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Autore: Lia483    18/08/2013    4 recensioni
“Anche io ho perso i miei genitori, sei fortunato ad aver avuto una sorella con te”.
“Come li hai persi?”.
Il suo sorriso fu mesto, ma tranquillo. “Mia madre è stata arsa viva”.
Stephen la guardò, spalancando gli occhi lucidi dall'alcool. Era sicuro di aver capito male. “Scusa?”.
“Beh sai, donne come lei, speciali come lei, venivano sempre definite streghe”.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Affermo fin da subito che i personaggi di questa storia sono di mia invenzione e che niente di ciò che ho scritto è a scopo di lucro.

 

 


 

SCAMBIO DI ESSENZA


"Scusi, è libero qui?”.
Il ragazzo, dagli occhi verdi come l'erba appena nata, sorrise, osservando la giovane molto carina che aveva fatto la domanda, e annuì. “Ma certo, dolcezza.” Una donna così non si vedeva spesso in quel locale pieno di ubriaconi. Anzi, lei era stata fortunata a trovarlo ancora sobrio. Quasi.
Lei si sedette veloce, senza neanche pensare alle idee nascoste dietro quel sorriso.
Non era venuta lì per flirtare e, detto sinceramente, non sapeva nemmeno cosa volesse dire quella parola.
Aveva bisogno di aiuto e aveva fatto una lunga strada per trovare l'uomo che ora aveva davanti.
“Vuoi qualcosa, dolcezza?” chiese il giovane, fissandola negli occhi sfrontatamente. Forse non era così sobrio come aveva pensato prima. Altrimenti, non sarebbe stato così sicuro di sé.
Lei trattenne un sorriso che stava per nascerle sul viso, per non offenderlo. Lo trovava buffo. “Un succo d'arancia.”
Quel frutto aveva proprio le vitamine che le servivano per sostenere la situazione.
Il ragazzo, perplesso, ordinò ciò che lei aveva chiesto, prima di voltarsi verso la giovane, incuriosito.
Non sembrava una delle solite ragazze che cercavano di avvicinarlo. Non cercava di sembrare più bella o sofisticata, ma anzi si guardava intorno curiosa, come se non fosse mai entrata in un bar in vita sua.
Accortasi del suo sguardo, lei cominciò a ricambiarlo.
Gli occhi verdi di lui erano qualcosa di straordinario. Tra la sua gente esistevano solo occhi neri e azzurri, che diventavano rispettivamente rossi e bianchi in battaglia.
Ma anche lui sembrava notare ogni suo dettaglio.
La ragazza, di cui ancora non sapeva il nome, aveva un viso pallido e dolce, abbinato a due grandi occhi azzurri che gli trasmettevano un senso di pace e tranquillità. La bocca era piccola, con il labbro inferiore leggermente sporgente. Il tutto era circondato da una cascata di capelli biondo ramato, la quale le dava un tocco da peperino. Probabilmente la dolcezza che emanava al momento copriva anche un bel caratterino.
Dopo l'arrivo dei drink e il primo sorso da parte sua, lui decise di fare la prima mossa. “Comunque piacere di conoscerti, dolcezza. Io sono Stephen.” Dire il proprio nome gli sembrava superfluo -tutti lo conoscevano-, ma lei fece un gran sorriso. “Che bel nome. Io sono Gwen.”

