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Autore: Silvar tales    17/08/2013    1 recensioni
Uno stormo di gabbiani migrava verso il mare, là dove un tempo sorgevano le piane del Beleriand, ora solo una vasta lastra d'acqua. Kili si lasciò scuotere dai brividi, vagando col pensiero a quante terre giacevano sepolte sul fondo del mare, quanti regni degli uomini, degli elfi, dei nani.
Quante foreste, monti, strade, città silenziose abitate da tombe e relitti umani.
«Non pensarci nemmeno», rispose prontamente Fili dopo aver corrucciato il viso in una smorfia. «Nessun nano è nato navigante».
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dìs, Fili, Kili, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incest
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Arcaica


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«Thorin, Thorin! Tua sorella…»
Gli occhi austeri del principe si accesero di una punta di sorpresa, le pupille si dilatarono e il cuore accelerò di colpo.
Lasciò che il sole calasse su Lago Lungo, e corse via dai portici sui quali si era attardato. Attraversò col fiato sospeso i corridoi di Erebor scostando la gente che incontrava, e infine giunse alle stanze di Dís.
Le urla strazianti dell’amata sorella furono un colpo al cuore. Dovunque donne correvano avanti e indietro con secchi d’acqua in mano e panni puliti.
«Non sarà facile mio signore», disse di sfuggita un’ancella.
«Che significa?» ribatté Thorin con sguardo truce. Ma la donna corse via dalla stanza e non ebbe nemmeno il tempo di porgli orecchio.
Infine, Thorin giunse al letto dove si contorceva Dís, tra lenzuola imbevute di sangue e acqua calda.
Stette in disparte per non intralciare il lavoro delle balie, anche se lottò con tutto se stesso per non intervenire. Odiava stare a guardare senza poter fare nulla.
Infine, dopo due lunghe ore di travaglio, una creatura rossa e urlante si snodò dal cordone ombelicale e vide la luce della vita. Era un maschio.
Un sorriso si aprì spontaneo sul volto del principe. Dís era esausta, ma anch’ella felice.
«Dopo Thorin Scudodiquercia, questo bambino è l’erede al trono di Erebor. Kili».


Le giornate di autunno si accorciavano ogni giorno che passava.
I Monti Azzurri si doravano della luce del tramonto, e il verde muschio della boscaglia del Lindon sfumava mano a mano in un acceso rosso e giallo.
«Kili, ricordi il sogno dell’Archepietra?»
«Sì, ma rimarrà un sogno. Ciò che è stato rubato da Smaug non può essere recuperato».
Kili troncò duramente le parole del fratello, assottigliò invece gli occhi verso l'orizzonte e si portò la pipa alla bocca per poi porgerla a Fili.
I due nani erano seduti sulla sommità di una roccaforte di pietra, una delle tante torri che dalle profondità della terra del regno nanico sfociavano verso il blu del cielo.
Il rifugio che Thorin aveva fondato loro, dopo la diaspora di Erebor.
«Io ricordo un pianto. Nostra madre».
«Sì, lo so».
Uno stormo di gabbiani migrava verso il mare, là dove un tempo sorgevano le piane del Beleriand, ora solo una vasta lastra d'acqua. Kili si lasciò scuotere dai brividi, vagando col pensiero a quante terre giacevano sepolte sul fondo del mare, quanti regni degli uomini, degli elfi, dei nani.
Quante foreste, monti, strade, città silenziose abitate da tombe e relitti umani.
«Hai mai preso il largo?» Disse, quasi soprappensiero, ubbidendo a quel filo di pensieri che lo riportava lontano con la mente, ad antiche leggende.
«Non pensarci nemmeno», rispose prontamente Fili dopo aver corrucciato il viso in una smorfia. «Nessun nano è nato navigante».
Kili ricordava una sera, era ancora un bambino e dormiva nella stessa camera con il fratello. Thorin non era un nano troppo affettuoso, ma nutriva un profondo amore per i suoi due nipoti, i suoi eredi. Quella sera venne a far loro visita, un'occasione rara, proprio per questo preziosa più dell'oro e dell'argento.
Si sedette accanto ai loro letti con un sorriso sereno in volto, eppure, sempre piagato dall'ombra di un passato doloroso. I due fratelli lo sapevano, intuivano alla perfezione il suo stato d'animo, intuivano i suoi pensieri, anche quelli nascosti più in profondità.
Raccontami ancora di Túrin Turambar, aveva esclamato Kili entusiasta, affascinato dai racconti delle Terre Perdute, degli antichi regni degli Uomini e degli Eldalië. Ma Thorin non amava molto quelle leggende. Troppi Elfi, a suo dire. Per cui sviava sulla genealogia di Durin, sulla storia della loro casata, o su altre importanti stirpi dei Nani.
Data la riluttanza dello zio di indugiare sulla vicenda del figlio di Húrin, Kili si documentò a modo suo, leggendo antichi manoscritti, viaggiando e ascoltando ogni volta i racconti dei Re e dei Sovrintendenti, arricchendo la sua fantasia di miti pieni di polvere e leggende sepolte nel grande mare a Ovest.
E ogni volta che ascoltava la storia di Túrin il Maledetto, rimaneva perplesso e amareggiato su un punto. Quell'elemento scatenante della tragedia, quello sbaglio involontario che lo aveva gettato nel baratro. Niënor.
«Kili», intervenne Fili afferrandogli un polso, distogliendo il fratello dai suoi pensieri. Senza pensarci, il Nano lo guardò infastidito. Non si era nemmeno accorto che il sole si era tuffato oltre l'orizzonte, oltre il mare.
«Perdonami, ero assorto», rimediò Kili recuperando la sua consueta gentilezza. Fili gli sorrise di rimando, come se intuisse cosa gli passava per la testa.
Conducevano una vita tranquilla e agiata nel Lindon, tutti loro, e tutto per merito della costanza e della tenacia di Thorin. Eppure, Kili avvertiva un'ombra incombere su di loro, come un'onda che presto avrebbe scavalcato i Monti Azzurri e si sarebbe abbattuta sulle piane dell'Eriador, mangiandosi quella parte di terra che ancora non era riuscita a divorare.


