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Autore: marig28_libra    20/08/2013    3 recensioni
Lutti, incertezze, paure, lotte. La vita dell'apprendista cavaliere si rivela assai burrascosa per Mu che ,sotto la guida del Maestro Sion, deve imparare a comprendere e ad affrontare il proprio destino. Un destino che lo condurrà alla sofferenza e alla maturazione. Un destino che lo porterà ad incontrare il passato degli altri cavalieri d’oro per condividere con essi un durissimo percorso in salita.
Tra la notte e il giorno, tra l’amore e l’odio, Mu camminerà sempre in bilico. La gioia è breve. La rinuncia lacera l’anima. Il pericolo è in agguato. L’occhio dell'Ariete continuerà però a fiammeggiare poiché è il custode della volontà di Atena ed è la chiave per giungere al cielo infinito.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Mu, Aries Shion, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'De servis astrorum' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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“ Un dì, felice, eterea,
Mi balenaste innante,
e da quel dì tremante,
Vissi d’ignoto amor.
Di quell’amor che è palpito,
dell’universo intero,
Misterioso, altero,
Croce e delizia al cor. “

( G. Verdi, F.M. Piave La traviata )

 

 


La costellazione dell’Ariete rifulgeva infiammata, ma inspiegabilmente muta.
Era un’incisione di rocchetti di calcio che si ostinava a celare qualcosa…Prima era tornata a brillare musicante e più potente che mai poi aveva congiunto gli scuri della voce.
 
Non capisco! Avevo avvertito che Mu era uscito dal Regno di Mr. Fobia-Merda!* Che è successo? È sparito di nuovo ! Maledetto pecoraccio tibetano!”

Nell’ospedale del Santuario Aldebaran, inquieto e spazientito, era evaso dalla camera in cui alloggiava.
Si era scaraventato nel corridoio del reparto rianimazione affacciandosi a una delle finestre che mostravano  le Dodici Case e Rodorio.
Milo, Aiolia e Camus avevano cercato di tranquillizzarlo dicendo che,  nonostante il cosmo di Mu  fosse momentaneamente svanito, non percepivano più alcun  pericolo.
Il ragazzone seguitava a provare ansia e tentava di trasformarsi in un’antenna per captare i segnali satellitari dell’amico.
Sfortunatamente le sue onde-radio non riuscivano a ricevere alcun messaggio. 


- Ehi.

Il colosso si voltò e restò allibito: Camus era fuori dalla stanza.

- Oh – gli grugnì da troglodita.

Il francese lo squadrò con il cipiglio di un maestro verso uno scolaretto sgarbato.
  
- Beh? – rimproverò.

- Mh?

- E’ meglio che torni con noi. Se continui a stare davanti alla finestra, ti buscherai un malanno.

- Come mai sei così premuroso, papà Camus?

- Non vorrei che i guardiani-infermieri scoprissero che il gorilla dello zoo è fuggito dalla gabbia.

- Torna alla tua ghiacciaia, pinguino sovietico.

- I pinguini pattinano nell’Antartide…sempre che non decidano di chiedere un cambio di residenza a Madre Natura.

- Bene, Capitan Merluzzo…sguazza via che ti seguo a ruota.

Il brasiliano tornò a scrutare indispettito il cielo.
Camus lo affiancò dandogli una pacca sull’enorme dorso.

- Su, tranquillo…riabbraccerai il tuo principe tibetano e tornerete a vivere felici e contenti.

Aldebaran  lo fissò con curiosità.
Sghignazzò un attimo e  rispose malizioso:

- Ti consiglio di tenere sott’occhio Milo…

- Porquoi?

- Quel gattone di Aiolia non me la racconta giusta! Gli fa troppe fusa…

- Dici che lo Scorpioncino mi abbandonerà per lui?!

- Ahimè, carissimo, non ci sono più i cavalieri serventi di un tempo!

I due si guardarono con ironico dispiacere, simili a sconsolate fanciulle che si confidano, a vicenda, i propri tormenti amorosi.
Restarono qualche secondo in silenzio con gli occhi e le bocche che tremolavano.

