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Autore: Flaqui    18/08/2013    4 recensioni
Poi, quella mattina a scuola, era arrivato lui.
Capelli biondi e occhi neri, giacca sportiva e stivali da motociclista. Le aveva sorriso, lui, e Stephanie era indietreggiata finendo per andare a sbattere contro il mobile della biblioteca. Le aveva sorriso, puntandole quella maledetta pistola alla testa, e le aveva chiesto se credeva in Dio. Proprio così, le aveva domandato «Credi in Dio?» e aveva inclinato la testa.
A Stephanie erano passate milioni di immagini in mente -tutte all’improvviso, tutte di fretta e di corsa-: il sole che bruciava contro la sua pelle come la punta di una sigaretta accesa; l’odore della lacca per capelli e quello fastidioso dello smalto nero per le unghie; la mano di Kevin fra le sue cosce, sempre più giù; gli occhi che la seguivano ovunque, fantasmi e residui di sensi di colpa. Tutte stronzate, tutta merda a cui Stephanie non credeva.
Genere: Drammatico, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Tate Langdon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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N/A.
E' con questa assurda flashfic che mi introduco per la prima volta in questo, purtroppo, non troppo popolato fandom.
Cosa c'è da dire? Ho iniziato la prima stagione di AHS esattamente due giorni fa e stamattina ho visto l'ultimo episodio, quindi sono ancora in fase di transiszione. Anzi, credo di dover ancora pienamente realizzare di aver finito questa serie tv assolutamente fantastica. In effetti l'unica cosa di cui sono stata capace una volta aver finito di vedere la 1x12 è stato aprire Word e cercare di gettare gi qualcosa. Che poi, invece di scrivere di Violet o di Tate (cosa che farò, prima o poi, perchè quei due sono assolutamente da brividi!), mi è uscita questa cosa su Stephanie che, per chi non se la ricordasse, è la ragazza gotica che viene uccisa da Tate nel massacro alla Westfield High. Lo scambio di battute fra lei e Tate, in quella occasione, mi è rimasto in testa e non ho potuto fare a meno di scriverci sopra!
Vi dirò, questa è la prima volta che scrivo qualcosa del genere -abbastanza cruda, senza troppi giri di parole- e sono abbastanza nervosa.
Quindi... beh, si mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate!
In ogni modo ci tengo a specificare che il concetto di religione, tutta la faccenda del "credere o meno" e tutti i discorsi di Stephanie sono realtivi al personaggio e non si allargano in alcun modo. Insomma sono i pensieri del personaggio e, essendo io credente, vanno presi con le pinze e con un certo distacco.
E bla, bla, bla. Fatemi sapere cosa ne pensate!
Fra


Ci credi in Dio?

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-Ci credi in Dio?-
-Ora capisco! Siete una setta religiosa?-
-Mi hai chiesto se credevo in Dio e mi hai puntato la pistola alla testa. Io ho detto di si. Non era vero ma l’ho detto lo stesso. E poi hai premuto il grilletto.-
American Horror Story - 1x05

 
 
«Dio vede tutto, bambina mia»
Erano state le ultime parole di sua nonna, stesa sul suo letto di morte con i bianchi e radi capelli sparsi come una aureola sul cuscino, e Stephanie era rimasta in silenzio a stringerle la mano. Sua nonna era stata una donna forte, una delle poche che non l’aveva mai abbandonata, e, se per renderla felice doveva far finta di credere in Dio, Stephanie era pronta a farlo. Perciò aveva pianto, quando lei aveva emesso il suo ultimo respiro; era andata in chiesa, aveva ascoltato gente senza volto e senza importanza parlare di lei e, quando erano passate ormai tre settimane e la sensazione di essere osservata dall’alto si era affievolita, aveva ripreso a truccarsi di nero, a stracciarsi i vestiti e a fissarsi i capelli con la lacca.

Il punto era che: Stephanie non ci credeva –al vedere tutto, al Paradiso, all’Inferno-, davvero, ma delle volte quel pensiero le passava per la mente. Non nei momenti più… consoni, normali –quando passava davanti ad una chiesa, quando ricordava sua nonna, quando il docente di Educazione Religiosa cercava inutilmente di ottenere un po’ di attenzione-; no, no. Sarebbe stato in un certo senso quasi confortante se fosse stato così. Avrebbe significato che non era completamente pazza, che poteva ancora far finta di non sentire gli occhi tanto declamati da sua nonna sulla sua schiena.
Ma lei ci pensava nei momenti meno opportuni, quelli in cui Dio doveva essere l’ultimo dei suoi problemi. Quando fumava canne e si calava roba di nascosto, dietro gli spalti del campo di football; quando, in discoteca, metteva pasticche bianche nei bicchieri degli sconosciuti con i suoi amici –così per divertirsi-; quando si lasciava scopare da Kevin Gedman contro il muro grigio della sua palazzina e lo sentiva gemere contro la sua bocca.
Era sbagliato, era morboso, era assurdo. Non ci credeva, erano solo cazzate.
Eppure c’era sempre quella sensazione di essere osservata, costantemente fuori luogo, perennemente inseguita da un qualcosa di invisibile e che la riempiva di inquietudine.
Poi, quella mattina a scuola, era arrivato lui.
Capelli biondi e occhi neri, giacca sportiva e stivali da motociclista. Le aveva sorriso, lui, e Stephanie era indietreggiata finendo per andare a sbattere contro il mobile della biblioteca. Le aveva sorriso, puntandole quella maledetta pistola alla testa, e le aveva chiesto se credeva in Dio. Proprio così, le aveva domandato «Credi in Dio?» e aveva inclinato la testa.

A Stephanie erano passate milioni di immagini in mente -tutte all’improvviso, tutte di fretta e di corsa-: il sole che bruciava contro la sua pelle come la punta di una sigaretta accesa; l’odore della lacca per capelli e quello fastidioso dello smalto nero per le unghie; la mano di Kevin fra le sue cosce, sempre più giù; gli occhi che la seguivano ovunque, fantasmi e residui di sensi di colpa. Tutte stronzate, tutta merda a cui Stephanie non credeva.
No, non ci credo.
«Si, ci credo»aveva risposto e lui aveva premuto il grilletto.
Stephanie aveva fatto in tempo a pensare che c’era dovuta essere la canna di una pistola sulla sua tempia per farglielo ammettere.


 
   
 
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