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Autore: RuboLaVitaDentroDiMe    16/08/2013    0 recensioni
Me li ricordo tutti, i momenti in cui ho saputo per certo che ero innamorata di te.
Uno ad uno, con spietata chiarezza.
E' stato prima, quando io ancora ero alle tue spalle e ti amavo da lì, perché per te non ero nulla che valesse la pena di un po' di attenzione.
E' stato prima che toccasse a me, darti le spalle.
Che cosa abbiamo sbagliato, Davide?
Che cosa ho sbagliato, io?
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Ad A. perché spero
che un giorno si fermi,
prende un bel respiro
e capisca che
non serve per forza
rincorrere qualcuno,
né essere rincorsi,
per essere felici.




Ho amato alle tue spalle


 


“Mi piaci. Tanto.”
Lo sai quanto coraggio mi è servito per dire queste parole, Davide? Ho dovuto raccogliere tutti i miei quindici anni di dubbi, di incertezze; ho dovuto prendere la mia timidezza, le mie guance che avvampano, la pipì che scappa forte per la tensione, il mal di pancia che preme per farmi accartocciare su di me come un armadillo quando devo parlare con qualcuno...
Ho dovuto raccattare gran parte di me e buttarmi in un sacco nero della spazzatura assieme agli avanzi del pesce di ieri sera e i vetri del piatto che papà ha rotto, l'unica volta che ha pensato bene di provare a preparare la tavola. Solo per un po', è chiaro... poi andrò a riprendermi... perché, anche se in questa casa nessuno sembra sapere che cos'è la raccolta differenziata, io voglio riuscire a riciclarmi e non finire in un inceneritore perché per me non c'è più speranza.
Ma intanto mi sono messa da parte e ho tenuto solo quello che pensavo avrebbe potuto farti piacere... anche interessarti, magari.
Mi sono anche guardata alla specchio. Non lo faccio spesso. Ma questa volta mi sono fissata bene e mi sono chiesta perché mai, se io mi sentivo in quel modo pensando a te, tu non avresti potuto ricambiare.
Ma, dopotutto, tu sei tu; io sono solo io.
Quindi... un bel respiro e, giù... buttofuorituttoquellochedevodire.
“Mi piaci. Tanto.”
Diretta. Chiara. Solo un debole “ciao” di introduzione e un “che vuoi, ora?” da parte tua.
Mi guardo le punte dei piedi, adesso. A guardare te, proprio non ce la faccio.
Avrei voluto buttare nel sacco anche questa debolezza. Anzi, credevo di averlo fatto davvero. Ma mi sbagliavo.
Forse però è un bene: mi impedisce di vederti mentre mi volti le spalle e te ne vai, senza una parola.
E, quando – dopo quel silenzio troppo lungo – alzo gli occhi, vedo la tua schiena già lontana, che si confonde con quelle di tanti altri.
E, sempre in quello stesso momento, capisco una cosa: sono contenta così, perché è giusto così.
Oh, non credere che tutto questo non abbia fatto male; non credere di non aver distrutto quel poco di sicurezza che avevo...
Ma io potrei anche amarti. Sì, forse come una quindicenne infantile, ma credo proprio di amarti.
E se non vuoi permettermi di stare in fronte a te e dirti le cose così come stanno, vorrà dire che rimarrò alle tue spalle e ti amerò da qui.
Così comincio.
Per la prima volta, allora, amo la tua schiena con tutte le mie forze.

