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Autore: MedusaNoir    17/08/2013    0 recensioni
A Roma Giovanni e Matteo gestiscono un negozio di fumetti, ma sono anche soci di un'associazione ludica dove spesso alcuni ragazzi dell'Eur si ritrovano per giocare di ruolo. Marta, goffa e testarda, cerca di seguire più serie tv possibili, finendo così per pensare per citazioni; Leonardo è timido, ma gli basta parlare di "Game of Thrones" per dimenticare di avere davanti un'altra persona; Stefania, ventun'anni, è la più piccola del gruppo e cerca di mascherare con un atteggiamento scostante l'insicurezza che deriva dall'avere un corpo massiccio e troppo lontano dai canoni della bellezza; Roberto è manipolatore e detesta essere battuto, che si tratti di giochi da tavola o di scommesse.
Tra feste nel negozio di fumetti, giochi e vacanze di ruolo - ma senza dimenticare la vita universitaria o domestica che scorre intorno ai protagonisti, divorzi, esami e amori inaspettati - i sei ragazzi si troveranno ad affrontare le loro paure e, chissà, forse anche a superarle.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Io credo nella lussuria a prima vista



Continuava a rigirarsi il cellulare tra le mani. Lo fece volare da un palmo all’altro, lo vide cadere a terra, lo tenne in equilibrio su due dita; ogni tanto lanciava un’occhiata allo schermo, avvicinava un polpastrello ai tasti, lo ritirava e tamburellava con la punta del piede sul pavimento del Vecchio Mangaka. Le voci di Stefania e Leonardo, che sfogliavano i nuovi arrivi nella stanza accanto, gli arrivavano come da molto lontano.

Guardò per l’ennesima volta il messaggio che gli era arrivato quaranta minuti prima: “Quando vieni? Fede”.

A distanza di settimane e a volte perfino mesi, capitava che il cellulare di Matteo squillasse per l’arrivo di un messaggio e che poco dopo comparisse come mittente un numero che non era mai riuscito a dimenticare, nonostante lo avesse cancellato dalla rubrica anni prima; sapeva che il proprietario di quel numero preferiva chiamare, non aveva bisogno di leggere la firma a fine messaggio per sapere che era stata un’altra persona a inviarlo. Maledizione, dopo tanto tempo ancora rischiava di cadere in trappola!

Si chiese se lo avesse davvero mandato “Fede”, quel messaggio. La domanda – “Quando vieni?” – era sempre la stessa, mutava la forma, ma non la sostanza, ed erano due anni che gli veniva rivolta; fortunatamente per Matteo era più facile mantenere il controllo senza udire la voce del suo interlocutore, ma alcune volte aveva ceduto. E rischiava di cedere ancora.

“Ho un uovo di Pasqua che dev’essere aperto…”

Avrebbe potuto aspettare un altro po’. E se fosse andato a male? Se si fosse sciolto, con l’arrivo del caldo? Dopotutto aveva ancora un regalo da parte, poteva attendere quanto voleva.

“Questa estate” pensò di rispondere. “Ad agosto. A settembre.”

Avrebbe rimandato all’infinito, lo sapeva, ma non poteva parlare di una fantomatica “prossima settimana” o di qualsiasi altro giorno di aprile. Era troppo presto e rivedere Federico avrebbe significato trovarsi di fronte anche un’altra persona.

 «… e così l’ha baciata.»

Stefania apparve nella stanza, trasportando una collana con il ciondolo dei Lannister e una rivista presa poco prima dal bancone del negozio. Leonardo la seguiva, incredulo, e solo allora Matteo si rese conto che la ragazza non si stava facendo beffe di lui, pur non essendo più nelle vesti di Robb Stark e Lysa Tully: l’esperienza del Romics doveva avere fatto bene a entrambi.

Fu colpito anche dallo sguardo fugace e colpevole che Leonardo gli rivolse.

