Capitolo 10- Must not meet again
Kevin
si svegliò all’improvviso, di soprassalto, ma non aveva avuto quel suo solito
incubo. Stavolta non era stato quel sogno a farlo svegliare. Guardò l’orologio,
erano le dieci passate. L’appuntamento con Melissa ed Herik era per le sette e
mezzo.
Chissenefrega…
Guardò
sotto di lui, Kathrine dormiva ancora, apparentemente serena. Respirava piano,
i suoi occhi apparivano ancora arrossati, ma lei sembrava respirare
regolarmente, non c’era più la convulsità di quegli intollerabili singhiozzi
che ancora sentiva nelle sue orecchie. Le accarezzò piano la guancia, sentiva
ancora il cuore spezzato da quell’immenso dolore che lei gli aveva provocato
con quella sua confidenza del giorno prima. Lei si mosse piano e si appoggiò
meglio sul suo petto, e lui sorrise. Poi con attenzione cercò di sollevarsi,
non svegliandola, e riuscì a farlo, facendola appoggiare di nuovo sul cuscino.
Si vestì velocemente, dopo aver fatto una doccia, e scese per strada, dove
l’accolse un’ancora fredda e sonnacchiosa Parigi. Voleva che il risveglio fosse
quanto più dolce possibile, voleva che lei tornasse a sorridere e dimenticasse
effettivamente quello smisurato dolore, che aveva condiviso con lui quella
notte. Era strano che avesse tanto a cuore una persona che non facesse parte
della sua famiglia, e soprattutto una persona che doveva essere solo un mezzo
per raggiungere i suoi scopi.
Bè
che me ne importa? L’importante è che lei stia bene…
In
poco tempo, entrò in una pasticceria e comprò un paio di brioche fumanti,
ripiene di crema e marmellata alle fragole, come piacevano a lei, poi passò da
un fioraio e le comprò un mazzo di girasoli, trattenuti assieme da un nastro
verde, e infine un braccialetto con dei ciondoli a forma di margherite bianche
e gialle, con un basco con due margherite dello stesso tipo. Ritornato in
albergo, prese un pezzetto di carta e le scrisse un piccolo messaggio, pregando
Riad di consegnarle tutto. Poi Kevin si andò a sedere nella sala comune per
fare colazione a sua volta. L’uomo sorrise,
evidentemente la sera prima i due avevano litigato e lui adesso cercava di fare
pace, e si affrettò ad andare a bussare alla porta della stanza di Kathrine.
La
ragazza si svegliò bruscamente, borbottando tra sé e sé, finalmente stava
dormendo profondamente! Si guardò attorno, non c’era traccia di Kevin… dove
cavolo era andato? Quel ragazzo era veramente strano, l’aveva lasciata da sola
per l’ennesima volta… si alzò pigramente dal letto ed andò ad aprire la porta,
convinta che fosse lui. Quando si ritrovò davanti Riad, con l’enorme vassoio
per le mani, pensò subito ad un regalo dell’indiano e della moglie. Poi notò un
piccolo biglietto in carta rossa, coperto da qualche parola, scritta con una
grafia disordinata.
Stamattina ho pensato di farti questo regalo perché ammetto di
essermi preoccupato parecchio per te stanotte. Ma lo so che tu sei forte, sei
maledettamente forte, e riuscirai ad andare avanti. Riuscirai a dimenticare e a
non darla vita al bastardo, che ti ha fatto questo. So che non volevi frasi
fatte, e forse queste lo sono. Per questo, te le ho scritte, e non te le ho
dette. Quando scenderai, sarà come al solito, tu non ne parlerai e io nemmeno.
Torneremo come sempre, perché tu sei una bella persona, e io voglio che tu lo
rimanga, nonostante tutto questo. E se non ci credi, pensa a quello che hai
fatto per me e risponditi che un’altra persona non lo avrebbe mai fatto per uno
che è praticamente uno sconosciuto. Grazie Kathrine.
Kevin
Kathrine
sorrise leggermente stupita da quel piccolo messaggio, e addentò una brioche.
Si sedette in veranda e si mise a guardare il cielo nuvoloso di Parigi. Kevin
aveva ragione, aveva ragione, doveva andare avanti, non tanto perché così la
sua vita si sarebbe fermata, non tanto perché avrebbe avuto paura di essere
toccata da alcun’altro uomo, ma per quel maledetto che le aveva fatto male. Per
lui. Perché, dovunque fosse, non avesse la soddisfazione di averle rovinato la
vita. E poi, non era anche ora che tornasse a pensare in positivo come faceva
sempre? Lui non ci era riuscito, non le aveva fatto quello che voleva, la
fortuna era stata dalla sua, e forse da
quell’esperienza poteva ricavare qualcosa di positivo. Tipo essere più
prudente, tipo stare più attenta, tipo ascoltare le continue raccomandazioni
dei suoi genitori. Mentre si guardava allo specchio, provandosi il basco che le
aveva regalato Kevin, sorrise. C’era un altro insegnamento che quella
esperienza le aveva insegnato.
Le
persone non sono mai come sembrano… solitamente possono anche essere meglio…
molto meglio…
“Vuoi
dire che questa è casa tua?!” eruppe Kathrine in una esclamazione di autentica
sorpresa, premendo una mano sul suo nuovo basco, che le stava per volare via
per una folata troppo forte di vento
“Perché
che c’è di strano?” chiese Kevin, leggermente contrariato. Va bene che quella
non era veramente casa sua, ma solo la dimora provvisoria di Herik e Melissa,
ma se Kathrine avesse visto la sua vera casa, il palazzo di Nemesi, sarebbe
rimasta ben più sorpresa.
Kathrine
lo guardò ancora perplessa, poi disse scettica: “Non ti facevo così…”
“Così
cosa, Kathrine?!”
“Insomma,
vivi in una specie di castello!”disse alla fine lei, guardando l’elegante casa
che c’era di fronte a lei. Assomigliava molto a quei ridenti cottage che si
trovavano sulle sponde dei laghi montani, con i mattoni a vista, e i rampicanti sulle pareti esterne. Le sue
finestre erano circolari e dall’aspetto abbastanza antico, esattamente come il
porticato che metteva in comunicazione la porta d’ingresso e il grande
giardino. Quella casa doveva essere abbastanza antica da valere parecchio…
“Che
ti avevo dato l’aria di essere un poveraccio?!” le chiese lui, guardandola
dall’alto in basso
“No,
ma insomma…” farfugliò lei, per poi ammettere con un sorriso falsamente
colpevole “…diciamo che siamo là…” .