Ho diciassette anni, adesso: due anni in più di prima e un sacco nero della spazzatura più grande. Ci ho buttato dentro – definitivamente, questa volta – tante cose, giorno dopo giorno: la vecchia, timida, me; la solitudine; la voce sottile che in pochi riuscivano a sentire; le frasi filosofiche che non interessavano a nessuno; la mia verginità...
Adesso ho una borsa, invece. Me la tengo sempre penzolante al fianco, con quel grazioso nastro di campanellini che ho legati ai manici, e ci ficco dentro tutto quello che, lungo la mia strada, potrebbe servirmi per costruire la me che ho deciso di essere: un mascara, un fondotinta, un sorriso di circostanza per ogni occasione, i miei amici, un po' di sarcasmo, una valanga di indifferenza e... beh, tu. O quello che di te mi concedi.
È strano che io ti ami ancora. Sono cambiata io, sei cambiato tu, è cambiato tutto quello che c'è attorno a noi. Che senso ha, allora?
Eppure anche adesso che sono seduta sopra al mio banco – perché Matilde mi ha scalzata via dal solito posto, si è appropriata della mia sedia e parla con me di qualcosa che non mi interessa – ti seguo con lo sguardo e ho voglia di venire da te.
Ma so già dall'inizio dove andrai a finire, tu, invece: è come se ce l'avessi scritto in fronte.
Lo sa anche lei. Sorride, mentre ti vede andare verso il suo, di banco. Il suo, non il mio, accidenti a te. D'altronde, tu sei tu, Linda Nardi è Linda Nardi, e io sono solo io.
Non riesco a sentire le tue parole: sei troppo lontano e Matilde continua a parlare di quella cosa – chissà qual è, poi – e se ne strafrega delle mie risposte a monosillabi che sembrano dire “Che cazzo vuoi? Ma te ne vai?”.
Non sento quello che dici, però il tuo corpo si illumina come una insegna al neon. Non hai più segreti, per me, Davide. Tutti i tuoi muscoli, le tue cellule, tutto di te, sta pensando, contemporaneamente, in perfetta sincronia, “Io questa me la porto a letto. E non una volta sola.”
Lo sa anche lei. E sorride, perché vuole la stessa cosa. O forse di più.
Ti sei piegato sul suo banco, per guardarla meglio in faccia, di fronte a lei come non sei mai stato con me, e hai piantato i gomiti sul legno con una decisione che con me non avrai mai.
E fa male. Non tanto, ma abbastanza perché mi venga voglia di parlare con Matilde e non guardarti più. Eppure so che non lo farò comunque.
Non ci metti poi molto, a convincerla. Non so se ti ha promesso un appuntamento, una scopata nel bagno della scuola, o anche solo di presentarti un amica, ma qualcosa ti ha promesso, perché si arrotola i capelli lungo l'indice e sorride, soddisfatta, mentre tu te ne vai.
Ma io non guardo lei, non più di tanto, almeno. Guardo te. E, all'improvviso, noto i tuoi gomiti, con tutte le piegoline ancora irritate per la posizione che hai tenuto per soli pochi secondi.
Mi fanno malinconia, perché per me non si arrosseranno mai, non si sporcheranno mai di terra, non mi colpiranno mai il fianco per mostrarmi qualcosa di divertente, non si metteranno mai dietro il mio collo per mantenermi vicina.
E allora li amo, con tutte le forze che mi sono rimaste dopo la verifica di filosofia.
E li infilo nella mia borsa.

Non so nemmeno più come fosse stare sempre sola e volerlo essere. È come un ricordo sbiadito, di quelli che non capisci mai se sono veri o se li ha costruiti la tua stessa mente, giusto per sentirsi un po' meno... incapace.
A volte penso che forse mi piacerebbe. Chiudere a chiave la porta, spegnere il cellulare, accendere le stereo e far partire un cd a caso, di quelli che ormai se ne stanno a prendere polvere dentro una scatola in fondo all'armadio, perché ho deciso che non sono più il mio genere di musica... però ogni volta che ho deciso, ogni volta che sono ad un passo da farlo, mi arriva un messaggio e magari Fede mi chiede di andare a prendere un gelato con lui, o suona il campanello e mamma mi avvisa che Giorgia è venuta a trovarmi, ovviamente senza avvisare.
E, quando alla fine sono sola di nuovo, quei ragionamenti se ne sono già andati e non riesco più a riavvolgerne il filo sulle mie dita, per trovare il punto che si stava smagliando. Così ho in mano un guinzaglio di pensieri tutto mangiucchiato e aspetto che prima o poi si spezzi, perché non ricordo più dove dovevo fare i nodi, e che tutte le mie riflessioni se ne scappino via.
Li vedi tutti i miei amici, ora, attorno a me? Ridiamo, programmiamo il sabato sera, qualcuno mi guarda, qualcuno no... Sono loro che mi fanno da scudo quando mi perdo, perché nessuno possa arrivare e colpire al mio fianco scoperto. Sanno poco, certo, di quanto mi passa per la testa, ma non importa: non hanno mai preteso di più di quello che potevo dare. È per questo che quando li ho vicini mi sento al sicuro.
Ma certo che no, tu non li vedi, perché non li guardi. Non guardi nessuno.
Per te conta solo Linda, in questo momento. Perché è con lei che hai passato questi ultimi due mesi, con lei che hai condiviso i tuoi momenti neri, lei che hai baciato...
E così, tutto d'un tratto, te la carichi in spalla. No, non come un sacco di patate. Proprio sulle spalle, a cavalcioni del tuo collo.
E invidio il modo in cui per lei, quando si è accorta di quello che stavi facendo, è stato così naturale adattarsi ai tuoi movimenti, al tuo stesso corpo. Non hai fatto neanche un po' di fatica a tenerla, vero?
E invidio anche te e quella tua capacità di considerarti l'unica persona che conta nel tuo mondo, incurante di tutti gli sguardi che hai addosso e dei rimproveri che Linda ti muove debolmente.
Non hai bisogno di nessun altro, per essere te stesso, nemmeno di lei. Ma la vuoi comunque vicino a te. Chissà se la ami. Una volta non avevi più segreti, per me. Ora, semplicemente, non ti capisco.
Ma guardo la tua ragazza, che alla fine si arrende e che si raggomitola su se stessa, alla ricerca delle tue labbra, lì davanti.
Io non le vedo. Vedo solo le tue spalle che si contraggono per sostenere il suo esile peso.
E allora le amo, con tutte le forze che posso permettermi di spendere per non cadere stremata alla corsa campestre della prossima ora.
Amo le tue spalle e nessuno dei miei amici, attorno a me, se ne accorge.