«Hai visto la puntata stamattina?» tentò di cambiare discorso il suo cliente abituale, passandosi una mano sui capelli neri tagliati a spazzola. «Secondo me ti è piac-»

«Elfo, esisti sul serio?» lo interruppe Stefania, sollevando un sopracciglio. «Ti sto dicendo che Marta e Roberto si sono baciati e tu mi parli di Game of Thrones? Una puntata magnifica, ma prova a tenere i piedi per terra almeno una volta.»

Matteo smise di giocare con il cellulare. Aveva appena dato loro le spalle e doveva sembrare assorto nell’inventario, perché nessuno dei due cercò di inserirlo nella conversazione. Non era turbato dalle parole di Stefania, ma non aveva mai pensato di poter ascoltare una notizia del genere. Marta? Con Roberto? Non gli era sembrata quel tipo di ragazza…

«Sai cosa significa “baciare”, elfo?»baciare

«Certo che lo so!»

«Hai presente quando i tuoi genitori avvicinano i volti e si toccano le labbra?»

«Ti ho detto che lo so!»

«L’hanno fatto vedere anche in Game of Thrones, quindi il concetto dovrebbe essere chiaro perfino a te.»

Però, riflettendoci, una ragazza che si lanciava su qualcuno solo perché la sua prima scelta si era rifiutata di uscire con lei era proprio il tipo da Roberto. Forse aspettava solo di essere notata, non aveva importanza da chi. D’altronde, se fosse stata realmente interessata a lui, lo avrebbe davvero chiamato in piena notte, ubriaca, per chiedergli un appuntamento?

Già, si era sbagliato ampiamente su Marta.

«È successo al Romics, poco prima della nostra sfilata» continuò Stefania, alzando la voce. «Da quanto ne so, lei l’ha presa molto bene!»

«Ma io credevo… Cioè, voglio dire…»

«Che credevi?»

«Pensavo che a Roberto piacesse… cambiare, ecco…»

«Alle scale piace cambiare, ma quel dongiovanni forse vuole mettere la testa a posto. Dopotutto, perché baciare una ragazza che vedrà sicuramente ogni venerdì, rischiando di sentirsi in imbarazzo tutte le volte che giochiamo?» Toccò la spalla di Matteo, che sussultò. «Ehi, devo correre a lezione, posso pagare?»

«Sì… subito.»

Non era più immerso nei pensieri che lo attanagliavano dall’arrivo del messaggio, però non sapeva dire se ciò fosse un bene: ora la sua mente era occupata dal risentimento nei confronti di Marta, che aveva anche cercato di trattare gentilmente negli ultimi giorni – lei aveva sbagliato a chiamarlo a un’ora così tarda, ma doveva essere stata guidata dall’alcol, perciò Matteo aveva deciso di mettere da parte la rabbia iniziale e comportarsi come se niente fosse. Scelta comunque ardua, dal momento che la ragazza non lo aveva chiamato per fargli uno scherzo telefonico, ma – in modo alquanto bizzarro e poco produttivo – per dichiararsi.

Titubante, leggermente impacciato, durante il Romics Matteo aveva provato a scusarsi con lei a suo modo, pensando che dovesse essere stato ben poco delicato venire rifiutati con una simile rabbia, ma a quanto sembrava si era sbagliato: a Marta non era mai realmente importato di lui o forse quello era stato davvero uno scherzo telefonico.

“Ma perché chiamare proprio me?”

«Questa collana costava meno al Romics» disse Stefania, poggiando il ciondolo ancora imbustato di fronte alla cassa. «Però non ho fatto in tempo a comprarla, quindi mi tocca prenderla qui.»

Matteo, che era in piedi da appena due ore e già aveva patito e ascoltato abbastanza, le avrebbe volentieri suggerito dove poteva mettersi gratuitamente quella collana, ma il tema di Dead Space risuonò nel negozio. Estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans, preoccupato, ma sullo schermo lesse Giovanni; rifiutò la chiamata, fece pagare Stefania, mise da parte i manga per Leonardo e solo quando furono usciti entrambi compose il numero dal suo collega.