“Perché
vivo in un piccolo appartamento per studenti non significa che sia lo stesso
per i miei… ti ricordo che io sono scappato da questa casa… e adesso vivo per
conto mio… se non devo contare sulle loro finanze, ma solo sulle mie, è normale
che non posso permettermi granché… ” le spiegò lui, come se stesse parlando ad
una bambina particolarmente testarda e capricciosa.
Kathrine
fece un piccolo verso d’assenso, anche
se non era del tutto convinta, mentre Kevin, alzando gli occhi al cielo, si decise a suonare finalmente il
campanello.
Nessuna
voce rispose, ma in compenso il portone di ferro battuto si aprì con lieve
cigolio. Kevin sorrise tra sé e sé, era chiaro che Herik e Melissa li avevano
già visti arrivare.
Kathrine
lo tirò per la manica della felpa e gli chiese: “Sei sicura che i tuoi non ci
siano? E se poi ti vedono?”
Kevin
rispose noncurante: “Per questo devi entrare prima tu e avvisarmi se loro ci
siano o meno… se sì, ce la diamo a gambe… chiaro?”
“Non
mi sembra granché questo piano…”
“Ma
siccome è l’unico che ho, ci dobbiamo arrangiare, va bene?!” replicò lui
nervoso, per poi spalancare gli occhi, quando lei gli chiese: “Tu non hai
fratelli, vero? Quindi non c’è rischio che devo stare attenta anche a loro?”
Kevin
la guardò soprappensiero per qualche istante… Povera, povera Elissa… che
cosa ti ha fatto mio fratello?… per un attimo, il ragazzo moro si fermò,
memore del suo sogno, di quello che aveva visto, di quello che lo perseguitava
da giorni. Kathrine ferita… e poi quelle strane parole che prendevano sempre il
suo cervello, in ogni momento… Elissa e … suo fratello, o chiunque egli fosse…
tracce scolorite, ma incise a sangue e fuoco… come se fossero ricordi di una
vita precedente… già, come se questo fosse possibile… doveva cercare di
calmarsi, sia per lui che per Kathrine… sapeva di che pasta erano fatti Herik e
Melissa, non si fidava totalmente di loro, e quindi doveva sempre stare attento
a Kathrine.
Percorsero
il viale in silenzio, fino a fermarsi davanti alla porta d’ingresso. Finse di
nascondersi dietro un cespuglio, mentre Kathrine suonava il campanello. Il
sangue gli si congelò nelle vene. Un’ombra scura si abbatté su Kathrine,
tramortendola, mentre la ragazza cadeva supina a terra. Uscì dal suo
nascondiglio per soccorrerla e per scagliarsi contro il misterioso aggressore,
ma un dolore acuto lo colpì alla nuca: i suoi occhi si annebbiarono, e non
sentì più nulla.
Kevin
serrò forte gli occhi, sebbene fosse ancora incosciente. Cercava di aprirli, ma
non c’era niente da fare, erano come bloccati, voleva solo continuare a
dormire. Mentre piano ritornava cosciente, avvertì chiaramente di essere stato
avvolto per qualche istante da un bagliore dorato, che gli aveva spalancato gli
occhi, sotto le palpebre chiuse. Cercò quasi di ritornare a quella piacevole
sensazione di nulla, che provava prima, ma non ci riuscì. Stava ritornando ad
essere cosciente. E immediatamente un ricordo incatenò i suoi pensieri…
Kathrine … finalmente, cercò di risollevarsi ed aprì gli occhi azzurri,
guardandosi disperatamente intorno. Era in una camera scura, buia e polverosa,
ed era disteso su una specie di divano, con una fodera di colore rosso cupo,
che però era ormai stinta e simile ad un rosa antico. Si mise una mano sulla
nuca, che pulsava enormemente mista ad un senso d’intrusione, come se qualcuno
fosse entrato nella sua mente. Adesso ricordava… qualcuno lo aveva colpito
sulla testa e lui aveva perso i sensi. Chi era stato? Melissa? Herik? E perché?
E poi… da quanto tempo era incosciente? Che cosa avevano avuto il tempo di fare
a Kathrine?
Si
risollevò, ma, mentre lo faceva, sentì una voce morbida perforargli il
cervello: “Allora, Vostra Altezza, finalmente vi siete svegliato… temevo che vi
sareste perso tutto lo spettacolo…”
Sollevò
lo sguardo e vide che sopra di lui levitava, dolcemente sospesa, Melissa, che
lo guardava con quel suo solito sorrisino beffardo.
“Cosa
è successo? Dov’è Kathrine?” chiese più furioso che preoccupato
“Calmatevi,
Altezza!” rise lei, scendendo e ponendosi di fronte a lui “La vostra amica sta
benissimo… siamo molto vicini a scoprire il suo mistero, c’è il Maestro con lei
adesso…”
“Herik?
Che le sta facendo?”
“Nulla
di irreparabile, ve l’ho detto…” ripeté Melissa, ancora sorridente
Kevin
si sollevò bruscamente dal divanetto, poi, in un fascio di luce, comparve una
spada affilata nelle sue mani, che furioso puntò alla gola dell’esterrefatta
ragazza: “Che diamine le sta facendo, dannazione?!” urlò, senza cercare di
moderarsi.
Melissa
deglutì rumorosamente, e rispose, senza più ombra di falsi sorrisi: “Sono da
quella parte, nella stanza attigua…”
Kevin
la lasciò bruscamente e lei ricadde per terra, tenendosi la gola. Era la prima
volta che aveva avuto paura, strano… il ragazzino le aveva fatto paura… sorrise
gioiosamente tra sé e sé…
Il
ragazzo intanto varcò la soglia della stanza attigua, l’elsa della spada sempre
in pugno, dopo aver recuperato il suo aspetto alieno. I suoi capelli erano solo
leggermente più lunghi, ma per il resto era esattamente uguale a prima, a parte
l’uniforme bianca ed oro. Non si preoccupò molto della possibilità che Kathrine
lo vedesse… …l’importante che lei sia ancora viva…
La
sua attenzione fu attirata da un bagliore, che veniva dalle sue spalle, dove,
coperta da una tenda azzurra, c’era una piccola porta. La varcò in silenzio, e quello che vide lo
lasciò a bocca aperta.
