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Autore: HuGmyShadoW    23/02/2008    5 recensioni
-Staremo insieme per sempre, vero?-, bisbiglio. Gli occhi mi si inumidiscono inspiegabilmente.
Lui abbassa la testa con fare impacciato. Quanto è tenero...
-Non lo so...-, risponde in un sussurro, trafiggendomi con uno sguardo carico di... che cosa? Non riesco a capirlo…
-Ma certamente finché tu lo vorrai...-.
Sorrido.
-Me lo prometti?-.
-Te lo prometto...-.
Un altro sorriso. E insieme, ci perdiamo...”

Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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One-shot drammatica.... Enjoy it! XD


Lo sferragliare veloce delle ruote sulle rotaie provoca un dolce dondolio.
Il calore dello scompartimento e la morbidezza dei sedili di pelle sono decisamente piacevoli. Tutto è silenzio...
Improvvisamente, un fischio acuto e prolungato mi fa sussultare.
Alzo la testa che fino a poco prima era rimasta appoggiata al freddo finestrino, e batto più volte le palpebre, guardandomi attorno.
Mi ero addormentata.
Mi risistemo in posizione eretta stiracchiandomi voluttuosamente, e sbadiglio, mettendo in mostra ogni dente della mia bocca. Meno male che sono sola nel mio scompartimento!
Ancora intontita, lascio correre il mio sguardo fuori, oltre quel claustrofobico salottino, e vago con la mente lontano, molto lontano... Chiudo gli occhi...

“-E dai, smettila! Ah ah ah!! Smettila!-.
-Ah ah ah!! No! Ora non puoi più sfuggirmi...-.
Un attimo dopo, le Sue braccia si stringono attorno al mio corpo, immobilizzandolo in una morsa gentile, e le Sue labbra fresche salgono già lungo il mio collo morbido, cercando la mia bocca, la mia vita...”

Apro di scatto gli occhi, e il mio sguardo lucido incontra quello del suo riflesso, imprigionato solo dal vetro di un finestrino.
Volto la testa e deglutisco, cercando di scampare all’inevitabile tramonto che si affaccia dal profilo immutabile di montagne sconosciute. Mi passo una mano sulle palpebre. Sono stanca.
Improvvisamente, mi accorgo di avere il cuore in gola, e il respiro affannato. Un senso di doloroso vuoto ha preso possesso del mio stomaco.
Può un semplice ricordo fare così male?
Mi prendo la testa fra le mani tremanti e la appoggio alle ginocchia.
Una cascata di capelli neri, che appaiono come una pioggia di liquido oro nero, mi coprono il viso e mi nascondono alla vista.
Allo sguardo di chi sto cercando di sfuggire?
Chiudo ancora gli occhi, e stavolta faccio bene attenzione a svuotare del tutto la mia mente.
Ecco... Silenzio... Pace... Nessun rimpianto...
Rimango così rannicchiata svariati minuti, ascoltando il battito impazzito del mio cuore.
Quando finalmente questi pare capire di aver fatto sentire abbastanza la sua voce, si calma. Riemergo dalle mie ginocchia e dal vuoto nella mia testa.
Mi appoggio allo schienale e respiro profondamente.
A quanto pare, i miei sforzi di non abbandonarmi più al passato sono stati del tutto inutili...

Il treno sbuffa e fischia ancora, avvertendo il sole, ormai morente, che lui invece non si ferma, continua la sua corsa, instancabile. E il sole pare quasi rispondergli...
Un luccichio mi abbaglia per un momento. Alzo la mano a schermarmi gli occhi e osservo estasiata il paesaggio che sfila, incantevole, davanti a me.
Ogni cosa è arancione: case, campi, alberi, persone...
Chissà la mia faccia di che colore sarà...
Un fiume comincia ad accompagnarmi, amico silenzioso, e io desidero per un attimo smarrirmi nel suo azzurro.
Come un battito d’ali, improvviso quanto leggero, ecco un altro ricordo, ancora più dolce, ancora più doloroso...

