consolarlo. Che diritto aveva di rivolgergli qualche parola di conforto? Ed ecco tornare i suoi amati sensi di colpa, quelli di cui non riusciva a liberarsi. Tornavano sempre. Pianse anche lui come stava facendo Kazemaru, verso lacrime per tutti. Urlò dentro sé stesso che la vita era davvero ingiusta. Trovavi qualcosa e ne perdevi un’altra subito dopo. Non aveva senso. Si chiedeva se esisteva davvero quell’agognata felicità che cercavano tutti. Atsuya lo fissava, Shirou poggiò il capo sulla sua spalla e si addormentò, sperando di allontanare tutti quei brutti pensieri.
 
Si svegliò…erano arrivati, il pullman stava per fermarsi. Le porte si aprirono, scese…il punto dov’erano adesso non era lontano dalla Raimon. Shirou guardò Kazemaru e gli andò vicino.
“So che è colpa mia” mormorò. L’altro scosse la testa.
“Non ti lascerò solo.” Quattro parole che ne valevano mille. Non lo odiava, allora, aveva nascosto il rancore in un angolo di cuore. Shirou lo abbracciò forte. Ora dovevano affrontare una sfida difficilissima: parlare con i loro compagni della Raimon.
Prevedibilmente, la notizia della morte improvvisa di Endou e Gouenji li distrusse, ma, soprattutto, a tutti fu subito chiara una triste verità: senza Endou la Raimon non poteva esistere.
Shirou, Kazemaru e Atsuya vennero a sapere pochi giorni dopo che la squadra si era sciolta, per sempre. Erano a casa del turchese quando arrivò loro la notizia tramite una lettera scritta di pugno da Kidou, il quale aggiungeva anche che non avrebbe mai più potuto toccare un pallone, che si sarebbe ritirato del tutto dal mondo del calcio perché i ricordi legati a quello sport erano per lui insopportabili. Shirou non lo biasimava –erano giorni ormai che non riusciva a dormire. Sapeva di non poter continuare così, con duemila pensieri per la testa.
“Scusate… ora vado a letto…” mormorò. Si sentiva svenire, la stanchezza causata dalle lunghe notti insonni lo stava esaurendo. Uscì dalla stanza, avvertendo il peso degli sguardi su di lui, soprattutto quello di Atsuya: suo fratello era sempre vigile, come se si aspettasse di vederlo crollare da un momento all’altro… non aveva tutti i torti.
Pensando questo, Shirou si buttò sul letto e affondò la testa nel cuscino; cercava con tutto se stesso di dormire, ma la sua mente brulicava di brutti presentimenti e sogni funerei che lo facevano ridestare di scatto, madido di sudore e desideroso degli abbracci di Gouenji. S’immaginava quasi di sentirlo sussurrare che andava tutto bene. Ma le voci fuori alla porta non appartenevano a lui.
“Non gliel’hai ancora detto?” Seguì il silenzio, e la persona che aveva fatto la domanda insistette con foga finché l’altro non bisbigliò: “Come faccio a dirglielo? Dovrei trovare il momento giusto, ma…”
“Fallo quando vuoi, ma non puoi andartene senza dirgli niente, si addosserebbe la colpa anche di questo. So cosa provavi per Endou, ma mio fratello sta male quanto te… non credere di star soffrendo più di lui, non sottovalutare il suo dolore…”
Ci fu un verso seccato. “Cosa ne vuoi sapere tu?” sibilò l’altro interlocutore.
“Voglio solo che tu capisca che non sei il solo a stare di merda. Tutti noi conosciamo il dolore di perdere qualcuno.”
Il brusio si spense in un silenzio carico di tensione e Shirou sprofondò in un sonno tanto profondo quanto esausto.
Quando riuscì finalmente ad aprire gli occhi, la mattina dopo, quella conversazione gli tornò in mente in modo lucido e chiaro e per un attimo si chiese se non fosse stato un’ennesima allucinazione. Lasciò il letto, la lunga dormita non sembrava aver avuto un effetto riposate; al contrario, aveva reso i suoi nervi più suscettibili. Allungò la mano verso la maniglia, ma si bloccò quando intravide un angolo di carta bianca stropicciato che faceva capolino da sotto la porta. S’inginocchiò e sfilò fuori una busta, esitante. Un sudore freddo gli infiammò il volto quando lesse la firma sulla lettera all’interno: era di Kazemaru, che dichiarava di aver deciso di partire e si scusava brevemente per non aver avuto il coraggio di dirglielo.
Shirou la rilesse più volte, incredulo, e finalmente realizzò che il dialogo ascoltato non era stato un’allucinazione, né un incubo, ma qualcosa di ben più concreto e spaventoso. Era il preludio ad un addio. Kazemaru si stava lasciando alle spalle ogni cosa che gli ricordasse ciò che aveva perduto, e ciò includeva la città, la scuola, gli amici, lui. Non si sarebbero rivisti mai più.
Non riuscì a trattenere un pianto isterico.
Accartocciò la lettera e la buttò da parte, poi aprì la porta e scese in fretta le scale, gridando a Kazemaru di tornare indietro, come se lui potesse ancora sentirlo, come se implorarlo sarebbe davvero servito a fargli cambiare idea. Stava per lanciarsi fuori dalla porta d’ingresso alla ricerca dell’amico quando Atsuya comparve dietro di lui e lo abbracciò da dietro; per quanto Shirou si dimenasse, le braccia del fratello erano come una trappola. Presto l’albino perse ogni voglia di lottare e si accasciò contro il corpo dell’altro, soffocando i singhiozzi nel suo petto. 
“Torniamo a casa” sussurrò Atsuya, la sua voce era calda ed umida di tristezza. Stava piangendo anche lui? Shirou non ebbe modo di accertarsene, perché suo fratello lo strinse forte a sé e ripeté, piano: “Torniamo a casa…”
 
