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Autore: aelfgifu    17/08/2013    4 recensioni
Karl-Heinz Schneider descritto a mo’ di dizionario ragionato, tra il filosofico, il molto introspettivo e il leggermente faceto – come festeggia un gol Kaiser Karl? Chi è la sua adorata bambina? E che c’entra Topolino nella sua vita?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio, Stefan Levin
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tutti i miei cari'
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Il Karl che compare qui è un po’ più maturo rispetto a quello delle ultime serie di Captain Tsubasa: ha intorno ai ventotto anni, gioca sempre nel Bayern, ha appena vinto Bundesliga e Champions league, potrebbero assegnargli il Pallone d’oro per le sue recenti performances, ha sviluppato una sincero rapporto di amicizia col suo compagno di squadra Levin, ed è perdutamente innamorato di Julia, detta “il Bücherwurm”.

Ogni voce è costituita da una drabble o una drabble doppia.

Perché io amo sia Karl-Heinz (e anche Levin) che i dizionari!

[NB. L’idea non è per niente originale, ma spero di averla sviluppata in modo interessante. Avviso: molta introspezione, un mucchio di ellissi narrative e numerosi omaggi alla mia amata Germania].

 

Il suo cuore come un dizionario

 

A.

 

Accento. È nato al nord, la sua famiglia è di Amburgo (anzi, per l’esattezza sua mamma è danese per un quarto), ha vissuto per quindici anni ad Amburgo, dove ha fatto anche le scuole (nei primi tre anni a Monaco ha avuto insegnanti privati perché con i suoi impegni da professionista non poteva frequentare la scuola, ma sua madre s’era impuntata che doveva prendere il diploma): è normale che abbia l’accento del nord! Ma ai tifosi bavaresi dopo un po’ aveva incominciato a far dispiacere che il loro Karl-Heinz Schneider non parlasse almeno un po’ boarisch. E dunque, per amore dei tifosi, ha imparato il boarisch.

 

Amici. Questi sconosciuti. Ha compagni di squadra, conoscenti, collaboratori, ammiratori, ma amici? Forse, per parlare di amici, deve tornare molto indietro nel tempo, ai suoi quindici anni, quando giocava ancora ad Amburgo e non aveva altro per la testa che il calcio (non che sia cambiato molto da allora); vedi alle voci Kaltz, Hermann e Wakabayashi, Genzō. Anche con loro però era sempre piuttosto riservato, soprattutto sulla sua famiglia, sui suoi sentimenti. Magari non è il tipo fatto per avere amici. Oggi come oggi forse solo Levin, strano com’è e così diverso da lui, gli è più vicino di molti altri.

 

Animali. Il buon vecchio Sauzer è passato a miglior vita cinque anni fa; se l’erano portati da Amburgo e aveva vissuto i gloriosi anni della vecchiaia nel giardino della villetta dove abitano i suoi, tra le cure amorose di Marie. Morto Sauzer, con grandi pianti di tutti, il consiglio di famiglia s’era riunito: “Prendiamo un altro cane?” Sua madre: “No! Non voglio più affezionarmi a un animale!” Quanto a lui, che vive per conto suo, gli piacerebbe avere almeno un gatto che lo accolga quando torna a casa; ma chi si occuperebbe della bestiola durante tutto il giorno?

 

Arte. Il calcio e/è larte. Tirare calci a una palla insieme a dieci compagni, contro undici avversari, all’interno di un campo rettangolare di x metri per x, senza assolutamente impiegare le mani, è un lavoro che concretamente non serve a nulla, se non a scatenare le emozioni di un pubblico che canta, grida, piange, salta, manda improperi all’arbitro, si immedesima, tira fuori il meglio e il peggio di sé. Un collega, che indossa anche lui il numero undici ed è amico di un suo amico, direbbe: il calcio è un’opera d’arte, come un dipinto, ma realizzata in undici su un campo.

 

B.

 

Bayern Monaco. La gloriosa stella del sud, la squadra più blasonata della Repubblica Federale di Germania, vincitrice dell’ultima Champions League... il suo club. E prima di lui, il club di Maier, Beckenbauer, Rummenigge, Matthäus, Kahn, Ballack eccetera eccetera: insomma tutti i nomi più importanti del calcio tedesco e mondiale. Hanno scommesso su di lui quando era soltanto un adolescente, hanno vinto la scommessa, e ora non lo lascerebbero andare via per tutto l’oro del mondo. Né lui ha voglia di andarsene. Per tutta la vita cerchiamo qualcosa a cui appartenere, e lui, a quanto pare, qualcosa a cui appartenere l’ha già.

 

Bücherwurm, vedi alla voce Gutenbrunner, Julia.

 

C.

 

Calcio. La sua vita, la sua passione, il suo principale interesse, il suo lavoro e il suo hobby. È nato respirando calcio. Prima ancora d’imparare a camminare, gattonava per casa dando testate a una palla. Il primo regalo di suo padre è stato una sfera da calcio coi classici esagoni bianchi e pentagoni neri – cos’altro poteva essere? Da bambino mangiava a tavola tenendo il pallone sotto al piede. E quando gli ordinavano di giocare con la sorellina, il gioco era sempre: Karl tira e Marie para. Quanti lividoni ha procurato a Marie, e quante sgridate s’è beccato da sua madre!

