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Autore: Hi Ban    16/08/2013    2 recensioni
[Sprout]
«Ta-ke-shi!» la sentì urlare da lontano, Miku, chiamare il suo nome, per poi giungere dietro di lui e battergli le mani sulle spalle.
«Yo» fu la pacata risposta del ragazzo, che non capiva mai come comportarsi quelle volte in cui la ragazza si presentava da lui così tanto felice.
Cioè, non che di solito non fosse contenta, ma quel tipo di felicità che la faceva saltellare per i corridoi era per Suohei san e allora era… amore.
E lui non sapeva cosa fare, in quel caso.
Lei sorrise e prese a girargli attorno; perché continuava a tenere quel sorriso?
«Cosa stai facendo? Sei inquietante, Ikenouchi» esclamò in tono esuberante, come se lui si potesse collocarsi al di sopra della situazione; in realtà non aveva la più pallida idea di come comportarsi.
«Ah, Umino san» iniziò con tono leggermente strascicato, mentre ancora gli girava intorno «vedo che non ha ancora studiato gli schemi di gioco a casa» disse con una certa severità che stonava con il sarcasmo palese con cui era velato il tono.
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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He ran into Miyuki and he took her on a date





«Esci con me, per favore!»
«Diventa la mia ragazza!»
«Miyuki san!»




«Mi dispiace.»


È possibile innamorarsi a tal punto da perdere anche il coraggio di alzare lo sguardo per incrociare i suoi occhi?




«Guarda che se non le parli nemmeno non arriverai da nessuna parte!»
Takeshi si voltò, trovandosi davanti il sorridente volto di Seiji che gli diede una pacca amichevole sulla spalla a mo’ di saluto.
«Di cosa stai parlando?» si informò, giocherellando con i bordi dell’asciugamano che aveva, come di consueto, attorno al collo. Seiji si portò di fianco a lui, affacciato alla finestra, e gli indicò Miyuki che passeggiava tranquilla.
Era sempre così… calma, non c’era un aggettivo giusto per definire quell’aura pacifica che la giovane aveva sempre.
Umino spostò immediatamente lo sguardo. Sapeva perfettamente a cosa si riferiva l’amico, non era un mistero tra loro due quello che Takeshi provava per la ragazza; nonostante ciò ogni tanto il ragazzo tentava di agire con innocenza, come se non ne sapesse nulla.
Oltre a non riuscire ad ingannare l’amico non riusciva nemmeno ad illudere se stesso.
Takeshi si voltò, dando le spalle al cortile trafficato di studenti spensierati durante la pausa pranzo. «Seriamente, amico, a momenti la eviti anche! Non puoi immusonirti ogni volta che la vedi e aspettare un miracolo!» disse Seiji scuotendolo, sperando in una sua reazione.
Era da un sacco che la cosa andava avanti, ma Umino non era stato capace di fare assolutamente nulla, oltre a guardarla e immaginare come sarebbe potuto essere. E infatti rimaneva tutto lì, nella sua testa. Cosa sarebbe successo se l’avesse guardata negli occhi e… «Tanto lo direbbe anche a me» sospirò Takeshi, passandosi una mano tra i capelli «mi dispiace» biascicò, come se parlare a voce più bassa cambiasse le cose.
«Se non ci provi non puoi saperlo» gli fece presente ragionevolmente, ma Takeshi non rispose. Passarono i minuti e lui ancora non rispose. Non rispose semplicemente perché sapeva che l’amico aveva ragione, ma sapeva anche che tutto quel che riusciva a fare era osservarla di nascosto, spostando lo sguardo quando lei avrebbe potuto vederlo.
«Andiamo al campo, dai» disse poi, dandogli una spallata e Seiji risposte con un borbottio indignato.
Andarono avanti spintonandosi vicendevolmente e Takeshi era soddisfatto: cambiare discorso era la cosa che gli riusciva meglio.


È possibile innamorarsi a tal punto da non avere il coraggio di muovere anche un solo passo verso di lei?




