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Autore: down2theshippinghole    18/08/2013    7 recensioni
Aveva sempre saputo che un giorno lui e i suoi compagni sarebbero dovuti ritornare su Keron, ma quel giorno, per quanto fosse conosciuto da tutti, era arrivato fin troppo presto.
Quella sera, si maledisse più e più volte, per averi lasciati andare così...

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I pensieri di una Pekoponiana e di un Keroniano dopo che si sono separati. Sperando con tutte le forze di potersi riverere, e credendo di essere di troppo nella vita dell'altro.
Un sogno d'amore destinato a sgretolarsi col tempo.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Giroro, Natsumi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Maledetto addio!


Era in giardino, a fissare i tizzoni ormai spenti davanti ai suoi piedi.
-Per favore, Natsumi, occupati tu delle braci, ok?- Le aveva domandato quel giorno prima di andarsene.
Erano passate ventiquattro ore, e lei si preparava a fare quanto le era stato richiesto, seppure con un pizzico di amarezza, che le ultime parole che le aveva rivolto furono state di una semplice cortesia.
Mentre si apprestava a togliere i legni inceneriti dal prato, un foglietto mezzo carbonizzato fece capolino tra di essi.
Incuriosita, lo prese in mano.
Era una lettera per lei.

Ciao, Natsumi.
Se stai leggendo questa lettera, è perché io sono ritornato sul mio pianeta.
Quello che volevo dirti è che mi dispiace...
Per tutte le scenate che ho fatto per te, e per tutte le volte che non ti ho lasciato un attimo in pace.
Ma non puoi immaginare quanto fosse stata dura per me vederti così lontano.
Vedere che tu non mi degnavi di uno sguardo; che il più delle volte, quando cercavo di rendermi più esplicito nei tuoi confronti, tu mi mollavi un pugno in testa, e anche se non faceva male per il semplice fatto che a colpirmi eri stata tu, io mi sentivo morire.
Ogni volta che rivolgevi quel tuo sorriso, che non potrò più rivedere né dimenticare, a qualcuno che non fossi io mi veniva voglia di impazzire.
E non sai quante volte, quella rabbia che cresceva dentro di me per non riuscire a renderti felice, si trasformava in lacrime.
Non sai quante volte ho picchiato la testa contro la parete per non essere uguale a quel cretino di Saburo.
So che non dovrei parlare così di lui, che dovrei addirittura ringraziarlo, per il solo fatto che insieme a lui, tu sei contenta. Ma in questi anni che ho vissuto accanto a te, lo odiavo perché che era talmente facile per lui strapparti una risata, che mi faceva sentire inutile.
Per questo me ne sono andato senza opporre resistenza, per paura di essere d’intralcio.
Volevo dirti, che ora, anche mentre sono nella mia tenda a scriverti questo e non sono ancora partito, mi manchi. Ma non credo di essere qualcosa senza di te, almeno, non quanto tu sei per me.
Ti avrei dato la vita, Natsumi.
Cerca di perdonarmi un’ultima volta per le parole che stai per leggere...
Ti amo...

Tuo per sempre, Giroro.


