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Autore: FairLady    19/08/2013    6 recensioni
Siamo nel 1852. È il compleanno di Stefan, e Damon, che ha molto a cuore il suo fratellino, trova il modo di fargli vivere un giorno speciale. Compare anche il padre dei due, Giuseppe Salvatore.
Child!
Seconda Classificata al contest "Salvatore Brothers in Live" indetto da Soqquadro04 sul forum di EFP
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Damon Salvatore, Giuseppe Salvatore, Stefan Salvatore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Villa Veritas splendeva un sole come non si vedeva da tempo. Da quando la moglie di Giuseppe, e madre di Damon e Stefan, era venuta a mancare, il grigiore e l’apatia regnavano sovrani e per la famiglia Salvatore quei cinque anni furono un incessante funerale.
Quel luogo e i suoi abitanti sembravano aver perso ogni capacità di sorridere, di divertirsi, di vivere. Giuseppe aveva spento quello che da giovane tutti descrivevano “il carattere del Giullare di Corte” e aveva finito con lo spegnere anche quello di suo figlio Damon, il maggiore dei due.
Lui ricordava perfettamente il clima che si respirava alla Villa. Sua madre era solita organizzare grandiose feste, divertenti e allegre, che erano un po’ l’orgoglio di famiglia. Stefan, che non aveva fatto in tempo ad assaporare quei tempi felici, era cresciuto solitario, silenzioso, un po’ insicuro e per niente incline al riso.

La zazzera nera e spettinata di Damon si muoveva a destra e sinistra all’interno di una grande cassa di legno. Era chiuso da ore nella piccola dependance appena fuori la Villa. Era lì che il padre aveva accatastato in ordine maniacale tutto ciò che era appartenuto alla moglie, eccetto gli abiti, che erano rimasti sempre nel loro armadio in camera da letto. Quel luogo, una volta utilizzato come appoggio per le feste in giardino, ora conteneva ogni oggetto che lei avesse mai toccato, compresi gli strumenti per il cucito, gli utensili per la pittura e i giochi, quelli con i quali divertiva Damon e intratteneva gli ospiti sotto una certa età che avessero avuto la fortuna di passare per la loro umile dimora, come era abituata a chiamarla lei.  
Giuseppe aveva proibito ai suoi figli di entrare in quel posto. Aveva proibito loro di mettere disordine o sottrarre qualunque cosa. L’unico oggetto che era stato concesso a Damon era la locomotiva del trenino di legno che gli avevano regalato per il suo secondo compleanno: era la novità del tempo, a quell’epoca, e i coniugi Salvatore avevano sempre fatto in modo che al figlio non mancasse alcunché, che Damon avesse il meglio. Quel trenino, come per lui era logico, finì poi nella camera del fratello più piccolo, proprio il giorno del suo secondo compleanno. Si era privato dell’unica cosa che, nei suoi sogni, avesse ancora l’odore del suo angelo, per donarlo a Stefan, che quell’angelo non lo aveva mai neanche abbracciato.
Per quel quinto compleanno, però, Damon aveva qualcosa di grande in mente. Sapeva bene che, se suo padre lo avesse sorpreso a frugare nella dependance, avrebbe passato dei guai grossi, ma, se c’era una cosa della sua infanzia che gli fosse rimasta davvero impressa nella mente, era certamente quel compleanno e, a costo di procurarsi qualche cinghiata, avrebbe fatto in modo che anche per Stefan fosse memorabile.
Stava ancora rovistando nella grande cassa, che sembrava non avere un fondo, quando si lasciò scappare un sospiro di sollievo, seguito da un flebile gridolino di gioia.
“Finalmente vi ho trovate!” Damon si issò trionfante, brandendo delle marionette, tutto soddisfatto. Si trovava alla dependance già da qualche ora e temeva che, prima o poi, qualcuno o, peggio ancora, suo padre, sarebbe venuto a cercarlo. Inoltre, si stupì che suo fratello ancora non si fosse fatto vivo. Di solito riusciva a scovarlo anche nei posti più impensati.
Restava, comunque, il problema più grande:
“Dove sarà il teatrino?” pensò tra sé, grattandosi la testa e guardandosi intorno.
Quando, poco più tardi, dopo aver spostato con grande fatica alcune scatole e un grosso quadro dall’aria antichissima, riuscì finalmente a trovarlo, si sentì così sollevato che avrebbe voluto piangere. Soffiò forte sul piccolo palco, dove sua madre inventava sempre nuove storie divertenti e magiche, e un nugolo di polvere si alzò, facendolo tossire. In quel momento sentì suo padre chiamarlo a gran voce, così cercò di sistemare il tutto alla bene e meglio, nascose le marionette in una grossa cesta da picnic e si presentò alla porta della dependance.
Quando Giuseppe lo vide si rabbuiò istantaneamente.
“Cosa hai fatto lì dentro? Ti sei scordato che ho espressamente proibito di metterci piede?”
“No, papà, non l’ho scordato – rispose mesto, abbassando il capo, poi però pensò a suo fratello e un moto di orgoglio improvviso s’impadronì di lui, facendolo parlare più del dovuto – ma vorrei organizzare la festa di compleanno per Stefan e mi servono delle cose che stanno qui.”
“Per la festa di compleanno di tuo fratello ci sta già pensando la cuoca. Faremo il pranzo con gli zii, come ogni anno.”
“Io voglio fargli la festa come quella che faceste a me per i miei cinque anni, non un pranzo spento con brodo di pollo e tacchino ripieno!”
“Quelle feste sono finite cinque anni fa e non ne voglio neanche discutere! Vai a cercare tuo fratello e venite a tavola, prima che cambi idea e ti faccia pagare la disubbidienza!”