Era
assolutamente impossibile che in quella casa, nonostante tutto, abbastanza
piccola, esistesse una stanza così grande. Era praticamente immensa, di almeno
una decina di metri, che si snodavano
sotto le forme filiformi di una serie infinita di colonne bianche con capitelli
dorici. Kivar continuò a guardare quelle colonne senza capire adesso dove si
trovasse, come se all’improvviso fosse uscito da quella casa e fosse in un
luogo al confine dell’Universo. Tutto attorno era un velluto di stelle, e
sembrava quasi di volteggiare, non esisteva più alcuna forza di gravità.
Sentì
una presenza dietro di sé, e si voltò prontamente con la spada sguainata, per
poi fermarsi, quando si rese conto che si trattava di Herik. Quell’uomo gli
aveva sempre dettato inquietudine, sebbene lo avesse visto pochissime volte; di
solito, era Melissa che incontrava, non lui, quello che Melissa chiamava il
“Maestro”. Il suo volto non era mai visibile, perché indossava sempre una lunga
tunica nera, con un cappuccio pesante in testa, da cui di tanto in tanto
baluginavano due sottili ed angoscianti occhi oltremare, che rabbrividivano i
pensieri. Nelle mani rugose, teneva un lungo bastone, sormontato da una gemma
di colore rosso fuoco, che accendeva i capelli candidi e lunghi, che uscivano
dal suo cappuccio.
“Dov’è
Kathrine?!” chiese Kivar, senza preoccuparsi di poterlo offendere “Perché avete
tramortito me e lei?”
Lui
all’inizio non rispose, limitandosi a superare Kivar: “Per questa ragione,
Vostra Altezza… perché non mi avreste dato libertà di agire… ci tenete molto a
lei, vero?” concluse con la sua voce, che sembrava spaventosamente simile ad
una risata
Il
ragazzo non si scompose minimamente, in fondo stava studiando per succedere a
sua madre alla presidenza di Nemesi, quindi doveva più che mai abituarsi a
trattare con personaggi del genere: “Quello a cui tengo o di cui mi importa non
è affare né tuo, né di Melissa… se dovesse ripetersi una cosa del genere, la
nostra collaborazione terminerà qui, e
non mi dispiacerà molto… il vostro aiuto al momento non mi ha ricavato nulla,
non avete dato risposta a nessuna delle mie domande, e molto probabilmente
avrei avuto molti più responsi, se avessi messo sotto torchio mia madre… quindi
vediamo di sbrigarci… per prima cosa, voglio vedere se sta bene Kathrine, poi
parliamo del resto…”
Herik
emise un rantolo ed indicò un angolo dell’immensa stanza, dove splendeva una
forte luce dorata, che chissà perché, Kevin non aveva notato prima. Corse in
quella direzione e rimase immobile, senza parlare, guardando quello che aveva
di fronte. Di fronte a lui c’era
Kathrine, abbigliata come una principessa, aveva un lungo vestito bianco, con
una gonna molto ampia e con lo scollo rotondo.
Era in orizzontale, sospesa nell’aria, esattamente come lui, ed era
ancora incosciente, i suoi capelli biondi che cadevano lascivamente oltre le
sue spalle e volteggiavano piano, leggermente trattenuti da una corona di
grandi fiori rosa. La cosa più singolare era però che le sue braccia erano
aperte e ricadevano, disegnando una specie di v, e che dalle sue mani cadevano
gocce di sangue scuro; aveva infatti due grossi tagli su ambo le mani.
“Perché
è ferita?” chiese Kivar, voltandosi con rabbia verso Herik
“Ci
serviva il suo sangue…” rispose l’uomo, avvicinandosi di nuovo al ragazzo
“Guardate che cosa c’è sotto di lei…”
Kivar
lo guardò senza capire, poi si decise a sporgersi. Aveva già notato che le
gocce di sangue, arrivate ad una certa altezza, sparivano, ma adesso si rese
conto del motivo. Sotto di Kathrine, c’era un grande cerchio dal bordo
luminescente, che era tremolante ed ondeggiante, come la superficie di un lago.
Nonostante questo, si vedeva perfettamente che cosa c’era dall’altra parte.
“Nemesi…”
mormorò Kivar sorpreso all’indirizzo di Herik “Com’è possibile? Quello è il
collegamento che avete usato tu e Melissa?”
“Assolutamente
no, Altezza… il nostro collegamento si trova nelle fondamenta della Cattedrale
di Notre Dame, che, se ben ricorda, viene considerata il centro della Francia…
lì, c’è molta energia mistica…” rispose Herik con voce stavolta indecifrabile
“Questo collegamento è stato appena aperto… e lo ha aperto lei, la vostra
Kathrine…”
“Lei?!”
chiese sgomento Kivar
Herik
rise ancora, poi si decise a continuare: “Esattamente, Altezza… certo c’è
voluta un po’ di magia per indirizzare il suo potere, ma è stata la sua energia
ad aprire un portale, qui, in questo momento… una cosa che, come voi ben
sapete, è impossibile ai poteri della nostra razza, altrimenti io e Melissa lo
avremmo fatto per venire qui, senza farvi scomodare a venire in Francia…”
“E
allora Kathrine come ha fatto? E’un’aliena per caso?”
“No,
assolutamente no…” rispose Herik, dandogli le spalle “E’una terrestre, ma
possiede più potere di qualsiasi essere vivente dell’intero Universo… ci abbiamo
messo parecchio per capire bene di che creatura si trattasse, ma alla fine
l’abbiamo capito. Sapete, pensavamo che fosse poco più di una leggenda, e
invece una creatura del genere esiste davvero…”
Kivar
sospirò nervosamente, sembrava che ci godesse a lasciarlo in sospeso.
“E
allora?” chiese irrequieto
“E’
una Creatura di Luce…” rispose Herik, voltandosi di nuovo verso di lui “Ne ha
mai sentito parlare?”