Alla fine scoppiarono a ridere.
Tapparono con musiche allegre e liberatorie i valli dell’angoscia in cui erano scivolati durante quella giornata.
Aldebaran si gustò quel piccolo divertimento osservando incredulo e felice il compagno d’armi.
Era uno spettacolo strano e meraviglioso vedere Camus conflagrare in palme e girandole di fuochi d’artificio.
Le sue labbra mostravano la dentatura che non biancheggiava neve arsa ma vele di catamarani soleggiati. La sua voce risuonava spaesante e abbagliante mentre ondeggiava come una bandiera vellicata dal vento.

Quando le risa sfumarono, i ragazzi ripresero a guardarsi.
Il blu raccolse le pigne e le nocciole del castano d’intenso equatore.
Il castano s’immerse tra le mareggiate incontrollabili del nordico blu.
I pigmenti degli occhi del francese e del brasiliano s’intopparono come non avevano mai fatto prima. Erano differenti ma avrebbero potuto convivere senza stonature d’asprezza e burrasche…Magari non sarebbe sbocciato un connubio di sincronia, non sarebbero esistiti perennemente circoli d’incontro però , in fin dei conti,  perché non sedersi qualche volta sotto una stessa pensilina?

- Emh…Camus…- borbottò il Toro – scusa…Scusami per quella cosa orribile che ti ho detto…io…i-io…non volevo essere verme…

Il giovane  restò zitto con espressione seria ma distesa.

- Ecco…- riprese l’altro- ero incavolato nero, non ho capito più niente e mi sono comportato da grandissimo coglione….credimi sul mio onore e sulle corna della mia costellazione, che non avrei mai voluto buttarti a terra in quel modo…*

- Aldebaran…

- Non dovevo spiattellarti in faccia quella bastardata! È stata una mossa schifosa! Schifosa! No! No! Mi sono trasformato in una bestia vomitevole…

- Aldebaran…

- Mi sono sentito la cacca più caccosa di tutte le peggiori cacche dei gabinetti! Come ho…

- Tais toi!!

Aldebaran si ammutolì scosso da quel tono alterato.
Camus sospirò prima scrutandolo severamente e dopo sorridendogli  intimidito.

- Il primo stronzo sono stato io – appurò abbassando lo sguardo – ho mostrato di avere una notevole dose di deficienza e ho fatto una figura di merda dietro l’altra. Purtroppo amo restare sugli iceberg e non so se riuscirò a liberarmi facilmente da questa pessima abitudine…Non sai quante volte Milo si sia arrabbiato con me.

- Beh…- mugugnò Aldebaran- gli atteggiamenti con cui ti sei presentato al porto*  facevano girare le palle e io  ero quello che le aveva girate più di tutti…hai interpretato brillantemente  il principe siberiano schifamondo però…però…non dovevo dirti quella carognata!

- Scemo. Non è che io sia stato carino e bellino nei tuoi confronti.

- Sì, d’accordo, hai fatto il tuo numero  ma  io in primis mi devo scusare!

- Al…gli effetti collaterali del vivere in Russia sono questi: si ghiacciano spesso il parabrezza e il paraurti e non si sa in che direzione si va a sbattere. Il cretino che ha dato inizio a tutto  è il freezer che hai davanti a te. Scusami… Scusami se ti ho guastato il fegato e lo stomaco.

- Oh! Piantala! Io devo scusarmi!

- No.

- Sì!

- Piece de cretin.

- Vai a farti surgelare!

- Vai a farti arrostire!

Si studiarono con finta ostilità per poi ridacchiare.

- Senti- concluse Aldebaran- siamo stati grulli tutti e due, va bene?!

- Hai ragione – affermò il compagno – potremmo comunque rimediare, no?

Il mastodontico ragazzo gonfiò il torace e incrociò le braccia con  sorriso di sfida:

-  Non appena ci ripiglieremo ti aspetterò all’Arena degli Addestramenti.

- Perfetto. Lo appunterò a caratteri di fuoco sulla mia agenda.

- Artico contro equatore?

- Artico contro equatore. Nessun compromesso.

I due tornarono nella loro stanza nell’impazienza di riscoprirsi in un’inattesa stagione.
Forse un solstizio d’estate avrebbe folgorato nella canzone delle germogliature autunnali.
 

 


L’aurora tracimava afflati di larve calcaree.
Le aiuole della volta celeste srotolavano un ikebana di nuvole arancioni che sfumava verso le vette in pallidezze indaco e cobalto. Sembrava che Flora avesse appuntato festoni di petali e che Demetra li avessi benedetti cospargendo primavera sui lobi delle penombre.

