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Autore: aoirghe    23/02/2008    6 recensioni
Una sera al Jeffersonian, del lavoro da finire, un paio di caffè, la tensione nell'aria ... Oneshot tutta chemistry su Temperance Brennan e Seeley Booth. Aspetto recensioni!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Seeley Booth, Temperance Brennan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“I rapporti non hanno mai niente a che vedere con il buon senso”

 

Absolutely conducted coffee

 

- Piantala-.

- Cosa?-.

- Hai capito benissimo. Piantala, Booth-.

- Ma io …-.

Lei lo fumina con lo sguardo. Un’occhiata in tralice, di quelle di cui solo lei è capace.

Seeley Booth tace, soffocando un sorriso: alza le mani in segno di resa.

- Okay, okay … - borbotta.

- E metti giù quel teschio-.

- Fatto-.

- Rimettilo dov’era, Booth …-.

Lui ubbidisce, le gote lievemente arrossate: un po’ gli viene da ridere, un po’ gli occhi severi di Temperance Brennan lo fanno sentire abbastanza stupido. A ragione, forse.

Mentre appoggia il teschio sul tavolo da lavoro, la osserva di sottecchi: concentrata, il viso affilato rischiarato dalla luce tiepida del laboratorio, le mani ferme. È una contemplazione, la sua.

- Tra l’altro non sei stato nemmeno originale-.

La voce di lei lo distoglie, da quella contemplazione:

- In che senso?-.

- Prendere un teschio e fare il cretino imitando l’Amleto …-.

- Bones, sei acida-.

- E tu sei un bambino-.

- Però sono un bambino simpatico-.

Lei stacca gli occhi dallo scheletro per fissarli su di lui. Incrocia le braccia:

- Questo è tutto da dimostrare-.

Booth appoggia le mani sul tavolo: sorride, la cravatta allentata, le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti. Temperance Brennan sostiene il suo sguardo sfrontato: lui ha l’aria stanca, del resto sono le dieci di sera e nessuno dei due dovrebbe essere lì. Ma lo scheletro è arrivato nel tardo pomeriggio, e Temperance non è riuscita a resistere. Lo hanno trovato in una cava abbandonata, forse risale al diciannovesimo secolo: troppo, per tornarsene a casa, ingoiare un hot dog e poggiare la testa sul cuscino. Però lui è voluto restare. Al Jeffersonian. Con lei.

Anche se è tardi, anche se è stanco.

Con lei.

Booth sbadiglia:

- Non hai fame, Bones?-.

Lei tiene in mano una clavicola annerita:

- Non particolarmente-.

- Nemmeno se ci facciamo portare due hot dog?-.

- No, grazie-.

- Cinese? Pizza italiana?-.

- Grazie, Booth, ma sono a posto così-.

Lui alza le spalle, con un sospiro:

- Vorrà dire che andrò a prendere due caffè-.

- Questa è una buona idea-.

Temperance lo guarda con la coda dell’occhio alzarsi, stirare le braccia, lanciarle uno sguardo perplesso. Segue la sua sagoma che scende le scale, le ampie spalle tese sotto la camicia bianca. Pensa che non lo ha nemmeno ringraziato per essere rimasto.

Pensa che, forse, prima avrebbe dovuto dirgli di sì, perché in realtà un po’ di fame ce l’ha.

Ma ha paura: Temperance Brennan ha paura di quello che non capisce.

E, tra le cose, che non capisce c’è il suo stomaco che si è contratto in quel modo, quando Booth le ha sussurrato che sarebbe rimasto al Jeffersionan con lei, poche ore prima. Glielo ha detto mettendole una mano sul braccio, e lo stomaco di Temperance ha fatto uno strano salto.

Non capisce, e le fa paura.

Esattamente come la terrorizza la prospettiva di mangiare con lui. Da soli.

Non come fanno sempre al Diner. Al Diner c’è gente, un tavolo tra i corpi, tante cose di cui parlare.

Si accontenterà di prendere un caffè, quindi: meno pericolo, di sicuro.

Assolutamente più gestibile.

Assolutamente.

 

 

Questa è una buona idea.

Seeley Booth stringe tra le mani due caffè bollenti. Però è riluttante, all’idea di tornare da lei.

Questa è una buona idea.

Fredda come al solito. Distaccata.

Però Bones non è sempre così, Booth l’ha scoperto col passare del tempo. Bones è anche altro.

Un altro da cui lui ha scoperto di non essere in grado di rimanere troppo lontano.

I caffè gli scottano i palmi, ma rimane immobile, ai piedi della gradinata.

Lei è lassù, con occhi solo per le ossa che le hanno portato qualche ora prima. Non ha fatto nessuna fatica, Booth, a offrirsi di farle compagnia. È stato spontaneo. E non è pentito.

Quindi, razionalmente, non capisce la titubanza che gli blocca le gambe.

Sta in piedi come uno scemo, la camicia un po’ fuori dai pantaloni, i caffè in mano.

Bones è al di là della gradinata, china sul quel che resta di un morto. Come sempre, in fondo.