Kivar
negò con il capo, mentre Herik si affrettava a continuare: “Sapete che tutto
l’Universo è regolato da due grandi principi, quello della Simpatia e
dell’Antipatia, della capacità e della predisposizione degli elementi ad
attrarsi o respingersi. Da essi, non appena comparvero i primi esseri viventi,
dotati di raziocinio e di sentimenti, discesero quattro emanazioni, dette Forze
ancestrali: dalla Simpatia, nacquero
l’Amore, forza positiva dell’interno dell’animo, e la Speranza, forza positiva
dell’esterno dell’animo; ovverosia, se la prima spingeva a migliorare il
proprio animo, la seconda spingeva a credere
di migliorare la realtà esterna. Dall’Antipatia, invece, nacquero l’Odio e il
Dolore, anche loro emanazioni rispettivamente interiore ed esteriore…
“Queste
Forze regolano l’Universo e spesso intervengono, se l’equilibrio tra di loro
viene sconvolto. Per farlo, ovviamente, usano coloro che le sentono dentro di
sé, gli esseri viventi. E così, per esempio, esistono i Raggi della Speranza,
che sono migliaia nell’intero Universo, persone dotate di una forza d’animo e
di una speranza incrollabile nel domani, ma che al contrario hanno una vita,
che difficilmente altre persone riuscirebbero a sopportare. Ma il potere della
Speranza si incarna in loro contro la minaccia dell’Odio e del Dolore, che
potrebbero corrompere le loro fragili anime.
“Le
Forze che si legano con più difficoltà sono quelle dell’Amore e dell’Odio, le
cosiddette Forze Pure; gli esseri umani e noi alieni difficilmente odiamo o
amiamo in maniera così pura e perfetta da richiedere il loro intervento. Ma alle volte questo è successo, e ciò accadde
con precisione, qualche tempo fa… un alieno riuscì ad odiare in maniera
perfetta, ed invece un’umana riuscì ad amare in maniera pura. Posso solo dirvi
che quest’ultima era la madre di questa ragazza, e si chiamava Strawberry
Momomiya…”
“La
madre di Kathrine?!” chiese Kivar, sorpreso. Aveva visto giusto allora… il
mistero di Kathrine è nei suoi genitori…
“Sì,
questa donna amava profondamente un essere umano di nome Ryan Shirogane…”
riprese Herik con voce atona “La vita di questa persona era stata messa in
pericolo da quello stesso alieno che aveva raggiunto la perfetta chiarezza
dell’Odio… le due forze si scontrarono, come era inevitabile che accadesse, ma
la donna terrestre ebbe la meglio… questo fu possibile perchè ella, oltre che
all’aspetto dell’Angelo Scarlatto, protettore dell’Amore, assunse totalmente, sebbene per qualche
istante, anche il picco della Speranza e del Dolore. In lei, si collimarono
queste anime e lei ebbe la meglio sull’alieno, che aveva dalla sua solo il
potere dell’Odio. Ebbe in sé, anche se per poco, tre delle Forze Ancestrali
dell’Universo, diventando per pochi e preziosissimi istanti una Creatura di
luce, che nasce proprio dalla fusione di tre forze, che chiaramente saranno con
molta più facilità da una delle Forze Pure, più le altre due forze minori…
“La
vostra amica è invece, come vi ho detto, una completa Creatura di Luce, una
creatura rarissima, ne saranno esistite soltanto una o due dall’inizio della
Vita. Esse nascono, quando quei tre poteri permangono nel corpo di una persona,
che entro cinquantuno cicli lunari mette al mondo un figlio di sesso
esclusivamente femminile. Come è chiaro, è una condizione molto difficile… per
prima cosa, la Creatura di Luce originaria deve essere donna, perchè quei
poteri devono passare fisicamente dalla madre al nascituro, cosa possibile solo
per una donna che porta in grembo il proprio figlio; in secondo luogo, dopo circa quattro anni, se non ci sono state
gravidanze, nascerebbero bambini
assolutamente comuni; poi la Creatura di Luce, a meno che non si tratti solo di
uno stato temporaneo, può essere solo donna perchè solo quel sesso esplica già
in sé il principio della vita, che compendia e riassume i tre poteri
ancestrali”
Kivar
rimase a bocca aperta, Kathrine era tutto questo…
“Ma
che genere di poteri hanno queste creature?” chiese assolutamente allibito
“Tutto…”
rispose sinteticamente Herik “Una Creatura di Luce potrebbe fare tutto, se solo
lo volesse e sapesse usare al massimo i suoi poteri… loro sono Chiavi, e la
realtà può essere facilmente paragonata ad una serie infinite di Porte, lo
sapete vero? Lo insegnano nelle lezioni elementari di Magia. Porte tra un prima e dopo, tra uno stato e
un altro, tra un posto e l’altro,
persino ci sono porte tra l’ordine e il caos. Capite adesso? La Creatura
di Luce potrebbe aprire tutte queste porte… è una chiave, anche se avendo forma
vivente, in molti casi, morirebbe se aprisse porte troppo imponenti. L’ordine
dell’Universo è ovviamente contrario a queste creature, perchè hanno di più
potente solo la comunione di tutte le Forze Ancestrali, ed esse potrebbero
sciogliere vincoli imposti da quelle stesse forze. Vi faccio un esempio…”
Herik
si fermò, poi sorrise… c’era un esempio perfettamente calzante da fare
all’impietrito ragazzo, che aveva davanti agli occhi.
“Ci
sono delle Creature che erano state votate ad una forza dell’Antipatia, o
Dolore o Odio quindi… esse provocarono distruzione nella loro vita,
costringendo ad intervenire le forze eminentemente positive… dato che è
considerato un crimine irrevocabile distruggere delle anime, esse vengono
solitamente purificate e li viene concessa una nuova vita… si chiamano Creature
Corvine… anch’esse hanno importanti poteri discendenti dalla loro vita
precedente, ma nello stesso tempo hanno ricordi incatenati che premono per
uscire… se uscissero, quelle anime molto probabilmente ritornerebbero
esattamente com’erano prima. Esiste una legge dell’Universo che vieta che
vengano in contatto con una Creatura di Luce perchè essa potrebbe sciogliere i
legacci posti alla memoria di queste creature… capite adesso?”
