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Autore: AnyaSlytherin    18/08/2013    1 recensioni
Johnny è un insicuro e tormentato ragazzo del Tennessee che, a causa del lavoro di suo padre, deve trasferirsi da Nashville a New York. Ed è proprio lì che incontra l'amore della sua vita. Ma non tutti gli amori sono facili o possibili. E presto Johnny lo scopre con lei, Alex; Ragazza bulimica, incasinata e completamente folle.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando incontri l'amore della tua vita, non sai che è l'amore della tua vita finché non lo baci. Ed è esattamente ciò che è successo a me. Le prima volta che sfiorai le sue labbra, riuscivo a sentire il mio cuore battere così forte che quasi temevo potesse schizzarmi via dal petto. Fu sconvolgente, grandioso. Era da pazzi. Amare una persona così tanto da sentirsi male. Ma era figo, insomma, voglio dire, incontrare la persona che d'un tratto ti fa perdere la testa e non ti fa capire più niente, è una bella sensazione. E anche le cose brutte. I problemi, le liti, tutto è bello quando c'è il grande amore. Perché ne vale la pena. Ne valeva la pena per lei, ne è sempre valsa la pena. Avrei fatto qualunque cosa per lei, e l'ho fatto. Ho fatto di tutto affinché potessimo stare insieme. Ho lottato con tutte le mie forze per avere il nostro lieto fine. E ragazzi, lasciatevelo dire, è stata la cosa migliore che abbia mai fatto.

Mi chiamo Johnny Walker. Ma non parleremo di me. 
Il suo nome è Alexandra, Alexandra Gomez, ma lei odia quel nome, per cui, per il resto della storia, la chiamerò Alex. Dio, ogni volta che pronuncio il suo nome sento un brivido che mi invade il corpo. So che è strano e che è passato tanto tempo, ma penso di amarla ogni giorno di più, se è possibile, e penso di amarla con la stessa passione di allora. Lei ha quei morbidi capelli castano scuro, che a volte, senza la luce del sole, possono sembrare neri. Ma non lo sono. Sono castani. E ha quel paio d'occhi azzurri, come un cielo sereno, così intensi. E il suo corpo, wow, sembra che il tempo non l'abbia neanche sfiorato. Ha due gambe che sono la fine del mondo, snelle e lunghe. Le sue labbra, dio santo, rosa come dei confetti. 

Quando l'ho conosciuta non avrei mai immaginato di innamorarmene e di perdere completamente la testa per lei, ma è accaduto. A quei tempi non era una bella cosa, era sbagliato, non era giusto. Volete sapere perché? Bene. Però, per farlo, devo tornare indietro a diciotto anni fa.

A quei tempi ero solo un ragazzino di diciassette anni. Ero al primo semestre del terzo anno di liceo. Abitavo a Nashville, nel Tennessee. Non ero un ragazzo di città. Poi un giorno mio padre annunciò a me, a mia sorella e a mia madre che avremo dovuto trasferirci. Mio padre, agli inizi della sua carriera, aprì una piccola farmacia, che man mano si trasformò in un enorme catena internazionale. Ma sebbene mio padre divenne molto ricco, non volle mai trasferirsi in una città più grande. Proprio come me, amava Nashville più di qualunque altro posto. Ma un giorno mio nonno, ossia suo padre, morì d’infarto. E dato che il dolore era troppo da sopportare, mio padre prese la definitiva decisione di trasferirsi. Non voleva più vedere piccole città di campagna o paesini sperduti, voleva vivere in una metropoli, pensando, che data la enorme differenza, presto si sarebbe lasciato tutto il suo dolore alle spalle. Se ero felice di trasferirmi? Neanche un po'. Se ero felice dopo che mi aveva detto che ci saremo trasferiti a New York? No, affatto. Sembrerà strano, ma al contrario di altri ragazzi, non amavo per nulla la città, specie la grande mela. Ho sempre penato che la gente che viveva nelle metropoli non fosse affatto con la testa sulle spalle. E che addirittura potesse essere sgarbata e piena di pregiudizi. Ma l'unico che aveva dei pregiudizi, ero io. In effetti, mi sbagliai di grosso su New York. La gente non era affatto fredda e sgarbata come pensavo, ma al contrario, era molto accogliente e disponibile. Un tizio addirittura si offrì di prestarmi l'ombrello quando persi il taxi. Ma torniamo a noi. Allora, come stavo dicendo, mio padre mi disse del trasferimento a New York.
- "La città vi piacerà, ragazzi. E' piena di tutte quelle cose che amate voi giovani: tecnologia, pub, grandi scuole." Assicurò mia madre, Lisa.
- "Guarda che non devi cercare di convincermi, mamma. Sono felice di trasferirmi a New York, a me piace." affermò mia sorella Cassie. "E poi li non vive anche Thomas?" mi chiede.
Thomas era un mio carissimo amico. Anche lui era di Dallas, ma proprio come me, anche Thomas dovette trasferirsi. Sua madre Victoria, era a capo del colosso dolciario Mars, che ereditò dal padre Forrest Edward Mars, che morì a causa di un incidente aereo, e dal nonno Frank C. Mars. Per cui, le redini delle industrie Mars, dovette prenderle lei. E si sa, devi vivere in una metropoli bella grossa per gestire il tutto. Ancora oggi si occupa dell'azienda e di iniziative benefiche
- "Si, è vero." confermo. "Quando partiremo?"
- "Fra una settimana." risponde mio padre.