Il bello della folla è che diventi un volto come tanti altri, come tutti quelli che ti circondano. E ti confondi con loro, tanto che i tuoi occhi finiscono sul loro viso, la bocca di qualcun altro diventa la tua, i pensieri si uniscono, le voci si amalgamano... Io stessa sparisco e divento qualcosa di diverso, di indistinto, di opaco, di sfocato...
Non ho contorni, non ho limiti, non ho destinazioni e posso fissarti quanto voglio, perché io sono solo una dei tanti e tutti, tutti, ti stanno guardando.
Siamo qui in massa, accalcati, che alziamo il collo o che ci abbassiamo per poter vedere meglio quello che sta succedendo.
Che cosa ti ha detto quell'idiota di Cecconati, per farti incazzare in quel modo?
Te ne freghi sempre di tutto e di tutti, perché questa volta è diverso?
Ve ne state lì a urlarvi cose, tra di voi, che, con queste orecchie che ormai non sono più mie, io non capisco. Lui fa male a te e tu cerchi di fare più male a lui, perché lui ha il vantaggio di aver girato il dito in una ferita aperta. Non importa cosa usare: pugni, calci, unghie, insulti... tutto va bene.
Ma non va bene a me. Verrei a mettermi in mezzo, se solo avessi ancora il controllo del mio corpo. Se solo pensassi che il mio intervento servirebbe a qualcosa. Ma non sarebbe così.
Alla fine hai vinto, Davide; sempre che ci sia qualcosa da vincere. Gli hai fatto più male: lui è disteso per terra e tu ancora non ti fermi.
Sul serio, cosa ti ha detto?
Servono due professori, per portarti via e ancora riesci a dargli un ultimo calcio, come firma in calce su quel documento.
Le vedo in quel momento: le tue scarpe, quelle converse distrutte, con la scritta “All star”, dietro, tutta sbiadita. È un particolare stupido, di fronte a quello che è appena successo, ma mi ritrovo a chiedermi dove sei andato con quelle ai piedi. Penso a come loro ti abbiano accompagnato, ti siano state vicine... sappiano tante cose di te.
E allora le amo, loro e quelle lettere tagliate a metà dall'attrito col tempo, con tutte le forze, mie e di quelli che mi stanno attorno.
Ma dopotutto non ha importanza, perché io sono parte della folla. E, qui dentro, forse non le ama nessuno.
Forse le amiamo tutti insieme.