Stephen non sapeva perché lei si fosse seduta proprio al suo tavolo, si capiva che non era una fan della sua band e nemmeno una ragazza in cerca di amicizia in luoghi poco raccomandabili. Però, lo guardava come se si aspettasse un aiuto da lui. Forse presto gli avrebbe chiesto qualcosa, ma per ora parlavano solo di cose di tutti i giorni, soprattutto lui, già al secondo bicchiere da quando era arrivata. Prima chi sa quanti ne aveva bevuti.
Aveva cominciato a raccontarle del suo lavoro, felice che lei non ne sapesse niente e quindi di poterne parlare con dovizia di particolari, senza rischiare di essere noioso o banale.
Lei pendeva dalle sue labbra, una scintilla di curiosità morbosa negli occhi, come se lui le stesse dicendo cose che lei non aveva mai sentito. Gwen sembrava non avere mai visto la televisione.
Quando cominciò a parlare dell'unica parente rimastagli, dopo la morte dei genitori in un incidente, cioè la sorella Lucy, si interruppe imbarazzato dal modo in cui si era aperto con una sconosciuta. Si scusò, anche se non era una cosa che faceva spesso, pensando di averla annoiata.
Ma Gwen gli sorrise gentile, rassicurandolo solo con una dolce occhiata dei suoi occhi azzurri. Aveva sempre pensato che quello fosse il freddo colore del ghiaccio, ma i suoi occhi brillavano come splendenti acquamarine al sole. Solo sua madre aveva avuto occhi così, occhi che ti facevano sentire sempre il benvenuto.
“Anche io ho perso i miei genitori, sei fortunato ad aver avuto una sorella con te.”
“Come li hai persi?”
Il suo sorriso fu mesto, ma tranquillo. “Mia madre è stata arsa viva.”
Stephen la guardò, spalancando gli occhi lucidi dall'alcool. Era sicuro di aver capito male. “Scusa?”
“Beh sai, donne come lei, speciali come lei, venivano sempre definite streghe.”
Lui rimase in silenzio, decidendo, per chissà quale motivo, di non interromperla.
“Ma io questo l'ho scoperto soltanto l'anno scorso e mia madre era stata bruciata almeno due secoli fa, qualche giorno dopo la mia nascita. Non so nemmeno come ho fatto a salvarmi io. Mio padre è stato ucciso da lontano, con una freccia, mentre guardava la donna del suo cuore sparire tra le fiamme, senza emettere un grido.” Gwen sospirò. La sua conversazione non era partita tanto bene. L'argomento dei suoi genitori non era mai stato semplice da affrontare, da quando l'aveva scoperto.
Fino ad un anno prima, aveva creduto di essere parte della congrega dove era cresciuta, in Nord America.
Le bastò chiudere gli occhi, mentre raccontava, per vedere la villa giallo pallido, in mezzo ad una tenuta, enorme, che si vedeva da più di tre chilometri di distanza.
La sua casa...


Era stato bello viverci fino all'età di diciassette anni, quando i poteri di una giovane strega cominciano a svilupparsi.
La cosa non mi aveva stupita troppo, dopotutto vivevo con la congrega di streghe più grande d'America. Solo che i miei segni che precedevano le magie erano stati molto diversi da quelli delle altre piccole streghe.
Magda aveva un gufo domestico, mentre io avevo una dolce colomba bianca.
Diala volava di notte, io di giorno.
Nika odiava gli abbracci, io li amavo.
Erano delle sottigliezze che tra gli umani nessuno avrebbe notato, ma tra le streghe i miei momenti gentili e dolci erano stati subito repressi.
Senza successo.
Io ero gentile, affettuosa con tutti, nonostante ricevessi solo rifiuti e brontolii.
La mia mamma era una donna alta e sottile, con capelli crespi neri e gli occhi color carbone che ogni giorno mi mandavano lampi -in modo molto letterale- per sgridarmi.