Damon, su due piedi, fece ciò che il padre gli aveva ordinato, ma più tardi, nel silenzio della Villa addormentata, mentre il fratellino sognava beato nel suo letto, sgattaiolò alla dependance a terminare il lavoro che qualche ora prima era stato interrotto.

Due giorni dopo
Era stato difficile per Damon riuscire ad organizzare tutto di nascosto dal padre, ma il signor Gilbert gli era venuto in aiuto, invitandolo a casa sua spesso, per delle riunioni private. A quel punto, i problemi peggiori furono Stefan e la sua curiosità: avrebbe dovuto tenerlo lontano dalla dependance, affinché non scoprisse prima del tempo la sua sorpresa di compleanno.
“Damon, posso venire con te?” gli chiese quella mattina “È il mio compleanno e mi hai sempre detto che in questo giorno posso fare quello che voglio. Beh, io voglio stare con te!”
“Aspetta ancora un po’, Stefan. Tra non molto staremo insieme, adesso però devo finire di fare una cosa.” Gli rispose il fratello, paziente e gentile con lui, come sempre.
Il piccolo gli si aggrappò alla camicia, cercando di tirarlo verso di sé per abbracciarlo. Lui lo prese in braccio e lo strinse forte.
“Buon compleanno, piccoletto.”
“Dimmi che tu non mi lascerai mai solo, che non andrai mai in cielo dove c’è la mamma.”
Gli occhi azzurri di Damon, proprio uguali a quelli della loro madre, s’inumidirono leggermente.
“Ma cosa dici, Stef? Noi staremo insieme per sempre, non ti preoccupare.” Riuscì a rassicurarlo, cacciando indietro il groppo che gli si era formato nella gola.
“Adesso, vai. Tra poco si pranza ed inizia la festa!”
A quell’ultima parola, che non era certo abituato a sentire, Stefan s’illuminò, proprio come avrebbe dovuto fare un bambino normale all’idea di celebrare il proprio compleanno. Damon era stanco di vederlo sempre malinconico e silenzioso. Era stanco di dover continuamente vivere in lutto; non era utile a nessuno, non avrebbe portato che altra sofferenza. Era come se sua madre morisse ogni giorno e, ricordando la sua indole altruista e premurosa, era certo che lei non avrebbe voluto vederli così, non avrebbe voluto vederli crescere nell’angoscia e nella tristezza. Avrebbe voluto vederli uniti, felici e spensierati, ricordandola sempre con amore, quello che lui aveva intenzione di fare.