 

Carattere. È sicuro di sé, tenace (con le varianti: cocciuto/ostinato), orgoglioso, fiero, coraggioso, divorato dalla passione. Se gli andate contro come carrarmati, vi spazzerà via, ma se lo affronterete da uomo a uomo, avrà stima di voi. Introverso, laconico, osservatore, niente gli sfugge. Autorevole, carismatico, trascinatore. Spiritoso, ironico, sottile. Nella vita privata: gentile, affettuoso, pieno di premure. Disposto a dare tutto per la sua famiglia, per gli amici e per quelli a cui vuol bene – ha una quantità enorme di amore, aspetta solo di affidarlo a chi glielo chiederà. Capace di spaventose crisi di collera, ma anche di chiedere scusa.

 

D.

 

Decisioni. È abituato a prenderle velocemente e con convinzione. La prima a quindici anni, quando gli proposero di andarsene a mille chilometri dalla sua famiglia, e lui accettò prima ancora di parlarne a suo padre, a sua madre e alla squadra. Se pensa che sia importante, non ha problemi nell’essere né brutale né egoista, né si preoccupa della sua incolumità. Una volta, per segnare in corsa al limite del fallo laterale al secondo minuto di recupero, andò a schiantarsi contro i cartelloni della pubblicità. Le riprese di quell’azione, puntualmente postate su YouTube, hanno già avuto più di due milioni di visite.

 

Doping, droghe e disgrazie simili. Per sostenere lo stress, per migliorare le prestazioni – per superare un amore finito, per vincere la paura, per dimostrare che si hanno i soldi – per resistere alle notti pazze anche quando l’età e il fisico non sono più quelli – per non sfigurare con la ragazza che hai rimorchiato mentre bevevi una birra nel solito posto – per quando ti svegli di notte nella tua bella casa e nessuno viene a chiederti se hai avuto un incubo – per non pensare al tempo che passa – no, per niente di tutto questo e per niente di altro ancora –

 

E.

 

Esempio. Si è lasciato coinvolgere da un progetto che mira a motivare gli adolescenti attraverso lo sport. Conseguenza, un tour in alcune scuole di quartieri a rischio, per incontrare i ragazzi e parlare con loro, seduti tutti insieme in cerchio. Bene, deve ammettere che quegli incontri lo hanno fatto sudare più della responsabilità di un rigore. Vedere gli occhi accesi di sbarbatelli di sedici anni tifosi della sua squadra, leggere l’emozione nelle guance rosse di ragazzine affascinate da lui. Capire che una sua parola, un suo gesto, ai loro occhi, valgono di più di tutti gli sforzi pedagogici dei loro insegnanti.

 

F.

 

Famiglia, vedi alle voci Schneider-Brandes, Helga; Schneider, Marie; Schneider, Rudi Frank.

 

Fan, vedi alla voce tifosi.

 

Figli. Un uomo smette di essere figlio quando diventa a sua volta genitore, questo è risaputo. Per lui, che è stato così dolorosamente figlio, che continua così fortemente a essere figlio di..., nonostante sia anche sé stesso, l’idea di avere figli è veramente enorme. A volte si raffigura come potrebbero essere, quanti potrebbero essere: due? tre? Un maschietto e una femminuccia? Due maschietti? Due bambine? Due maschietti e una bambina?... Che nomi avrebbero? Chi glieli sceglierebbe? E a chi somiglierebbero? E se qualcuno dei suoi bambini nascesse con qualche handicap, con qualche malattia? Già solo nella sua immaginazione è un’eventualità tremenda.

 

G.

 

Gelosia. Karl-Heinz è geloso. È geloso di Levin, perché Levin ama leggere, e ha letto tutti i libri del Bücherwurm (vedi alla voce Gutenbrunner, Julia), annotandoli accuratamente in svedese, mentre lui, nonostante voglia bene al Bücherwurm, non riesce a fare il sacrificio di leggere quel che lei scrive. Così pensa che, quando arriveranno alla resa dei conti, Levin avrà questo vantaggio su di lui. È un pensiero che lo ha sempre fatto quasi diventare pazzo, la paura di non essere all’altezza dell’amore di qualcuno: non vincere abbastanza per meritarsi l’amore suo padre, non essere abbastanza colto per meritarsi quello del Bücherwurm.

 

Guardatemi. Lo sguardo dell’altro, il riconoscimento dell’altro, è la premessa della sopravvivenza. Il terrore di essere invisibili in realtà è il terrore di essere lasciati a morire. Lui si porta dietro quest’angoscia da quando era un bambino, è un dolore che non lo abbandonerà mai. Per questo non riesce a essere indifferente alle persone, a vederle senza guardarle: lui riconosce ciascuno, prende nota di ciascuno, di ciascuno raccoglie e porta via con sé qualcosa, qualcosa che gli permetta di ricordarlo: un gesto, un tic, il suono di una voce, un lampo di luce che sfuma. Perché nessuno al mondo deve essere invisibile.