Ogni cosa si rosolava nella quiete con lentezza e senza bruciature.
Sotto il pulpito del silenzio, il villaggio del Sole di Giada si sarebbe sollevato dall’inginocchiatoio del sonno.
Le litanie per il Sole nascituro erano ormai incise negli animi, pronte a essere liberate pari a colombe di schiumosa lana.
L’altare dell’avvenire era ancora intonso ma smanioso d’aprire messe di rassicuranti parabole.
La quotidianità non aveva qualcosa da paventare, insaponata dai minuti che schioccavano programmi da svolgere.

Nella sua stanza Leira, seduta al tavolino della toilette, tentava di pettinarsi.
Gli stipiti della finestra non squittivano nenie lunatice di venti o cedevoli attriti .
Attraverso le nane forature delle tende, le luci azzurrine del cielo vendemmiavano aloe di refrigerio.

Illusione.
Un impacchettamento che nascondeva venti di tifoni.
Era  vedere il fondo del vaso di Pandora che non mostrava alcuna briciola di speranza.

La fanciulla aveva la pelle freddata dai residui della notte.  
La mano destra brandiva un pettine d’osso che annaspava tra le corde nere della chioma.
Gli occhi miele defluivano carmi insonori di singulti e bramiti. 
Le labbra rosa cupo si flettevano in un arco di monsonica tensione.
Lo specchio esibiva quell’espressione incerata di angustia, ingente di calma, cavillosa di chiodi.

Che fine aveva fatto Mu?
Era stato trangugiato dagli acidi dell’incubo?
Era riuscito a svincolarsi dalle locuste malariche del terrore?

Dove stava navigando? Dove stava precipitando?
In quale buio o luce poteva giacere? 

Dopo essere stata salvata dalle grinfie di Icelo, lei non era riuscita più a dormire. *
Quando era stata liberata dal Regno delle Fobie, il suo cavaliere non aveva pensato a evadere a sua volta. Era rimasto a lottare nel repellente palazzo del buio. 

Incatenata alla normalità, non aveva magie, ma solo allergie di fauci laminate.
Non aveva destrieri che le consentissero di viaggiare, ma solo sentieri che fluidificavano in canali ciechi.

In che modo avrebbe mai potuto muoversi? Non apparteneva a un’esistenza di straordinari prodigi.
Era sprovvista di qualunque cabala rivelatrice.
Era completamente distante dall’impero cui prestava giuramento l’Ariete.

“ Mu! ” esclamò dentro i polmoni “ perché ti ho conosciuto?! Sarebbe stato meglio se non avessimo mai saputo delle nostre esistenze! “

Rabbiosa di pianto, scagliò il pettine per terra.

“ Tu non devi combattere! Non devi! Non devi!”

Le creature con le ali non potevano andare in guerra ma volare verso la primavera, impollinare fiori, guardare il mare dall’alto…

“ Idiota! Non sei un oggetto degli dei! Non sei carne da macello! ”

Si alzò di scatto dallo sgabello.
Si spostò innanzi alla finestra aprendo i tendaggi.
Spalancò le finestre come se stesse soffocando in una camera a gas.

Osservò affannata il suo borgo, quella confraternita di cubi e parallelepipedi disposti a scacchiera per ingannare il disordine del mondo. 
A che serviva tutto quello? A nulla.
Le strade di mattoni erano precise ma non portavano ordine nel cervello che si smarriva nella geometria di rette infinite.

Ero, una bella sacerdotessa di Afrodite, attendeva sempre il suo Leandro che attraversava a nuoto l’Ellesponto…
Leira, sarta di un villaggio tibetano, attendeva sempre il suo Mu che non poteva percorrere la via della Seta come Marco Polo…

Il giovane di Abido, una sera, fu assalito da una tempesta e finì annegato dai flussi. L’amata vestale,  disperata, si gettò da un dirupo seppellendosi nel mare.
L’ariete, quella notte, era rimasto prigioniero nelle Lande dell’Incubo per salvare una vita.
La sua preziosa stella, la sopravvissuta, non sapeva da che parte ci si poteva lanciare nel buio.