Che, si rese conto in quel momento, non si era ancora fatto vedere in negozio.

«Ciao, Gianni!» lo salutò. «Come mai sei a…?»

«Ho bisogno di vederti» dichiarò subito la voce dall’altra parte, con un’agitazione che fece nuovamente preoccupare Matteo. Non era abituato a sentire il pacato Giovanni in preda all’ansia: l’ultima volta che lo aveva trovato in quello stato Cate gli aveva appena proposto la separazione.

«Cos’è successo?»

«Dobbiamo parlarne di persona. Ho… ho bisogno di un consiglio.»

Aggrottò la fronte, ancora più sorpreso. Giovanni il dispensatore di consigli aveva bisogno di un consiglio dalla persona che più gli chiedeva consigli?

«Non posso lasciare il negozio adesso.»

«Corri qui. O vediamoci a pranzo. È una cosa importante.»

«Gia, mi stai facendo preoccupare sul serio. Cos’è successo?»

«Ieri ho visto una persona.» Pausa. Matteo si interrogò su chi potesse averlo gettato in quello stato: di certo non si trattava di una persona qualsiasi incontrata per strada. «L’ho rivista, voglio dire.» Sembrava piuttosto restio a parlare, come se ne fosse imbarazzato.

Non poteva trattarsi di Caterina, Matteo aveva saputo che era passata al Vecchio Mangaka tempo prima e Giovanni glielo aveva riferito in tutta calma solo quando lui aveva finito di sfogarsi per… Oh, cavolo, doveva rispondere a quel messaggio.

«Si tratta di tua sorella?» tentò. Un pensiero agghiacciante gli attraversò la mente. «È incinta?»

«No, no, macché! Non vedo Lory da mesi, lei e Paolo non c’entrano niente.»

Ringraziò in silenzio le potenze divine per avere sventato un tale pericolo: Loredana poteva essere considerata un pericolo pubblico per un bambino.

«Ieri sera sono stato alla cena di classe» continuò Giovanni.

«Ah, è vero, mi ero dimenticato.» Allora forse Cate c’entrava qualcosa. «C’era anche Caterina?»

«No, non è venuta. Ecco…» Matteo lo sentì deglutire e ispirare profondamente, prima di parlare di nuovo. «C’era una mia compagna del liceo. Era la nostra rappresentante, a scuola.»

«Beh?» Matteo stava cominciando a irritarsi: perché Giovanni non gli diceva chiaro e tondo cos’era accaduto, invece di farsi tirare fuori il discorso con la forza?

«Si chiama Miriam.» Altro momento di pausa. «Avevamo bevuto un sacco, non so neanche come sono arrivato a casa…»

«Giovanni?» fu costretto a chiedere Matteo, davanti all’ennesimo silenzio.

«Me la sono trovata nel letto.»

Dovette reprimere una risata per rispetto nei suoi confronti. Ma come poteva prendere sul serio un trentacinquenne che lo chiamava in preda al panico perché era stato a letto con la seconda donna della sua vita?

«D’accordo, chiudo il negozio e passo da te.»

Il messaggio continuò ad attendere una risposta che non arrivò.

 

 

Non aveva una precisa idea del perché avesse accettato l’invito di Roberto. Certo, era curiosa di ciò che voleva dirle con tanta insistenza, ma la sua curiosità non giustificava il filo di matita che si era messa sugli occhi, né gli orecchini che per l’occasione erano tornati a essere due – a dispetto dei tre buchi che avevano fatto guadagnare alle sue orecchie, a detta della madre, il titolo di “lobi martiri” – e neanche la maglietta scollata proveniente ancora una volta dall’armadio di Teresa.

Teresa che non aveva fatto altro che esprimersi con gridolini e sospiri, esclamando di tanto in tanto: «Ah, che bello l’amore!»

Ora Marta cominciava a comprendere come doveva apparire agli altri quando si comportava da fangirl.