 

Gutenbrunner, Julia. Alias il Bücherwurm. Alias la sua migliore amica, il suo critico più impietoso, il suo angelo custode e la ragazza che ama, anche se preferirebbe morire piuttosto che rivelarglielo. L’unico essere capace di tenergli testa. Le possibilità che avevano lui e un tipo come il Doktor Gutenbrunner d’incontrarsi sulla faccia della terra erano pari a zero: la colpa è stata del solito ineffabile Levin, con la sua passione per i libri, e nel momento in cui lui ha teso la mano a Julia dicendo “Molto lieto, Karl-Heinz Schneider”, ha capito di essersi irrimediabilmente fregato con le sue stesse mani.

 

H.

 

Here comes the sun. Signore e signori, buongiorno e ben trovati sulle nostre frequenze. Sono le sei e quarantanove del ventuno giugno ed ecco il bollettino di oggi per lAlta Baviera e Monaco, a cura del servizio meteorologico dellaeronautica. Cielo sereno, temperature massime tra il 30° e i 28°, minime 20°-18°, vento alla velocità di 6 km/h. Nubi in avvicinamento nella tarda serata. Tra lunedì e martedì una corrente di aria calda provocata dall’anticiclone delle Azzorre provocherà un ulteriore aumento dei valori termici.

 

Senza pensarci si è messo a canticchiare:

 

Here comes the sun
Here comes the sun, and I say
It
s all right

 

HSV. La squadra in cui Frank Schneider ha giocato per anni, che ha allenato, che gli ha voltato le spalle e lo ha lasciato a sé stesso. La squadra in cui lui, suo figlio, è cresciuto, di cui ha vestito i colori a un’età in cui i colori della propria squadra sono lo stesso colore del nostro sangue. Se si concentra e chiude gli occhi, Karl riesce ancora a risentire l’odore dell’erba del loro campo, quello fresco e pungente dell’aria nei giorni di vento, quello del sapone che usavano per lavarsi, il profumo di lavanda che emanava dai vestiti di Genzō.

 

La sua ultima maglia dell’HSV, ora ridicolmente piccola, la tiene, ripiegata, in fondo all’ultimo cassetto dell’armadio della sua stanza. Tutto è iniziato lì, e incredibilmente già lì tutto aveva assunto la sua forma definitiva, lui “il giovane imperatore”, lui goleador, lui capitano, lui leader, lui lottatore per la vita e la morte, lui volenteroso riscattatore dell’onore paterno, lui che ascoltando Hermann raccontare le barzellette sentiva un magone spaventoso chiudergli il respiro, lui che guardando Wakabayashi avrebbe voluto abbracciarlo e piangere insieme a lui, perché non erano che due ragazzini troppo bravi, troppo soli, sulle cui spalle gravavano troppe aspettative...
 

I.

 

Identità. Fatichiamo e ci logoriamo per tutta la vita per costruirci un’identità, qualcosa che ci dia diritto a dire la nostra, ad avere titoli per agire nel mondo, perché, quando qualcuno, arrogante o potente, inevitabilmente ci porrà la domanda: “Tu chi sei e che vuoi?”, noi si possa rispondergli fieramente e con la fronte alta e metterlo a tacere con la nostra risposta. Essere qualcuno. Ha sempre pensato di essere l’unico al mondo ad avere di questi pensieri, poi un giorno Marie gli ha raccontato una storia sul conto di una persona che gli è molto cara. Vedi alla voce oûtis.

 

Imperatore. È il nomignolo che gli hanno appioppato che era ancora un bambino. Quando aveva tredici anni ci aggiungevano l’aggettivo “giovane”; ora che ha più del doppio, “giovane” tralasciano sempre più spesso di dirlo. Il bello è che al Bayern ci sono due imperatori, Franz Beckenbauer e lui. Fa venire alla mente storie problematiche, di veri e falsi pretendenti al trono... i giornalisti ci hanno hanno sempre sguazzato, ad esempio nelle trasmissioni dove erano presenti entrambi. “Dica un po’, Herr Kaiser!” Ah ah, molto divertente... Potevano sforzarsi di pensare a un soprannome più originale, che so: l’ariete dell’Alster –

 

J.

 

Jeder für sich [Ognuno per sé]. Gli hanno rimproverato una certa tendenza all’individualismo. È vero, lui, per come è, non ricorrerebbe mai agli altri, non cercherebbe mai aiuto. Semmai, pensa che l’aiuto gli verrà se sarà il primo a darsi da fare. Da ragazzino, prima di una partita, soleva recitare fra sé questa preghiera:

 

Dio, fai che io sia all’altezza della situazione,

ma se proprio non devo essere all’altezza della situazione,

fai che sia davvero troppo alta per le mie forze.

Fai che, se proprio devo perdere,

io perda perché tutto va tanto al di là di quel che posso,

che nessun aiuto mi potrebbe soccorrere.

 

K.

 

Kaiser, vedi alla voce imperatore.

 

Kaltz, Hermann. Onkel Kaltz, il suo vecchio amico: ora tra tra loro ci sono quasi mille chilometri di distanza... l’unico che non si sia mai lasciato smontare dalla sua freddezza, anzi aveva imparato a imitare il suo odiosissimo aggrottar della fronte, finendo col far ridere anche lui fino alle lacrime. Uno dei ricordi che gli ha lasciato sono una pedata negli stinchi e delle scuse sincere, seguite da una stretta di mano. A volte si ritrova a pensare a quanto abbia sofferto e quanto debba soffrire, stretto com’è tra le stelle, lui gregario. Ci vuole molta forza a essere Hermann Kaltz, conclude.