«Ta-ke-shi!» la sentì urlare da lontano, Miku, chiamare il suo nome, per poi giungere dietro di lui e battergli le mani sulle spalle.
«Yo» fu la pacata risposta del ragazzo, che non capiva mai come comportarsi quelle volte in cui la ragazza si presentava da lui così tanto felice.
Cioè, non che di solito non fosse contenta, ma quel tipo di felicità che la faceva saltellare per i corridoi era per Suohei san e allora era… amore.
E lui non sapeva cosa fare, in quel caso.
Lei sorrise e prese a girargli attorno; perché continuava a tenere quel sorriso?
«Cosa stai facendo? Sei inquietante, Ikenouchi» esclamò in tono esuberante, come se lui si potesse collocarsi al di sopra della situazione; in realtà non aveva la più pallida idea di come comportarsi.
«Ah, Umino san» iniziò con tono leggermente strascicato, mentre ancora gli girava intorno «vedo che non ha ancora studiato gli schemi di gioco a casa» disse con una severità giocosa che stonava con il sarcasmo palese con cui era velato il tono.
«Sei diventata stupida?» si informò, perché quella volta non capiva davvero. Cosa voleva dire quel che diceva? Che schemi? Non erano un po’ cresciuti per fare quei giochini di ruolo professore-alunno?
«Gli schemi, gli schemi! Impadronirsi della palla quando è libera!» esclamò esagitata fermandosi dinnanzi a lui e sventolando le mani come se potesse rendere meglio il concetto.
«Fai schifo di calcio, Ikenouchi, non far finta di capirci qualcosa!» la sbeffeggiò, anche se ancora non aveva capito a che pro era quella discussione.
Miku arrossì e gonfiò le guance, esattamente come avrebbe fatto una bambina piccola; non le piaceva essere messa in imbarazzo.
«Come esempio calza però!» tentò ancora, mentre Takeshi continuava a non capire, al che aggiunse: «Miyuki. Lei è la palla libera.. beh, tu sei il giocatore di calcio e poi…» mimò qualcosa con le mani, una che si scontrava con l’altra.
Forse una indicava il pallone e l’altra il giocatore.
Una era Miyuki l’altra Takeshi.
Umino spostò lo sguardo e prese a giocherellare con l’asciugamano. Ancora con quella storia? Sì, ancora con quella storia, perché la gente la sentiva raccontata ogni volta che lui guardava Miyuki e abbassava lo sguardo un attimo dopo.
I casi disperati erano i preferiti dalla persone.
«È squallido. Con il calcio e la palla, intendo» le fece presente, mugugnando quelle quattro parole come se potessero mettere fine alla discussione. E poi era vero.
Miku arrossì ancora – presto sarebbe diventata un pomodoro da tagliuzzare in un bento.
Borbottò qualcosa che somigliava ad un «anche lui me lo aveva detto»; lui, Suohei san. Ne parlavano proprio in tanti, eh? Solo lui taceva, perché non trovava le parole.
Calò il silenzio.
«Beh, comunque, per prendere la palla devi correrci incontro, no? Beh, tu non lo fai! Non segui gli schemi, vedi?» concluse con una certa fierezza, mettendo insieme quel discorso e dimostrando di avere ragione, mentre mimava di dare pugni all’aria.
Ma Takeshi sapeva che la ragazza aveva ragione, non doveva dimostrarglielo con delle metafore inutili, semplicemente lui non riusciva a muoversi, non verso Miyuki.
«Prima o poi Suohei san ti mollerà, sei un maschiaccio!» la accusò, mentre le spalancava gli occhi indignata e gli dava un leggero schiaffo sul braccio.
«Crudele» borbottò e Takesho sorrise: era riuscito a cambiare di nuovo discorso.