È passato anche un altro anno di scuola. Ed è stato così veloce: un giorno abbracciavo tutti i compagni che non avevo avuto modo di vedere durante l'estate e il giorno dopo già li salutavo, pronta a dimenticarli per altri tre mesi. È stato così veloce, ma è stato come ogni anno. Identico.
Non doveva essere così: questa non è una operazione aritmetica, non è un'equazione, i fattori sono cambiati e io non ho applicato nessuna stupida proprietà per far tornare i conti. Com'è allora, che il risultato è quello di sempre? Di questi mesi non mi è rimasto niente.
Niente se non una sensazione di vuoto, di mancanza, di... voglia di qualcosa che non riesco a definire e di qualcosa che sei tu e basta.
Ma è finita, Davide. È in pausa fino a settembre, e io non voglio pensarci ancora.
Cammino veloce, a testa bassa, rispondo a mezza voce a tutti i saluti e mi meraviglio silenziosamente di quante persone sono riuscita a conoscere nel tentativo di piacere a te; a te, Davide.
Ma è in pausa fino a settembre. Tutto, la scuola, gli amici, i miei pensieri... Io sono in pausa.
Varco la porta della scuola e cammino verso il cancello, pronta a premere quel pulsante che vi immobilizzerà tutti quanti, lasciando che la mia mente si svuoti e non prema per evadere come al solito.
È in quel momento – nel momento in cui mi dico, sollevata, “è fatta!” – che Federico mi placca e Alessandro mi svuota in testa una bottiglia di acqua.
Sono di pietra, la schiena inarcata e gli occhi spalancati, il respiro meccanico che stavo prendendo bruscamente troncato a metà, Federico e Alessandro che mi guardano altrettanto immobili, forse spaventati dalla mia reazione esagerata. Per un istante mi chiedo se io non l'abbia fatto troppo presto, se io non abbia bloccato tutto quanto e mi trovi ferma assieme al resto delle persone che volevo escludere da me. Ma poi sento la mia bocca ridere, i miei muscoli distendersi e... riavvolgo il nastro in avanti, accelerando la pellicola. Rido, corro, bagno chiunque sia a tiro...
E all'improvviso mi capiti davanti tu. Perché non potevi lasciarmi respirare neanche questi ultimi dieci minuti, né tantomeno io voglio che tu lo faccia.
Sei bagnato, almeno tanto quanto me. Corri, esattamente come me. Ridi, quasi come me.
Abbracci Linda e ignori le sue urla, gli insulti che ti lancia perché “sei bagnatissimo! Merda, staccati!”... e in questo sei totalmente diverso.
All'improvviso mi vergogno; mi rendo conto di avere il trucco sbavato che corre sulle guance e un sorriso congelato a metà sul viso; voglio girarmi e andarmene, anche se so che non ti volterai mai per guardarmi, ma poi mi rendo conto che è l'ultima immagine che avrò di te, fino al prossimo autunno, e mi sento talmente fortunata a poterti ricordare così, che ridi con i tuoi amici e che scuoti i capelli come un cagnolino fradicio, per cercare di liberarti di tutta quell'acqua che ti cola lungo il viso e si insinua lungo il collo.
Allora amo i tuoi riccioli scuri, senza forze, perché come al solito un intero anno di scuola me le ha tolte tutte.
E ti metto in pausa.

Il nero è nero, dietro le mie palpebre.
Non è quel nero che ti convinci sia nero, ma che poi in realtà scopri – con tanto smarrimento – essere blu, o quello che in realtà ha luce dentro e tu non te ne rendi conto.
Questo nero è nero e basta, almeno finché attorno – fuori di me, del mio involucro di pelle e reazioni costruite – è così in penombra. È un nero che se ne sta fermo, acquattato come una pantera in attesa, che poi scatterà e si trasformerà in rosso alla luce del sole sulla pelle, oppure in una danza di colori se io dovessi serrare gli occhi con troppo forza.
Non devo farlo. Eppure lo faccio e i miei occhi sono invasi da scie luminose, punti intermittenti e figure a dissolvenza.
Ma le palpebre non si scollano. Non apro gli occhi nemmeno quando mi rendo conto che riesco a sentirmi gemere e, sì, che sento anche te ansimare. Non li apro nemmeno quando sono costretta a stringere i denti perché sei stato troppo brusco.
Che cosa è cambiato, Davide?
Dio, io continuo a dirmi che tutto, è cambiato tutto. Ma la verità è che non è cambiato niente. Non per me, almeno.
Quindi, che cosa è cambiato, per te?
Perché mi hai dato la schiena per così tanto tempo e ora sei qui con me, con me e non con Linda?
Cazzo, se fa male. Fa talmente male, tutta questa... felicità. Sono felice.
Sono felice che tu sia venuto alle mie spalle, all'uscita da scuola. Sono felice che tu mi abbia chiesto all'orecchio di seguirti negli spogliatoi della palestra. Sono felice che i nostri vestiti siano stati un intralcio troppo esasperante. E, sì, sono felice che alla fine tu mi abbia toccato e fatto anche male. Perché è così che è sempre andata. E così che ti conosco.
E mi chiedo perché tu l'abbia fatto. Oh, non credere che io sia una stupida. So che non è per me. Non ho mai pensato che potesse essere per me.
Ma perché non cerchi di essere sincero almeno con te stesso? Ti sei stancato di Linda? È successo qualcosa? Vuoi fargliela pagare? Stai sfogando la tua rabbia su di me per non doverla rivolgere a lei? Semplicemente, ti annoiavi?
Sai che non mi importa, comunque? Adesso tu sei qui con me. Ed è tutto quello che mi serve.
Mi sento quasi persa, quando ti accasci sulle mie spalle e poi ti stacchi, definitivamente.
Capisco che è finita e ho paura. Ho paura che tu ti vesta e che te ne vada; paura che mi lasci qui; paura di essere da sola; di dovermi pulire con la carta igienica e rimettermi i pantaloni; ho paura ad aprire gli occhi.
Ma lo faccio e capisco che succederà esattamente quello che tanto temo.
Mi dai le spalle e stai tirando sulle gambe quei jeans chiari, sbiaditi, che ti stanno tanto bene e anche quei boxer scuri, umidi di noi. Ma, prima che tu possa sistemarti e andare via, riesco ad amarti ancora.
Amo la curva delle tue natiche. La destra, più della sinistra. Ha quei quattro piccoli nei scuri, che immagino di collegare con una penna, per far nascere una nuova costellazione. Le amo, con più forza del solito, perché sono riuscita a stringerle fra le mani.
E poi richiudo gli occhi.