Il silenzio girovagava, similare a un cinico maggiordomo, senza servire confortanti e rilassanti tisane…

All’improvviso, tuttavia,  un vento d’etere…
I parassiti dell’apprensione furono disinfestati da un’aurea di penne dorate…

Leira vide una luce irradiarla alle spalle , come se il Sole avesse deciso di cambiare il ventre da cui nascere.
Un dolce lampo annaffiò le pareti della stanza.
Pizzi gialli infiocchettarono gli arazzi e il soffitto uguali a petali di margherite.

La fanciulla vide materializzarsi due avambracci che l’avvolsero da dietro.
Le coprirono il petto e il ventre adagiandosi con la leggerezza d’ibis  sulla sella d’un placido fiume.
Parevano fati di raso, parevano possedere l’acquosa e compatta potenza delle sculture del Bernini.
Lei li afferrò col cuore che pulsava incontrollabile e ormai incrollabile.
Si sentì esplodere in acquazzone estivo quando quella presa divenne più appassionata e due labbra le baciarono una guancia e il collo.

- Leira…perdonami…

L’adolescente si slacciò bruscamente dal cullante abbraccio.

- Razza di scemo!

Mu sorrise profondamente costernato, infantile e troppo avvenente.

- Hai proprio ragione…- mormorò- ti ho fatto stare male…

Tentò di accarezzare la  ragazza ma lei si sottrasse corrucciata.

- Ah no!- esclamò – è inutile che provi a lisciarmi!

- Leira…Sono qui…Sono con te…

- Certo, certo…poi mi smollerai e tanti saluti!

- Oh, avanti…

- Finiscila di guardarmi!

- E cosa dovrei guardare ?Il  pavimento? Ha  veramente delle belle mattonelle…

- Stupido! Devi smettere di avere quella faccia.

- Cielo! E che faccia ho?

- Una faccia maledettamente miciosa.

Mu sgranò gli occhi e scoppiò a ridere.
Afferrò teneramente la giovane che continuava a spingerlo via allo stesso modo di una bimba irritata.

- Lasciami! Lasciami!

Lei gli percosse il petto scuotendo il capo e spettinandosi i capelli.
Lui, prendendole il viso tempestoso tra le mani, disse:

- Hai tutto il tempo per picchiarmi dopo.

L’abbracciò con soave fervore incidendole un bacio sulla bocca. 
Ella  tentò di dimenarsi ma poi gli si abbandonò aggrappandosi alle spalle.

Si premettero a vicenda la sofficità delle labbra misurando , da una mongolfiera di damascate speranze, l’altitudine che canzonava le mandrie di nuvole terrestri.
In quei minuscoli istanti di gioiose crepitazioni la realtà rimase un perfido paziente in attesa…
Lettere di minacciose clessidre furono perse dagli ambasciatori di Crono, falciati da liquorosi mulini a vento…
Nulla pareva scalcinare il patio verdeggiante di una comunione gocciante di annullamento…
  
Purtroppo le sementi di gioia si disperdettero come granoturco su terricci seccati.

I  due adolescenti si staccarono dai loro rugiadosi tocchi per trottare su un calesse di rinnovata instabilità.
Leira appoggiò il capo sul torace nudo di Mu. Gli carezzò dolcemente quella pelle maculata di lividi, di scheggiature…Udì il rimescolarsi del sangue nelle arterie come se vi nuotassero dentro sule di ventagliate e tristi zampe.
Lui le accaldava le spalle rubandole avidamente ogni grappolo di profumo della chioma…Sotto la camicia le  palpò i lievi gradini delle scapole che si muovevano simili a branchie di pesci. 

- Ce…ce la faremo, Mu? – trepidò la fanciulla.

Il giovane la guardò madido di ansie.
Sapeva il significato di quella domanda; se la doveva aspettare ma temeva di tastarla concretamente.
 
- Leira...non vuoi sopportarmi, vero?

Lei gli sorrise frammentata.

- Io...- mormorò – io ti amo troppo…E’ questo il problema.

Lui sospirò abbassando leggermente le palpebre.