Fu la settimana più lunga della mia vita. Contavo le ore, i minuti, i secondi. Credevo che allo scadere del tempo, la mia vita sarebbe finita per sempre. Sapete, io vivevo in una fattoria. Si, una di quelle con i cavalli, le galline e le mucche. Ero cresciuto con Esteben, il mio primo cavallo. Era un cavallo bellissimo. Con una coda lucente e ben ordinata. Il manto marrone senza neanche una macchia. L'idea di lasciarlo lì, mi rattristava e non poco. La casa fu venduta, così come anche i cavalli e tutto il resto degli animali. Ma Esteban lo lasciammo ai miei nonni, che come noi possedevano una fattoria e un allevamento di capre.

Quando l'aereo si innalzò, sentii che una parte di me rimase li, con Esteban e la mia vecchia casa. Il pensiero di non poter riveder più tanto spesso il luogo in cui ero nato e cresciuto mi addolorava troppo. Ma dovevo mettermi il cuore e l'anima in pace, perché avrei passato i miei prossimi anni a New York. 

La prima cosa che feci quando entrai nella mia nuova casa, fu disprezzarla. Non perché fosse piccola o messa male. Anzi, in realtà era un enorme attico: 8 stanze stanze, 4 bagni, una soffitta e la cantina. Aveva persino la lavanderia. Ma non riuscivo a vederla come la mia casa negli anni seguenti. Per quanto volessi, per quanto mi sforzassi, quel posto mi era estraneo. La guardai molto attentamente. Osservai il soffitto, gli infissi, il pavimento, tutto. L'unica cosa che riuscivo a pensare era fuggire da quel posto. Così mi tornò in mente Thomas. Diedi una scorsa ai numeri sulla mia rubrica, e quando trovai il suo, non esitai a chiamarlo. 
- "Johnny, amico." sembrava entusiasta, ma allo stesso tempo sorpreso. E come biasimarlo, non ci sentivamo da anni. In effetti, ero sorpreso anch'io dal fatto che avesse ancora il mio numero salvato.
- "Indovina chi è qui a New York?" dico.
- "No, non mi dire."
- "Oh, invece te lo dico."
- "Ma è una notizia grandiosa. Quanto tempo ti fermi?"
- "Hum, hai programmi per i prossimi anni della mia vita?"
- "Cosa? Ti sei trasferito?"
- "A quanto pare si.."
- "Dobbiamo vederci assolutamente. Ti vengo a prendere io, dove abiti?"
- "Sono al n.100 di Lexington Avenue."
- "Sei a Manhattan." dice incredulo. "Cazzo, anch'io vivo a Manhattan! Sono al n.10 di Madison Avenue."
- "Davvero? Oh, hem.. figo." effettivamente, la cosa non mi colpisce più di tanto.
- "Non muoverti, dieci minuti e sono da te."
- "Ok!" poi riaggancio.