Ad ogni riga, si dipingevano sul volto della ragazza, lacrime di sconforto, e un’espressione allibita che avrebbe impietosito chiunque.
-S-s-stupido... ra... ranocchio... r-rosso...- Mormorò con il cuore a pezzi, e la voce rotta dal pianto.
L’aveva davvero lasciata così? Con uno stramaledetto biglietto a spiegarle cose che lui le avrebbe dovuto rivelare in faccia? L’aveva davvero abbandonata senza spiegarle appieno ciò che davvero era successo?
Si sentiva tradita.
E ad un tratto alcune parole della lettera si bagnarono con sue lacrime, sfocandosi leggermente.
Improvvisamente, vide una piccola navicella spaziale apparsa dal nulla atterrare nel suo giardino, e una testolina rossa che fece capolino da essa.
Lei gli corse incontro piangendo: -Giroro! Non farmi più uno scherzo del genere!-
L’esserino sorrise, e svanì nel nulla insieme alla navicella, così come era apparso.
Se lo era solo immaginato... di nuovo...
Stupido cervello! Era dal giorno prima che le tirava brutti scherzi.
Lui non sarebbe mai tornato... lui sarebbe rimasto sul suo pianeta per sempre...
Con quella convinzione, altre lacrime scesero irruenti sulle sue guance. Non sapeva nemmeno perché quell’addio le avesse inflitto così tanto dolore al cuore, sapeva solo che faceva male, tanto male. Come quando ancora, in casa sua, ogni tanto finiva per essere bruciacchiata dalle esplosioni degli alieni, solo moltiplicato per un miliardo di volte.
Non chiedeva tanto. Voleva solo il suo alieno rosso, voleva parlargli un’ultima volta per dirgli quelle maledette parole di cui aveva sempre avuto paura, o almeno, aveva paura a dirle a lui.
-T-ti amo anch’io...- Fu il suo gemito, che si perse nel venticello caldo del tramonto, guardando il sole che andava a nascondersi dietro i contorni chiari delle case lì intorno. Lo stesso tramonto, che una volta guardavano assieme mangiando patate dolci.
Ma quel messaggio d’amore, per quanto fosse sincero, per quanto volesse che lui lo ascoltasse, non arrivò mai al destinatario.
E cosa le era rimasto di lui? Niente...
Corse nel sottosuolo, sperando ci fosse qualche aggeggio in grado di contattarlo, ignorando il fatto che se ne avesse trovato uno, non avrebbe saputo come farlo funzionare, e probabilmente nemmeno riconosciuto.
Aprì la porta di quella che fino a pochi giorni fa era la camera del ranocchio verdastro, aggrappata a quella sola fiammella di speranza. Ma il suo interno, era tornato quello di una volta: montagne di scatoloni messi alla rinfusa, un mare di polvere, e cianfrusaglie a non finire.
Di fronte a quello spettacolo, si accasciò a terra, pensando che tutto fosse giunto al termine. Che fosse arrivato il momento di mettere la parola fine a quella folle avventura. Ma il suo cuore, per quanto lei lo implorasse di dimenticare tutto, non ne voleva sapere di lasciar perdere.
Aveva sempre saputo che un giorno Giroro e i suoi compagni sarebbero dovuti ritornare su Keron, ma quel giorno, per quanto fosse conosciuto da tutti, era arrivato fin troppo presto.
Quella sera, si maledisse più e più volte, per averli lasciati andare così. Per aver lasciato andare lui così, ma forse non aveva intervenuto solo per paura di essere considerata un’individualista, dopotutto, anche degli stupidi ranocchi invasori avevano il diritto di abbracciare la loro famiglia, e i loro genitori, o forse ne era stata zitta, semplicemente perché era una codarda...
Si strinse la lettera al cuore con entrambe le mani, singhiozzando come mai prima d’ora, e chiamando il suo nome.
Solo un pezzo di giardino bruciacchiato, un paio di patate dolci mezze abbrustolite, una lettera che non avrebbe mai avuto una spiegazione, e tutti i suoi ricordi sfocati destinati irrevocabilmente a perdersi nel tempo. E l’immagine di quel sorriso pacato scolpita nella sua mente.
Ecco cosa le era rimasto dell’alieno rossastro.
Ecco cosa le rimaneva di Giroro.

...


