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Autore: olive embers    16/08/2013    1 recensioni
...perché a volte non vediamo la verità, accecati dalla verità.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rinoa Heartilly
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Final Fantasy VIII e i suoi personaggi sono proprietà Square-Enix, e vengono qui utilizzati senza scopo di lucro: nessuna violazione del copyright è pertanto da ritenersi intesa.

CATARACT
scritta da olive embers, tradotta da Alessia Heartilly

Papà mi ha sempre detto che avrei dovuto prendermi cura di me stessa un po' meglio.

Come quella volta che ho preso il raffreddore perché ero troppo testarda per mettermi una giacca impermeabile nell'inverno di Deling. Fuori stava nevicando, e io avevo a malapena addosso due strati di vestiti. Quattro giorni dopo, ho ceduto. Principalmente perché ero stanca di paracetamolo e brodo di pollo.

O quella volta che dovevo scrivere un tema d'esame su qualcosa che mi aveva profondamente commosso. La mia migliore amica, Jocille, scrisse del suo attore preferito e delle sue interpretazioni al Grande Teatro di Galbadia. E io? Io scrissi sulle ingiuste azioni del governo galbadiano e sull'invasione di Timber e sulla legge marziale.

Mi hanno punito con la detenzione. E poi dicono che si ha libertà di parola.

Inoltre, ero giovane e stupida. Giusto? Qualche idea? Beh, ho solo diciotto anni adesso - il mio diciottesimo compleanno è stato oltre due settimane fa - quindi non mi comporto come se conoscessi il mondo, ma ho passato molte cose. Rispetto a quando, un anno fa, le mie preoccupazioni erano al massimo fallire all'esame di trigonometria e il teorema di Pitagora (che è inutile e malvagio, a proposito), ora le mie preoccupazioni sono un pochino peggio.

Tipo, sarò forte abbastanza da tenere sotto controllo la mia potenza magica?

Sarò forte abbastanza da sconfiggere il desiderio di usare il mio potere? Diventerò mai perversa come Artemisia, o sarò mai manipolata e spezzata come Edea?

Papà mi ha sempre detto che avrei dovuto prendermi cura di me stessa un po' meglio.

Credo che abbia senso. Ho preso un sacco di cattive decisioni basandomi sull'impulso, solo per provare che lui si sbagliava, e per provare che pensavo di sapere tutto.

Come lasciare che Seifer mi corteggiasse, come entrare nella resistenza, come assumere la SeeD, come decidere di seguirli ubbidiente in una missione intorno al mondo, come arrivare ai limiti delle dimensioni nel mezzo della Compressione Temporale per assicurarci che l'universo venisse salvato dalla minaccia di una megalomane.

Come diventare una strega, contro la mia volontà o no.

Sono riuscita a malapena a fronteggiare papà dopo tutto questo. E la conversazione è andata meno che bene, con me rimasta a sentirmi in parti uguali depressa e colpevole. Immagino di averlo meritato, dopo tutti i torti che gli ho fatto e quanto dico di odiarlo per il dolore che mi fa inavvertitamente sentire quando mi fa arrabbiare.

"E così sei una strega," mi ha detto non appena sono entrata.

Era nell'ultimo mese d'inverno, febbraio, un mese prima del mio diciottesimo compleanno e tre mesi dopo la sconfitta di Artemisia e la fine del viaggio del Garden di Balamb. Tutti erano impegnati nelle vacanze (o, per quanto riguardava Squall, a capire le cose) e lui mi aveva educatamente (termine per: per favore vai, ti stai impicciando) spinto a vedere mio padre.

"Lo sono," ho risposto, altrettanto seccamente, perché non mi sentivo davvero in dovere di vergognarmene. Ma poi, non era forse stato lui a pianificare la missione per assassinare un'altra strega?

"Sei una della loro razza," ha commentato lui distratto, con i capelli neri che si facevano grigi ai lati e gli occhi che sembravano stanchi, circondati da rughe. I suoi occhi, anni prima, erano di un azzurro abbagliante; ora sono grigi e sfocati.

Ma, allora, solo le sue parole erano penetrate nel mio cervello. Una della loro razza. Ecco come pensava a me, e la realtà mi ha colpito con forza. Non ero arrabbiata, ma abbastanza sorpresa per compensare.