Kili fece sonni agitati quella notte.
Sognò l'arrivo della Bestia e la caduta di Moria, le grida, il sangue e gli eroi caduti in quei giorni lontani dei quali non aveva ricordo.
La sua mente inconscia vagò poi alle antiche leggende che tanto amava, alla Battaglia delle Innumerevoli Lacrime, terribile, e alla montagna fatta di cadaveri che i servitori di Melkor avevano eretto; alle sofferenze che aveva patito Húrin, e dopo di lui Túrin, suo figlio; alla tremenda calamità di Glaurung, e all'arrivo di Morgoth, il Nemico, che prendeva il sopravvento sulla Terra di Mezzo.
Udì, in sogno, le urla del drago e dei prigionieri di Melkor, costretti a subire torture e sofferenze indescrivibili. Vide la corruzione che si spandeva nei boschi, nelle città, nei luoghi un tempo fiorenti costruiti dagli Elfi e dagli Uomini. Saggiò l'amarezza del decadimento e dell'implacabile scorrere del tempo, che ogni cosa rodeva, ogni cosa mutava, sempre in peggio, sempre più in basso.
L'urlo di sua madre che partoriva, con immane dolore, gli risuonò nella testa.
Si alzò a sedere sul letto, ansante, con la pelle bagnata di sudore e lo sguardo che scrutava spaventato nel buio. Si concesse qualche secondo per riprendere fiato, poi sentì un braccio attorno al torace, e vide due occhi chiari che lo guardavano.
«Calmati», cercò di rassicurarlo Fili: la sua voce calda lo tranquillizzava, l'aveva sempre fatto. Gli afferrò i polsi, si sporse verso di lui e gli baciò la bocca.
Kili sobbalzò, sebbene fossero abituati a scambiarsi tra loro simili intimità. Gli premette le mani sul petto e lo scostò con garbo. Sorrise di rimando al suo sguardo interrogativo, ma i cattivi pensieri non lo abbandonavano. Si coricò di nuovo tra le coperte e gli diede le spalle.
«Va tutto bene», disse sommesso, prima di addormentarsi di nuovo.
L'indomani sarebbero partiti alla volta di Erebor.

   
 
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