“Shirou, muoviti! Perdiamo l’autobus!” gridò Atsuya. Si era svegliato per primo e aveva provveduto a buttare suo fratello giù dal letto –cosa rara perché di solito avveniva il contrario; anche in quel momento fu lui a trascinare Shirou afferrandogli la mano e costringendolo a correre fino alla fermata. Il bus si fermò di fronte ai loro piedi.
“Sali, su. I bagagli li porto io” lo incitò. Shirou annuì. Si sentiva vagamente in colpa, di certo non doveva essere piacevole doversi prendere cura di lui tutto il giorno, ma era consapevole –e lo era anche Atsuya- che non riusciva a compiere nemmeno i più normali gesti quotidiani da solo. La mancanza di sonno, alla lunga, aveva portato anemia e una leggera febbre.
Shirou camminò fino ai posti in fondo e si lasciò cadere su un sedile vicino al finestrino; suo fratello lo raggiunse poco dopo: si sistemò i bagagli fra le gambe e si sedette vicino a lui, stringendogli la mano con la propria. Shirou non si girò a guardarlo e appoggiò il capo al vetro. Aveva la sensazione di conoscere il motivo per cui Kazemaru non sarebbe mai più tornato -senza Endou non riusciva a vivere- ma non voleva pensarci. L’unico sollievo che aveva era che Atsuya non lo avrebbe mai abbandonato. Istintivamente pianse, non sapeva se per la sofferenza fisica o quella mentale, e Atsuya lo lasciò fare senza nemmeno tentare di consolarlo; aprì la bocca soltanto quando il bus raggiunse l’Hokkaido e dai finestrini cominciarono ad essere visibili le strisce di neve che contornavano le strade della loro regione.
“Scendiamo qui” esclamò, serio, e si alzò.
“Cosa?” Shirou lo fissò sorpreso e si asciugò in fretta le lacrime. “Ma siamo ancora lontani!”
“Camminare un po’ ti farà bene” replicò Atsuya senza scomporsi, tirò su i bagagli e si avviò alla portiera, costringendo così suo fratello a seguirlo –anche se non condivideva la decisione impulsiva del fratello, non avrebbe mai rischiato di restare solo.
Quando scese dal bus con un salto, però, gli parve di comprendere il perché del gesto improvviso di Atsuya: il vento freddo che gli sferzava sul viso -l’odore di casa- gli restituì lucidità e asciugò le lacrime sul suo viso, lo fece sentire meglio.
“Grazie” mormorò, Atsuya non commentò ma continuò a camminare lentamente.
Le loro scarpe affondavano nettamente nella neve, non si era ancora del tutto congelata. Non erano scesi molto lontano dalla loro città, Shirou se ne rese conto quando intravide i comignoli fumanti delle baite.
“Shirou, starò via qualche giorno…” dichiarò Atsuya all’improvviso. Shirou si voltò, spiazzato. Il senso di tranquillità che il suo luogo di nascita gli aveva restituito si affossò immediatamente l’albino avvertì il vuoto sotto di lui nel momento stesso in cui realizzò che la sua ultima ancora di salvezza sarebbe sparita. Sarebbe rimasto da solo… solo… quanto odiava quella parola.
Atsuya sembrò intuire il suo disagio dal suo sguardo sperduto; smise di camminare, lasciò cadere i bagagli e afferrò il fratello per le spalle con delicatezza.
“Starò via poco tempo, giuro, giusto il necessario. Guarda che sono più in ansia io di te… ho paura che ti possa far male mentre non ci sono” disse.
E allora perché te ne vai?, Shirou avrebbe voluto chiedergli questo, invece si limitò a sbattere le palpebre e sussurrare: “Quando?”
“Ti lascio a casa e parto” confessò Atsuya. “Ma torno subito. Promesso.”
Shirou annuì, docile, e si chinò per appoggiare il viso sulla spalla del fratello: aveva imparato da tempo a non credere nelle promesse.
 