Tornò alla realtà, trovandolo attento ad ogni sua parola, ma dubbioso. “Ci sono streghe in Nord America?”
“Certo, e molto moderne. Abbiamo pure i telefoni.”
Uao..., pensò con poco entusiasmo Stephen, senza crederci.
Lei sorrise, aprendo la mano davanti a lui. Un fiore bianco le comparve sul palmo, per poi cominciare ad aprire e chiudere i propri petali.
Lui spalancò gli occhi, sbalordito, ma sempre scettico. Era sicuro che l'alcool gli stesse dando alla testa.
Sicuramente era già svenuto.
Allora, lei, che sapeva di dover essere creduta fino in fondo, lo fece alzare, prendendolo per mano. Dopo aver posato sul tavolo dei soldi apparsi dal nulla, lo trascinò fuori, in strada, dove una festa era in corso.
Spalancò le braccia, richiamando il vento, e si alzò in volo, sempre tenendolo per mano.
Stephen gridò, spaventato. “Ma non avevi detto che potevi volare solo di giorno?”
“Quando ho capito me stessa, sono riuscita ad imparare anche qualche nuovo trucco” rispose Gwen, ridendo.
Volarono sopra Londra, svolazzando come uccellini, nascosti nella notte stellata, ma abbassandosi di tanto in tanto verso le luci delle case, spiando piccole parti di vita quotidiana che non avevano mai conosciuto, l'uno per la sua fama, l'altra per la vita da strega che l'avrebbe per sempre separata dalla normalità che tanto sognava.
Ma lui, Stephen, avrebbe potuto aiutarla, se avesse voluto.
Quando si posarono sul tetto del Big Ben, lui la fece accomodare sulla propria giacca e si sedette al suo fianco.
“Cosa è successo dopo la tua scoperta di essere una strega diversa da tutte le altre?”
“Ho cominciato a notare un fatto che fino a poco prima mi aveva reso orgogliosa della mia originalità naturale. Tutta la mia congrega aveva capelli dei colori più freddi esistenti e gli occhi neri, mentre io, come puoi vedere, non li ho.
Da quel momento, ho capito che mi veniva nascosto qualcosa. Ero diversa da tutte le mie coetanee, amavo la luce e le cose belle, ma allo stesso tempo amavo quelle persone che si erano prese cura di me fin da quando ricordo.” Sospirò nuovamente. “Cominciavo ad abituarmici, comunque, anche se era faticoso. Ma un giorno accadde qualcosa che cambiò la mia vita...”


Non mi capitava di uscire spesso, anzi quasi mai, ma quel giorno la lezione di magia si teneva nella foresta, durante la notte. Dovevamo seguire le tracce degli animali notturni, scoprirne le abitudini e le prede solite, tutto senza farci scoprire.
Il mio animale era un pipistrello, il quale svolazzava tra gli alberi in cerca di prede che localizzava con i suoi ultrasuoni. Saltai su un albero, sbadigliando. Era un lavoro noioso, quel pipistrello era pure brutto e spelacchiato...
Di colpo, fui distratta da una grossa ombra, che fece tremare il mio albero. Saltò sul ramo di un acero, velocissima, ma la luce della luna mi permise di vedere lo sventolare del mantello.
Dire che era umana era una cosa difficile, anche i Lupi Mannari portano i mantelli certe volte, ma i capelli che mi era sembrato di intravedere potevano anche essere un indizio valido.
Lasciai perdere il pipistrello, che era atterrato su un piccolo topo per succhiargli il sangue, e raggiunsi l'acero. Cominciai a saltare da un ramo all'altro, finché non mi trovai tra tanti salici piangenti.
Non era stata la fine della foresta della mia congrega a fermarmi, ma il fatto che l'ombra si era posata sul salice accanto al mio.
“Sei Gwen, vero?”
“Sì” risposi d'istinto, trovando quella voce delicata e femminile stranamente familiare, come se l'avessi ascoltata da piccola, in una ninna nanna che mi aveva fatta addormentare.
“Senti di conoscermi, vero?”
“Vero, ma non riesco a ricordarti. Chi sei?”
“Cosa sai del giorno in cui sei arrivata alla Congrega Nera?”
“Io...” Rimasi in silenzio. Le altre streghe erano sempre state molto vaghe. “...so che mi hanno trovato sul limitare del loro territorio...”
E poi? Non erano andate oltre. Ero stata accudita, messa al sicuro, ma come ero arrivata lì nessuno lo sapeva.
"Ovviamente nessuno lo sa. E' una bugia. Tu non sei stata trovata sul limitare del loro territorio, ma sei stata rapita dalla tua casa mentre i tuoi genitori morivano, dopo esser stati denunciati da alcune donne, che scoprii dopo appartententi alla Congrega Nera."
Rimasi in silenzio. I...miei...genitori...
"Tua madre è stata bruciata, tuo padre trafitto da una freccia avvelenata e tu portata via prima che qualcuno si accorgesse di te. Ho assistito a tutto questo da lontano, senza aver modo di salvarvi."
"Non mi hai ancora risposto. Chi sei tu??"
Di colpo, la donna abbassò il cappuccio e si girò verso di me. Capelli biondo ramato scivolarono fuori dalla mantella, occhi azzurri mi fissarono furenti e spaventati allo stesso tempo. Eravamo così simili... quei dettagli che mi venivano costantemente criticati ora erano chiari.
"Io sono tua zia. Mia sorella era tua madre. Si chiamava Viviana. Tuo padre Matt. Eri la speranza di una vita migliore che si è spenta molto presto. Io non ti ho salvata in tempo, tu sei cresciuta tra le streghe nere."
"Ma tu e io non siamo simili a loro. Io non sono una strega nera. Ti prego, dimmi cosa sono, aiutami." Saltai su un albero ancora più vicino a lei, per poterla vedere meglio. Ora il ricordo della ninna nanna era più vivo, sentivo ancora meglio la voce lontana e mi sembrava di vedere gli stessi capelli biondo ramato stretti nelle mie manine.
"Mamma... tu sei quasi identica alla mia mamma" mormorai, allungando una mano verso i suoi capelli, anche se era ancora lontana.
Stavo per prenderli, c'ero quasi, quando una freccia sibilò vicino al mio orecchio sinistro e colpì la donna, che ancora non mi aveva detto il suo nome, facendola cadere dall'albero.
Dall'alto, vidi tante streghe della mia congrega avvicinarsi a lei, gli occhi rosso fuoco, in modalità battaglia, gli archi magici stretti tra le mani e, di colpo, assistetti al mio primo omicidio. Mia zia morì, scivolando a terra, gli occhi azzurri che ora non esprimevano nulla, solo disperazione nell'ultimo sguardo che mi lanciò.