Subito dopo pranzo, mentre tutti assaggiavano la torta che Giuseppe non aveva chiesto, ma che la cuoca aveva preparato contro la sua volontà, Damon si alzò dal suo posto e attirò l’attenzione dei commensali battendo delicatamente il coltello sul bicchiere, proprio come avrebbe fatto un giovane adulto.
Quando gli occhi dei presenti furono tutti su di lui, sorrise appena, sentendosi perforare dallo sguardo accusatorio del padre che, però, per non dare spettacolo in pubblico, rimase in silenzio, in attesa di sentirlo parlare. Il ragazzo volse lo sguardo verso il fratello, che lo ammirava come fosse il suo idolo. Pendeva dalle sue labbra, trepidante e, per la prima volta, sorridente.
“Stef, sai che di solito non festeggiamo i compleanni in grande stile, e generalmente ciò che riceviamo in regalo sono caramelle gommose e nichelini, quest’anno, però, ho deciso di farti una sorpresa, nella speranza che questo diventi il giorno che ricorderai con più gioia. Buon compleanno, fratellino!”
Gli prese la mano, sorridendogli con un calore nuovo, quasi paterno. Stefan non riuscì a contenere la gratitudine verso quel ragazzino che gli era capitato per fratello, anche solo per il dolce pensiero che gli aveva rivolto. Non aveva ancora scoperto quale fosse la sorpresa, ma era già così felice che lo abbracciò. Erano sensazioni nuove per lui. Il cuore leggero, le palpitazioni che l’attesa donava, il sorriso che, inconsapevolmente, affiorava sulle sue labbra e quella voglia spasmodica di correre fuori e scovare il suo regalo.
Damon non volle più farlo aspettare e lo trascinò fuori, verso la piazzola accanto alla dependance, invitando gli altri a seguirli. Giuseppe, dentro sé, era sempre più furente verso quel figlio che aveva osato disobbedirgli e riportare alla luce l’ombra flebile ma luminosa di sua moglie, acutizzando ulteriormente quel dolore lancinante al petto, che da cinque anni non aveva comunque mai perso di intensità. Non aveva neanche notato gli occhi di Stefan diventare sempre più grandi per l’estasi, mentre il fratello faceva scivolare un grosso lenzuolo bianco da una piccola catasta, per scoprire cosa celava: il teatrino delle marionette, quello che, con tanto amore e dedizione, sua moglie aveva costruito per il quinto compleanno di Damon.
Una lacrima percorse furtiva la guancia di Giuseppe, una lacrima che si affrettò ad asciugare con il pollice della mano destra. Serrò le braccia al petto, cercando di trattenere quelle sensazioni che con tanta decisione aveva cercato di sopprimere, ma che inevitabilmente erano rimaste lì. A torturarlo. A spegnerlo, giorno dopo giorno.
Il suo figlio più grande, nascosto dietro al telo rosso che faceva da sfondo al palco, muoveva le marionette con maestria, come se non avesse fatto altro in vita sua, mentre un estasiato Stefan guardava, incantato e sognatore.
Damon creava scenette divertenti, prendendo in giro le favole che loro reputavano da bimbette e facendo ridere il fratello. Stefan si dimenava in preda alle risa, e i parenti lo imitavano, aggregandosi a quella ilarità, così strana per loro, così fuori posto, e allo stesso tempo così giusta.
Si rese conto in quel momento del gravissimo errore che aveva fatto con i suoi figli, con i loro figli. Sua moglie, se fosse toccato a lui perire, non avrebbe permesso che il lutto e la tristezza s’impadronissero dei sorrisi di quei bambini. Forse, pensò, era stato troppo duro, troppo sleale da parte sua, far pagare a loro le sue angosce, il senso di vuoto che lo attanagliava e gli faceva perdere il sonno.
In un istante, la patina grigiastra che aveva avvolto la famiglia Salvatore da cinque anni a quella parte cadde, riportando in vita, almeno in parte, quella sana allegria che a tutti era mancata.
Giuseppe s’incamminò piano verso Stefan, che continuava a ridere e a incitare i personaggi mossi dal fratello, a fare quello piuttosto che quell’altro. Lo prese in braccio e sedette, mettendoselo in grembo e abbracciandolo stretto. Damon che, da uno spiraglio della tenda, era riuscito a vedere la scena, rimase un po’ stordito da quel gesto, smettendo di muovere le marionette, ma si riprese subito, con più enfasi, più convinzione, sorridendo felice dietro la tenda rossa.
Finalmente, dopo tanto tempo, avrebbero ricominciato ad essere una vera famiglia. Finalmente, lui e suo fratello Stefan avrebbero avuto la possibilità di crescere uniti e sereni, e comprese in quel momento che il loro legame non si sarebbe mai potuto spezzare. 

   
 
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