- Per te sono un incubo – disse piovoso – me ne rendo perfettamente conto…Ti sto donando più ferite che gioia…Non meriti questo…non lo meriti davvero…Hai tutto il diritto di prendermi a schiaffi e…magari…sbattermi la porta in faccia.
- Non dire cretinate! Dove credi che possa trovare un ragazzo come te?! Un essere umano come te?! Mi sento morire se penso che non potresti tornare da me…Per questo ti mando all’inferno…A volte vorrei essere nata da un’altra parte perché così non sarei incappata sulla tua strada…Forse sarei stata molto più tranquilla…Forse…però…sarebbe stato tutto più brutto e insulso…Che caos…

Leira corrugò la fronte con gli occhi luccicanti di sfogo.
Mu le sfiorò, bigio, la guancia.
Da sotto il fogliame nero delle ciglia lasciò vibrare il suo sguardo verde acqua.
La voce gli frusciò come aria tramontata:

- Ci sono disastri che vorresti non aver mai conosciuto…Ci sono disastri che se non ti avessero mai sfracellato non ti avrebbero potuto regalare altri cieli…E’ tutto una seccante contraddizione. Benedici le maledizioni. Maledici le benedizioni. Non potrai risolvere nulla perché la vita non è ordine, ma è soltanto una perenne ricerca di esso. Togli la polvere e poi torna. Pieghi la roba e poi si arriccia. Ora sono con te e poi…domani? Già…domani…Può accadere di tutto…e accadrà che mi sentirò sempre peggio perché so che il mio destino mi prende in giro.

La ragazza, muta, ascoltava il cavaliere che acquisì, nello sguardo, una screpolatura di mesta collera.

- Sì…il destino se ne infischia alla grande…Io voglio e devo proteggerti e invece?! Ti procuro guai…Io desidero solamente essere capace di illuminarti. Se nella mia testa compare il Sole di Giada ci sei tu. Quando riparo le armature m’immagino un modo per costruire il nostro rifugio…

Strinse le mani di Leira tra le sue.
L’influenza del silenzio seguitò a mostrare elevate temperature di mercurio.

I gradi precipitarono.

La giovane, scostando alcuni capelli dalla fronte dell’amato, fece:

- Mu…non è che non mi fidi di te…anzi…io credo veramente nella tua anima…Non sono cieca. L’ho vista diventare sempre più bella giorno dopo giorno. So bene che sei di una sostanza unica, strana, quasi irreale.

Si fermò un secondo. Guardò il suolo.
Sollevò di nuovo gli occhi verso quelli del guerriero.

- Io – riprese- io, però non posso mettere da parte la distanza che ci divide. Viviamo in modi e in mondi davvero diversi. Mi chiedo cosa tu possa garantire…Va bene, non si può mai sapere il futuro con certezza ma almeno tentare di costruire le fondamenta su un minimo di sicurezza…Dove troverò la tranquillità se tu sei vincolato a mettere a repentaglio la tua vita? Dove troverò la tranquillità se  per te sono un peso enorme?

Mu la strinse tra le braccia.

- Non farmi sentire queste scemenze – la rimbrottò – se  fossi stata un peso enorme secondo te sarei arrivato qui intero?! Mi sento sottoterra  se ti vedo devastata e insonne. La cosa che mi fa più rabbia è che ti avveleno mentre ti vorrei solo coprire di fiori. Mi piacerebbe tanto essere un disertore, diventare menefreghista, vigliacco ed egoista per raggiungerti e pestare la mia sorte.  Quante persone non hanno scrupoli? Non posso vivere anch’io libero, pensando a costruire una casa, cosa insegnare a Kiki e come renderti completa? Non posso essere felice e ignorante? Che cosa importa del mondo se è il mio microcosmo che conta?

Il ragazzo lanciò un’occhiata fuori dalla finestra.
Il cielo si liquefaceva in una luce sempre più dorata.
Leira espirò frustrata:

- Sì…è bello farsi questi viaggi…ma c’è Atene. Ci sono una vita che non hai stabilito, un percorso che ti ha trafitto, una mano più grande che ti ha scelto. Io resto qua a cercare di imparare queste cose insensate sentendomi senza gambe perché non so correre come te…

Le scesero le lacrime.
Il giovane le asciugò il viso con le proprie labbra.