Però Booth ha quasi la sensazione di essere di troppo.

La sensazione che forse lei sarebbe stata benissimo anche senza di lui: uno scheletro su cui lavorare, le luci lievi del Jeffersonian di sera, il silenzio di vetro attorno. Nessun bisogno di compagnia.

Soprattutto di quella di uno che fa lo scemo con il teschio di un morto secolare.

E che fa persino fatica a fare una rampa di scale, mentre i caffè gli bruciano le mani.

 

 

- Tieni-.

- Grazie, Booth-.

Temperance appoggia gli attrezzi e fa il giro del tavolo.

Prende il bicchiere che Booth le sta porgendo, e si siede di fronte a lui. Ha fatto bene, un caffè è più che gestibile: due minuti per berlo, una chiacchiera veloce, e poi di nuovo a lavorare sullo scheletro. Pericolo azzerato.

- Caspita, è bollente-.

- Non dirlo a me, mi sono ustionato i palmi - dice Booth, con un mezzo sorriso.

E lo stomaco di Temperance si contrae.

Ancora.

Booth la guarda per qualche istante, in silenzio: la guarda sorseggiare piano il caffè, i grandi occhi che spuntano al di sopra del bicchiere. Si sente strano. La parola più adatta che gli viene in mente.

E anche quella con meno significato: strano può voler dire tutto o niente.

Ma lui non è mai stato bravo a dare definizioni.

- Sei stato gentile a rimanere. Se sei stanco puoi anche andare, davvero- mormora lei.

L’espressione di Booth diviene indecifrabile:

- Io sto bene, Bones, ma se preferisci restare sola non c’è problema-.

- Non ho detto questo-.

- Non preferisci rimanere sola?-.

- No, non è questione di quello che preferisco …-.

- Allora resto-.

Silenzio.

Booth sente la tensione che si sprigiona dal suo corpo. La sente tra loro, sospesa e sottile.

Ma è abbastanza per fargli venire voglia di affogarsi nel caffè e non parlare più.

I capelli di lui sono un po’ arruffati, e a Temperance scappa un sorriso: è insolito vederlo così scarmigliato. Però gli dona:  Booth è quel tipo d’uomo che manterebbe il suo fascino anche coperto di fango e con una banana in testa. Il caffè le scotta la lingua, a quel pensiero.

Non sono considerazioni sensate.

Non sono considerazioni gestibili.

- Booth, davvero, puoi andare a casa. È tardi, è tutto il giorno che lavoriamo- dice a mezza voce.

Non sa esattamente perché l’ha detto.

O forse sì, forse lo sa, perchè vedere l’espressione di lui la rassicura un po’: ora è arrabbiato e se ne andrà, e con lui svaniranno le contrazioni allo stomaco e il caffè che sembra non finire mai.

Un meccanismo contorto.

Booth annuisce, abbassando gli occhi.

Appoggia il bicchiere vuoto sul tavolo vicino. Quando torna a guardarla, non sorride:

- D’accordo. Mi dispiace di averti disturbato-.

Si alza, le mani in tasca.

E Temperance la sente salire dentro di sé: improvvisa, inaspettata.

Rabbia.

- Io non ho detto questo- ribatte, secca.

- Rispondi sempre con la stessa frase: io non ho detto questo-.

- Perché è la verità, Booth-.

- È qui che ti sbagli. L’hai detto, Bones: non letteralmente, forse-.

- Quindi non l’ho detto affatto!-.

- Si chiama leggere tra le righe, sai?-.

Adesso anche lei è in piedi.

Stringe in una mano il suo bicchiere di caffè e lo fissa negli occhi:

- Dovresti smetterla di farlo, allora. Non è un atteggiamento razionale, porta a chiare incomprensioni, come puoi vedere-.

Lui scuote la testa, le mani sui fianchi.

- Perché tu non mi hai disturbato, non mettermi in bocca parole che non ho pronunciato!-.

- Bones, certe cose non si dicono direttamente, ma non bisogna essere un genio per cogliere determinate sfumature-.

- E immagino che tu ti consideri bravissimo a cogliere queste sfumature ...-.

- Sì, sono bravissimo. Caso vuole che sia il mio lavoro. Esattamente come tu ci sai fare coi morti-.

- Questo è un clichè. Banale, tra l’altro: giochi sempre al poliziotto intuitivo e sensibile contro l’antropologa razionale e cinica- sibila Temperance.

Adesso sono vicinissimi.

Così vicini che riesce a sentire il respiro di lui.

- Non sviare la questione. Stiamo parlando del fatto che avresti potuto anche dirmelo, Bones-.

- Che cosa, avrei potuto dirti?-.

- Che potevi fare benissimo a meno della mia presenza, stasera-.

- Sei arrabbiato?-.

- Sì, sono arrabbiato-.

- Bè, anche io sono arrabbiata. Perché crei problemi che non ci sono-.

Vicinissimi.

Booth riesce a percepire il calore del fiato di lei.

- Ah davvero? Molto bene: allora io non sono arrabbiato. Sono furioso-.

