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Autore: La Reveuse    18/08/2013    4 recensioni
Londra.
«Lei è la dottoressa…» Mi guardò curiosamente.
«Mi lasci semplicemente controllare la ferita, non deve essere piacevole avere un sopracciglio aperto.» Cercai di essere professionale, sperando che la voce non mi tremasse.
«Beh, considerando che mi metterà almeno tre punti in faccia, ritengo sia una richiesta lecita voler sapere il suo nome. Se deturpa il mio viso, perlomeno, sarò in grado di rintracciarla e farle causa.»
«Questo mi sembra più un motivo per non dirle il mio nome.» Sorrisi e lui ridacchiò, prima di lanciarmi un’intensa occhiata. «Elle. Mi chiamo Elle Foxley.» Mi arresi, sorridendogli leggermente.
[…]
Io avevo paura di approcciare il sesso opposto.
Avevo paura conoscere qualcosa fuori dagli schemi che mi ero costruita tanto assiduamente nel corso degli anni.
Ero arrabbiata, dannatamente arrabbiata con quel Seth Young.
Era arrivato dal nulla e aveva fatto vacillare le mie solide difese non dicendo acca.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Fix You




Capitolo I
Punti di sutura

 

Guardavo la pioggia scorrere sulle ampie vetrate dell’ospedale London Bridge, sito accanto all’omonimo ponte, proprio sulla riva del Tamigi. Sin da quando, ancora bambina, facevo viaggi in macchina con i miei genitori, amavo guardare la pioggia scivolare lungo i finestrini e osservare come le gocce sembrassero inseguirsi in una corsa senza fine.
«Un tempaccio, vero?» Vidi riflessa la figura di Sarah nella finestra a cui ero poggiata e mi voltai, sorridendole debolmente.
«Già.» Asserii, stringendomi leggermente nelle spalle. «Questo turno sembra infinito.» Aggiunsi, guardando l’ora.
Erano le tre e quaranta del mattino e mancavano ancora due ore e venti alla fine del nostro turno. Eravamo al terzo anno del corso di medicina e dovevamo fare almeno 15 ore di tirocinio formativo alla settimana presso un ospedale di nostra scelta: fortunatamente io e Sarah, la mia migliore amica, eravamo riuscite a capitare nella stessa struttura.

«Se mi chiedono di fare un solo altro clistere giuro che impazzisco.» Sbottò Sarah, strappandomi una risatina. «Perché ridi, Elle? Non è per nulla divertente!» Sbruffò, incrociando le braccia sotto il seno.