Pensavo che sarebbe stato diverso, forse.
Non tanto, solo... un po'.
Credevo che dopo aver fatto quello che abbiamo fatto negli spogliatoi avrei avuto il diritto di entrare a far parte della tua vita, anche solo di striscio, anche solo per finta.
È per questo che ti ho inviato la richieda di amicizia su Facebook. Se non ci fossimo toccati in quel modo, se non mi avessi conosciuta, finalmente, di sicuro non l'avrei fatto.
Credevo che l'avresti accettata. Con indifferenza, magari, però che l'avresti fatto lo credevo sul serio. In fondo che motivo avevi di rifiutarla? Avresti avuto una voce in più nella lista degli amici – di cui, ci potrei giurare, non conosci di certo tutti – ma la cosa sarebbe finita lì.
E invece mi hai ignorata.
Mi hai lasciata lì, in mezzo a una lista di persone che hai deciso non valevano la pena di una risposta.
Mi sono detta per un sacco di tempo che forse non l'avevi vista, che l'avresti accettata appena te ne fossi accorto. Ma è passato un mese. Tu devi essertene accorto e devi aver deciso che io non ne valgo la pena.
Perché è questo, il punto, capisci?
Non si tratta di accettare una stupida richiesta, la mia stupida richiesta: si tratta di accettare me.
E così non posso fare altro che passare le sere incollata allo schermo del pc, passando da un profilo all'altro, rispondendo ai messaggi in chat degli amici con un meccanico sorriso vago sulle labbra, anche se nessuno può vedermi, con una finestra aperta sempre sul tuo profilo.
È comodo, sai? Leggere i tuoi post e poter capire come pensi, come vivi, come sei; scorrere tutte le tue foto e non essere costretta a fissarti in continuazione, a scuola.
La mia preferita è quella in copertina. Quella in spiaggia, che rincorri Linda verso il mare, con la pelle dorata dal sole e il costume blu pericolosamente abbassato sui fianchi; ma soprattutto quelle fossette di Venere che sono così incredibilmente nitide ed erotiche.
Allora mi rassegno e le amo. Senza forze, perché tanto sono dietro ad uno schermo, tu non ci sei e io non ho bisogno di dimostrarti niente.
E poi torno ad aspettare.