xxx
 
Shirou poggiò le tazze sul tavolo e si coprì i palmi delle mani con le maniche del pullover per non scottarsi mentre reggeva la propria, era bollente per via del tè nero che ci aveva versato dentro. Hiroto e Midorikawa sollevarono a loro volta la bevanda e tutti e tre iniziarono a sorseggiarla lentamente. I due ragazzi erano venuti a trovarlo, ma Shirou aveva percepito fin dall’inizio qualcosa di forzato, invadente quasi, nella loro visita e il silenzio teso che regnava nella camera ne era la prova. “Posso fare una domanda?” chiese, calmo.
Posò la tazza sul tavolo. Hiroto e Midorikawa si scambiarono uno sguardo sconcertato e Shirou aspettò che imitassero il suo gesto prima di andare avanti.
“Forse è una mia impressione, ma… Da quando c’è stato l’incidente voi siete sempre dove sono io… è una coincidenza?” domandò, curioso. “In particolare di recente… Da quando Atsuya è partito” precisò. Erano passati cinque giorni e le loro visite erano state più che frequenti.
“Coincidenza.” Hiroto ripeté la parola con cautela, ma proprio questa inopportuna prudenza fece intuire a Shirou che era una bugia.
“Non mi arrabbio” insistette, mentiva anche lui. “Ditemi la verità.”
Hiroto lanciò un altro sguardo a Midorikawa, il loro atteggiamento non faceva che accrescere l’impazienza dell’albino; il rosso se ne accorse e sospirò. “E va bene, te lo dico” acconsentì, poi confessò: ”Tuo fratello ci ha chiesto di starti vicino…ha paura che tu faccia qualcosa di…”
“…stupido?” Shirou completò la frase al suo posto; lo disse con voce debole, quasi un sussurro, e il senso di vergine lo assalì di nuovo quando Hiroto annuì confermando la sua versione. Il ragazzo si alzò in piedi di scatto, sbatté le mani sul tavolo: la tazza tremò e si rovesciò. “Non si fida di me…” mormorò mentre osservava la macchia di tè scuro che si allargava sul tavolo, immaginando che potesse essere una pozza del proprio sangue.
“No, non è questo… lui non vuole perderti…” Hiroto capì il suo stato d’animo irrequieto e cercò di calmarlo, ma Shirou si abbracciò e scosse il capo.
“Non m’importa… perché non si fida di me?” Sapeva la risposta, naturalmente, eppure non voleva accettarla, non l’avrebbe accettata!
Midorikawa si allungò in avanti per sfiorargli la spalla e rassicurarlo, ma lui si scansò ed evitò il contatto fisico; si girò e corse verso il bagno, ci si fiondò dentro e chiuse a chiave la porta.
Hiroto e Midorikawa iniziarono subito a bussare,  pregavano di entrare, ma lui li ignorò. Immobile davanti allo specchio, con le mani poggiate sui lati del lavandino, osservò il proprio volto cereo. Stava sprofondando di nuovo e stavolta non c’era nessuno a salvarlo; le grida di Jordan piano piano diventarono solo fastidiosi ronzii, venivano sostituite dalla voce calda e dolce di Gouenji. Tirò un pugno allo specchio, lo ruppe e si graffiò con le schegge –il dolore improvviso e il sangue che gocciolava nel lavello risvegliarono una domanda che per giorni si era annidata nella sua testa: avrebbe fatto la fine di Kazemaru? Probabilmente sì. Era tutto così ovvio e scontato che aveva fatto finta di non crederci… ad Atsuya invece non poteva nascondere le sue debolezze. Il gemello aveva tutte le ragioni per non fidarsi, sapeva cosa avrebbe potuto succedere, e il fatto che ci fosse arrivato prima di lui lo innervosiva.
Shirou prese una scheggia e la strinse fra le dita, se la rigirò in mano mentre si lasciava scivolare contro la porta. Si concentrò per l’ultima volta sulle voci di Hiroto e Midorikawa, poi  pensò a Kazemaru ed Endou… gli venne da piangere quando rivide suo fratello, e infine la persona più importante della sua vita, Gouenji. Lui mi sta aspettando al di là, si disse.
Un taglio veloce, netto, l’ultima cosa che vide fu il sangue, il suo sangue che usciva a fiotti dal polso… e poi… poi, l’oblio.
 