Sarah Hammond era la mia migliore amica sin da quando avevamo sei anni.
Ci eravamo sedute vicine il primo giorno di scuola elementare e da allora nessuno riuscì mai a dividerci.
Era tutto ciò che io non riuscivo ad essere: era incredibilmente estroversa, spigliata e spontanea. Amava rischiare, sfidare la sorte e provare qualsiasi cosa le fosse offerta. Io ero timida, un po’ impacciata col sesso opposto, fifona e notevolmente poco spontanea: dovevo capire ed analizzare ogni cosa prima di affrontarla. Dovevo scrutare tutto nei minimi dettagli, per vaporizzare ogni possibile minaccia all’ordinarietà con la quale conducevo la mia vita.
«Io sto sviluppando un odio per i bambini, invece.» Borbottai, lanciando un’occhiata al London Bridge illuminato dalla luce dei lampioni. «Sarebbe più facile prelevare del sangue a delle scimmie impazzite che a quei mostriciattoli.»
Avevo passato turni su turni a cercare di calmare i pazienti più giovani che mi erano stati assegnati.
Erano come dei cavalli impazziti: correvano, ridevano, scherzavano.
Delle volte dubitavo del fatto che sentissero un qualsiasi tipo di dolore.
Mi era rimasto particolarmente impresso nella mente il ricordo di un bambino di quattro anni che continuava a correre avanti e indietro per il corridoio con un il braccio fratturato in tre punti differenti.
«Foxley! Hammond!» Sobbalzammo contemporaneamente, riconoscendo la voce della nostra superiore. «Che belle queste notti all’ospedale, vero? Ve la state godendo la vista del Tamigi? Volete anche un cosmopolitan da sorseggiare amabilmente?»
«In realtà, sì.» Mormorò Sarah al mio orecchio ed io riuscii per poco a soffocare una risata.
Mrs Sloam si stava avvicinando pericolosamente a noi con fare autoritario e minaccioso. Il camice bianco faceva apparire la sua massa corporea molto più grande di quella reale, facendo un forte contrasto con i suoi nerissimi capelli ricci che rimbalzavano sulle sue possenti spalle.
«Allora? Che cosa fate qui impalate? Non avete pazienti da tenere d’occhio?» Domandò quando si fermò a due passi da noi, puntando i pugni nei fianchi. Dio, somigliava in maniera esagerata ad un militare sovrappeso in quel momento. Sarah stava probabilmente formulando la medesima immagine nella propria mente, perché riuscivo a percepire la difficoltà con la quale stesse trattenendo un risolino.
«La dottoressa Palmer ci ha congedate poco fa. Ha detto che non ha più mansioni da affidarci nel suo reparto.» Risposi, soppesando le parole: fai che non mi faccia fare clisteri, ti prego!
«Mh.» Scrutò attentamente sia me che Sarah, prima di dare un’occhiata ai fogli che teneva in una mano. «Allora facciamo in modo tale che finiate il vostro turno nel Pronto Soccorso.»
«Non mi picchi, per favore!» Sarah alzò le mani in segno di resa, scherzando. L’espressione della dottoressa Sloam rimase immutata, se non per la leggera contrazione della guancia.
«Hammond, non riesco ancora a decidermi se questo senso dell’umorismo sarà un bene o un male per la tua carriera.» Commentò freddamente. «In ogni caso, - sospirò, alzando gli occhi al cielo – parlavo di finire la serata lavorando nel Pronto Soccorso.»
Sorrisi, lanciando un’occhiata a Sarah, che fissava le punte delle proprie scarpe bianche nel pieno dell’ennesimo tentativo di non ridere rumorosamente.
«Se non avete altri commenti da fare, seguitemi.» Lanciò un’occhiataccia alla mia amica prima di incamminarsi con fare sicuro lungo il corridoio che portava al pronto soccorso.
Diedi una gomitata a Sarah, seguendo la dottoressa frettolosamente.
«Che vuoi! Non mi arrenderò mai: un giorno la farò ridere!» La sentii dire prima che cercasse di seguire il passo della nostra superiore.