“E
io allora? Che cosa c’entro con Kathrine?” chiese Kivar, cercando di fare
chiarezza nel suo cervello troppo confuso
“Altezza,
alle volte siete molto ingenuo, lasciatemelo dire…” rise Herik “Mi sembra ovvio…
la vicinanza con Kathrine potrà fare chiarezza anche nella sua memoria… le
permetterà di ricordare cose, che potrebbe aver visto da bambino, ma adesso che
non ricordate più…”
Kivar
rivolse lo sguardo verso Kathrine, che era ancora incosciente alle sue spalle.
Era questo il suo strano potere… era una Creatura di Luce, lei gli avrebbe
restituito il suo passato…
Non
si accorse Kivar di una risata nascosta dietro un cappuccio di colore nero. Non
si accorse di un pensiero che aveva cullato la mente dell’uomo anziano di
fronte a lui. Non se ne accorse, e si affrettò a riprendersi Kathrine, e ad
andare via. Non poteva accorgersene. Forse Kathrine avrebbe potuto, ma non lui.
Lui… una Creatura corvina.
Dall’altra
parte del mondo qualcuno non ne valeva sapere di prendere sonno, si rigirava
nelle lenzuola troppo fredde e troppo pesanti. Strawberry si sollevò
all’improvviso, incapace di addormentarsi, e si passò una mano sulla fronte
bagnata di sudore freddo. Ogni volta che Ryan non c’era, lei faticava ad addormentarsi,
quando lui tornava, la prendeva in giro, e lei ci rideva sopra, ma in quei
momenti in cui la sua camera da letto si tingeva di mille ombre minacciose, non
le veniva più tanto da ridere. Come se non bastasse, quella sera mancava anche
Kathrine e lei da brava mamma apprensiva qual’era, era preoccupata per lei.
Chissà come se la cavava… fu quasi tentata di chiamarla, ma poi guardò
l’orologio sul suo comodino. Per Kathrine non c’era assolutamente alcun
problema, a Parigi erano solamente le cinque di pomeriggio , ma da loro era
l’una di notte e, se l’avesse chiamata, avrebbe fatto la figura della madre
nevrastenica. Di sentire Ryan non se ne parlava proprio, l’avrebbe presa in
giro per tutta la durata della telefonata.
Accese
la luce del comodino e afferrò un libro, aprendola ad una parte segnata,
cercando di conciliarsi il sonno. Ma dopo qualche riga, qualcosa attirò la sua
attenzione, uno strano bagliore dorato fuori dalla finestra. Sorpresa, pensando
ad una luce lasciata accesa, si alzò dal letto, infilando la vestaglia e si
avvicinò alla finestra, per notare solamente che il bagliore era scomparso e
che la notte era rimasta scura e nera, come al solito.
Si
voltò per tornare a letto, ma notò con ulteriore sorpresa che sul suo letto
splendeva una sfera di luce dorata, esattamente come quella che aveva visto
poco prima, si spaventò ed urlò, attirando l’attenzione di Ghish, Blanche, Lory
e Pie, che dormivano in stanze accanto alla sua.
“Cosa
c’è?” chiese Ghish, entrando, mentre Strawberry indicava tremante la sfera di
luce, che baluginava e ruotava su sé stessa.
“Che
diamine è?” si chiese Pie, tenendo dietro di sé Lory
“E’
molto simile a quella sfera azzurra…” balbettò Lory “A quella che poi era
l’anima di Ryan…”
Strawberry
sbiancò, terribili ricordi che l’assalivano a valanghe, e si avvicinò alla
sfera, che nello stesso istante prese ad espandersi, e a brillare molto forte.
Quando cessò di splendere, al suo posto c’erano tre figure di donna, abbigliate
nella stessa maniera: la prima era uguale ad Elissa, ed indossava un peplo
rosa, con grandi ali bianche sulla schiena, come quelle di un angelo; la
seconda era uguale a Paddy, ed aveva un peplo di un tenue giallo, stavolta con
delle ali dorate e trasparenti, simili a quelle di una libellula; la terza
aveva invece l’aspetto di Pam, ed vestiva un peplo azzurro scuro, con relative
ali dello stesso colore, stavolta simili a quelle di una farfalla.
“Chi
siete voi?” domandò spaventata Strawberry alle tre donne, che la guardarono
sorridendo.
“Vuoi
dire che non ci riconosci, Strawberry?” replicò quella con l’aspetto di Elissa
“Eppure mi hai vista per parecchio tempo…”
Strawberry
mormorò: “T-tu sei uguale ad Elissa… ma non puoi essere lei… Elissa è morta… io
ho liberato il suo spirito… e anche loro due non possono essere Paddy e Pam…”
“Non
lo siamo… abbiamo assunto queste sembianze per sembrarti più familiari e perché
nessun essere vivente può vederci nella nostra vera forma… erano quelle più
congeniali a non turbarti, e più adatte alla nostra essenza… ed era
assolutamente indispensabile per noi comunicarti questo messaggio…” rispose
glaciale quella con l’aspetto di Pam
“Allora
voi chi siete?” chiese Lory, avvicinandosi
Quella
con l’aspetto di Paddy rise e si rivolse a Blanche: “Si vede che la nostra
principessa illegittima ha altro a cui pensare… altrimenti vi avrebbe già
risposto lei… non è vero, Blanche? Hai capito chi siamo?”
Tutti
si voltarono verso Blanche, che aveva come al solito gli occhi profondamente
cerchiati, la quale annuì stancamente, poi sospirando rispose: “Credo che voi
siate delle materializzazioni dei Guardiani delle Forze Ancestrali del Mondo…
in poche parole…” e si rivolse alla donna con l’aspetto di Elissa: “… lei è di
nuovo l’angelo scarlatto dell’amore, non è vero?”
“L’angelo
scarlatto?” chiese stupefatta Strawberry, voltandosi verso di lei “E le altre
due?”
“Io
sono l’angelo aureo della Speranza…” disse sorridendo quella con l’aspetto di
Paddy, mentre quella con l’aspetto di Pam disse fredda: “Io sono il demone
cobalto del Dolore…”
Strawberry
annuì confusa, poi, un dolore allo stomaco, chiese sgomenta: “E’ successo
qualcosa a Ryan?”