 

L.

 

Levin, Stefan. Il suo enigmatico compagno di squadra svedese, che qualche anno fa gli ha inflitto una ignominiosa sconfitta durante il World Youth; adesso senza di lui il fronte d’attacco del Bayern Monaco non sarebbe pensabile. Stefan Levin è una miscela di sensibilità esasperata e violenza terrificante; si è rivelato capace tanto di recitare con gli occhi lucidi una poesia di Lagerkvist quanto di sbronzarsi in compagnia urlando bestemmie irripetibili. A volte gli fa paura. Levin, senza saperlo – o lo immaginava? – gli ha fatto anche uno dei regali più belli che abbia mai ricevuto, presentandogli il suo amato Bücherwurm.

 

M.

 

Madre. Vedi alla voce Schneider-Brandes, Helga.

 

Micky Maus. “I calciatori guidano macchine sportive, escono con le modelle e leggono Micky Maus” gli ha detto una volta Julia. Lui ha corrugato la fronte: sì, guida uno splendido modello di Porsche 911 grigio metallizzato... sì, è uscito per mesi con una top model che è anche apparsa sulla copertina di Vogue Europe... e sì, legge Micky Maus... se lo fa comprare da Marie. Però a onore del vero legge anche i manga, passione che gli ha trasmesso Genzō anni fa. Gli è venuto in soccorso Levin: “Anche a me piace Micky Maus, in Svezia lo chiamiamo Musse Pigg!”

 

N.

 

Nessuno, vedi alla voce oûtis.

 

Nicht allein mich zu ergötzen [Non per mio divertimento]. Un famoso maître à penser ha lodato, con stupita ammirazione, la sua precisione nell’esporre i concetti, “non come certi pallonari che non sanno costruire un periodo decente e hanno tutto un lessico di frasi fatte, “abbiamo dato tutto”, “Meier è venuto fuori solo nel secondo tempo”, “è stata una partita sporca” eccetera eccetera”.

Normalmente dà l’impressione di uno che sta troppo in alto, che ha troppo talento, che è stato investito di troppa responsabilità, per scendere sulla terra sia pure solo di tanto in tanto. Nessuno si aspetta mai la sua cortesia, la sua tranquilla chiarezza.

 

O.

 

Oûtis. Marie gli ha raccontato un aneddoto che circola sul conto del Bücherwurm. Qualche anno fa, al termine di una conferenza, Julia osò porre una domanda scomoda a un grosso accademico. Quello, colpito nella vanità, le chiese con arroganza: “E lei chi sarebbe?” Allora Julia, raddrizzandosi in tutta la sua (esigua) statura, e guardandolo con aria sardonica, rispose in greco antico con le parole di Ulisse a Polifemo:

 

Κύκλωψ, εἰρωτᾷς μ᾽ ὄνομα κλυτόν, αὐτὰρ ἐγώ τοι

ἐξερέω: σὺ δέ μοι δὸς ξείνιον, ὥς περ ὑπέστης.

Οὖτις ἐμοί γ᾽ ὄνομα: Οὖτιν δέ με κικλήσκουσι

μήτηρ ἠδὲ πατὴρ ἠδ᾽ ἄλλοι πάντες ἑταῖροι...*

 

[*Ciclope, chiedi il mio nome illustre, perciò

te lo dirò, ma tu dammi il dono che spetta agli ospiti, come hai promesso.

Nessuno è il mio nome: Nessuno mi chiamano

madre e padre e tutti gli altri compagni...]

 

P.

 

Padre. Vedi alla voce Schneider, Rudi Frank.

 

Pallone d᾿oro. Quest’anno è in predicato per il Pallone d’oro, con fortissime probabilità di aggiudicarselo. Dopotutto la sua squadra ha vinto la Bundesliga, ha vinto la Champions, lui è il capocannoniere del torneo nazionale, in una partita ha segnato sei gol di fila lasciando a bocca aperta mezzo mondo. Non resta che aspettare fino a gennaio, e poi... se vincerà, saranno altre copertine sui giornali, interviste, acclamazioni, ci sarà una cerimonia di premiazione, verrà organizzato un party sontuoso per festeggiare, e poi avanti verso un altro traguardo ancora più importante. Se non vincerà... come dice? Ritentate, sarete più fortunati la prossima volta.

 

Passione. Vedi alla voce calcio.

 

Porsche 911. La sua bambina, il capolavoro che gli ha fatto brillare gli occhi e battere il cuore, per cui ha cure tenerissime, che porta all’autolavaggio una volta alla settimana, che ha voluto attrezzare con optional esclusivi, diamine, se con lo stipendio che prende non può neanche levarsi lo sfizio di una bella auto! Fatto sta che il Bücherwurm, quella stronza, la prima volta che ha visto la sua Porsche, ha aggrottato la fronte proprio come fa lui: “Questa è la tua macchina?” “Sì, perché?” “Tu hai troppa classe per guidare roba del genere. Sei Karl-Heinz Schneider, mica un fighetto!”

