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Autore: BlueSkied    19/08/2013    1 recensioni
Merope Gaunt, sempre prigioniera, adesso libera di realizzare il suo desiderio, senza sapere che diventerà un incubo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Merope Gaunt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
- Questa storia fa parte della serie 'The secondaries'
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Giglio


 


« La bocca del giusto proclamerà la sapienza
e la sua lingua esprimerà il giudizio.
Beato l’uomo che sopporta la tentazione,
perché, quando sarà stato messo alla prova, riceverà la corona della vita.
Signore, fuoco divino, pietà!
Oh, quanto sei santa, quanto serena,
quanto benigna, quanto amabile,
o giglio di purezza! »






Il primo giorno non aveva saputo cosa fare. Era rimasta seduta vicino alla finestra, spaesata, contemplando quel che poteva scorgere della vallata schermata dagli alberi. Quando era andata a letto, aveva avuto così tanta paura di dormire da sola, da non poter chiudere occhio tutta la notte.
Poi, era andata meglio. La sua solitudine si era rivelata una nuova, inaspettata, sconosciuta ed eccitante libertà. Merope non aveva mai sopportato la sporcizia, così si era messa a pulire tutta la casa, anche se non era un gran lavoro. Aveva tirato fuori il suo abituccio migliore, quello meno liso, e si era guardata nell'unico specchio che possedeva. Non era stato un lungo esame: sconfortata, l'aveva rimesso nel cassetto. Neppure essere liberi ti rende bella, si disse, e si stupì. Suo padre la credeva così stupida.
Pensare a suo padre e suo fratello le dava i brividi. A volte, credeva di sentire i loro orribili rantolii in Serpentese, anche se sapeva perfettamente che in casa non c'era nessuno. Lei lo parlava malvolentieri, costretta come in ogni altra cosa. Non capiva perché non potessero almeno parlare normalmente. Forse, agli occhi della gente sarebbero sembrati meno strani, meno pericolosi.
Merope Gaunt non aveva mai fatto male a una mosca. Orfin, suo fratello, aggrediva Babbani per divertirsi, fin da quando era un bambino. Se lo era mai stato bambino, si chiedeva ora sua sorella. Così malvagio, viscido e pazzo.
Sangue puro, sangue nobile, sangue malato. Un'eredità indesiderata, come i gioielli di famiglia, e quasi altrettanto dannosa. La ragazza sfiorò il medaglione che portava al collo, più per abitudine che per affetto, questo era certo.
Prima, lo indossava sua madre, ma lei era morta quando Merope era ancora in fasce. Morta per dare alla luce una Maganò, questo le aveva sempre ripetuto il vecchio e folle Orvoloson, amareggiato e idiota.
- Ti sbagli, padre - sussurrò Merope, alle braci morte nel camino.
Era stata una scoperta straordinaria, poche settimane dopo l'arresto dei familiari: c'era una pentola troppo in alto sulla mensola, come quel giorno, e lei non riusciva a raggiungerla. Con gli occhi traboccanti lacrime, aveva desiderato che venisse giù, e quella le era volata con grazia tra le mani.
Non poteva capire che i suoi poteri si stavano risvegliando, ma altri, piccoli episodi la condussero a quella magnifica scoperta. Strinse fra le dita la bacchetta divenuta nuova compagna di meraviglie, fremendo al piacere di sentire di nuovo la magia in sé, potente, fluida come il pensiero.
E i suoi pensieri non erano più tristi, neanche se si rivolgevano a lui.
Come dimenticare la prima volta che lo aveva visto, anni prima? Il giovane signorino Riddle era tutto quello che il mondo di Merope non poteva neppure sperare di eguagliare.
Intanto, era bello, e c'era così poca bellezza nel tugurio dei Gaunt. Poi, era nobile e ricco, sul serio, non come spergiurava suo padre, nella vanagloria ubriaca che lo distingueva. Infine, Merope era certa che fosse buono e gentile. Nessuno con un aspetto così angelico poteva essere cattivo, lei lo credeva, come verità inoppugnabile.
Ci aveva messo un po' a rendersi conto che con le sue abilità riacquistate poteva almeno farlo avvicinare. Scambiare due parole, guardarsi negli occhi anche per pochi istanti.
Un sogno lontano, adesso vicinissimo, da sfiorarlo con le punte delle dita, così come si accarezzano le piume di un passero.
Pensava fosse difficile seguire le istruzioni in quel vecchio, consunto manuale di pozionistica, ma c'era riuscita, ed era contenta. Un desiderio semplice, senza pretese, come non pretende chi sa d'amare qualcosa d'inafferrabile.
Forse Merope non conosceva niente del mondo e della vita, forse era convinta di trovarsi nella fiaba che aveva sempre voluto vivere, questo ancora non lo sapeva.
Ma era dolce il borbottio del filtro d'amore appena pronto, che attendeva paziente sul fornello, caldo e accoccolato come un gatto sornione.
Era dolce anche il frinire delle cicale, cantrici di quel pomeriggio d'estate, sottofondo delicato alle sue fantasticherie.
Il suono più dolce di tutti, gli zoccoli di un cavallo. Era solo, quel giorno, forse l'afa era insopportabile per la sua fragile e bella Cecilia.
Merope preparò il bicchiere e la caraffa, li mise sul vassoio con mani tremanti.
Un attimo prima di aprire la porta, ricordò: afferrò il fiore colto quella mattina, un giglio spuntato all'improvviso fra le sterpaglie, e se lo appuntò al petto. Quale promessa migliore?
Merope sorrise, alla luce del sole.
  
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