Sistemandosi il ciondolo che era sceso tra i piccoli seni, Marta si chiese se non fosse troppo in anticipo: Roberto le aveva chiesto di vedersi alle quattro e mezza, ma mancavano ancora venti minuti all’ora prestabilita. Di solito lei era una ritardataria e molte erano state le volte che Stefania glielo aveva fatto pesare, però aveva passato la mattinata a chiedersi, tra una lezione e l’altra, come sarebbe accaduto quel pomeriggio; sarebbe stato meglio se Roberto non le avesse inviato un messaggio alle sette, implorandola di vedersi perché “aveva bisogno di parlarle”. Forse, se si fosse fatto sentire più tardi, Marta sarebbe riuscita a concentrarsi durante almeno una lezione.

Tuttavia sapeva che non sarebbe cambiato nulla: per tutta la notte si era interrogata sul motivo che aveva spinto Roberto a baciarla, senza trovare una risposta di cui fidarsi completamente. Se si fosse trattato di un altro ragazzo, avrebbe pensato che ci stesse provando con lei, ma con lui non si poteva mai dire. Anche se si era già sbagliata parecchio nei suoi confronti…

Sospirò, scuotendo la testa e attirando l’attenzione di due passeggeri in metropolitana. Forse doveva solo accettare la realtà che si parava davanti ai suoi occhi, e in altre parole che Roberto aveva una cotta per lei.

E di se stessa cosa poteva dire? Era stata sorprendentemente lusingata dal suo bacio, le avevano fatto piacere anche le attenzioni che le aveva riservato nei giorni precedenti, durante il Romics, ma lei credeva di provare per Matteo qualche di forte. Qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto eclissare. D’altronde, a farsi eclissare era stato lo stesso Matteo.

Quando arrivò alla fermata del Circo Massimo, dove si era svolto anche il loro primo appuntamento – era certa di poterlo definire così? – Marta riconobbe immediatamente i capelli neri e gli occhi verdi di Roberto. E per fortuna, perché se lui avesse indossato un cappello o un paio di occhiali da sole avrebbe rischiato di non vederlo neanche.

Roberto attendeva in cima agli scalini, la schiena contro il muro e un mazzo di fiori in mano. Marta fu tentata di fare marcia indietro, ma in quel momento anche lui la vide. Alzò la mano in un saluto rapido e imbarazzato, accennò un sorriso e camminò verso di lei a testa bassa, come se non avesse il coraggio di guardarla negli occhi. Inspirò profondamente, poi le porse i tulipani rossi.

«Sono per te» le disse in tono di scusa. «Non avevo… Non volevo presentarmi a mani vuote.»

«Grazie, sono bellissimi.» Non era una bugia, ma a Marta non piaceva ricevere fiori; a dire la verità, nessuno glieli aveva mai regalati e questo la stava mettendo a disagio. «Sei qui da molto?»

«Sì» rispose subito Roberto, per poi scuotere la testa. «Scusa, non volevo dirti che hai fatto aspettare. Sei perfino in largo anticipo, sono io che… che non riuscivo a resistere dentro casa. Dovevo uscire.»

«Problemi in famiglia?»

Il suo sorriso spuntò improvvisamente e altrettanto in fretta scomparve. «No, niente del genere. Ero solo un po’… Mi sentivo in colpa.» Marta stava per rassicurarlo che non c’era motivo di biasimarsi per averla baciata, che potevano tornare a essere amici – erano amici, in fondo? – come prima, ma Roberto riprese subito a parlare. «Ah, se non dovessero piacerti i fiori, ti ho preso anche qualcos’altro, venendo qui.» Le porse la busta che teneva nella mano destra.

«Cos’è?»

«Sorpresa.» Rimase in silenzio finché Marta non ebbe estratto un DVD dalla busta di plastica. «Non so se è il tuo genere, ma è il mio film preferito e ho voluto…»

«FANTASTIC!» esclamò lei, spalancando gli occhi e saltando sul posto. «Apocalypse Now è anche il mio film preferito!»