“-Sei sicuro che ci si possa stare, qui?- domando, un po’ preoccupata. Il mio abitino senza maniche mi svolazza pigramente attorno alle caviglie.
-Ma certo! Cosa vuoi che succeda?-, risponde stendendo per terra con un ampio gesto la tovaglia a quadrettoni. Prima di caderci pesantemente sopra, la liscia con la mano, e poi vi appoggia il cestino di vimini.
Ridacchio piano, divertita. Lui e la sua perfezione...
Mi accomodo anch’io, un po’ più aggraziatamente.
Cominciamo a divorare le nostra provviste, gustandole ancora di più grazie a quel senso di libertà di un pic-nic organizzato alla bell’e meglio e di una fuga pienamente riuscita.
Fra imboccate a vicenda e baci che sanno di prosciutto, il tempo vola.
Una passeggiata fra quel verde mare che suggerisce solo di rotolarci sopra, e improvvisamente, una goccia fredda cade sul mio collo e mi scivola lungo la schiena. Rabbrividisco, e levo lo sguardo al cielo. Lo stesso fa Lui.
Ci guardiamo negli occhi a vicenda, poi ci prendiamo la mano e cominciamo a correre.
Nemmeno a metà strada, ecco che un tuono spezza l’aria e il mio respiro. Inizia a piovere a dirotto.
Ridendo e schiamazzando, ci rifugiamo sotto un albero, stretti l’uno all’altra, bagnati fradici. Sorridendo e rabbrividendo, ci guardiamo negli occhi, e mentre tutto scorre, un bacio sigilla ancora una volta il ‘Noi’. Baci dolci e puri, che sanno un po’ di temporale e un po’ di libertà. Baci di fuoco e baci di miele... Baci sotto la pioggia, quel pomeriggio d’estate...”

Lacrime calde e salate prendono a scorrere sul mio viso.
Singhiozzo forte, tanto forte quanto è intenso il dolore al petto, e annaspo nella nera disperazione.
Non resisto più.
Corro nel bagno del treno e vado a vomitare.
Torno, ancora asciugandomi bocca e occhi, e ora più calma, mi siedo di nuovo al mio posto, accanto al finestrino.
Prendo l’iPod dalla tasca dei jeans e mi infilo le cuffiette nelle orecchie. Scorro indecisa le varie canzoni, infine schiaccio “Riproduzione Casuale”. Oggi non mi importa di quello che ascolto, basta che non mi faccia pensare a Lui, unico causa per cui adesso mi trovo su questo treno...
No, no, così non va! Sto ancora pensando a Lui! Maledizione...
Le prime note di “Apologize” invadono la mia mente, zittendola per un momento.
È una delle mie canzoni preferite. Ma è anche la “nostra” canzone...
Ancora... Sta per succedere ancora... E non posso farci assolutamente nulla...

“Notte. Calda, ma non afosa. Una tiepida sera d’estate…
Dolci sospiri, accompagnati dalla voce calda e melodiosa del cantante di cui non ricordo il nome, attirano l’attenzione delle stelle, che, curiose, si affrettano a spiare divertite dalla finestra di quella stanza. E sorridono, solo per noi...
Fra carezze e baci, labbra e capelli, passione e dolcezza, improvvisamente, il tempo si ferma. E per un attimo, io con lui…
-Aspetta...-, mormoro, staccandomi da Lui.
-Cosa c’è?-, chiede, ancora ansante.
Alzo la testa e lo guardo negli occhi. Occhi immensi, profondi, nei quali ci si diverte a specchiarsi la luna. Mi perdo nella loro intensità, e mi scordo di ciò che volevo dirgli.
-Ehi?-, sussurra alzandomi il mento con la Sua mano calda.
Le Sue labbra sono così invitanti...
Prendo fiato... salto.
-Tu mi ami?-, domando, decisa.
Lui mi guarda stupito per un momento, poi sorride e il suo viso pare illuminarsi.
-Certo...-.
Sorrido anch’io, e lo abbraccio. Mi fido di Lui. Non chiedo altro.
Ricominciano i baci, e le carezze, ma io devo fermare tutto di nuovo.
-Cosa c’è ancora?-, chiede. Non è spazientito, e nemmeno irritato.
Guardo le lenzuola candide che mi avvolgono, poi ancora Lui.
-Staremo insieme per sempre, vero?-, bisbiglio. Gli occhi mi si inumidiscono inspiegabilmente.
Lui abbassa la testa con fare impacciato. Quanto è tenero...
-Non lo so...-, risponde in un sussurro, trafiggendomi con uno sguardo carico di... che cosa? Non riesco a capirlo…
-Ma certamente finché tu lo vorrai...-.
Sorrido.
-Me lo prometti?-.
-Te lo prometto...-.
Un altro sorriso. E insieme, ci perdiamo...”