State dando spettacolo.
Sul serio, Davide: tu non vuoi che noi sappiamo tutto questo. Non è importante quanto te ne freghi della gente, ma non è questo il posto giusto. Tu e Linda dovreste andare da qualche altra parte. Ma siete troppo arrabbiati l'uno con l'altro per poterci pensare.
È un orario strano, questo, per essere fuori da scuola. Il nostro professore di Fisica si è preso due giorni di malattia e quindi noi abbiamo la scusa. Ma tu? La tua classe è ancora dentro, per quanto ne so.
Va bene così, comunque. Non siamo in molti, a vedervi. La maggior parte se l'è filata alla chetichella, pronto a spendere quelle due ore guadagnate in saggio ozio.
Ci siamo solo io, Matilde, Angelica e anche Giovanni e Jacopo, ma tanto loro non ascoltano. Tranquillo, Davide, non ne parleremo. Non io, comunque.
“Credi che non l'avrei scoperto? Credevi davvero che Cecconati non avrebbe perso tempo a vantarsene con me? Cazzo, proprio lui dovevi andare a scoparti?”
Vedo Linda stringersi nelle spalle e mi fa male. No, non per lei: quella stronza per me può fare quello che le pare. Mi fa male per te.
“Non mi risulta che avessimo deciso di essere una coppia. Non ero obbligata a venire a letto solo con te.”
“Mi stai prendendo in giro?”
No, Davide. È terribilmente seria. Perché, fra tutte, proprio lei, hai scelto? Quella che poteva farti stare peggio?
“Perché, mi vuoi veramente dire che tu invece non sei mai andato a letto con nessun’altra, mentre stavi con me?”
“No!”
“Sì, invece. Guarda che lo so. Non sono stupida.”
“Vaffanculo, Linda. È stato dopo che tu ti sei fatta quello lì. Volevo solo fartela pagare. Ma tu non ti sei scomposta.”
Ahi. Questo sì che fa male. Volevi solo fargliela pagare, quindi? Avrei dovuto immaginarlo. In realtà credo di averlo anche fatto. Ma speravo in qualcos'altro, sicuramente.
“Ah, e quindi quello che mi ha detto Sandro non è vero? Il fatto che tu ora sei ossessionato da una di quelle che ti sei fatto?”
Ti vedo esitare. Mi aspettavo un no secco, ma non è così. Quindi è vero.
Ecco, fa ancora più male. Male all'ennesima potenza. Sono stata solo una delle tante. E ora ti sei anche preso una sbandata per una di quelle tante. Potevo accettare che fosse Linda, in fondo lei è perfetta, ma... anche un'altra?
“Che c'è? Sei gelosa, quindi?”
“Dio, no! Il fatto è che per tutto questo tempo tu ti sei fatto idee che non esistevano. Io non ti amo. Per me sei semplicemente uno come tanti altri. Quindi, forse è meglio che la chiudiamo qui, non trovi?”
Trattengo il respiro anche io, come te. Non so cosa pensare, Davide. Davvero.
In fondo io e Linda non siamo poi così diverse. Amiamo tutte e due alle tue spalle. L'unica differenza sta in chi amiamo: io te, lei qualcun altro.
“Fottiti, Nardi. Fottiti con tutti i miei migliori auguri.”
E lei se ne va, perché, come ti ha detto, tu sei semplicemente stato uno dei tanti.
E io ti guardo rimanere in piedi, teso come una corda di violino. Non so come lo capisco. Sembra che la tua postura non abbia niente di strano: le braccia sono lungo i fianchi, la schiena ingobbita, la testa abbassata...
Ma poi riesco a vedere il tuo tallone d'Achille, sia fisicamente, sia metaforicamente parlando.
Il primo è il ritratto del tuo nervosismo: quella striscia tendinea arrossata, rigida, rovinata dall'attrito con il bordo delle scarpe.
Il secondo è così chiaro, Davide: l'essere abbandonato, l'essere lasciato solo per decisione di qualcuno che non sei tu, ti distrugge.
E li amo entrambi, quei talloni d'Achille, attingendo anche alle forze di Matilde e Angelica, perché sembri averne bisogno. O forse ne ho bisogno io.
Li amo entrambi e ti lascio solo, perché anche se hai paura, non è me che vuoi.