È possibile…




Era stata la ragazza di Suohei san. Non gli importava che quella frase fosse al passato e che ora stesse con Miku, per lui continuava ad essere un valido motivo dietro cui nascondersi.
Ma non era un motivo, lo sapeva pure lui; era una scusa, perché doveva giustificare la sua paura di fare quel che ero suo compito fare, perché aveva dei doveri verso quel cuore che prendeva a battere furioso non appena la vedeva anche da lontano.
Lo stesso Souhei san, poi, gli aveva sorriso e gli aveva detto che era il suo momento, che era giusto così. Quella scusa non serviva a nulla, dopo essersela ripetuta varie volte perdere credibilità anche per lui.
Takeshi aveva semplicemente paura; quello non era scontato ammetterlo a se stesso, era solo difficile.
«Non è stando a guardarla da lontano che succederà qualcosa» gli disse una voce allegra alle sue spalle, che poi si rivelò essere quella di Suohei.
La stava guardando? Sì, sempre da quella finestra, mentre lei si allontanava passando attraverso il cortile. Non se ne accorgeva nemmeno più, ma era quasi certo che da lì lei non potesse vederlo, ecco perché non si faceva problemi.
Eppure i problemi c’erano eccome, o non sarebbe alla finestra a guardare la sua sagoma allontanarsi. Takeshi non sapeva cosa rispondere al ragazzo, il suo sorriso si allargo con fare comprensivo.
«Cosa- eh?» balbettò, cercando istintivamente l’asciugamano. Era il suo appoggio costante, necessitava quasi di sentirne la stoffa sotto le dita.
«Lei sorride sempre, Takeshi. Miyuki intendo… sorride sempre ed è dolce, non dovresti startene qui a fissarla da lontano. Va’, se è così che devono andare le cose andrà tutto come deve andare» gli disse con una confidenza che solo lui poteva avere.
La sua storia e quella di Miku erano proseguite su fila parallele tra di loro per molto più tempo di quanto ci si sarebbe aspettati, ma poi si erano incrociate; era così che doveva andare.
Era così anche per lui e per Osawa?
Eppure lui… lui cosa?
«Non puoi sapere se dirà di no» commentò con lo sguardo fisso fuori dalla finestra il capitano della squadra di calcio, quasi gli avesse letto nel pensiero.
Era il suo rifiuto che temeva.
Non puoi sapere se non provi. Devi correrle incontro. Non puoi sapere se dirà di no.
Takeshi solo in quel momento realizzò che si era bloccato ancora prima di muoversi, cosa che gli aveva impedito di andare avanti; come poteva fermarsi se non aveva neanche provato a fare un passo?
Se non si muoveva non poteva cambiare pagina e non poteva scrivere la sua storia, dove magari era destinata ad esserci anche lei.
«Vai» gli mormorò Suohei, ma non ce n’era più bisogno. Era già partito, diretto verso di lei.
Era una giornata di sole, non poteva non tentare nemmeno. E non gli era concesso cambiare discorso quella volta.


Non so se è possibile innamorarsi a tal punto da immobilizzarsi…




«Ozawa san!» gridò Takeshi all’indirizzo della ragazza, correndole incontro. Corse attraverso il campo con una sola domanda in testa: cosa diavolo stava facendo?
Nonostante avesse quell’atroce dubbio che gli ronzava in testa, non smise di correre fino a che non giunse dinnanzi a lei.
Lei gli sorrideva con quel suo fare tranquillo e spensierato, quasi maestoso, che Takeshi non era mai riuscito a definire con nessun aggettivo. E non ci riusciva nemmeno in quel momento, con lei a pochi passi di distanza che lo guardava con dolcezza.
«Ohayou, Takeshi kun» lo salutò, in attesa che lui dicesse qualcosa.
Eppure Umino non sapeva cosa dire, non sapeva nemmeno perché le sue stesse gambe lo avevano portato fin lì.
Ma poi… erano state le sue gambe a farlo muovere o era stato il suo cuore? Che importava. Si trovava lì, da lei, in mezzo alla polvere che il venticello primaverile alzava da terra e sapeva solo che il motivo per cui si trovava lì era palese.
Semplicemente doveva alzare gli occhi, fissarli nei suoi, smettere di scappare e accettare la realtà, mentre il risultato del passo fatto verso di lei attendeva di essere svelato.
Infine doveva sorridere, Takeshi, perché era innamorato e Miyuki sorrideva con quell’aria beata che lui tanto amava.
«Ozawa san… vuoi…»
Non sentiva più il suo cuore battere, ma sapeva che batteva tanto forte che lei probabilmente poteva contarne i battiti.


… ma so che è possibile innamorarsi ed avere il coraggio di fare un passo avanti per poi farne infiniti con lei.




«Sì, Takeshi kun.»






Il titolo della storia è ispirato ad un pezzo della lyrics della canzone Betty's a Bombshell (Grouplove), che è presente nel drama.
  
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