 

Potere. A volte gli vengono dei dubbi. Quando, per strada, allo stadio, nella hall di un albergo, viene assediato dai fan; quando legge le sconcezze che gli scrivono le sue ammiratrici; quando deve sottostare al fuoco di fila dei giornalisti nelle conferenze stampa e nelle trasmissioni tv. “Se non fossi un bel ragazzo, ricco, famoso, una stella del football, mi cercherebbero?” si domanda. Poi si dice: “Consolati: nessuno è cercato per quello che è, si è cercati se si ha potere. Mezza umanità venderebbe l’anima per avere quello che hai tu... o per avere te, che è lo stesso...”

 

Progetti per il futuro. Un calciatore va in pensione presto... che cosa farà dopo? Sicuramente rimarrà nel mondo dello sport, è la soluzione più ovvia e anche la più semplice; uno con le sue competenze nel calcio, ci pensate a quarant’anni cercarsi un lavoro purchessia, o rimettersi a studiare? Studiare, no! Potrebbe allenare, come suo padre; sarebbe bello farlo con una squadra di pulcini, ricorda ancora il suo primo allenatore, a sette anni, allora gli era parso che fosse un lavoro fichissimo... o perché no, potrebbe anche diventare giornalista sportivo, ma non è mai stato un gran parlatore. O forse gli basterebbe solo provarci?

 

Q.

 

Quello che davvero conta. Che cosa conta davvero, Karl-Heinz? Oggi sei una stella del calcio, hai vinto molto, dovresti conquistare ancora qualcosa (il Pallone d’oro, il campionato del mondo) per dire d’aver vinto proprio tutto, e poi? Resterà la leggenda, la tua maglia esposta in una bacheca nella sede del club, come a dire, questo ormai è passato, ma intanto è stato, non come i sogni che si dissolvono quando apriamo gli occhi al mattino. Batterai un dito sul metallo delle coppe, delle medaglie, per assicurarti che siano reali, rivedrai le tue partite registrate in dvd, i ricordi ti faranno commuovere, ma anche ridere...

Intanto, se la vita sarà stata clemente, avrai accanto i visi amati dei tuoi, ma anche facce che per ora non immagini neanche, e una persona amata a cui non avrai bisogno di parlare per dire il desiderio del tuo cuore, perché ti conoscerà come il fiume conosce i ciottoli del suo letto, uno per uno. Sarai a casa. E forse un ragazzino, centinaia o migliaia di chilometri lontano da qui, incomincerà a tirar calci a un pallone perché ti ha visto farlo in tv e si è innamorato, di te e del calcio.

Che cos’è che conta davvero, Karl-Heinz?

 

R.

 

Relazioni. Ne ha avute diverse, alcune convenzionali, altre meno, alcune pubbliche, altre segrete, alcune poco più che amicizie, altre passioni brucianti. Tutte quante gli hanno lasciato addosso una specie di amarezza. Per molto tempo si è interrogato se non fosse innamorato di quella-testa-di-so-io-cosa di Genzō Wakabayashi, perché ogni volta che ce l’aveva di fronte sentiva crescere in lui l’impazienza, l’urgenza incoercibile di segnargli, di dimostrargli che era sempre lui il suo contendente numero uno, tutti gli altri erano niente. Come a voler dire: guardami, Genzō, guarda me, non gli altri, per te ci sono solo io!

Poi è arrivato il Bücherwurm.

 

Respiro. Per i primi quindici anni della sua esistenza è vissuto a sei metri sul livello del mare. Poi si è trasferito al sud, ed è salito di cinquecento metri. Ha giocato in climi torridi e in climi polari senza scomporsi più di tanto, ma l’altitudine continua sempre a dargli problemi, tanto nelle partite a duemila metri di quota quanto durante le gite in montagna non riesce più a fiatare, il sangue smette di circolargli, deve inspirare profondamente, aprendo le narici, sollevando tutto il bacino, le spalle e la testa, per non cascare a terra senza forze. Rarefazione dell’ossigeno.

 

S.

 

Sbronze. Se ne è prese un paio che restano ancora negli annali. La prima da ragazzetto insieme a Kaltz, bevendosi insieme a lui una bottiglia di whisky doppio malto con dodici anni di invecchiamento, una sera che, usciti i suoi, erano rimasti a guardarsi Dracula di Francis Ford Coppola in VHS. Hermann, che ha la sbronza chiassosa, s’era messo a cantare a gola spiegata I will always love you scorrazzando per tutta la casa; lui invece non era più riuscito a mantenere l’equilibrio stando in piedi. Allora, per non abdicare alla sua dignità, s’era accoccolato sul divano e s’era addormentato.

 

Schneider-Brandes, Helga. La donna alla quale deve i tratti belli ed eleganti del suo viso e il suo naso affilato. La donna alla quale deve, anche, il suo carattere taciturno, ostinato e orgoglioso. Somiglia di più a lei che non a suo padre, e non c’è quindi da stupirsi se è lei quella con cui s’è scontrato di più da ragazzo. Che brutto affare una famiglia dove ognuno è irremovibile e va avanti per la sua strada anche se gli altri soffrono: se c’è una cosa che i suoi gli hanno insegnato, è questa. E lui spera di avere imparato la lezione.