Con cinque minuti di ritardo, Thomas finalmente arrivò. Non appena gli apro la porta si precipita ad abbracciarmi. Era sempre stato un ragazzo affettuoso, in effetti. Saluta calorosamente anche la mia famiglia. Da piccoli giocavamo sempre nella mia stalla, e dormivamo sempre da me. Passavamo tutto il tempo assieme, era di famiglia.
- "Tu verrai nella mia scuola." mi dice come se avesse appena avuto l'idea del secolo.
- "A che scuola vai?" chiede interessata mia madre.
- "Alla Greenwich Village High School. E' una scuola privata, ma è davvero ottima."
- "Credo sia davvero una buona idea. Visto che Johnny è nuovo in città, sarebbe meglio se andasse in una scuola dove conosce qualcuno. Inoltre, siete allo stesso anno, giusto?" 
- "Si, Lisa. Siamo entrambi al terzo anno."
- "Perfetto, potreste capitare nella stessa classe."
- "Se sono i genitori a chiederlo, il preside sarà lieto di accontentarvi. Senza problemi."
- "E' perfetto. Allora è deciso, no?" mi chiede, come se abolissi ogni sua idea.
- "Si, perché no."

La Greenwich era, ed tutt'ora, una scuola privata e abbastanza severa. Si trova a 30 Street Vandam tra 6th Avenue e Varick. E' una comunità volutamente varia e rispecchia i molti gruppi razziali, etnici e sociali che compongono New York City. Una tavola fondatore di amministrazione composta da residenti del Greenwich Village, i genitori, i filantropi, e altri sostenitori governa la scuola e fornisce tutto'ora guida e sostegno. Ancora oggi, penso che se sarei andato in una scuola pubblica, non sarei sopravvissuto.

Il primo giorno di scuola fu piuttosto normale e ordinario. Se non per un piccolissimo dettaglio: fu quel giorno che conobbi Alex. Era nella stessa classe mia e di Thomas, e seguiva la maggior parte dei nostri corsi. Non solo fu il giorno in cui la conobbi, ma fu anche il giorno in cui ci rivolgemmo la parola. Come mai immediatamente avemmo una conversazione? Ve lo spiego subito.
Dunque, dopo la seconda ora, a mensa, mentre sono seduto al tavolo e consumo il mio pasto da solo, Thomas arriva in compagnia di una bellissima ragazza, e comincia a parlarmi.
- "Hey Johnny, possiamo sederci?" mi chiede, in un certo senso in modo retorico.
Io alzo il capo, e la prima cosa che noto è quella ragazza ai miei occhi sconosciuta.
- "Oh, lei è la mia ragazza." mi fa sorridente, poi si siede.
- "Ciao." mi porge la mano. "Mi chiamo Alex."
Già, Alex era la ragazza di Thomas.
- "Piacere mio." le stringo la mano. "Su, siediti."

So che quello che sto per dire potrà sembrarvi un cliché, ma non appena la vidi, ne rimasi subito attratto. Esteticamente, era la ragazza più affascinante che avessi mai visto. Inoltre, preferivo particolarmente le ragazze dagli occhi azzurri. E lei aveva quegli occhi cielo... Quel giorno, indossava una maglia rossa con la scritta 'I LOVE YOUR BODY'. Aveva dei blu jeans stretti a vita alta, che le arrivavano sotto il seno. Mentre ai piedi aveva un paio di scarpe nere simili a degli stivaletti. Anche se non erano dei tacchi, erano scarpe molto alte. Erano quel tipo di scarpe che indossavano i metallari. Ma lei non lo era. Effettivamente, non saprei definirvi il suo look. Era un po' un miscuglio fra diversi stili. Il suo trucco definiva il tutto. Aveva solo uno smokey eyes nero e un po' di lucido sulle labbra. Da quegli occhi marcati con l'ombretto nero, si poteva immediatamente capire che lei non fosse affatto come le altre. Calma e tranquilla, intendo. No, quegli splendidi occhi trasmettevano solo guai e follia.

- To be continued.
  
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