Il pronto soccorso di notte era decisamente meno eccitante di quello che una persona potrebbe pensare.
In tre mesi di tirocinio non avevo mai assistito ad una scena come quelle che avevo visto tante volte in tv, quando guardavo Grey’s Anatomy.
Nessuno si era mai presentato, purtroppo, con un coltello conficcato in testa, teste di bambole nello stomaco, oppure un braccio tagliato a metà da una motosega.
Solitamente erano sempre i soliti tre casi: ossa rotte, ferite profonde, diffuso malessere. L’ultimo caso era perlopiù un caso mentale di pazienti iper-paranoici che usavano google per capire cosa avessero.
«Quando faremo le cose veramente hardcore?» Domandò Sarah mentre metteva l’etichetta su una provetta contenente il sangue che aveva appena prelevato da una paziente che era convinta di essere sul punto di morte per un mal di testa.
«Beh… Fra tre anni forse ci laureeremo. Poi dovremo fare la specialistica. Poi se saremo forti, forse prenderemo seriamente un bel bisturi in mano.» Cercai di non demoralizzarmi mentre dicevo quelle cose.
«Elle, perché abbiamo scelto medicina?» Mormorò Sarah, passandomi un set di etichette che avrei dovuto applicare ad altre dieci provette.
«Per salvare vite?» Proposi. «Per fare un’opera buona?» Azzardai. «Per impazzire?»
«Guarda…» La vidi posare le provette. Seguii il suo sguardo, che aveva puntato giovane dottore a qualche metro da noi. «Tu potrai averlo fatto anche per salvare vite, ma io… Beh, io personalmente l’ho fatto per questi bei manzi in camice.» La vidi camminare frettolosamente verso il dottore, prenderlo per un braccio e cominciare a parlarci.
Beh, ecco cosa intendevo quando avevo detto che Sarah fosse il mio opposto.
Io non avrei mai, mai, mai potuto fare una cosa del genere.
Mentre sistemavo altre etichette, mi accorsi che, Sarah ed il belloccio, stessero camminando nella mia direzione.
Cosa diamine…?
«William, questa è la mia amica Elle.» Disse Sarah tutta sorridente. Lo aveva appena chiamato William? «Elle, questo è William Sullivan, specializzando di neurologia.» Il suo sorriso era così ampio che pensavo di dare di stomaco da un momento all’altro.
«Piacere, Elle.» Disse William cordialmente. «Io e Sarah ci siamo ricordati di esserci incontrati in mensa qualche settimana fa. Mi ha salvata da una pessima lasagna vegetariana.» Ridacchiò e lei lo seguì a ruota.
Ok. Quello era concretamente il momento in cui dovevo concentrarmi su altro.
«Piacere mio, William.» Sorrisi, cercando di apparire cordiale. «Ora, però devo concentrarmi su ordinare queste siringhe. Ho paura che la Sloam torni a farmi una lavata di capo.»
Andava sempre così.
Ogni volta che io e Sarah uscivamo o facevamo qualcosa insieme, lei incontrava uno dei tanti uomini dei suoi sogni e ci andava a parlare.
Non importava se lui fosse solo o circondato da cinquanta amici.
Lei andava là e ci parlava.
Sarah Hammond era indubbiamente bella.
Aveva dei lunghi capelli biondi che le arrivavano al seno, leggermente ondulati.
I suoi occhi erano verdi, verdissimi anzi.
Una vita passata a fare sport aveva definito il suo corpo, rendendola attraente, elegante e sportiva allo stesso tempo.
Insomma, una bomba sexy.
Io mi ero sempre vista come un brutto anatroccolo in confronto a lei, anche se molti continuavano a sostenere che non fossi così da buttare come io sostenessi.
Avevo dei normalissimi capelli castani, lunghi, disordinati… Non avevo mai capito se fossero lisci, ricci, ondulati, o un mix dei tre.
Non ero in carne, avendo la fortuna di avere un metabolismo veloce, ma non mi era mai piaciuto fare sport.
Odiavo gli sport.
Ero sempre stata il tipo più concentrato sui libri, la brava moglie ma non la brava fidanzatina ventenne.
«Visto che Hammond sta cinguettando amorevolmente con Sullivan, questo paziente qui te lo becchi tu, Foxley.» Alzai lo sguardo dalle siringhe che stavo sistemando nell’apposito cassetto e mi riscossi dai miei pensieri. Guardai la Sloam, che mi fissava come se volesse bruciarmi viva.
«Ehm… Sissignora, certo.» Posai le siringhe e mi rassettai il camice, incamminandomi verso l’angolo della sala dov’era la dottoressa Sloam.
Mentre camminavo pregavo con ogni cellula del mio corpo che, quel paziente, non avesse qualcosa che richiedesse un pappagallo o un clistere.
I tirocinanti erano usati perlopiù per quelle mansioni e per fare prelievi.
Ormai avrei potuto fare un prelievo bendata e ubriaca.
«Ecco, signor…- guardò la cartella del paziente-…Young, questa gentilissima fanciulla si occuperà di lei.» Mi guardò, ancora intenta a rassettare il camice ed i capelli. Roteò gli occhi: stava già perdendo le speranze con me? «Se la tratta male, ma so-no si-cu-ra che non lo fa-rà – mi lanciò un’occhiataccia, sillabando parola per parola – me lo faccia immediatamente sapere. Ho un paio di casi dove potrebbe servire il suo preziosissimo aiuto.»
«Non si preoccupi, dottoressa, sono sicura che mi lascerà in ottime mani.»
«Ricucilo.» Mi disse secca, prima di girare i tacchi.