xxx
 
Aprì con fatica gli occhi, la luce del sole gli dava fastidio. Si mise a sedere sul letto, esausto; aveva un forte dolore alla gamba destra, solo in seguito notò che era tutta fasciata. Non ricordava cosa fosse successo. C’era troppo silenzio, non sentiva nessuna voce e la solitudine era soffocante. Le lacrime gli rigarono le gote quando d’un tratto ricordò: era morto! Si guardò intorno, sbalordito perché non si sentiva affatto in un altro mondo.
La porta si aprì lentamente facendolo sobbalzare.
“Shirou! Sei sveglio!” Quella voce.  
Alzò lo sguardo, Gouenji era sull’uscio e gli sorrideva con visibile sollievo. Gli si avvicinò, si sedette a fianco a lui sul letto e iniziò ad accarezzargli la fronte con amore. “Hai dormito per quattro giorni, mi stavo preoccupando” mormorò.
“Cosa… cosa è successo?” esclamò Shirou stordito.
Le sopracciglia di Gouenji s‘incurvarono in un’espressione imbronciata che l’albino aveva sempre trovato adorabile. “Il dottore l’aveva detto che forse avevi battuto la testa” commentò.
Shirou scosse il capo. “N-no… io… t-tu eri morto e io mi ero…” La sua voce si abbassò pian piano fino a diventare un sussurro: “Che fosse solo un sogno…?”
Prima che potesse rifletterci meglio, Gouenji gli prese il volto fra le mani e posò le labbra sulle sue. “Ti spiace spiegare anche a me perché credevi che fossi morto?” chiese.
Shirou annuì. “Sì, ma prima baciami di nuovo” ribatté con un leggero sorriso. Gouenji non se lo fece ripetere e avvicinò il suo viso al suo.
Poco dopo però furono interrotti da Endou e Kazemaru, che entrarono nella stanza senza troppa delicatezza; il castano aprì la porta di botto, sbattendola nel muro, e il turchese alzò gli occhi al cielo e sbuffò: “Bussare no, eh?”
Shirou li guardò divertito e commosso, era un sollievo per lui vederli vivi e vegeti.
Atsuya si unì a loro in quell’esatto istante –entrò correndo, buttò all’aria Gouenji con una spallata e gettò le braccia al collo del gemello, abbracciandolo con tutta la forza e l’affetto possibili. “Sei vivo, oddio, non sai quanto sono stato in pensiero!” gridò, sarebbe scoppiato in lacrime da un momento all’altro. Shirou gli accarezzò la schiena, esitante, e i suoi occhi incrociarono quelli di Gouenji: il ragazzo gli sorrise, e questo non poté che renderlo più felice di quanto credesse di poter essere fino a quel momento.


**Fine**
   
 
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