Non è difficile. Recitare, intendo.
Mi fanno un po' pena quelle persone che non riescono a dire uno straccio di bugia senza che gli si legga in faccia la verità. È così semplice cucirsi addosso una storia e portarla avanti come se fosse la propria.
In fondo io lo faccio da parecchio tempo. Credi davvero che quella che gira per i corridoi sia la vera me? A dire la verità non so nemmeno io, ormai, quale sia la vera me, né se una vera me ci sia veramente, da qualche parte. Sono semplicemente una specie di specchio, capace di adattarsi alla situazione, a seconda di chi è presente e di quello che vogliono gli spettatori che hanno pagato per vedere lo spettacolo. Burattinaio di me stessa. Non è divertente?
Ovviamente lo spettacolo è venuto benissimo.
Quando uno è abituato a recitare la propria vita, credi sia così difficile dover recitare una parte su un palco? Dopotutto ho scritto io stessa la storia, assieme agli altri ragazzi del corso di teatro della scuola: è effettivamente parte di quella me che non esiste.
E so che sei venuto a vederla anche tu. Per la prima volta sento qualcosa che se non è orgoglio ci va pericolosamente vicino. E mi piace. Da morire.
Sapevo che sarebbe andata bene, è vero. Non avevo nessun dubbio. Ma tutti questi complimenti mi hanno spiazzata comunque. Mi imbarazzano, neanche a parlarne. Sono io, dopotutto.
Alla fine i miei amici hanno fato capannello attorno a me e hanno deciso di monopolizzarmi, giusto per togliermi di dosso quel disagio che ormai era troppo palese.
“Ehi... De Pieri ti sta fissando. Da un bel po'.”
Sono le uniche parole che colgo, in mezzo a tutte quelle che mi stanno sussurrando. Ci metto anche un po', a capire che Angelica parlava con me.
E allora mi volto e aggrotto le sopracciglia. È strano: non mi sono nemmeno accorta che tu fossi qui vicino. Di solito sei la prima cosa che noto, in una stanza. Perché stavolta è diverso?
Mi hai dato le spalle, appena ti sei accorto del mio movimento. Sorrido, a mezza bocca, stirando un minuscolo angolo di labbra all'insù. Il tuo collo ha una vaga sfumatura rossastra.
La cosa mi diverte.
E c'è ancora quella sensazione di orgoglio, quella voglia di prendersi una rivincita per tutto questo tempo...
Scrollo le spalle.
“Bah, sai quanto me ne sbatte.”
Mi hai sentito. Sei troppo vicino per non averlo fatto e io ho alzato leggermente la voce, proprio per questo.
E se mai mi fosse rimasto qualche dubbio, a riguardo, li dissolve tutti la mano che si massaggia la nuca, ormai paonazza.
E in quel momento amo quel pezzo di collo, con l'attaccatura dei capelli scuri e quei ricciolini che si adagiano mollemente sulla tua pelle.
Amo la tua nuca, senza nemmeno metterci forze, o impegno: questa volta tocca a me, ignorarti.
Ecco, vedi? Recito ancora.

C'è qualcosa di strano. Non che io sappia esattamente cosa sia, ma i miei sensi lo sentono. E ho continuamente questa specie di prurito, che mi tiene sulle spine.
È una sensazione odiosa, credimi, quella di sapere che sta succedendo qualcosa, ma non sapere cosa.
Mi limito a girovagare da una parte all'altra della classe e della scuola, nei cambi dell'ora, e a rimanere seduta sulle spine per la durata delle ore di lezione, facendomi riprendere dai professori perché non sono attenta, dai miei amici perché sono assente, da me stessa perché non mi capisco...
Non ti ho incrociato nemmeno una volta, oggi, il che è anche piuttosto strano, a ben pensarci. Di solito ho istinto, per queste cose. Ti trovo sempre, ovunque, anche quando meno vorrei.
Oggi niente, non ci sei.
Alla fine, durante la seconda ricreazione, i miei amici decidono che ne hanno abbastanza. Mi mandano a prendere qualcosa alle macchinette, ordinando di lasciar perdere i derivati della caffeina e di puntare piuttosto al cioccolato, e mi lasciano sola.
Non che mi dispiaccia più di tanto. Oggi non riesco a sopportare la compagnia di nessuno. Probabilmente è per il fatto che mi sono appena venuta le mie cose.
Oh, ecco dove sei. Mi sembrava strano che te ne fossi semplicemente sparito così.
Sei in mezzo al corridoio e hai la solita postura di quando sei stanco: collo incassato e testa che pende leggermente verso sinistra. Ti passi una mano sugli occhi e sospiri, con le spalle che si sollevano e si riabbassano lentamente, in un movimento che risulta chiaro anche fino a qui.
E poi sollevi di scatto la testa e cominci a camminare velocemente. Mi chiedo cosa abbia mai attirato la tua attenzione e non so perché, ma è subito chiaro che è stata quella ragazza con i capelli scuri e la felpa azzurra.
Sono invidiosa. Perché lei? Io ho una felpa azzurra, i capelli scuri e tutto il resto, eppure tu non vieni da me...
Ma nonostante tutto non riesco a non amare le tue gambe e il modo in cui scattano, anche se ti allontanano da me per andare da un'altra.
Le amo, con forza maggiore man mano che ti avvicini a lei, perché più sei lontano, più devo essere forte per raggiungerti.
Ma per quanto le ami, non rimango a vedere come andrà a finire la scena.