«Davvero?» Roberto sembrava sollevato. «Oh, sono contento di averci preso… Ma non lo avevi già, allora?»

«Non nell’edizione limitata! Come hai fatto a trovarla?»

«Segreto» rispose con un sorriso più rilassato, ma altrettanto fugace. «Credo che valga la pena tenerlo per me, così se in futuro vorrò farti un altro regalo saprò come sorprenderti.»

In quel momento Marta gli sarebbe volentieri saltata al collo per ringraziarlo, ma per fortuna il DVD e il mazzo di tulipani che stava reggendo glielo impedirono. Si limitò a sorridere a sua volta, profondendosi in una lunga serie di «Grazie!» venuti dal cuore.

«Camminiamo?» propose Roberto, e Marta annuì, continuando a contemplare Apocalypse Now come fosse il suo sogno nascosto nel cassetto fin da bambina.

«È l’edizione in tre dischi» pigolò entusiasta. «Peccato sia in blu-ray…»

Roberto si fermò di colpo. «Non hai il lettore blu-ray? Perché non l’hai detto subito?»

«Oh no, non importa: troverò sicuramente qualcuno a cui scroccare il lettore!»

«Possiamo sempre vederlo da me. Funziona anche nella Play Station.»

Marta tentennò. Si accorse solo in quel momento di quanto poco fosse durata la sua tensione, giusto il tempo di ricevere il regalo, ma poi il ricordo recente del loro bacio, solo un pomeriggio prima, tornò a farsi strada nella sua mente e a farle palpitare il cuore. Perché, poi? Non era innamorata di Roberto, lei voleva Matteo.

Un Matteo che non la cercava mai…

«Carini i fiori!» esclamò, cambiando discorso. «Come mai hai scelto i tulipani?»

«Non ti piacciono?»

«Non sono tra i miei fiori preferiti» ammise. «Ma dubito che avresti potuto trovare una stella alpina da queste parti.»

Roberto si sedette sulle basse mura che delimitavano il Circo Massimo e le prese la mano libera per aiutarla a salire insieme a lui. Era lo stesso punto dove si erano fermati durante l’appuntamento precedente, notò Marta, e per combattere l’imbarazzo gli diede momentaneamente le spalle con la scusa di mettere da parte fiori e DVD, ma poté farlo solo per pochi secondi; quando tornò a guardarlo, Roberto stava fissando le rovine, con suo sollievo. Ancora una volta le parve ben diverso dal ragazzo con cui credeva di avere avuto a che fare fino a quel momento.

«Conosci la leggenda del tulipano?»

«No.»

«Si dice che le odalische lanciassero i tulipani attraverso le sbarre dell’harem, come pensiero ai fidanzati che erano state costrette a lasciare» spiegò Roberto, continuando a fissare un punto lontano. «Per questo i tulipani rossi sono il simbolo della dichiarazione d’amore.»

Marta sarebbe volentieri sprofondata nella terra, ma non poté fare altro che mangiarsi le unghie per alleviare la tensione.

«Non è questa la leggenda della loro nascita, però» continuò il ragazzo, tornando finalmente a guardarla. «Si dice che un pastore si suicidò per amore, e allora la regina delle fate ricoprì la sua amata terra d’Olanda dei fiori che le sue compagne abitavano. Si lasciò addormentare e basta… Il contadino, intendo dire. Per questo non sono le rose il vero fiore dell’amore, ma i tulipani: sono il simbolo dell’amore che non potrà mai essere ricambiato.»

Marta pendeva dalle sue labbra. Aveva ascoltato attentamente ogni sua parola, cercando tracce del Roberto Trani che era stato prima di quel giorno, ma non c’era riuscita: vedeva solo un ragazzo imbarazzato e allo stesso tempo deciso, pessimista e – forse, ma solo forse – innamorato. Perché proprio di lei?

