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Autore: MeganMoore    20/08/2013    1 recensioni
La nostre dolce e cara Luna a contatto con il suo triste e doloroso passato.
"Solitudine. Condizione di chi ha il difetto di dire la verità e di essere dotato di buon senso.”
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Luna Lovegood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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“Solitudine. Condizione di chi ha il difetto di dire la verità e di essere dotato di buon senso.”

 

- Mamma, dove sei?- la mia voce era flebile.

-Tesoro, sono qui. - disse la voce cristallina e piena d’amore di mia mamma.

La mamma era una strega brillante, molto indaffarata in quel periodo, ma non si scordava mai di passare un po’ di tempo con la sua figlioletta di sei anni, cioè me.

Quel giorno, però, conciliò il lavoro e me, infatti, mi portò con sé all'ufficio. Era grandissimo e colorato pieno di ampolle e fumi variopinti degni di una pozionista. La mamma stava lavorando contro la diffusione del baccello di drago, molto diffuso in quel periodo.

Mi chiese di non allontanarmi, ma io, spinta dalla curiosità di seguire i gorgospizzi che mi erano apparsi davanti al naso, decisi di farlo.

-Mamma, sto andando a prendere il cappotto nell’altra stanza- mentii.

 Mi ritrovai in un giardino. Milioni di farfalle e gorgospizzi si accerchiarono intorno a me e come se mi volessero indicare la strada, avanzarono verso una porta socchiusa. Era impolverata e piana di ampolle da lavoro di cui una, in particolare, risiedeva al centro dell’antico tavolo in mogano.

Aveva un buon profumo. “Sa di menta” pensai ispirando profondamente.

A un tratto, però, vidi mia madre entrare terrorizzata che mi urlava di scappare. Io, dalla paura, scivolai e andai a sbattere contro l’ampolla.

Successe tutto in un attimo.

Mia madre che mi stringeva forte, proteggendomi con un incantesimo.

Lei che mi sussurrava un “ti voglio bene” carico d’affetto.

La pozione, che era esplosa, rimbalzarmi contro colpendo mia madre che non era riuscita a estendere l’incantesimo su di lei.

 

Sentivo ancora le mie braccia intorno a lei, il suo costante odore alla cannella e la sua voce vellutata che mi diceva di volermi bene.

Mi accorsi, però, che ciò che stringevo non era mia madre, era il mio cuscino.

Ogni notte, facevo sempre lo stesso e, purtroppo, veritiero incubo: la morte di mia madre.

Non mi sarei mai perdonata ciò che le feci quel giorno. Ero stata io a ucciderla. La mia bugia, per la precisione.

Da quel giorno non volli raccontare più bugie. Facevano solo male agli altri, distruggevano gli animi.

Mia madre era solita dire “meglio una dura verità piuttosto che una dolce bugia”. Non sapeva quanto avesse ragione.

Si era scordata, però, di un particolare: non tutti la pensano in questo modo. Tutti vogliono vivere per sempre nella loro piccola isoletta felice i cui abitanti devono per forza sottostare alle regole. Una regola era sacrosanta per tutti: mai dichiarare la verità. Perché a volte fa male scoprire verità scomode, anche se magari si possono accettare più delle bugie. Tutti hanno paura di soffrire.

Io ne ho pure il terrore, ma non mi sono mai pentita di quella decisione. Sono diventata sempre più sincera perché nessuno ne uscisse sconfitto.

 La verità, però, è che io ero stata sconfitta perché tutti mi escludevano dalla loro isoletta, nessuno voleva con sé la pazza “Lunatica” Lovegood.

Una lacrima mi scese lungo il viso e strinsi di più il cuscino desiderando ardentemente che quella fosse l’abbraccio di mia madre.

“Non arrenderti” furono quelle le ultime parole che mia madre, inoltre, mi sussurrò.

Per questo motivo la voragine che credevo di avere nel petto non esisteva, perché anche se la solitudine c’era, sapevo che alla fine la verità sarebbe stata accettata, che avrebbe fatto meno male di una bugia.

“Grazie mamma, anche io ti voglio bene.”

E con quelle parole mi riaddormentai un po’ più serena.

   
 
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