 

Schneider, Marie. Mariechen: non le ha mai fatto un dispetto, cosa incredibile per un fratello maggiore (okay, i lividi da pallonate non contano!). Adesso ha ventun anni e studia giornalismo. Inguaribilmente avventurosa e ottimista, nient’affatto una Schneider se non per l’inconfondibile somiglianza col papà. È la piccola luce che ha tenuto tra le mani nei momenti più brutti e gli ha permesso di capire dove stava andando anche quando tutto intorno era completamente buio. La prima volta che l’ha vista con una sigaretta, avrebbe voluto picchiarla. La prima volta che l’ha vista mano nella mano con un ragazzo, avrebbe voluto picchiare lui!

 

Schneider, Rudi Frank. Al suo arrivo a Monaco, partito titolare fin dal primo giorno, le malelingue avevano avuto da ridire che era avvantaggiato solo perché figlio del coach, non perché fosse poi così bravo. “Poco importa, lavorerò il doppio e dimostrerò quanto valgo” si era detto lui; nel giro di pochi mesi aveva rimandato il pregiudizio al mittente con avviso di ricevimento, a suon di gol, e i chiacchieroni si erano dovuti rimangiare tutto.

La miglior prova è che oggi parecchi tifosi pensano che il giocatore Schneider e l’allenatore Schneider non siano parenti, solo, casualmente, omonimi; Schneider è un cognome talmente comune.

 

Sex symbol. Quando gli dicono che è un sex symbol, lui fa fatica per non scoppiare a ridere. Cavolo, un sex symbol, come Brad Pitt, che idea intrigante, nevvero Karlchen! Glielo hanno anche proposto di posare mezzo nudo per un calendario, e a dire il vero la proposta non gli dispiaceva, ma alla fine il calendario ha preferito farlo insieme a una truppa rumorosa e sconclusionata di bambini – il ricavato delle vendite è andato in beneficenza. Il suo lato esibizionista, comunque, ha avuto la rivincita quando ha accettato di fare da testimonial a un bagnoschiuma – ben più che mezzo nudo!

 

Sogni. L’altra notte ha sognato il Bücherwurm e Levin che facevano l’amore. All’inizio si accarezzavano teneramente, si baciavano, poi Levin afferrava Julia quasi con rabbia, stringendola come in una morsa, ma Julia rispondeva aggrappandosi a lui con una forza impensabile per una ragazza, ed erano così belli, sensuali, così... maledettamente perfetti insieme, che Karl si è svegliato in preda a un’eccitazione evidente e a una rabbia che gli faceva veder nero. Durante l’allenamento, quando s’è trovato Stefan di fronte, per poco non gli ha tirato un destro sul muso, urlando: “Julia non devi toccarla neanche nei sogni, Julia è mia!”

 

Solitudine. Vi è mai capitato di uscire per strada, camminare gomito a gomito con altre persone, entrare in un negozio per comprare un cappello, un francobollo, aspettare a un semaforo – e mentre fate tutto questo, sentirvi come se foste avvolti entro una bolla d’aria che assorbe tutto, luce, suoni, movimenti, al punto che potete vedere fuori di voi, mentre chi è fuori non vede nulla?

Avete mai provato l’assurda sensazione di parlare una lingua che nessuno capisce, anche se è buon tedesco?

Solitudine è una parola che Karl conosce bene, nonostante gli stadi esultanti e gli ammiratori disposti a tutto.

Sorella, vedi alla voce Schneider, Marie.

 

Stalking. Purtroppo ha conosciuto questa parola direttamente, sotto la specie di un tale che era riuscito a procurarsi, non si sa come, il suo numero di telefono e gli mandava continuamente messaggi che oscillavano tra l’ammirato/esaltato e la minaccia anche grave. Di qui tutta la procedura della denuncia per stalking, l’individuazione del molestatore e la conseguente diffida nei suoi confronti ad avvicinare o contattare in alcun modo il molestato... magari è solo qualcuno che mi ha attribuito tanta importanza per la sua vita da attaccarsi a me sotto questa forma e non volermi mollare a nessun costo? Che enorme, enorme tristezza.

 

Stern des Südens. L’inno ufficiale della sua squadra, quello che i tifosi cantano in coro a squarciagola prima, durante e dopo le partite. L’ultima volta l’ha ascoltato quando la squadra ha vinto la Champions League, e lì gli è veramente venuta la pelle d’oca e gli sono spuntati i lucciconi agli occhi, nonostante... ssst, venite più vicino, devo parlare piano, ché non sentano i tifosi del Bayern... nonostante, dicevo, a Karl l’inno della sua squadra esteticamente non piaccia molto, lo trova un po’ kitsch... a dirla tutta preferisce quello del Liverpool, che è più drammatico, o quello del Barcellona, che è più allegro!

 

T.