Si disse che era stanca di porsi domande, di interrogarsi su cosa avesse spinto Roberto a chiederle di uscire, a baciarla e ora a dichiararsi. Non le erano mai interessati i ragazzi dolci, però – come era stato per i fiori – il motivo probabilmente era che non aveva mai avuto a che fare con loro. E forse era arrivato il momento di cominciare a lasciarsi andare a una visione di felicità, invece di ostinarsi a pensare a una persona che le rivolgeva la parola solo nelle vesti di Eddard Stark.

«Non dobbiamo per forza guardare un film insieme» riprese Roberto, e Marta si accorse di quanto disperato fosse il suo tentativo di essere accettato da lei. «Potremmo fare quattro passi, prenderci un gelato o chiedere al Dottore di portarci su Saturno.» Fece una risata nervosa. «O potremmo tornare a casa. Se non sei interessata, potremmo finirla qui.»

«Roberto, senti…»

«No, un secondo, ascolta solo un’ultima cosa: non ti sto giurando amore eterno, non sto nemmeno dicendo che sono innamorato. Potremmo uscire e renderci conto che non siamo fatti l’uno per l’altra e tornare a comportarci come prima, restare anche amici visto che non stiamo mettendo in gioco sentimenti troppo complicati. Il fatto è che, se dovessi mettere la testa a posto, vorrei farlo per te.»

Marta sorrise spontaneamente e, altrettanto spontaneamente, cercò la sua mano. «Proviamoci.»

Finalmente il sorriso di Roberto smise di scomparire.

 

 

Faceva maledettamente caldo per essere aprile e l’unico desiderio di Roberto, in quel momento, era tornare a casa e accendere il condizionatore nella sua stanza – dopo aver messo su un disco dei Queen, ovviamente. Dopo una giornata simile, poteva anche concedersi un paio di puntate di Squadra Speciale Cobra 11, ma stando attento a sceglierle da una delle stagioni con Tom Kranich.

Non appena ebbe varcato la soglia dell’appartamento, scoprì di essere solo: l’odore delle lasagne che sua madre gli aveva promesso non aveva ancora invaso alcuna stanza e tutte le luci erano spente. Trovò un biglietto sul tavolo della cucina, tra il cesto della frutta e il telecomando, con un “Sono da zia Elsa, torno per cena. Metti le lasagne nel forno verso le otto” scritto a matita. Dando un rapido sguardo all’orologio accanto al frigo, Roberto constatò che anche il padre sarebbe stato via per un’altra ora.

Perfetto, avrebbe potuto osare di più che qualche puntata di Tom e Semir.

Gli piaceva guardare gli hentai senza dovere indossare le cuffie, che trovava limitanti rispetto alle due casse a cui di solito era collegato il computer; forse i vicini, un giorno, sarebbero accorsi indignati alla sua porta per lamentarsi dei rumori inconsueti che provenivano dall’appartamento, ma poco importava: lui era Roberto Trani, l’affascinante figlio di “Peppe dell’officina”, e avrebbe sempre trovato un modo per quietare gli animi e trarsi di impaccio da situazioni indesiderate.

Entrando nella sua stanza, però, si chiese in che modo avrebbe potuto giustificare le foto appese al muro, nel caso in cui Marta avesse accettato il suo invito a vedere Apocalypse Now. La camera era sommersa di hentai e poster di belle ragazze decisamente accaldate, ma come spiegarle le foto che lo ritraevano con Viola? Per quanto ne sapeva lui, Viola era sempre stata nella sua vita e questo era il motivo della sua presenza in tutti gli scatti attaccati alla parete e nelle cornici poggiate sugli scaffali della libreria.

Da qualche parte Roberto doveva avere una loro foto a tre anni, ma nella camera la più vecchia risaliva alla prima elementare. Lui e la piccola Viola si tenevano per mano e sorridevano all’obiettivo, forse entusiasti all’idea di fare amicizia con altri bambini – chi poteva ricordare cosa avessero effettivamente pensato in quel momento? Roberto sapeva solo di essere stato fin da subito felice di trovarsi in classe con la sua migliore amica.