Stephen la strinse a sé, dolcemente. Gwen si appoggiò al suo petto, ascoltando il suo forte battito, che la tranquillizzava.
Anche se ora era lontana dalle streghe nere, aveva sempre paura di non essere mai abbastanza al sicuro. Non ne poteva più, voleva uscire da quella vita da incubo e l'unico che poteva aiutarla era l'uomo che la teneva tra le braccia.
Gwen capì di dover andare avanti col suo racconto. Si stava avvicinando il momento della verità.

Ero fuggita, all'istante, e l'unica strega che riuscì a raggiungermi fu la capo congrega, che aveva indovinato dove sarei passata. Non cercò di fermare la mia fuga, voleva solo parlare.
"Gwen, dove andrai?"
"Lontana da qui, dalle bugiarde come voi" risposi fiera, fissandola negli occhi scuri che ancora scintillavano di bagliori rossi. Non sapevo che i miei, per la rabbia, si erano fatti bianchi come la neve e che essi la tenevano lontana.
"Tua madre era la nostra nemica più grande, dato che era una delle più forti streghe bianche al mondo. Ha cercato di fermarci più volte e forse sarebbe anche riuscita a sconfiggerci, se non avesse incontrato quell'uomo, quell'umano senza alcun potere, che le fece capire che la lotta non era tutto nella vita. Così, quando sei nata, abbiamo capito che finalmente potevamo vendicarci di lei e soprattutto fare una potente magia durante l'Eclisse Rossa."
Sapevo cos'era l'Eclisse Rossa, era uno dei momenti più importanti per le streghe, ma non conoscevo nessuna magia particolare che si faceva in quel periodo.


"Ma non avevi detto che tuo padre sapeva usare la magia?"
"L'ho scoperto dopo. Tra le streghe non esistono gli uomini, vengono scelti degli speciali compagni tra gli umani, ai quali, come segno d'amore, viene affidata la propria magia. Mia madre era completamente inerme quando è stata bruciata sul rogo e mio padre era ancora troppo inesperto per salvarla."
Stephen si alzò in piedi e camminò sul bordo, senza preoccuparsi di cadere. Fece il giro dell'intero tetto, prima di fermarsi davanti a Gwen, pensieroso. "Perché mi racconti tutto questo, Gwen? Non ci eravamo mai visti prima di questa sera, sono un perfetto sconosciuto... Perché io?"
Lei sorrise triste. "Lasciami continuare."