 

Tifosi. È impossibile essere Karl-Heinz Schneider e non essere profondamente grato ai suoi tifosi. Il fatto che abbiano quell’affetto adorante verso di lui, che sappiano tutto della sua vita, che gli mandino una valanga di cartoline di auguri per il suo compleanno, che si mettano in allarme rosso tutte le volte che si becca un raffreddore, che gli dedichino cori personalizzati quando entra in campo, quando segna... ha visto bambini allo stadio indossare orgogliosamente versioni minuscole della sua maglia numero undici... poi però ci sono anche i pazzi che lo appostano sotto casa e le tipe che gli fanno profferte scandalose.

 

Travestimenti. Ha dovuto imparare ad alterare la sua fisionomia, se vuole uscire come ogni persona normale senza essere importunato a destra e sinistra. La sua tecnica è semplice: tira i capelli e se li stringe in un codino che fa tanto intellettuale, inforca un paio di occhiali da vista con la montatura leggera (non c’è niente come un bel paio di occhiali da vista ben scelti per modificare una faccia!), veste l’armatura da battaglia – t-shirt senza pretese, jeans e sneakers – e si fa prestare la macchina da suo padre, una BMW molto, molto meno appariscente della sua adorata bambina.

 

U.

 

Undici. Il numero della sua maglia, gliel’hanno dato per la prima volta tanto tempo fa, quando indossò anche la fascia di capitano della nazionale tedesca durante il mondiale U-16. Insieme al nove, l’undici è il numero degli uomini che vanno all’attacco, quelli che stanno più avanti, i più visibili di tutti, quelli a cui spetta concretizzare gli sforzi fatti dalla loro squadra, quelli che vengono applauditi se segnano e condannati alla gogna se non segnano. Com’è che chiamano quelli col suo ruolo: star? Primedonne? Non è forse meglio: vittime sacrificali?

Lui è una di queste magnifiche vittime sacrificali consacrate al Moloch-gol.

 

Urlare o non urlare, questo è il problema. Lui non è il tipo che esulta urlando o facendo capriole quando segna. Il suo gesto caratteristico, dopo una marcatura, è quello di piantarsi nel mezzo del campo e di levare in alto il braccio destro con la mano chiusa a pugno, senza parlare, con un’espressione fredda, risoluta, implacabile, altera, imperiale in viso. Quando va a rete in combinazione con Levin, hanno preso l’abitudine di darsi il cinque, il che, per due come loro, è una manifestazione addirittura scandalosa di emotività (“Che ci volete fare, siete due scandinavi, tanto tu quanto lui, non siete espansivi come noialtri Boarn”, © Bücherwurm).

 

V.

 

Versi. Allamico ritrovato.

Bussano alla porta, dolcemente. E quale non è la sorpresa quando mi appare lui, giovane, biondo, con lo stesso viso pulito e gli stessi occhi di un azzurro profondo di tanto tempo fa. Perché lui appartiene a una razza che non invecchia né muore.

Per questa visita sè messo in borghese: solo un paio di lenti scure nasconde il lampo dolce e imperioso degli occhi. Ma le toglie subito, col gesto incurante dell’uomo di fascino; e sorride, togliendole.

Non oso respirare. Non pensate male: non è la visita di un innamorato. È piuttosto come rincontrare sé stessi... (JG)

 

Vittoria. Il calcio è uno sport dove vince chi segna più degli altri, e lui lo spiegò ai suoi compagni, tanto tempo fa, durante un momento critico di una partita memorabile, con una frase divenuta celebre e che, puntualmente, ogni tre-quattro mesi viene citata alla televisione, o sui giornali, o sul web: “Nel calcio non sempre vince il più forte; nel calcio chi vince diventa il più forte!”

Ora lui, che ha il compito di fare i gol e di portare la squadra alla vittoria, di questa sua frase se ne deve ricordare ventiquattro ore su ventiquattro, trecentosessantacinque giorni all’anno.

 

W.

 

Wakabayashi, Genzō. Per diretta ed esplicita ammissione di Kaiser Karl, “il mio eterno e più grande rivale”. È un suo amico? Ai tempi di Amburgo avrebbe detto senz’altro di sì; ora come ora sono stati lontani per troppo tempo perché possa dire lo stesso, ma... Genzō ha lasciato in lui una traccia, un sedimento che in qualche modo fermenterà, anche quando, Dio non voglia, dovesse andarsene via, sparire dall’orizzonte. Si è aperto un vuoto tra loro, Karl non sa più molto di Wakabayashi e viceversa, ma ognuno dei due pattuglia sempre l’orizzonte dell’altro – a volte più visibile, a volte meno visibile.

 

X.

 

X. Scritto maiuscolo, è usato al posto di un nome. Scritto minuscolo, nella lingua parlata vuol dire “un bel po’”, nelle scienze matematiche è usato come segno per una grandezza sconosciuta o variabile. Il giorno x, l’ora x, usato quando non si conosce ancora, o non si vuol nominare, il momento esatto di un evento. Il cromosoma X, quello che posseggono tanto le femmine quanto i maschi nelle loro cellule riproduttive.

Ha già vissuto molte ore x, incontrato molte persone x, vissuto x esperienze. Il gol più o bello, però, deve ancora segnarlo, il più forte batticuore lo aspetta al varco.

 

Y.