Accanto a quella foto, incorniciata con un lavoretto fatto a scuola in occasione del Natale, ce n’era un’altra più nitida, scattata da un fotografo professionista il giorno della loro comunione; i capelli ribelli di Viola erano tenuti fermi da un’acconciatura che prevedeva diverse mollette ed entrambi i bambini avevano le mani sui fianchi, fieri di sé. Avevano fatto il ricevimento insieme, proprio come successivamente quello della cresima, e anche i regali erano stati simili – fatta eccezione per le collane e gli orecchini destinati a Viola.

Le foto alla parete ritraevano svariati momenti degli ultimi quindici anni: Roberto addormentato sulla pancia dell’amica durante il campo scout in prima media – erano stati iscritti un solo anno e mai, per un solo momento, avevano rinunciato a stare insieme; i padri dei due ragazzi che li tenevano sulle spalle, al mare; Roberto e Viola intenti a spegnere le candeline dalla torta la sera della festa dei loro diciotto anni.

Viola era una figura costante nella vita di Roberto, quelle foto lo testimoniavano; tuttavia, pensò lui, forse sarebbe stato ancor più difficile giustificare a Marta la presenza di Viola sul suo letto.

«“Eleonora non aveva mai avuto un debole per i ragazzi dolci: se c’era qualcosa che detestava, era il modo in cui credevano che tutto gli fosse dovuto, solo perché avevano l’accortezza di rivolgere un complimento o fare dei regali di tanto in tanto…”»

Roberto spinse il tasto dell’accensione del condizionatore, poi tolse dalle mani di Viola il suo tablet.

«Ehi!» si lamentò lei, rizzandosi a sedere.

«Non ti ho ancora dato il permesso di leggerla» la rimproverò Roberto con un sorriso irrisorio sulle labbra.

Come per magia, Viola era comparsa nella sua stanza per l’ennesima volta. Doveva sentire caldo anche lei, perché indossava una camicetta a maniche corte aperta fino alla scollatura del seno e un paio di pantaloncini di jeans; la riccia chioma nera non era però tenuta su da mollette come nella foto della prima comunione, ma lasciata libera di solleticarle la nuca. Se davvero qualcuno credeva alla storia che fossero cugini, avrebbero detto che il differente tono della loro pelle fosse dovuto a una precoce abbronzatura della ragazza.

«Come sei entrata?» le chiese dopo avere acceso anche lo stereo ed essere salito sul letto accanto a lei.

«Ho le chiavi» gli spiegò Viola, facendo tintinnare il mazzo di chiavi davanti al suo viso.

«Queste sono le mie chiavi, ecco dov’erano finite!»

«Beh, tu ti ostini a non farmene una copia e ho dovuto procurarmela da sola» si giustificò, stringendosi nelle spalle. «Non mi sembra male, come inizio.» Indicò con un cenno del capo il tablet.

«Devo cambiarlo: ho appena scoperto che a Marta non dispiacciono i tipi dolci.»

«Oooh, racconta!»

Roberto si passò una mano tra i capelli, soddisfatto. «Che devo dirti? Il piano sta funzionando alla grande. Sai già che ieri l’ho baciata…»

«Certo, ti ho suggerito io di darti una mossa.»

«Ma era mia intenzione farlo il prima possibile, quindi mi avevi solo letto nel pensiero. A ogni modo, oggi pomeriggio sono uscito con lei.»

La sua espressione tronfia doveva rivelare tutto, perché Viola sorrise malignamente a sua volta. «E l’hai convinta a frequentarvi.»

«Ho dovuto fare il bravo ragazzo tutto il tempo, è stato estenuante» si lamentò Roberto, lasciando cadere la testa sul cuscino. «Davvero estenuante. Ho dovuto perfino fare un cosplay!»

«Ah, già, idea della grassona.»

La fulminò con lo sguardo. «Preferisco chiamarla Stefania.»