- Non so quanto detestare la mia dimensione – confessò con tono rauco e dolce – nei momenti in cui mi sento esaurito, cancellerei qualunque cosa…Eppure… poi capisco di star concependo un’eresia poiché non posso non amare questa realtà. Ho incontrato il Sommo Sion, i miei compagni…Se non mi fossi scorticato sulle rocce non sarei la persona che tu conosci. Non avrei imparato a leggere i cieli nel profondo. È una via splendida ma è la più sofferente. Più alimenti la mente, più deteriori l’ottimismo che  fa credere di risolvere i problemi.

La ragazza lo abbracciò forte.

- È vero…- ammise-, infatti, ho paura di sognare…Ho paura perché c’è il risveglio che ti stronca l’aria, ci sono calcoli di orrende probabilità, c’è la prospettiva di restare paralizzati e di non muoversi più…Quando ti sogno sono felicissima ma poi mi distruggo…Tu non sei qui in Tibet, sei in una valle  a cui non posso accedere…Se restassi sveglia sarebbe peggio e inizierei a tesserti abiti che…che…non so se riuscirai ad indossare in pace…Non c’è salvezza dal sogno…Sogni quando dormi, quando sei sveglio e quando vorresti buttarti in un fosso. Odio sognare perché il mondo esterno non lo puoi scacciare via come una nuvola di fumo. Non posso eliminare la nostra distanza.

Mu la cullò sigillandola dentro l’antro del suo torpore.

- Hai ragione…I sogni sono una diabolica sofferenza…però…se si lasciassero dilagare lo scetticismo e il buio della depressione esisterebbe un orribile deserto. Non va bene essere incoscienti ma cercare di guardare in alto non è peccato. 

Leira gli sorrise con le catenelle dei capelli che le coprivano le spalle.

- Mu…- balbettò appassionata e un po’ vergognata – io vorrei viverti come donna…diventare tua…andare ancora più a fondo…ci sono troppi momenti che non conosciamo ancora.

- Li conosceremo tutti se non smetterai mai di farmi sentire  la tua anima.

- Mi stai chiedendo un’assurdità…

- Ti sembra un’assurdità che io ti abbia salvata dalla Fobia seguendo i tuoi sogni di memoria?

Si baciarono tra  i granelli di polvere che turbinavano calura.

Mu si scostò lentamente da Leira prendendo da una tasca dei pantaloni uno strano oggetto.
Un piccolo rettangolo di pergamena con sopra inciso un arcano simbolo.

- Che cos’è? – domandò lei incuriosita.

- È un talismano che mi ha dato il Maestro Sion. Serve per tenere distanti gli spiriti malefici.

Sorridendo fece lievitare il sigillo in aria.

- Ariete dalla corona d’invincibile fiamma – pronunciò solennemente – dilaga luce celeste in questa dimora affinché le tenebre demoniache possano sempre essere inghiottite nel nihil senza ritorno.

Il talismano si polverizzò in un’immensa pioggia luccicante, una pianta di papiro che si sciolse, silenziosa, in lagune invisibili.

- Adesso non puoi temere nulla- disse Mu vezzeggiando la capigliatura di Leira- qui l’incubo non oserà più mettere piede.

Lei gli sfiorò con novella giocosità il petto e il collo.

- Oh sì – rise piano – i mostri dovranno stare alla larga ma gli angeli saranno sempre ben accolti.

Scontrò leggermente il bacino contro quello dell’amato.
Lui percepì un delizioso brivido che dai lombi giunse a  folgorarlo nei circuiti del cuore.
Come  un danzatore esotico diede un ultimo e infiammato abbraccio alla fanciulla.

- Nessun dio mi trascinerà via da te- affermò caldo e fermo – crollasse pure il mondo io dovrò averti come uomo e portarti sempre nel bianco.

Il sole invase con i suoi vagiti le mura della camera.
Mu scivolò via da Leira…
Svanì tra le frange dell’alba come un diafano leopardo che si dilegua in una savana di topazi.  
 

 

La stanchezza slabbrava cieli di chiuse palpebre.
La luce del plenilunio si sfregiava nelle tenebre…
Le decalcificate pinne della luna penetravano nel tempio di Asceplio, una costruzione situata nelle vicinanze  del Santuario.
Otto colonne corinzie sorreggevano la piccola volta a botte di quello spazio circolare…
Il pavimento di mosaici azzurri e verdi era coperto da uno strato d’acqua distillata e rigenerativa…
Al centro di quella superficie, screziata come il guscio d’una testuggine, emergeva un disco d’alabastro.