 

Yes, Im the great pretender. Loro due “scandinavi” non sono originali, la prima e ultima cosa a cui penserebbero per un’uscita è andare a farsi una birra. Una sera il Bücherwurm, dopo averli dovutamente avvisati “ragazzi, mascheratevi bene”, se li è portati al luna park. Dovevano essere un terzetto ben comico, la piccoletta, il rapper con la bandana avvolta in testa e lo studente occhialuto; Julia ha voluto andare sulle montagne russe. Karl risente ancora nelle orecchie l’eco delle sue sghignazzate, degli urlacci all’indirizzo di Julia, lui sempre così composto e controllato. Rivede ancora gli occhi lucidi per il troppo ridere di Levin.

 

Z.

 

Zona militare, limite invalicabile. Siede qui accanto, concentrata, silenziosa. Sento fluire nella mia direzione pensieri che dicono “Scusa il mio sarcasmo, scusami per i pali acuminati che metto a protezione preventiva del fatto che davanti a te provo vergogna della mia persona, ma l’unica arma in mano ai poveri è l’orgoglio. Un povero che non è orgoglioso non è povero, è un accattone...” [Chi chiami cattivo? Chi mira soltanto a creare vergogna. Che cosè per te la cosa più umana? Risparmiare vergogna a qualcuno. Che cosè il sigillo della raggiunta libertà? Non provare più vergogna davanti a sé stessi – Friedrich Nietzsche].

 

***

 

Bücherwurm: topo da biblioteca, persona che ama i libri.

 

Il parallelo tra il calcio e la pittura: © Tarō Misaki, Golden 23.

 

Here comes the sun. La splendida canzone dei Beatles.

 

Jeder für sich (und Gott für alle). ‘Ognun per sé e Dio per tutti’: corrisponde, molto largamente, al nostro ‘aiutati che Dio ti aiuta’.

 

Lagerkvist. Pär Lagerkvist, poeta e prosatore svedese, Premio Nobel 1951 per la letteratura.

 

Micky Maus. Il nostro Topolino!

 

Κύκλωψ... eccetera. Odissea, libro IX. Il celebre inganno del nome, che farà sì che Ulisse e i compagni, una volta accecato Polifemo, riescano a sfuggire ai Ciclopi suoi fratelli. Julia, citando questi versi, in apparenza risponde con umiltà alla domanda arrogante del suo interlocutore (“io non sono nessuno”), ma in realtà gli rivolge un avvertimento ben preciso (“io sono come Ulisse, sono pericolosa”).

 

Nicht allein mich zu ergötzen: è l’inizio del lamento di Linceo, dal Faust – Zweiter Teil der Tragödie di JW Goethe. Metaforicamente, indica che le persone poste più in alto di altre non se la spassano affatto nella loro posizione.

 

Maître à penser. Qualcuno tipo Marcel Reich-Ranicki...

 

Porsche 911. L’abbiamo vista nei capitoli 5-6 di Road to 2002 e nell’episodio 42 dell’anime Holly e Benji forever (“Ritorno al mondo”), quando Karl va personalmente ad Amburgo per convincere Genzō a trasferirsi al Bayern. Nota: grazie al mio ragazzo che mi ha aiutato a identificare il modello! Scena indimenticabile, quando gli ho mostrato la pagina del manga: “Ma certo che è una Porsche 911, non riconosci la forma dei fanali?” Amorino: no, non la riconosco, non la so riconoscere...

 

Dracula di Bram Stoker (1992), regia Francis Ford Coppola, interpreti principali Keanu Reeves – Jonathan Harker, Winona Ryder – Mina, Gary Oldman – Dracula, Anthony Hopkins – van Helsing.

 

I will always love you. La canzone, inizialmente di Dolly Parton (1974), è parte della colonna sonora del film The bodyguard/Guardia del corpo (1992, regia Mick Jackson, interpreti principali Kevin Costner e Whitney Houston) e cavallo di battaglia della compianta Whitney Houston.

 

Stern des Südens. È veramente l’inno del Bayern Monaco. Composto da Willy Astor nel 1998, si può trovare su YouTube (la melodia è passabile, le parole sono un po’ “banali”...).

 

Boarn è il nome con cui i bavaresi chiamano sé stessi nella loro lingua, il Boarisch!

 

Moloch è il nome di una divinità semitica cui venivano sacrificati i figli primogeniti, che venivano sgozzati e poi bruciati in olocausto in un fuoco perennemente acceso.

 

“Nel calcio non vince sempre il più forte...” Lo dice Karl ai suoi compagni della nazionale tedesca U-16, durante la finale del mondiale contro il Giappone, vedi capitolo 107 di Captain Tsubasa ed episodio 13 dell’OAV Shin Captain Tsubasa/Holly e Benji sfida al mondo (“Il grande giorno”).

 

“Il mio eterno e più grande rivale”. Lo dice Karl a sé stesso nel capitolo 55 di Road to 2002, alla fine dell’incontro Bayern Monaco-HSV (cito dalla versione in angloamericano del manga).

 

The great pretender, scritta da Buck Ram e cantata dai Platters, © Federal, 1955, è stata successivamente incisa da altri artisti; memorabile l’interpretazione di Freddy Mercury (1987).

 

Persona. In latino classico, persona indicava la maschera indossata dagli attori tragici durante le loro esibizioni.

 

 
  
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