“Cristo, finalmente sono riuscito a trovarti. Hai idea di quante ragazze ci siano con una felpa azzurra come la tua, oggi?”
Mi volto, con gli occhi sgranati. Ci metto addirittura più di quanto ci metterei di solito, ad abbinare quella voce così conosciuta a quel viso altrettanto noto.
“Parli con me?” chiedo, incerta.
Mi sorridi e in quel momento penso che ci potrei annegare, in quel sorriso, in quegli occhi... Potrei semplicemente lasciarmi andare e annegare dentro di te, per non riemergerne mai più. Mi starebbe bene.
“E con chi, altrimenti, Ari?”
Ari? Da quando sono diventata Ari? Ieri nessuno e oggi... Dio, sì.
Poi mi rendo conto. Cercavi me, mentre correvi verso quella tipa. Me.
Io... non so cosa fare, cosa dire... non so nemmeno se mi ricordo come si fa a respirare. Alla fine mugolo, una specie di suono interrogativo che dovrebbe essere sufficiente.
Sì, ti basta. Perché arrossisci. È qualcosa di... di troppo strano, per poterci credere. Stai arrossendo per me.
“Io... ti dispiace se ti parlo? Devo dirti una cosa.”
Inarco le sopracciglia. Non riesco a fare altro, sul serio. Il che è divertente, perché mi fa sembrare più distaccata di quello che sono.
Esiti un po', ma poi mi guardi, come se avessi deciso che vuoi semplicemente strappare il cerotto.
Chissà perché, ma ho una sensazione di déjà vu.
“Mi sono innamorato di te.”
Ecco, ora non connetto più. Se prima mi era rimasto qualche pensiero ora se n'è andato. Sgrano semplicemente gli occhi e ti fisso immobile, mentre aggrotti le sopracciglia, divertito da te stesso.
Come fai a essere così sicuro anche in una situazione come questa?
“Oddio, non so se mi sono innamorato... Forse è esagerato. Però mi piaci, Arianna. Tanto. Forse anche un po' troppo.”
Mi guardi fisso in viso e io non posso fare altro che ricambiare. Siamo faccia a faccia, Davide.
Ci guardiamo, ci vediamo veramente.
Abbozzo un sorriso, con l'angolino delle labbra che sfugge al mio controllo e scatta in una ola verso l'alto. E tu ricambi, con un verso sorriso, invece.
Vedo le tue labbra che si avvicinano alle mie e potrei chiudere gli occhi, ma non lo faccio.
Ti guardo, mentre mi baci, troppo presto, senza motivo... Mi baci.
Ed è bello, finché dura. Bellissimo.
Ma poi ti stacchi e c'è qualcosa che non va. Mi guardo attorno, imbarazzata.
E poi capisco.
Forse non ne valevi la pena. Forse sono io, quella che non va, e mi sono stancata, ormai, dopo tutto questo tempo. Ma è bastato uno sguardo alle tue spalle, per capire.
Credo di essermi innamorata della schiena di quel ragazzo. Chi è?




Alle spalle della storia:
Questa one-shot mi ha tolto tutte le forze che avevo. Volevo finire di scriverla, anche se ho pensato più volte di abbandonarla, ma non è mia abitudine lasciare un progetto, se riesco.
Il punto era ce ci tenevo molto ed era da tempo che volevo affrontare l'argomento.
Perché, per quanto questa storia possa essere esasperata, di persone così io ne conosco molte: sono le persone che amano la sensazioni di essere innamorati, piuttosto che la persona; le persone che considerano la conquista più eccitante della relazione. Le persone come A., che ne è perfettamente consapevole e ne ride, ma che a me fa un po' di tristezza.
E, credo che ve ne siate resi conto, la storia ha una impostazione abbastanza infantile, sia a livello ci contenuti, sia a livello di costruzione delle frasi. Era esattamente il mio obiettivo (la superficialità, la semplice monotonia dei sentimenti, i cliché da romanzo rosa), tanto che è le maggiori energie sono state spese proprio per essere coerente con questa scelta.
Quindi questo è il risultato, che personalmente mi mette una grande malinconia addosso (e che, ovviamente, non mi piace... ma sappiamo già che non è una novita!).
Vi saluto e... ci vediamo alla prossima!
LadraDiVita

  
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