«Sì, come ti pare… Beh, che hai dovuto inventarti oggi?»

«Un’espressione da cucciolo bastonato, la mancanza del coraggio necessario a guardarla negli occhi, roba così… Le ho pure portato dei regali per farmi perdonare del “bacio rubato”.»

Viola rise. «Un mazzo di fiori?»

«Già, tulipani rossi.»

«Ancora

«Sai come sono le donne: basta darle una drammatica storia d’amore, infilare qualche cazzata qua e là e ci cascano sempre. Sono prevedibili.»

«Non siamo tutte così, non mi avresti conquistata con una leggenda olandese e quattro fiorellini.»

«Ho evitato il “voi” apposta» sogghignò Roberto. Rimase in silenzio qualche secondo, poi ammise: «Le avevo preso anche un’altra cosa che ho trovato su internet.»

«Cioè?»

«L’edizione limitata di Apocalypse Now. Stefania mi aveva detto che è il suo film preferito, ho dovuto guardarmelo stamattina per fingere che fosse anche il mio.»

«Uh, ma allora ti piace davvero questa tipa!»

Si tirò a sedere e riprese il tablet. «No, mi piace la gloria che otterrò dalla pubblicazione di questa storia.»

«Su un sito.»

«Va bene lo stesso come punto di partenza. Ho intenzione di non scrivere scene erotiche per almeno dieci capitoli, voglio provare a misurarmi con me stesso»

«Un bel cambiamento. E nella realtà?»

«Proverò a cercare di non saltarle addosso, o al diavolo il piano.» Diede una rapida lettura ad alta voce al prologo, cercando l’approvazione di Viola. «Che ne pensi? Vorrei pubblicarlo stasera.»

«Mi piace» disse lei, annuendo. «Però dovresti inserire altri personaggi, sennò rischia di essere il solito triangolo amoroso.»

«No, non metterò in mezzo Stefania e Leonardo» dichiarò Roberto con decisione.

Viola alzò le spalle. «Era solo un’idea. E so che ci rifletterai.»

Gli tolse il tablet dalle mani e lo poggiò sul comodino, poi si mise a cavalcioni sopra il suo amico. «Quanto tempo abbiamo?»

Roberto sogghignò di nuovo. «Almeno mezz’ora.»

«Può bastare.»

La osservò sbottonarsi completamente la camicetta e gettarla dietro di sé, tra i mucchi di vestiti da lavare del ragazzo; dopo che si fu liberata anche del reggiseno, le circondò i seni con le mani e lasciò che si piegasse in avanti per baciarlo, mentre una mano cercava la lampo dei jeans.

Dopotutto, pensò, non c’era bisogno di raccontare proprio tutto nella storia che stava scrivendo, no?





Il titolo è una citazione da Sex and the City.

 

MATTEO:

- “Alle scale piace cambiare”: citazione da Harry Potter.

 

MARTA:

- “FANTASTIC!”: citazione da Doctor Who.

 

ROBERTO:

- Tom e Semir: personaggi di Squadra Speciale Cobra 11. Io adoro SSC11. SSC11 è bello. SSC11 è slash.

 

 

 

 

SPAZIO AUTRICE

 

Buondì e buon post-Ferragosto a tutti!

Finalmente avete fatto la conoscenza di Viola, che credo già molti di voi amer- ehm, no, forse non sarà così.  stato divertente scrivere questo capitolo, specialmente il terzo POV (che aspettavo da tempo di scrivere!), però mi ero arenata sul secondo perché – e lo sa che legge altre mie storie – a me i ragazzi “dolci e gentili” non fanno impazzire e non sapevo come rendere Roberto interessante pur dolce agli occhi di Marta; a proposito, ho trovato le leggende e il significato dei tulipani girovagando su internet, purtroppo per me non si è trattato di una mia invenzione.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ci vediamo tra due settimane con il prossimo ^^

Grazie a tutti!

 

Medusa


   
 
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