"Pensi davvero?"

"Non voglio." Mi ha guardato di nuovo con un sorriso triste sulle labbra. "Dimmi, pensavi davvero che ne saresti uscita indenne?"

Ero perplessa. Non sapevo che cosa avevo pensato. Avevo visto Squall, e avevo visto la possibilità di provargli che potevo essere qualcosa di più grande e - l'avevo presa. Avevo lottato e lottato e non avevo mai davvero trovato il mio posto, non nella loro folla, ma ne ero comunque una parte. Non avevo mai davvero pensato alla fine, a come sarebbe finito, se fosse finito.

Vivo nel presente. Ecco perché non riesco bene in Storia, anche se so che è stata Galbadia a far scoppiare le Guerre - e se non erano loro, erano le streghe.

Si tratta di buon senso. Perché è così ironico? Sono nella stessa pagina della storia, ed è così che papà le vede, ma - io sono solo io.

"No. Non ho pensato a come sarebbe finita." Sono passata all'argomento successivo; il successivo tono di disapprovazione da portare alla luce. "Ma Squall, lui -"

"Quel ragazzo non vale la pena che tu rinunci a te stessa per il mondo."

Era stato criptico in maniera da far infuriare, e io non avevo capito. I Colonnelli non parlano per indovinelli. Parlano in termini militari. Concisi, dritti al punto. Nel mezzo di una battaglia, uscirsene con termini semi incomprensibili non aiuta nemmeno un po'.

"Cosa vuoi dire?" Ho chiesto, alzando la voce.

"Non intendo che lui è inferiore a te," ha iniziato con tono stanco. "Valeva davvero tutto quel sacrificio? Sì, l'amore è forte, ma lui valeva il tuo diventare una strega per lui?"

"Io - cosa?" Le parole si erano precipitate fuori dalla mia bocca prima che avessi il tempo di valutare per bene il peso dei suoi pensieri. E quando l'ho fatto, i miei occhi si sono spalancati. Non stava insinuando le solite discussioni-padre-figlia-sui-ragazzi. Stava insinuando qualcosa di diverso.

E io non capivo.

"Sai cosa voglio dire."

Ho scosso la testa, fingendo di non capire. "Sono andata con Squall perché lo volevo, e perché ero una sua cliente, non perché... voglio dire, è sempre stata una mia scelta..." L'argomentazione si era fatta flebile. "Ho continuato ad andare, perché... per Squall. Ma nessuno dei due sapeva, voglio dire -"

"Lui è un SeeD, Rinoa. Valuta le situazioni. Sa che l'impossibile può essere possibile. Studia la strategia, le tattiche, la soluzione dei problemi, la balistica. È un soldato. Ti scuso per l'insolenza, ma lui ha saputo per tutto il tempo che correvi un grosso pericolo, ed è stato stupido da parte sua stare al gioco. Lui ne valeva la pena?"

I miei occhi brillavano di lacrime, e, giuro su Dio, ho pensato onestamente che avrei pianto, davanti a papà, come ai vecchi tempi. Prima dei litigi. In parte aveva ragione, ma io sono giovane e stupida, quindi perché dovrei ascoltare la voce della ragione che è mio padre? Inconsciamente ci davamo la colpa l'un l'altro di qualsiasi cosa.

"Tu non capisci," ho mormorato tra me e me.

"Ti dico questo perché ti amo," ha implorato.

"Anche lui." Sono uscita.

E questa è stata la conclusione di tutto. Non ho raccolto il coraggio di parlargli da allora, nemmeno una telefonata. Squall pensa che sia perché abbiamo litigato, ma non l'abbiamo fatto. Era tutta freddezza. Lui cercava di educarmi, e io non ascoltavo.

Papà ha sempre detto che avrei dovuto cercare di prendermi cura di me stessa un po' meglio.

Io cerco di mescolarmi ai SeeD, faccio impazzire Squall quando lavora troppo, penso di irritare Quisty, non ho un vero lavoro o qualcosa da fare, e mi annoio. C'è Squall. Ma non c'è niente altro, e per la maggior parte del tempo non lo vedo.

Questa è la vita, per me. A diciotto anni.

Penso che papà possa aver avuto ragione.

   
 
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