Lui era sconsolato, nella camera che suo padre aveva fatto preparare apposta per il suo ritorno a casa, seduto sul letto a piangersi addosso.
Le aveva chiesto di occuparsi del fuoco? Era quella la sua penosa frase d’addio? Sperava almeno che avesse ricevuto la lettera, maledicendosi per averle lasciato in così grande peso sul cuore, ma più che a lei, i sensi di colpa li aveva affibbiati a sé stesso.
Gli rimaneva solo la sua foto, come sempre del resto. Quella dal quale non si era mai separato.
Aprì per l’ennesima volta la fibbia argentata, e al suo interno la vide: la ragazza che per lui contava più della propria vita, con quell’aria spensierata, allegra, e a volte un po’ scorbutica che portava sempre con sé.
-Mia dolce Natsumi, sei felice ora? Ora che noi brutti ranocchi non ti rovineremo più la vita? Sei felice adesso che in casa tua regna di nuovo la quiete di un tempo? Ora che puoi vivere felice con lui, senza avermi tra i piedi?- Sussurrò quelle parole, come se lei potesse sentirlo da quella foto, e rispondergli in qualche modo.
In quelli che erano appena due giorni, era la milionesima volta che rivolgeva quelle domande alla foto che portava sul cuore. E le risposte, cercava di darsele da solo.
Immaginava Natsumi, la sua Natsumi, finalmente felice tra le braccia di Saburo, con stampato in faccia, quel sorriso dolce e radioso che in quegli anni gli aveva sempre dato forza di reagire a qualunque cosa.
Non sapeva nemmeno il caporale perché si tormentava in quel modo. Con quella tenera scenetta nella sua testa, tenera per chiunque altro l’avrebbe guardata, ma non per lui. Era lacerante immaginarla con un altro. Forse immaginava quel quadretto, tanto tenero quanto straziante, solo per dimostrare a sé stesso che ora, lei era felice senza averlo sempre lì.
Osservava attentamente quella fotografia che aveva tra le mani, rammentando tutte le volte che l’aveva vista sorridere, come per fissarsi bene in testa quell’immagine a cui si era aggrappato per i suoi, ormai passati, otto anni di villeggiatura su quel pianeta. E pur sapendo benissimo che un giorno li avrebbero richiamati sul loro pianeta natio, lui si ostinava, giorno per giorno a continuare ad amarla, perché ormai non sarebbe stato più capace di fare altrimenti.
E continuava ad amarla anche da anni-luce di distanza da lei. Per qualche oscuro motivo che non riusciva a spiegarsi, per quanto volesse dimenticarla, insieme a tutto il proprio soggiorno trascorso su Pekopon.
Ma non era affatto facile, in ogni cosa rivedeva lei. In ogni dannatissima cosa ci rivedeva quel sorriso. E poi, primo fra tutti, c’era quel maledetto motivo verde-acqua che ricopriva tutte le pareti della sua stanza. Gli ricordava il mare, gli ricordava l’estate e il calore del sole Pekoponiano, gli ricordava il tepore delle proprie guance sotto il tocco delicato di Natsumi. Gli ricordava lei.
Le lacrime facevano forza per uscire. Ovviamente, Giroro, essendo un soldato forte, e troppo orgoglioso per far vedere a sé stesso il suo pianto, non permise neppure un singhiozzo. Ma come al solito, da quando era sbarcato su quel pianeta che l’aveva ospitato per anni, c’erano sempre quelle due o tre lacrime indomabili che ogni volta sfidavano lui e il suo orgoglio, scendendo sulle sue guance e riversandosi su quella tanto agognata foto.
Ma il suo viso, ed il suono della sua voce erano troppo belli e armoniosi per poter essere dimenticati.

...
...
...