Mi levo con uno strattone lo cuffiette e scaglio l’iPod contro il muro che ho davanti.
Il piccolo aggeggio di plastica fa un tonfo secco contro la parete, e poi cade con un plop! sul divanetto vuoto davanti a me. Non lo raccolgo.
Non ce la faccio più...
Perché adesso quelle parole mi sembrano talmente vuote e prive di senso?
Perché non hai rispettato la promessa?
Ma alla fine chi è stato di noi ad infrangerla?
Non so dare una risposta...
Sento il cellulare vibrare, da qualche parte nella borsa.
Sussulto, e lo prendo, titubante.
Sullo schermo lampeggia il minaccioso segnale “Un nuovo messaggio”.
Deglutisco, e lo apro.
Sospiro. È mamma. Dice che verrà a prendermi alla stazione, domani mattina...
Mi accascio sul divanetto e sbuffo forte dalla bocca. Per un momento, avevo creduto fosse Lui...
Scaccio quello scomodo pensiero e mi metto a smanettare con i minuscoli tastini del cellulare. Inevitabilmente, finisco su “Messaggi”.
I miei occhi azzurri scorrono velocemente la lista.
Nomi insignificanti per me, in quel momento.
Infine, eccolo. Il suo. L’unico messaggio che non ho avuto il cuore di cancellare.
Con dita tremanti lo seleziono, e poi lo apro.
Le lacrime quasi mi impediscono di leggere, ma quelle parole ormai le conosco a memoria...
“Ciao amore! Oggi sono sei mesi che stiamo insieme! Non mi pare vero! Ti passo a prendere fra poco... Ho una bella sorpresa per te! Ti amo.”

Quelle ultime due parole sembrano perforarmi lo stomaco da tanto fanno male.
“Ti amo”... Non me l’aveva mai scritto in un messaggio, né l’aveva mai più fatto in seguito.
Forse è per questo motivo che non me la sono mai sentita di cancellare quel messaggio.
Improvvisamente, nitido come se lo stessi vivendo in questo preciso momento, quel giorno...

-Dove mi stai portando?-, domando divertita, con un pizzico di apprensione.
-Lo vedrai...-, risponde Lui.
Non lo posso vedere perché mi ha bendato gli occhi, ma posso facilmente intuire che sta sorridendo.
La macchina si ferma improvvisamente. Faccio per levarmi la benda, sbuffando, ma un paio di solide mani mi fermano.
-Eh no! Non ti ho dato il permesso di togliertela, anche se siamo arrivati!-.
Io incrocio le braccia sul petto, imbronciata, e due labbra fresche mi sfiorano la bocca corrucciata. Subito dopo, una portiera sbatte, e in un lampo, Lui è accanto a me e mi guida lungo una strada scoscesa. Mi sorregge delicatamente, e ogni tanto mi avverte di fare attenzione a quella buca o a quel sasso.
Il terreno è prima in salita, poi in discesa, infine in piano. Non so perché, ma mi sembra familiare...
È una giornata calda, e il sole batte sulla mia testa, accompagnato nel suo interminabile viaggio dal canto allegro degli uccellini.
Sto per chiedere per quanto tempo saremmo dovuti andare avanti, quando due mani delicate mi liberano d’improvviso gli occhi.
Batto le palpebre, accecata dalla luce che fino ad allora mi era stata negata, e rimango senza fiato.
Mi giro verso di Lui con gli occhi luccicanti, e mormoro:
-Ma questo è il posto dove ci siamo incontrati la prima volta!-.
Lui annuisce solamente, sorridendo.
Non era nulla di speciale, un verde parchetto fuori dal mondo in cui andavo abitualmente a correre, ma per me era più che importante.
Gli salto al collo, circondandogli la schiena con le gambe, e lo bacio, forse più intensamente di quanto io abbia mai fatto.
Lui mi abbraccia forte, ancora più forte, sembra abbia paura che io scappi.
Cadiamo insieme sull’erba, e lì rimaniamo tutto il giorno, stesi su una coperta che Lui aveva prontamente tirato fuori dal bagagliaio dell’auto.
Parliamo del più e del meno, e la notte ci sorprende ancora lì, abbracciati l’uno all’altra, non ancora stanchi di guardarci negli occhi e di assaggiare le labbra dell’altro. Semplicemente innamorati.
Ad un certo punto, Lui alza gli occhi e ridendo, mi indica qualcosa, in alto.
Io rivolgo il mio sguardo al cielo, e un sorriso attraversa il mio volto.
Siamo seduti esattamente sotto la Stella più luminosa di tutte, la Stella Polare.
La Guida, l’instancabile direttrice d’orchestra di quell’enorme, splendente banda che è il Firmamento.
E lì, esattamente al centro dell’universo, ancora una volta, facciamo l’amore...”