- Allora buttati un po’ di caffè in testa e vedrai che ti passa-.

- Sei impossibile-.

- E tu sei uno stupido-.

Silenzio.

Rimangono così per qualche istante, a pochi centimentri, la rabbia che colora il viso di Temperance di un rosso acceso, l’espressione di Booth tra il feroce e l’esasperato. Ansima un po’.

Temperance si accorge che le sta fissando la bocca. Altra contrazione allo stomaco.

Rabbiosa, stavolta.

- Hai … sei sporca di caffè- mormora Booth con voce roca.

- Cosa?-.

- Hai del caffè sulla bocca. Lì, nell’angolo-.

Temperance deglutisce, alza una mano, incerta, e la porta alla bocca:

- Dove?-.

- Nell’angolo. A … a destra-.

Ma è la mano di Booth a essere più rapida.

A precedere la sua.

Il pollice di lui le sfiora un angolo della bocca, con delicatezza.

Temperance non si accorge di socchiudere gli occhi, mentre la macchia di caffè s’imprime sul dito di lui. Ma Booth non lo sposta: continua ad accarezzarle l’angolo della bocca, e in questo momento ha il cervello spento, riesce solo a percepire la vicinanza della bocca di Bones.

La pelle liscia sotto il suo pollice.

Lei riapre gli occhi: quelli di lui sono vicini, grandi, lucidi. Quasi neri.

È un attimo, un black out.

Le labbra di Booth sfiorano le sue, dapprima incerte, poi la bocca di lui le copre completamente.

È solo un toccarsi, ma poi Temperance serra gli occhi e schiude la labbra, e allora il respiro di Booth si mescola col suo fiato, caldo, veloce. Sente la mano di Booth sfiorarle una guancia, mentre il bacio si fa più profondo, più rabbioso, a cercarsi reciprocamente le lingue, le labbra stesse.

Seeley beve il respiro di lei, e tutta la rabbia si riversa nella sua bocca, una mano ad accarezzarle la pelle liscia di una guancia, e Bones che fa un passo in avanti, i corpi uno contro l’altro.

Poi.

D’un tratto.

- Auch!-.

Qualcosa di bollente gli è finito sulla camicia, altezza ventre.

- Ma cosa …-.

Si staccano all’improvviso, e abbassano gli occhi.

Il caffè del bicchiere di Temperance è finito su di lui, scottandolo.

Booth cerca gli occhi di lei:

- Il tuo caffè …-.

- Mi … dispiace- borbotta, sorridendo. Non riesce a trattenersi

Booth ha una mano appoggiata al ventre ustionata e un dito puntanto contro di lei:

- Tu … tu stai ridendo, Bones! Trovi la cosa divertente!-.

- Un po’, sì-.

Stavolta sorride apertamente.

Ha le labbra arrossate, il respiro ancora ansante, gli occhi lucidi.

Seeley apre la bocca per dire qualcosa, la pelle scottata brucia, ma le parole gli muoiono tra le labbra.

Si fissano in silenzio.

Il bicchiere rovesciato è per terra.

È Temperance a rompere il silenzio.

- Fammi dare un’occhiata, Booth- dice, schiarendosi la voce.

- Un’occhiata?-

- Sì. Alla … scottatura-.

Lui non replica, mentre Temperance gli si avvicina.

Le dita agili di lei gli sfiorano la camicia: inizia a sbottonargliela, senza guardarlo. Booth la lascia fare: non ci sta capendo niente, prima il litigio, poi quello, poi il caffè, e ora Bones che lo spoglia.

Sussulta, quando la mano di lei gli sfiora le pelle nuda del ventre.

- Okay, niente di grave. Sei salvo, direi- sussurra.

Non sposta le dita.

- Grazie per la bella notizia-.

- Era solo caffè, in fondo-.

- Già-.

Gli occhi di Booth cercano i suoi: Temperance ricambia lo sguardo, pensando che è bellissimo. Bellissimo, con la camicia sbottonata e i capelli scarmigliati.

- Allora?- mormora.

Lui si avvicina appena:

- Allora?-.

Temperance si morde un labbro:

- Sei … sei ancora arrabbiato?-.

- Moltissimo-. Sorride: - E tu?-.

- Anche io-.

Si guardano.

La mano destra di Booth prende la sua, ancora appoggiata sulla scottatura.

Il viso di lui si fa più vicino:

- Potremmo fare pace sul tavolo dove c’è lo scheletro …-.

Le bocche si incontrano, sfiorandosi. Le parole di lei nella bocca di lui.

- Niente affatto … Devo finire- sussurra lei.

- Dimentichi che mi hai appena sbottonato la camicia-.

- Solo per ragioni mediche …-.

- Sei impossibile, Bones …-.

- E tu sei uno stupido-.

Il caffè rovesciato per terra è illuminato appena dalle tiepide luci del laboratorio, vicino due sagome si abbracciano, i respiri affrettati, le ombre lunghe sul pavimento.

Solo un caffè: meno pericolo, di sicuro.

Assolutamente più gestibile.

Assolutamente.

  
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