Sono passati dodici anni da allora...
Ancora, Natsumi, resti in quell’edificio a vivere con tua madre, pur essendo una donna più che maggiorenne, mentre tuo fratello si è già sistemato con la sua ragazza in una delle loro dozzine di ville in riva al mare.
Ma perché ti trattieni tanto a lungo in quella casetta giallognola che ormai sta cascando a pezzi? Perché hai paura che se lui un giorno voglia tornare da te, non ti riesca a trovare.
Tutte le sere ti affacci al balcone della tua stanza restandoci anche per ore scrutando il cielo, e appena vedi qualcosa di insolito, i tuoi occhi si illuminano come le stelle che stai guardando. E mentre osservi la volta celeste con il naso all’insù, ricordi con un velo di nostalgia e di tristezza i vostri momenti insieme, stringendo a te quella lettera che lui ti fece avere poco dopo la sua partenza, ancora bruciacchiata da quella sera, ancora, da quella sera era sfocata per le lacrime che tu hai riversato sopra di essa. È quasi illeggibile, ma la conosci a memoria, da quante volte l’hai letta e ripetuta a te stessa, come un credo, e poi rispondi alla lettera, sapendo benissimo che lui non può sentirti, ripensando a quel maledetto alieno color del tuo cuore mentre le lacrime ti solcano il volto, ormai maturato anch’esso, tanto è stato il tempo che hai passato ridotta così.
Ma perché vuoi farti del male? Perché ti ostini ancora a credere inutilmente che lui ritornerà, quando invece sai benissimo che forse non lo farà mai? Accennando un sorriso solo pensando che ora, lui è felice tra i suoi simili, con i suoi amici, e la sua famiglia, tra gli altri “brutti ranocchi” del suo pianeta, no? Ma questo non basta a farti ritornare il buonumore di una volta.
Tu che quando era accanto a te, non lo degnavi di uno sguardo se non per sbaglio. Tu che sei la causa di ogni suo sorriso quando ti vede, e di ogni sua lacrima quando non sei con lui. Queste idee ti tormentano come mai prima d’ora, anche perché prima, impegnata com’eri a far colpo su Saburo, non te n’eri accorta finché non si è esasperato, e non tel’ha fatto sapere egli stesso. E tutte le volte, ti maledici e ti insulti da sola per non averlo capito prima, perché ti accorgevi dei sentimenti di tutte le persone che ti stavano intorno, tranne di quella a te più vicina. Ma questo, non basterà a far andar via il senso di colpa che per anni ti ha attanagliato lo stomaco, con cui vivi in simbiosi, tanto è il tempo che continui, senza motivo, a rinfacciarti ciò.
E come se non bastasse, ti dai per l’ennesima volta, il colpo di grazia che ti porterà, come sempre a piangere fino a che non finirai le lacrime anche quel giorno: -Un giorno tornerà da me...- Ti ripeti ogni sera, con lo stesso atteggiamento speranzoso che hai avuto per tutti questi anni in cui lo stai aspettando.
Ormai, la sua figura, la stessa che ogni notte s’infiltra nei tuoi sogni senza permesso, è solamente uno splendido ricordo informe che ti sei intestardita a portarti dietro, fino a che lui non rimetterà di nuovo piede nel tuo giardino, che ha già perso ogni traccia del suo passaggio.
Ogni notte è la solita storia ripetuta all’infinito. Sogni contenta, sperando che tutto sia vero, che lui precipiti, nel cortile di casa tua. Poi ti svegli mentre fuori regna ancora la più completa oscurità, alzandoti di scatto dal letto, aprendo le finestre che portano alla terrazza, munita di cellulare per farti un barlume per riuscire a muoverti. La luce non è molta, ma abbastanza per permettere ai tuoi occhi assonnati di capire che non è lì.
Quante volte hai bagnato il tuo cuscino di lacrime? Quante altre hai stretto a te un tuo peluche immaginando che fosse lui? E quante ancora hai tormentato il tuo cuore, ormai ridotto ad uno straccio, con quei pensieri negativi che ti sussurrano all’orecchio che non tornerà mai più per il semplice fatto che non ti vuole più nella sua vita?
Non ne puoi più di vivere così, aspettando invano il suo ritorno, ogni notte fino a che non ti addormenti a fissare il cielo, ma lo fai da talmente tanto tempo, che non ricordi più come si faccia a vivere davvero.
Non hai ancora baciato nessuno, non hai un ragazzo, non hai amici se non la kunoichi che ogni tanto viene a trovarti, quasi per pietà. Che vita patetica la tua, senza uno scopo preciso. Solo quello di essere lì quando, e se, lui tornerà.
Ora, dove sei? Non è difficile immaginarlo... sei su quella terrazza, con gli occhi color nocciola, che una volta erano pieni di allegria e gioia di vivere, ricolmi di lacrime, ed i capelli rosa, ormai allungatisi di qualche ventina di centimetri, in balia del vento che ti schiaffeggia il volto. Stai esaminando il firmamento per la milionesima volta, come se più lo osservassi, e meno stelle ti separassero da lui.