Mi ritrovo chissà come sul pavimento, le braccia convulsamente strette allo stomaco e la testa che ho paura mi si stacchi dal collo da quanto la sento girare. Sento con chiarezza lo sferragliare e i cigolii delle ruote sotto il mio orecchio.
Mi metto seduta per terra e chiudo gli occhi, prendendomi la testa fra le mani, tentando inutilmente di fermare il suo ballo sfrenato.
Un fischio acuto spezza il monotono borbottio del treno lungo le rotaie, e mi risveglia per la seconda volta.
Un po’ barcollante, mi alzo rimanendo aggrappata al sedile dietro di me e subito vi cado sopra pesantemente.
Sollevo lo sguardo, e lo punto al finestrino. È scesa la notte. Ma questa è una notte vuota, senza calore e senza stelle.
Un freddo quasi di morte accompagna la brezza che muove gentilmente le cime degli alberi.
Afferro il mio giubbino, caduto anch’esso per terra chissà quando, e me lo infilo.
Ho freddo… Come quella sera… Poco tempo fa, una vita prima...

-Non ce la faccio più! Lo vuoi capire, sì o no?!-.
Urla. Pianti.
-Non posso capirlo se tu non me lo dici!!-.
Pianti. Urla. Che risuonano nella camera da letto di quella casa vuota.
I miei occhi sono lucidi, e le lacrime minacciano di uscire da un momento all’altro. I suoi occhi invece sono gelidi, peggio di un a stalattite di ghiaccio in inverno.
Tremo incontrollabilmente, ma non voglio fargli vedere che piango...
-Non ci sei più, non ti ho mai accanto! Vivi solo col tuo maledetto gruppo! Non hai mai del tempo per me! Ogni secondo libero lo usi per provare quelle quattro canzonette che fate… Ti sei dimenticato anche del mio compleanno!-, urlo, fuori di me.
Chissà come, quando alzo una mano per levarmi dagli occhio un ciuffo di capelli scuro, le mie guance sono bagnate.
Lui è rimasto immobile, chiaramente sconvolto, i pugni stretti e tremanti, un’espressione ferita sul viso. Poi, esplode:
-Non ci sono mai…?! Senti, non è colpa mia se la vita mi… ci ha offerto questa enorme possibilità! Non è colpa mia se abbiamo avuto successo, e non è colpa mia se dobbiamo starcene in giro per il mondo per fare concerti! È successo, punto! Io sono più che felice di me, del mio gruppo, ma lo sai che vorrei stare anche con te!-, sbraita, i Suoi bei lineamenti deformati dalla rabbia. Mi fa quasi paura, non l’ho mai visto così… Arretro, impaurita.
Lui sospira, e prosegue, a voce più bassa, lo sguardo al pavimento:
-Non sai quanto mi piacerebbe tornare a passare il tempo con te… come prima…-. Alza gli occhi verso di me, supplicante, tremendamente dispiaciuto, e le mie lacrime raddoppiano.
-Io me le ricordo ancora… le passeggiate… i pic-nic… la nostra libertà… il nostro amore…-.
Si avvicina, mi prende il viso tra le mani e con i pollici asciuga i miei occhi.
-…Ma non posso… Non posso più…Forse è il mio destino, ma io non voglio rimanere ancora solo… Senza di te, il mio mondo è vuoto…-. No, sono le tue parole ad essere vuote…
Rimango in silenzio, corrucciata, e odiandomi per quello che sto facendo, mi scosto da Lui, il viso nascosto, rivolto alle mie scarpe da ginnastica.
-Hai la musica…-, sussurro impercettibilmente.
Da qualche parte sopra di me, Lui mormora:
-Cosa?-.
Alzo il viso, sprezzante più che mai, e più che mai sola:
-Il tuo mondo è la musica… Io sono solo un elemento di contorno…-.
Gli sputo in faccia queste parole, e un secondo dopo me ne pento.
Lui è allibito, non sa cosa dire. Un attimo dopo riprende ad urlare:
-Ma che stai dicendo?! Tu sei la cosa più importante per me!! Senza la musica posso sopravvivere, ma senza di te…!!-.
-E allora perché non ti sei ricordato di una data così speciale come il mio compleanno?-, gli sibilo.
Lui rimane interdetto, poi sbotta:
-Sai benissimo che quel giorno avevo un concerto, e…-.
-La tua musica ti ha portato via da me… Ammettilo…-.
Lui si blocca, una mano ancora alzata, la bocca spalancata in cerca di giustificazioni silenziose. La chiude, e abbassa la mano, sconfitto.
Sorrido, altezzosa, distaccata, e mormoro, decisa:
-Hai visto? È colpa della tua musica se non puoi più amarmi come una volta, ed è sempre colpa della musica se…-.
-STAI ZITTA!!!-.
Mi si spezza il fiato, e con il respiro, il mio cuore.
-Tu non puoi affermare una cosa del genere!! Lo sai che tu e la musica siete tutto per me, come puoi dire che proprio lo strumento dei miei sentimenti mi abbia separato dal mio Cuore, dalla mia Anima, dalla mia Vita?!-, urla.
Anche i suoi occhi ora sono colmi di lacrime.
Prende fiato, poi mi guarda, a metà tra l’incredulo e il disgustato, e mormora:
-Se davvero tu mi conoscessi non avresti mai affermato una cosa simile… Se tu davvero mi amassi…-.
Si interrompe, e portandosi una mano alla bocca, come se si fosse tagliato, mi volta le spalle. Sì, forse i contorni della parola ‘amore’ adesso non sono più così levigati.
Non ci vedo quasi più, le lacrime mi appannano la vista. Singhiozzo in silenzio, e con le dita premute sulle labbra a mia volta, comincio a muovere qualche passo verso di Lui, malferma.
Allungo una mano tremante, per toccarlo, ma quando sto per aprire bocca, per chiamarlo, per dirgli di voltarsi, la Sua voce mi pietrifica.
Bassa e roca, mi scuote la cassa toracica e mi perfora il petto:
-Vattene…-.
Ferita a morte, tento di protestare debolmente:
-Ma…-.
-HO DETTO VATTENE!!!-.
Ecco.
Con tre parole, la mia vita è finita.
Molto semplicemente, quasi indolore.
Non provo nemmeno a ribattere, non riuscirei a trovare la forza, figuriamoci le parole.
Accecata dal dolore, afferro la borsa posata sulla sedia lì accanto. Non mi serve altro.
Marcio verso la porta e annaspo un po’ prima di trovare la maniglia.
La abbasso, e faccio per andarmene, quando…
-Non hai mantenuto la promessa…-.
Quel mormorio indesiderato scivola attraverso le mie labbra prima che io avessi potuto fermarlo.
-Cosa?-. Lui si volta e mi fissa, confuso.
-La promessa che mi avevi fatto…-.
Rimane concentrato un momento, poi il suo viso si illumina: ha ricordato.
-Avevi detto che saremmo rimasti insieme per sempre…-, riprendo.
-Ho detto che non lo sapevo se fosse stato davvero così…-.
-…finché l’avrei voluto io…-, continuo imperterrita.
Il suo sguardo si indurisce, mentre si fissa nel mio.
-…Tu vuoi rimanere?-.
Mi mordo un labbro. Altre lacrime scorrono lungo il mio viso, cadendo aggraziate a terra.
-…Non più ormai…-.
E senza un addio, un’ultima parola, un qualsiasi cenno, me ne vado, chiudendo dietro di me una porta, oltre la quale provengono singhiozzi nascosti, e il mio passato…”