“No,
Ryan non c’entra niente stavolta…” disse tranquillamente l’angelo scarlatto
“L’anima di Leon e quella di Ryan sono in armonia perfetta… al momento della
morte, le loro anime si separeranno, e Leon tornerà nelle dimore celesti,
accanto allo spirito di Elissa… e sorte diversa avrà quella di Ryan… non è loro
il problema… e nemmeno Profondo Blu, che come sapete non esiste più…”
“E
allora cosa?” chiese Ghish nervoso
Il
demone cobalto del Dolore mormorò solo, rivolto a Strawberry: “Tua figlia…”
“Kathrine?!
Che le è successo? Come sta?” implorò terrorizzata Strawberry
“Sta
benissimo, Strawberry… tua figlia sta benissimo… non è assolutamente in
pericolo…” rispose rassicurante l’angelo della Speranza, poi aggiunse: “Il
problema è un altro… sappiamo che Profondo blu, o meglio colui che è chiamato
adesso Kivar, non è più qui… è vero, Blanche?”
La
donna aliena annuì tristemente, e poi chiese con un filo di voce: “Sapete
dov’è?”
L’angelo
scarlatto negò con il capo e disse: “Chi non vuole essere trovato, non può
essere rintracciato, nemmeno da noi… e tuo figlio non lo vuole, e inoltre
adesso è protetto da potente forze oscure che ne celano la nostra vista…”
Blanche
si portò le mani al viso pallido, mormorando: “E’ di nuovo lui, è tornato ad
essere Profondo blu?”
“No,
la sua anima è ancora pura… ma lui potrebbe tornare ad esserlo…”
“Come?”
chiese Ghish, sorreggendo la giovane moglie
“Se
incontrasse Kathrine…” rispose l’angelo aureo
“Perché?”
chiese confusa Strawberry “Che cosa c’entra mia figlia?”
“E’
una legge dell’universo… non è affare di voi mortali…” rispose sbrigativo il
demone cobalto “Voi avete già ficcato troppo il naso nelle cose che riguardano
l’intero Universo, per salvare il vostro piccolo pianeta… voi siete solo
piccoli esseri come milioni di altri nell’Universo, e dovete sottostare a
queste leggi… esse sono create per garantire l’ordine. E la loro comprensione
va oltre la vostra mente, e il senso della vostra stessa esistenza… e pertanto
non avete diritto di conoscerle…”
“L’unica
cosa che conta per voi sapere è che Kivar e Kathrine non dovranno mai
incontrarsi… mai, per nessun motivo… dovete impedirlo… con ogni mezzo, o tutto
verrà gettato nell’oblio…” aggiunse l’angelo scarlatto
“Ma
cosa c’è di più potente di voi? Non capisco…” mormorò Lory non del tutto
convinta
“Nulla,
è questo il punto…” replicò malinconico l’angelo aureo, poi riprese con voce
più decisa: “I Guardiani sono quattro, ma adesso ne vedete solamente tre…”
“Il
quarto Guardiano… chi è?” chiese sottovoce Strawberry
I tre Guardiani riposero nello stesso tempo: “Il demone corvino
dell’Odio… egli rievocherà l’anima di Kivar, quella di Profondo Blu, che era
sua di diritto, se lui incontrerà Kathrine… e non potendola avere dato che essa
ora è pura, pretenderà qualcosa che non possiamo dargli… ed allora forse
l’intero Universo sarà lo scotto minore…”
“Certo che queste profezie sono sempre molto rassicuranti…”
mormorò Ghish, a bassa voce, poi disse,
cercando soprattutto di rassicurare Blanche: “La cosa importante è quindi che
Kathrine e Kivar non si incontrino… bene, non è una cosa molto difficile…
Kathrine è sempre con noi, e Kivar non verrebbe mai dove siamo noi, a meno che
non voglia essere trovato… quindi, non dovrebbe essere molto complicato…”
“Peccato che questo sia già successo…” sussurrò piano Blanche,
gli occhi lucidi e fissi al pavimento
“Quando?” chiese Strawberry stupita, voltandosi verso l’amica
Lory si batté una mano sulla fronte e rispose: “Qualche anno fa,
ricordi, Strawberry? Kivar aveva più o meno quattro anni, e Kathrine ne aveva
uno… ti ricordi? Vi venimmo a trovare io e Pie con Delet, e Blanche e Ghish con
Kivar… e c’era anche Kathrine… erano piccoli, ma si videro…”
“Dannazione!” imprecò Ghish, mentre Strawberry annuiva, e
Blanche proseguiva, la voce sempre più flebile: “Kivar iniziò a cambiare, dopo
quel famoso viaggio… prima non ricordava niente… dopo aver incontrato
Kathrine…”
“Allora non abbiamo un minuto da perdere…” riprese decisamente
l’angelo scarlatto “Dovete trovare quanto prima Kivar, la sua memoria non sarà ancora tornata del
tutto, altrimenti lo avremmo percepito… l’importante è che non riveda più
Kathrine… quando lo avremmo trovato, sigilleremo di nuovo la sua memoria.
Finché non recupera l’ultimo ricordo, c’è ancora possibilità che tutto si
risolva per il meglio… abbiate fiducia…”
I tre esseri sparirono all’improvviso, lasciando le persone in quella stanza
più confuse e disorientate di prima. Una sola certezza era quella che regnava
nel loro riflessivo silenzio, la sola che, dall’altra parte del mondo, veniva
completamente incenerita.
“Come ti senti adesso?”
Kathrine si guardò intorno spaesata, e vide che si trovava in
una stanza che non conosceva. Era chiara e piena di luce, tutta di colore
avorio, e lei era distesa su un letto a
baldacchino, con tendaggi rosa pallido. Aveva mal di testa, ma per il resto non
riusciva a ricordarsi che cosa le fosse successo e perchè fosse lì. Sollevò gli
occhi castani e vide Kevin, chino su di lei. Era stato lui a parlare poco
prima.
“Dove sono?” chiese flebilmente
“Sei a casa mia, e dove altrimenti?” rispose Kevin quasi
sprezzante
“Che cosa è successo?” chiese ancora lei, cercando di
sollevarsi, ma la testa vorticava a dismisura, dovette adagiarsi di nuovo su
uno dei grandi cuscini, portandosi una mano sulla fronte, che pulsava
incontrollabilmente.