Quando la dottoressa Sloam si allontanò, scoprii che quella profonda voce maschile apparteneva ad un ragazzo che aveva presso a poco la mia età, seduto sul lettino del pronto soccorso.
Nonostante il suo viso fosse coperto per metà dal sangue che era chiaramente sgorgato a fiotti dal sopracciglio tagliato, e malgrado il suo labbro fosse spaccato e di una tonalità vicina al viola scuro, quello era probabilmente il ragazzo più bello che avessi mai visto.
Aveva dei capelli mori, scurissimi, che ricadevo in maniera spettinata sul suo viso.
I suoi lineamenti erano perfettamente lineari e marcati.
I suoi occhi… Dio, da dove cominciare a parlare dei suoi occhi?
Erano blu scuri, talmente scuri che per un attimo avevo creduto fossero neri. Erano magnetici e mi fissavano con curiosità, mentre maneggiavo la cartella clinica nel tentativo di ricompormi.
Indossava quella che una volta era stata una camicia azzurra: ora era strappata al livello del torace e del braccio destro.
«Allora, signor... Young.» Mi schiarii la voce, cercando di evitare il suo sguardo. «Ora le controllerò la ferita per decidere quanti punti di sutura debba metterle.» Posai la cartella clinica sul tavolino che affiancava il lettino, prendendo poi dalla tasca del camice una piccola luce per vedere meglio.
«Mi chiamo Seth.» Disse con un ampio sorriso. «Puoi chiamarmi Seth.» Boccheggiai per un paio d’istanti per poi deglutire. «Sempre se il boss te lo permette.» Aggiunse.
«Ok, Seth.» Mi strappò un sorriso.
«Lei è la dottoressa…» Mi guardò curiosamente.
«Seth, mi lasci controllare la ferita, non deve essere piacevole avere un sopracciglio aperto.» Cercai di essere professionale, nascondendo quanto mi stesse turbando quel paziente.
«Beh, considerando che mi metterà almeno tre punti in faccia, ritengo sia una richiesta lecita voler sapere il suo nome. Se deturpa il mio viso, perlomeno, sarò in grado di rintracciarla e farle causa.» Disse con un tono estremamente pacato. Sospirai.
«Questo mi sembra più un motivo per non dirle il mio nome.» Sorrisi e lui ridacchiò, prima di lanciarmi un’intensa occhiata. «Elle. Mi chiamo Elle Foxley.» Mi arresi, sorridendogli leggermente.
«Ora, Elle, può procedere. Giuro che starò fermo come un’autentica mummia del Museo del Cairo.» Non riuscii a trattenere una risata, che poi dovetti soffocare non appena la Sloam passò a un metro da noi, incenerendomi con lo sguardo.
Mi chinai sul volto di Seth per analizzare al meglio il profondo taglio.
Non solo ero rimasta spiazzata dal suo aspetto fisico, ma anche da quelle ferite.
Cosa gli era successo? Avrei dovuto leggere bene il referto d’ammissione al pronto soccorso.
Dopo aver deciso che servivano cinque punti di sutura, cominciai a tamponare la sua ferita per pulirla.
Chinata in quella posizione sul suo volto sentivo il suo caldo respiro infrangersi contro di me.
Respirava piano, regolare, con le labbra schiuse ed i muscoli del viso rilassati ma al contempo quasi sull’attenti, sensibili ad ogni movimento, ad ogni stimolo proveniente dall’esterno.
«Scusi se brucia un po’, sto disinfettando la ferita.» Mormorai. «È un brutto taglio.»
«Non è niente di che. Non fa male.» La sua voce era leggermente roca e troppo vicina a me.
Finii di disinfettare, prendendo poi gli utensili per procedere con i punti di sutura.
Mi concentrai, intimando a me stessa di non essere distratta da quella presenza maschile.
Non mi era mai successo di tremare così per un ragazzo. Figuriamoci per uno sconosciuto!
Io avevo paura di approcciare il sesso opposto.
Avevo paura conoscere qualcosa fuori dagli schemi che mi ero costruita tanto assiduamente nel corso degli anni.
Ero arrabbiata, dannatamente arrabbiata con quel Seth Young.
Era arrivato dal nulla e aveva fatto vacillare le mie solide difese non dicendo acca.
Non aveva fatto nulla, niente di eccentrico, di particolare.
Era un semplice sconosciuto a cui avevo appena finito di ricucire il sopracciglio.
«F-fatto.» Mormorai, allontanandomi ed osservando la mia opera. Mi girai frettolosamente per prendere dei cerottini, che poi applicai con cura su ogni punto di sutura singolarmente. «Ora le sciacquo il resto del viso… È interamente sporco di sangue.»
«Guardi che non mordo.» Disse mentre prendevo un pezzetto di tela, impregnandolo con dell’acqua calda. Sbarrai gli occhi: cos’è che aveva detto? Lui sorrise leggermente. «Mi tocca come se potessi morderla da un momento all’altro.» Mi guardò ed io arrossii.
«Mi scusi, semplicemente non volevo farle del male.» Dissi sbrigativa, poggiando poi la tela sul suo viso.
Cominciai a detergere con cura il suo volto.
Lavai via il sangue incrostato vicino il suo naso, vicino il suo labbro.
Lavai anche quello che si era andato a incastrare fra i suoi capelli scuri all’attaccatura della fronte.
Cercai di pulire il più possibile la ferita sul suo labbro, stando attenta a non ferirlo.
Non appena finii, mi tolsi i guanti di gomma e misi via tutti gli strumenti utilizzati durante quella procedura.
Seth continuava a guardarmi spavaldo, attento ad ogni mio movimento.
Cosa ti guardi?
Gli avrei voluto dire.
Invece mi limitai a deglutire, accennando un leggero sorriso.
«Come nuovo.» Esclamai. «Fra cinque giorni deve tornare qui così glieli tolgono. Le scrivo su un foglio cosa deve fare per evitare infezione, eccetera. Okay?»
«Grazie, dottoressa Elle.» Ricambiai il suo sorriso, porgendogli poi un foglio su cui avevo appuntato le cose che dovesse fare.
«Foxley!» La Sloam arrivò velocemente, afferrando il pezzetto di carta che avevo appena dato a Seth. Lui la guardò per un momento interdetto. «Vediamo se hai scritto qualcosa che potrebbe mandarlo tre metri sotto terra in una bara.» Ridacchiò. Io mi limitai a tirare un sorriso. «Mh… Si… Mh… Beh, signor… Young, sembrerebbe che possa seguire questa lista senza rischi troppo dannosi per la sua salute.» Si avvicinò poi alla ferita che avevo appena ricucito, analizzandola. «Molto bene, Foxley, almeno i punti di sutura tu li sai mettere a differenza di quel ciuccione di Matthew Smith là giù infondo… E pensare che è uno specializzando, lui!» Scosse la testa, guardando poi Seth. «Beh, può andare, caro!» Esordì infine, girando sui tacchi e prendendo sotto braccio un’infermiera. La sentii borbottare qualcosa su una paziente che non riusciva a smettere di vomitare.
«Mi sa che devo andare.» Disse Seth al mio orecchio, alzandosi dal lettino. «Devo ammettere che quella dottoressa mi fa quasi più paura di mia madre.» Confessò, facendomi sorridere.
«Delle volte dubito di poter arrivare sana e salva alla fine del mio turno…» Ammisi, sistemandomi una ciocca di capelli.
Fine del turno? Che ore erano?
Guardai l’orologio: le cinque e cinquanta.
Presto sarei potuta andare a casa!
«Beh, allora grazie, Elle.» Mi guardò dritto negli occhi ed io indietreggiai leggermente, intimorita da quella inaspettata vicinanza.
«Le direi di “tornare a trovarci” ma non credo sia gentile invitare qualcuno a tornare in ospedale.» Parlai troppo velocemente, lui se ne accorse. «Beh, ha capito insomma.» Aggiunsi, gesticolando.
«C’è una qualche possibilità che lei possa darmi del tu, Elle?» Domandò, spiazzandomi.
«Io… Io sono a lavoro, non…» Balbettai, arrampicandomi chiaramente sugli specchi.
«Magari… Fuori dal lavoro?» Accennò.
Mi feci improvvisamente piccola piccola, terrorizzata.
Dio, cos’era quella? Una proposta?
«Io...» Boccheggiai. «…Non credo che…» 
Cosa?
Non credo cosa?