E che dire ti te, caporale Giroro? Una volta eri valoroso, una volta contavi davvero qualcosa. È bastata una ragazza Pekoponiana per metterti KO?
Tu che stai sprecando anche gli ultimi anni in cui avresti potuto sistemarti con una moglie, una casa e una famiglia, come hanno fatto i tuoi ex compagni di avventure. Ma invece che goderti la vita al meglio, preferisci provare e riprovare a farti mandare dall’esercito Keroniano anche solo in pattuglia sul pianeta Pekopon, anche solo per poter rivedere un attimo il suo viso, solamente un’ultima volta, e vedere com’è diventata ancora più bella in tutti questi anni in cui non le sei potuto stare accanto. Vuoi almeno accertarti che sta bene, tu che con il volto arrossato dall’imbarazzo l’hai già vista donna, e te la immagini, torturandoti l’anima ogni sera con il pensiero di lei tra le braccia di quel conduttore radiofonico che hai tanto odiato. Ma immaginarla felice con l’uomo che ama, non è sufficiente a restituirti il tuo sorriso, che per quella ragazza sapevi sempre far riapparire dal nulla.
È da egoisti, e tu lo sai. Ma che ci puoi fare? Vorresti vederla felice con te, vorresti che lei ti dica quelle parole che hai sempre sognato: “Resta per sempre qui con me, Giroro, insieme ci rifaremo una vita sulla Terra, solo noi due...” invece, lei ti aveva lasciato andare, solamente guardandoti con gli occhi acquosi. E quel gesto, ti aveva fatto male più di tutte le volte che i tuoi compagni ti avevano usato come cavia.
Pretendi forse troppo dalla vita? Dopo tutto quello che hai passato, non sai nemmeno cosa significhi il verbo “pretendere”. Tu non hai mai preteso niente, né dalla vita, né dalla tua adorata. Tu ti sei sempre limitato a sperare, e a perseverare, per non dire illuderti...
Tu non esigevi che ti amasse, tu provavi ogni giorno a rivolgerle due o tre parole gentili, un gesto gradito, e qualche salvataggio occasionale, per far sì che lei ti accettasse, anche se in cuor tuo, hai sempre saputo che ciò, non sarebbe mai successo.
Ma perché ti tormenti ogni notte immaginando la tua Natsumi tra le braccia di quel damerino dagli occhi blu? Non te lo sai spiegare, come non sai spiegarti perché invece di richiedere alle forze armate del tuo pianeta di mandarti a svolgere un incarico su quello dell’oggetto dei tuoi desideri, non hai già fatto le valigie, non hai preso il primo treno spaziale che portasse alla stazione zero di Tokyo, e non ti sei definitivamente trasferito sulla Terra.
Perché ingenuo come sei, credi che rincontrandola tu sia di troppo, che ti metteresti di nuovo in mezzo alla coppietta felice che ti sei immaginato tutte le notti da quel giorno disgraziato. Sei certo che avendo una missione affibbiatati dall’esercito, tu riesca a trovare una scusa per tenere a freno i tuoi istinti. Ti rendi conto di come ti sei ridotto? A trovare delle giustificazioni perfino con te stesso.
Ammettilo. Anche se ti ripeti il contrario, non hai mai smesso un attimo di amarla come l’amasti il primo giorno.
Ammettilo. Senza di lei, non hai motivo di esistere. Senza di lei, ti senti perso.
Allora perché non corri da quella donna dai capelli rosa? Perché temi che una volta visto, lei sia arrabbiata con te per il modo in cui l’hai lasciata quella sera di agosto.
Arrenditi. Stai sfidando il tuo orgoglio e il tuo cuore, è una battaglia che sai di non poter vincere, ma che va avanti da anni ormai. Hai giocato col fuoco da quando ti ha sconfitto quel giorno, e ora, porti i segni delle bruciature nel tuo spirito.
Ora sei sul tuo letto a misura di Keroniano, rannicchiato su te stesso, con in pugno quella foto di cui non riesci a fare a meno, mentre le lacrime ti segnano il viso, che troppe volte, ormai ha dovuto sopportare quel liquido salato scendere su di esso.
Non sei cambiato di una virgola da quando vi siete salutati, sei sempre lo stesso soldato rosso fuoco, lo stesso di quella volta, sei solo più alto di forse mezzo centimetro. E ora, quando hai voglia di piangere, non trattieni più tutto dentro di te, perché hai finalmente capito che fa male più di quanto non lo faccia guardarti attraverso uno specchio e vedere il tuo volto, una volta orgoglioso, rigato dalle lacrime.
Ti affacci alla finestra di camera tua, guardi quella che, per quanto ne sai è la sua galassia, accarezzando con un polpastrello quella foto, ormai sfigurata dal tempo, pronunciando tra un singhiozzo e l’altro, quel nome all’infinito.