Kevin stentò a rispondere… ho appena scoperto che sei la
Creatura più potente dell’intero Universo, ti va bene come risposta?
“Sei caduta e hai battuto la testa, perdendo conoscenza… non
chiedermi come diamine hai fatto perchè non ho visto assolutamente niente, ma
avrai fatto una delle tue solite cadute cretine…” rispose lui, sghignazzando
Kathrine impallidì, poi urlò: “Lo sai che potrei avere un trauma
cranico?! Chi me l’ha fatta fare a venire con te?!”
“Non hai traumi cranici, altrimenti me ne sarei accorto…”
sospirò Kevin, quella ragazza era veramente isterica, poi, cercando di
tranquillizzarla, disse: “Comunque, è venuto il medico poco fa, e ha detto che non
hai assolutamente niente…”
Kathrine finalmente si rilassò, anche se non ancora del tutto
convinta, e si appoggiò meglio sui cuscini. Poi si ricordò del motivo
principale per cui erano lì, e chiese: “Allora sei riuscito ad avere quello che
eri venuto a prendere? Il tuo maggiordomo ti ha dato qualcosa di interessante?
C’erano anche i tuoi?”
Kevin sospirò lungamente, odiava mentirle, dirle tutte quelle
stupide ed inutili bugie, prive di senso. Dirle che aveva trovato il suo
maggiordomo, che non aveva trovato i suoi genitori, quando sapeva benissimo che
il primo era su Nemesi e i secondi lo stavano cercando disperatamente. Ma
adesso era talmente vicino alla verità… mancava solo un ultimo sforzo e ce
l’avrebbe fatta. Quando avrebbe capito la verità, ne avrebbe parlato anche con
lei, con Kathrine, e le cose si sarebbero aggiustate. Lei era stata sincera con
lui, gli aveva raccontato il più orribile dei suoi ricordi, e lui glielo
doveva, doveva raccontarle la verità. Un giorno o l’altro.
Imbastì una delle sue solite chiacchiere, raccontandole di come
il suo pseudo maggiordomo avesse sentito una conversazione telefonica e avesse
saputo che il suo vero padre si trovava effettivamente a Tokyo. Poi, per
giustificare quel viaggio e l’esigenza impellente che doveva avere quest’uomo
di vederli, inventò che gli aveva dato una serie di numeri di telefono e di
vecchie fotografie dell’infanzia e dell’adolescenza di sua madre. Disse a
Kathrine di riposarsi ancora un po’, intanto lui sarebbe andato a prendere le
valigie dal loro albergo, ma la ragazza fu irremovibile. Disse di sentirsi
meglio e di voler tornare lei stessa in albergo a salutare Riad e Salima, prima
di partire. Non lo volle ammettere fino in fondo all’impietrito ragazzo di
fronte a lei, ma quella casa le faceva paura. C’era qualcosa di strano, come un
qualcosa di morto che però si ostinasse a vivere, anche se il suo cuore batteva
ancora, qualcosa che insomma le faceva venire i brividi. Aveva poi una
sensazione strana addosso, da quando si era svegliata; come se le avessero
fatto qualcosa, e le avessero risucchiato l’energia dal corpo… si sentiva
debole, completamente priva di forza.
Ma preferì non dirlo a Kevin, sapeva che l’avrebbe presa solamente in
giro.
Finalmente uscirono da quella casa, che Kevin continuò a fissare
per qualche minuto, mentre lei lo guardava a sua volta. Doveva essere difficile
per lui lasciare di nuovo quella casa, dove era cresciuto… dopo, si diressero
lentamente e silenziosamente verso il centro della città. Kathrine cercava di
guardare con occhi avidi tutto quello che stava lasciando, certo un giorno
sarebbe potuta tornare a Parigi, magari con la sua famiglia, il suo futuro
fidanzato o marito, e figli al seguito. Ma Kevin… dubitava fortemente che ci
sarebbe mai potuta tornare con lui, forse già dal mese dopo sarebbero stati di
nuovo due estranei, che non avevano più niente in comune, l’uno con l’altra. A
parte la stretta cerchia di persone, che considerava indispensabili, sapeva che
le persone se ne vanno, sempre, e non c’era niente da fare. Anche lui… forse
sarebbe tornato ad Hokkaido, da sua zia, oppure ancora qui, in Europa, a
dividersi da lei con un enorme cielo ed un immenso continente, fatto di terra,
d’acqua, d’aria e di persone che lei non avrebbe mai conosciuto. Le venne una
strana fitta allo stomaco, non era un bel pensiero immaginare una cosa del
genere, e cercò di concentrarsi su
altro. In fondo, lo aveva sempre saputo che lui se ne sarebbe andato, perché se
ne stupiva adesso? Semplicemente perché gli aveva confidato una cosa cruciale
sulla sua esistenza, che non sapeva quasi nessuno, nemmeno i suoi genitori, e
adesso in virtù di quella confidenza, credeva che il loro legame fosse così
forte da durare per sempre… ma non era così, niente dura per sempre, e lei lo
sapeva, lo sapeva bene. Gli sarebbe stata grata per sempre magari, e solo in
quella frase ci poteva essere quello scomodo ed infinito avverbio… sempre…
e sempre avrebbe ricordato quel viaggio, il suo misto di emozioni e
sentimenti… paura, terrore, eccitazione, rabbia, fastidio, dolcezza, stupore,
curiosità, gioia, entusiasmo, persino follia, se ripensava all’ enorme bugia,
che aveva raccontato ai suoi… e forse anche un po’ di coinvolgimento, lei lo
aveva provato per il ragazzo moro che camminava impettito accanto a lei… sorrise
ancora, in fondo era sta proprio una bellissima vacanza…
Finalmente, arrivarono nel loro albergo, e, mentre Kevin saliva
a prendere le valigie, Kathrine andò a salutare Salima e Riad, che abbracciò
con affetto. Lasciò ad entrambi il suo indirizzo e il suo numero di telefono,
in maniera che potessero sentirsi e loro fecero altrettanto. Salima le regalò i
guanti bianchi di raso, che aveva indossato la sera prima, dicendole che
sarebbero serviti più a lei.