Per quale motivo ero così idiota e lui così inopportuno?
«Elle! Sono le sei! Andiamo?»
La voce di Sarah mi riportò coi piedi a terra. Mi voltai per guardarla e farle un cenno per dire che arrivavo. Poi guardai nuovamente Seth, che non voleva proprio saperne di smetterla di fissarmi.
«Devo andare.» Dissi semplicemente. «Io…»
«Deve andare, l’ho capito.» Prese una giacca scura che aveva lasciato tutto quel tempo sul lettino dov’era stato seduto e la indossò. «Arrivederci, Elle.» Disse poi, porgendomi la mano.
Lo guardai interdetta, allungando poi a mia volta il braccio per stringergli la mano.
Il calore del suo palmo mi fece tremare le ginocchia e la sua stretta corrispose alla stretta che provai sul mio stomaco.
«Arrivederci.» Dissi, cercando di non vibrare la mia voce.
«Lo spero.»
Mi sorrise un’ultima volta prima di sciogliere la stretta delle nostre mani e allontanarsi.
Lo guardai camminare con passo svelto, sicuro, le mani nelle tasche.
Bene.
Cosa diamine era appena successo?

 

 

*

 

 

Ciao a tutti!
Grazie per aver letto il primo capitolo di questa storia e spero vi piaccia.
Non ho molto da dire in questo primo angolo dell’autrice.
Anche io una volta mi sono sentita disillusa nei confronti dell’amore come Elle, anche io evitavo il sesso opposto perché non ci volevo credere. Eppure delle volte, per quanto ci si opponga, qualcuno (Seth?) è in grado di sfondare le nostre barriere senza fare nulla di speciale.
Spero di leggere vostri commenti.



  
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