L'incantesimo era semplice, disse la strega, ridendo. Si prende la magia della più potente strega bianca e, mischiandola al sangue di tutta la congrega, si rende il gruppo di streghe invulnerabile da qualsiasi attacco magico da parte di un nemico.
"Tu" continuò la strega nera. "Sei la figlia della più grande strega bianca esistente e, con la tua magia, diventeremo invincibili!!"
Stavolta non corsi via, ma spalancai le braccia e, richiamando il vento, mi levai in volo. Non l'avevo mai fatto, non sapevo nemmeno che fosse possibile, ma lo feci d'istinto, guidata da una mano amica del passato.
Sentii le streghe ruggire dietro di me, con grande rabbia, perché loro non sarebbero mai state veloci come il vento.
Non avrei mai permesso loro di avere la mia magia.
Mai.


"Questo spiega tutto."
"Ah sì?"
"Certo, è da quando sei arrivata che ti guardi intorno spaventata, preoccupata di essere trovata da qualcuno."
Gwen arrossì. Non le sembrava che fosse così evidente, ma lui doveva essere un grande osservatore. "Vero... ma dopo lunghe ricerche, ho trovato come risolvere il mio problema. Solo la magia di una strega bianca può aiutare le streghe nere, ma fortunatamente, solo la mia corrisponde ai requisiti... la strega più potente era mia madre e sono io l'ingrediente principale dell'incantesimo. Senza di me, non ci sarà più alcun pericolo."
Lui la fissò, inginocchiandosi davanti a lei. "Cosa vuoi fare?"
"Non voglio morire, nel caso in cui tu te lo stessi chiedendo. Voglio vivere felice, voglio non avere più problemi e paure da cui fuggire. Tu sei l'unico che può aiutarmi."



Stephen rimase stupito.
Nessuno gli aveva mai chiesto aiuto, nessuno aveva mai voluto il suo aiuto. Neanche le persone a cui voleva più bene.
"Perché io?" chiese, di nuovo, come poco prima.
Lei si avvicinò, fino a prendergli le mani e a trovarsi faccia a faccia con lui. "Ogni strega ha il suo compagno umano ideale, al quale possono donare la propria magia per renderli più forti e restare insieme per sempre. Io non cerco il tuo amore e non ti voglio mettere in pericolo, cosa che accadrebbe se restassimo insieme, ma tu puoi accettare la mia magia e tenerla al sicuro dalle streghe nere."
Lui rimase silenzioso, prima di chiedere:"Ma non la cercheranno comunque?"
"No, serve una strega bianca. Tu saresti uno stregone, non c'entri nulla." Lei gli strinse le mani con più forza, perché lui la seguisse. "La tua vita non cambierebbe di una virgola, continueresti come hai sempre fatto, ma saresti magico. Nella mia mente, ho preparato tutto. Tu saprai come usarla senza il mio aiuto e vivrai felice." Guardò la città sotto di loro, illuminata da una grande luna piena. "Anche io sarò finalmente felice senza più questo fardello."
Non era mai riuscito a rendere felice qualcuno. I suoi genitori erano morti, delusi dalla vita che aveva intrapreso, invece che la vita da medico che loro avevano deciso per lui. Sua sorella preferiva non vederlo mai, si era anche trasferita dall'altra parte del mondo, incolpandolo di molte bugie.
Ma Gwen poteva essere felice, con il suo aiuto. Le avrebbe portato via quel fardello che non le permetteva di trovare la via per la felicità.
La fece alzare, continuando a tenerle le mani. "Va bene, Gwen. Ti aiuterò."
Il sorriso con cui lo ripagò fu più di quanto sembrasse. Forse era la sua lanterna verso la felicità.