Ed ora eccovi qui, ad auto-commiserarvi sui vostri rispettivi letti, a piangervi addosso, come se potesse risolvere le cose.
Dove sono i due valorosi combattenti pronti a difendere le loro specie? Che fine hanno fatto la guerriera Pekoponiana ed il soldato Keroniano? Una volta eravate due campioni, una volta terrorizzavate mezzo universo solo a far udire il vostro nome.
Ora guardatevi, avete le lacrime agli occhi, vi siete affacciati per l’ennesima volta alla finestra, sperando invano che un giorno vi possiate ricongiungere l’uno all’altro.
Dopo tutti quegli anni che avete passato nell’indifferenza verso questo sentimento, ora, siete perseguitati dall’amore... ora, siete vittime del vostro stesso cuore... lo stesso che ogni giorno vi permette di vivere, ma vivere in quelle condizioni.
Entrambi, vivete nella speranza di potervi rincontrare.
Entrambi, credete di essere di troppo nella vita dell’altro, e che sia più felice senza di voi.
Entrambi, non sapete quanto siano sbagliati queste vostre idee.
Entrambi, vi tormentate con pensieri inesistenti.
Entrambi, ogni notte consumate tutte le vostre lacrime guardando il cielo.
Entrambi, nonostante tutti questi anni, vi ostinate a sperare.

È tutta colpa vostra se adesso state così male.
È tutta colpa di quell’addio maledetto.




Disegno!!! ^^ (aggiunto dopo aver messo la fanfiction)



(Personalmente, l'ho fatto io, e sono super emozionata a metterlo quì! Il link -----> http://live4love136.deviantart.com/art/When-loneliness-takes-over-398274789 )


_____Angolo_Autrice_____________________

E quì ritorno in scena prima del previsto...
Non fraintendete: sarò via una settimana da domani come previsto, ma credevo di farmi di nuovo viva quando me ne sarei ritornata dalla mia "vacanzetta". Ma che ci posso fare? Ieri sera alle tre di notte mi è venuta l'ispirazione e la voglia di scrivere, e quando ho voglia di scrivere mi metto a scrivere, e così eccoci qua ^^ stamattina (dopo aver dormito fino a mezzogiorno, è chiaro) ho ricontrollato il tutto e aggionto qualche miglioria.
La storia è triste (ma va?!), e faccio i miei complimenti a chi è riuscito ad arrivare fino alla fine. E nei punti un cui L'autrice, cioè io, si rivolge ai protagonisti, è a libera interpretazione, cioè, potete davvero credere che sia io a parlargli, o potete pensare che sia una specie di loro subconscio interiore, o quant'arlto.
L'ho fatta per salutarvi in modo dignitoso, e spero di avervi fatto commuovere, non vi è scesa almeno una lacrimuccia? Se è così, bene! Visto che il mio scopo era quello :3
Se ho voglia, rispondo stasera alle (se arriveranno) recenzioni, altrimenti ci rivediamo tra una settimanella.
Ciao! Mi mancherete tanto!

L'autrice
  
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