“Per sapere di poter sentirsi sempre come una principessa…” le
disse nel suo stentato inglese, le lacrime agli occhi
Kathrine sorrise e l’abbracciò ancora, dandole invece una
fotografia che avevano fatto la mattina prima, e dove c’erano lei, Kevin, Riad
e Salima stessa. Kevin chiamò Kathrine, il taxi era arrivato e la biondina si
affannò a salutarli ancora, prima di prendere le valigie e salire in auto. I due coniugi guardarono la macchina
sparire, dopo una curva, mentre Riad metteva un braccio attorno alle spalle della
moglie… entrambi pensarono la stessa cosa, ma la tennero per sé. In fondo, lo
sapevano, ne vedevano tante di coppiette venire nel loro albergo…
Un giorno, ritorneranno… insieme… qui, in questa
città, che sa rapire il cuore e che non ha però avuto i loro… ci hanno pensato
da soli a rubarseli a vicenda…
Kathrine guardava pigramente fuori dal finestrino dell’aereo, la
mano appoggiata sul mento e gli occhi stanchi. Ormai mancavano pochi minuti
all’atterraggio, tra poco l’aereo si sarebbe fermato, e lei sarebbe scesa.
Guardò accanto a lei, Kevin si era addormentato, c’era da aspettarselo… sospirò
a lungo, poi gli tirò la manica, dicendogli che erano arrivati. Il loro
viaggio, che era stato della durata quasi di una giornata intera, era stato
silenzioso e taciturno. Kevin non aveva aperto bocca, da quando avevano
lasciato casa sua, adesso che ci ripensava… era strano, in fondo era andato
tutto bene… finalmente l’aereo atterrò e i due, scesa la scaletta, rientrarono nel grande aeroporto di Tokyo,
che sebbene fossero già le undici passate, era ancora pienissimo di gente.
Kathrine non si aspettava nessuno, cosa che le faceva anche discretamente
piacere, perché avrebbe potuti salutare Kevin in santa pace, ma fu rapidamente
smentita: oltre a suo padre e a sua madre, c’erano anche Blanche, Ghish, Pie, Lory
e i suoi zii.
“Caspita, che accoglienza!” borbottò, all’indirizzo di Kevin, ma
il ragazzo non rispose. Si voltò infastidita verso di lui per chiedergli che
cosa avesse, ma vide che non c’era, era sparito. Si guardò attorno, ma niente,
Kevin se ne era andato.
“Kathrine, tesoro!” le urlò la madre, non appena la vide
correndo ad abbracciarla, mentre la ragazza bionda cercava di divincolarsi:
“Mamma, sono stata via solamente cinque giorni!”
Strawberry si staccò da lei, accarezzandole la guancia, e
rispose: “Lo so, tesoro, ma ci sei mancata… adesso a casa ci racconterai tutto
di quello che è successo! Come è stata la mostra?”
“Bellissima” rispose lei, mentre abbracciava anche suo padre,
che, senza troppi preamboli, dopo le parole allarmanti che gli aveva riferito
Strawberry, chiese: “E’accaduto qualcosa di strano? Hai conosciuto qualcuno?”
Kathrine deglutì più volte, per poi rispondere: “Niente di
strano… perché? Che sarebbe dovuto succedere papà? E poi, a parte Riad e
Salima, i proprietari dell’albergo non ho conosciuto nessun’altro!”
I due respirarono di sollievo, poi, presi i bagagli della
figlia, uscirono dall’aeroporto, mentre Kathrine, gettando un’ultima occhiata
distratta alle sue spalle, li seguì.
Kevin, nascosto dietro una colonna, respirò di nuovo… i suoi genitori… meno male che non l’avevano visto, come aveva intuito, stavano a casa Shirogane. Gli fece un certo effetto rivederli, erano diversi, apparivano stanchi, spossati, come non li aveva mai visti. Si sentì quasi dispiaciuto per loro, ma adesso non poteva tirarsi indietro, mancava davvero pochissimo. Una domanda però non poté evitarsela: come mai non riuscivano ad avvertire la sua presenza? Scrollò le spalle e sorrise orgoglioso, magari stava imparando a celare la sua aura di fronte agli altri… non sapeva, Kevin, che lunghe ombre si stavano addensando intorno alla sua anima, attirate da una luce che stava liberando la sua antica natura prigioniera.
Chiedo sommamente perdono a tutti, ma questo è stato
davvero un periodo molto particolare e la mia vena “artistica” se ne era andata
decisamente ai pesci!!!! Insomma, non vi volevo tediare con un capitolo scritto
tanto per scrivere, e non fatto, come cerco sempre di fare, con il cuore e con
la mia mente! Poi, scritto il capitolo e dovendo per l’ennesima volta,
formattare il computer ho perso il floppy che conteneva questo capitolo e gli
altri successivi… insomma, na tragedia!
E solo oggi, dopo non so nemmeno quanto tempo, sono riuscita ad
aggiornare!!!! Avete capito allora perché questa storia si chiama così e perché
la sua traduzione è sostanzialmente “Infrangendo le regole dell’universo?”. Era
questo il motivo!!! Purtroppo oggi non ho davvero tempo per rispondervi uno per
volta, se ce la farò, aggiornerò questo stesso capitolo con i ringraziamenti del
caso, ma intanto voglio ringraziare tutti coloro che in questi mesi mi hanno
manifestato il loro affetto e la loro volontà che questa storia fosse
continuata. Non voglio promettermi aggiornamenti più rapidi perché so che molto
probabilmente tradirei le vostre aspettative, ma voglio solo promettere che
questa storia sarà completata prima o poi. Un piccolo messaggio voglio
dedicarlo solo alla mia Aya: purtroppo, non sono riuscita a leggere la
tua storia, semplicemente perché non mi è davvero possibile! Se ci riesco nei
prossimi giorni ti mando una mail per spiegarti tutto, posso solo dirti una
cosa per farti capire il mio periodo molto particolare… ricordi il “ragazzo
perfetto”??? Insomma, da sette mesi è il mio ragazzo… muoio dalla voglia di
dirti tutto e di riprendere a farti da beta reader, quindi sentiamoci al più
presto, ok???