***


Tutto era pronto.
Stephen era al centro di una stella a otto punte, Gwen seduta sulla punta più lunga e grande, in mano le ciocche dei loro capelli.
Li stava cuocendo in un infuso, tanto caldo da scioglierli subito. Stephen non aveva visto tutti gli ingredienti, ma non erano stati quelli che aveva letto nelle fiabe da bambino. Code di topo e lingue di rospo non erano presenti. Anzi, quell'infuso aveva un odore buono, come di vaniglia o cannella, che gli stava facendo nascere un sorriso ridicolo sul viso.
Dopo aver buttato tutti i loro capelli, Gwen mescolò tutto, poi lo versò in tazze di terracotta, che sembravano molto antiche. Gliene porse una, che lui prese, sedendosi a gambe incrociate rivolto verso di lei.
"Ora cosa devo fare?"
"Bevi, Stephen. Non è un processo lungo, solo due parti, ma va fatto con serietà."
Lei si spostò in avanti, attenta a non versare neanche una goccia, finché non furono entrambi al centro della grossa stella che Gwen aveva disegnato al centro del salotto del musicista. Fortunatamente, di solito in quel punto c'era un tappeto, quindi nessuno se ne sarebbe mai accorto.
Fecero scontrare le loro tazze, come Gwen gli aveva spiegato e bevvero tutto d'un fiato, lentamente.
Come l'odore, anche il sapore della bevanda era buono, sapeva di... lei.
Stephen la fissò con dolcezza, quando ebbero finito, ma anche con tristezza. Lui sarebbe stato il suo compagno ideale per lei, ma le streghe nere non li avrebbero mai fatti vivere in pace e lei non voleva metterlo in pericolo. Se si fossero conosciuti meglio, forse sarebbe stato difficile staccarsi l'uno dall'altra, ma, dato che così non era, Stephen sperava che bastasse a rendere tutto meno doloroso.
Anche lei lo fissava con tristezza. Si era resa conto che lui le piaceva, che sarebbe stato proprio il compagno perfetto in una vita diversa da quella.
La sua magia non poteva rimanere in pericolo, però, altrimenti loro due non sarebbero mai stati al sicuro. Soprattutto lui, che Gwen non avrebbe mai voluto mettere in pericolo.
Stephen si aspettava che lei gli spiegasse la seconda parte della magia, ma la ragazza si mise in ginocchio, in silenzio, e lo baciò. Tutta l'aria gli uscì dai polmoni, come se lo stesse schiacciando, lasciandolo disorientato. Ma l'istinto non si lasciò distrarre. Sollevò le mani, prendendo quel viso di porcellana tra le dita, e ricambiò il suo bacio esitante.
Bastò quello.
La fusione delle loro anime attraverso quel bacio, che avevano atteso nel loro subconscio, bastò per attivare la magia.
Ciò che li rendeva strega e essere umano, l'essenza di ognuno di loro, si scambiò.
Il bacio non si interruppe mai, mentre avveniva la trasformazione. Stephen sentì le dita incandescenti a contatto con la pelle fresca di Gwen che fremevano e, con un gesto di cui non avrebbe dovuto sapere l'esistenza, li circondò di fiori, dando sfogo alla magia che premeva per uscire prima di adattarsi al nuovo corpo. Gwen continuò a baciarlo, senza accorgersi di ciò che era successo, ma sentendosi via via sempre più debole, finché non svenne tra le braccia dell'uomo che avrebbe sempre rimpianto, senza mantenerne il ricordo.

***

Stephen le lanciò un'ultima occhiata dalla cima di un palazzo, un'unica lacrima che gli solcava il viso, mentre lei si allontanava tranquilla e chiamava un taxi per andare all'aeroporto. Non l'aveva neanche salutato, come se non esistesse, come se non... sapesse chi fosse.
Di colpo, un ricordo di lei gli arrivò alla mente.

Mi sedetti nella neve, felice del fresco attraverso la tuta, ne avevo proprio bisogno.
Ero preoccupata e avevo bisogno di schiarirmi i pensieri.
L'incantesimo che avevo imparato era molto semplice, ma io non volevo che l' uomo ideale rimanesse in pericolo. La mia magia non sarebbe più stata localizzabile, ma se mi avessero presa e letto i miei pensieri, l'avrebbero scoperto.
L'unica soluzione è l'eliminazione della mia memoria.
Sì, farò così, non ricorderò nulla di tutto ciò che è successo prima dell'istante in cui scomparirà la magia dal mio corpo...

Stephen si girò, voltandole le spalle. Gli aveva dato tutto: la magia, i ricordi, la sua vita. Tutto quanto.
L'aveva messo al sicuro, ma non sarebbe mai stato felice senza di lei. Però, lei ora sarà felice e questo è tutto ciò che conta.

 

 







Fine.

  
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