Lo schermo del cellulare appare sfocato fra le mie mani tremanti.
Gocce salate di inimmaginabile peso vi cadono sopra.
Piango.
Che strano, credevo di aver esaurito le lacrime, quel giorno…
Già, quel maledetto giorno…
Solo due notti fa… Sembrano passati secoli…
Ma come ho potuto essere così cieca?!
Come ho potuto buttare al vento tutto? Se ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo d’amore adesso mi brucia dentro, la colpa è solo mia…
Non ho mai capito il Tuo amore… Forse non lo capirò mai…
Perché?!
La più inutile delle domande, in questo momento, ma la più giusta…
Gelosa… Ecco perché.
Ero tremendamente gelosa del Tuo gruppo, della Tua fama, di Te…
E non ho capito che Tu eri già mio, che eri la mia Vita.
Infatti, senza di Te sono morta.
Il mio corpo è freddo, sottoterra già da due giorni, perché Tu non ci sei.
Adesso ho finalmente aperto gli occhi. Adesso so di poter rimediare.
Con un sorriso di speranza ad accendermi gli occhi e il cuore, scorro i nomi della rubrica del mio cellulare, e quasi subito mi fermo.
Eccoti.
Il tuo nome, il più bello in assoluto.
Bill.
Solo il suono è pura magia.
Sono quasi euforica, non presto attenzione a nulla, anche se mi pare di sentire delle urla risuonare nella notte…
Non ci faccio caso. Non ora, che potrò finalmente riascoltare il suono della tua voce…
Con un dito tremante, schiaccio il minuscolo tastino verde, e mi porto il telefonino all’orecchio.
Sì, potrò spiegarmi, Tu mi capirai, ne sono sicura, e
…TU-TU-TU-TU-TU...


Sono passate solo poche ore.
Una nebbia innaturale si è alzata.
Una figura ammantata di nero aleggia fra tutto quel bianco.
Corre, affannata, e ogni tanto inciampa sul terreno sconnesso.
Tutto tace, e i passi affrettati, angosciati di quella figura risuonano e rimbalzano dappertutto.
Poi, una sagoma grottesca e deformata emerge dalla nebbia.
La figura si ferma,e trattiene il fiato.
Un urlo strozzato rimane bloccato nella sua gola.
Deglutendo, senza più un briciolo di saliva in bocca, ricomincia a correre, spossato. Ma non può fermarsi, non adesso…
Le lamiere accartocciate ancora fumano, levando spirali di fumo come mani in cerca di aiuto, celate al cielo indifferente da quella maledetta nebbia.
Bill si avvicina con passo tremante alla fiancata distrutta del treno, e leggendone il nome, geme e si accascia a terra, vuoto.
Ogni speranza è morta.
Lì, solo, seduto per terra, ricorda…
La notizia al telegiornale dello scontro fra due treni, il panico, l’angoscia, il viaggio interminabile in aereo, e ora…
Ora nulla. Tutto era perduto…
Rimane immobile nella stessa posizione diversi minuti, ad ascoltare il proprio cuore e a chiedersi come mai non si sia fermato come il Suo…
All’improvviso, una disperata e folle idea gli si accende nella mente.
Tremando, si cava frettolosamente dalla tasca il cellulare.
Lo guarda, quasi incredulo di ciò che sta per fare, già rassegnato.
Lo apre e scorre la rubrica.
Ecco.
Il suo nome.
Se solo qualcuno rispondesse, ora… Se solo quell’ultima speranza non si spengesse…
Trattiene il respiro, poi preme il minuscolo tasto verde e si porta l’apparecchio all’orecchio.
Aspetta…
Uno squillo.
Il cuore gli si ferma.
Due squilli.
Un sorriso si allarga sul suo viso stravolto.
Tre, quattro, cinque, sei…
Poi una voce fredda, metallica, orribilmente cortese lo avvisa che “il cellulare della persona chiamata può essere spento o irraggiungibile. La preghiamo di riprovare più tardi.”
Accecato dalle lacrime e dal dolore, Bill scaglia lontano il telefonino, che si schianta contro il metallo del treno fumante con una ridondante eco di plastica in frantumi.
E lì rimane…

Poco lontano, in uno scompartimento ormai ritorto su se stesso, fra quattro accartocciate, opprimenti pareti sanguinanti, l’ultimo fantasma di una moderna suoneria si perde nella notte.
Un cellulare, stretto convulsamente da una mano bianca e fredda, vibra un’ultima volta, prima di spegnersi definitivamente.


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