Su di esso era assiso un magnifico e anziano giovane dalla capigliatura bionda e scarmigliata.

Sion, a gambe incrociate, tentava di congiungere le correnti dello spirito con le mormorazioni della vasca. Vestiva soltanto un panno che gli copriva i fianchi e le cosce.
Era seminudo, crudo di tristezza, più bello e atterrato che mai da una pesantezza che lo sbiancava onirico e terrestre.
Le ombre nere gli tigravano, angeliche e funebri, i contorni del collo, delle clavicole, delle braccia, del busto…Sembrava che un artista rinascimentale avesse studiato, con scie di carboncino, la sua muscolatura fiorita e avvilita.

Dopo aver ricondotto Saga nella Tredicesima Casa, lasciandolo alle cure della servitù, egli si era rifugiato in quell’atomo di edificio. 

Cercò di dissipare l’angoscia per leggere, con fredda chiarezza, gli avvenimenti di  quel giorno.

Disegnò un cerchio nella sua mente, una linea perfetta che consentisse di ricollegare qualunque cosa.
Un anello.
Un simbolo che doveva essere trasparenza ma che invece lo fece precipitare in un gorgo.

Fu un tornado che gli mescolò passato , presente e il viso senza identità del futuro.
Era tutta una terribile infinità: apparizioni di sconosciute novità e repliche di vecchi elementi.

Afferrò  quella continuità calamitosa, una continuità spaventosa, denuclearizzata, umiliante.

Il destino dei cavalieri si presentava così: una condanna prima di ricevere accuse di colpevolezza.  Quando un guerriero nasceva, le stelle già sapevano beffeggiarlo con espressione ieratica, cementificata e antartica. Da millenni erano avvezze a tirare dadi e somme che schiudevano sofferenze senza lasciar trapelare verità.

Cos’erano, tutto sommato,  le guerre sacre?  Colossali ed epiche  prese in giro.
I servi d’Atena combattevano in nome dell’amore cosmico per finire massacrati da esso stesso…
In un’ottica di pietosa crudeltà, era meglio che un guerriero fosse orfano, privo di famiglia, di coniuge ma da che mondo e mondo era impossibile che il Santuario imponesse un tale e mostruoso precetto.
Se l’animo non riusciva a sanguinare in che modo poteva giungere al cielo?
Gli astri si sollazzavano a rendere più infami e arricciati i loro ghigni.

La felicità si mostrava un insieme di ore di libertà concesse ai combattenti per uscire da un penitenziario di miti ed eroismi assillanti.
Sion non conosceva storie a lieto fine. L’aveva subito sulla pelle del suo cuore, l’aveva costatato coi remoti compagni di battaglia, l’aveva appreso dal Maestro Hakurei.

Era angosciato per Mu.

Percepiva i suoi teletrasporti. Sapeva che si recava da Leira.
 Avrebbe voluto urlargli di non vederla, di scordarsi di sogni, di pianificazioni poiché le cascate cadevano all’ingiù e non volgevano le prore verso le fonti delle montagne.
Avrebbe dovuto educarlo come un eremita sigillandolo nel pantano dello Jamir, raffreddandolo nei muschi dell’inverno.

Capì, tuttavia, di formulare pensieri da dittatore. Capì che non doveva mutare in un pontefice oscurantista che si trancia le dita per non elargire benedizioni. 
Imporre una tubercolosi di castità era disumano quanto trovare una penicillina per sconfiggere l’amore.
Sion aveva cognizione degli effetti di quel virus: quando gli morirono Briseis e Hymen aveva desiderato fare seppuku affinché l’anima gli fosse potuta uscire dalle viscere spappolate.
Aveva visto il venerabile Amitabha cadere nella depressione delirante, Roikhos tumularsi in una solitudine autistica, Eirene sperduta in una torre fantasma e diroccata.
Stava vedendo Saga disgregarsi in un misterioso pozzo senza scale.

Una chemioterapia per debellare i tumori delle passioni non esisteva e non sarebbe mai stata scoperta.

L’antico cavaliere non osò né  stringere i denti, né tremare.
Le munizioni per caricare i cannoni dell’iracondia le aveva esaurite dopo l’ adolescenza

Fece colare una lacrima esausta, lenta, esaurita…
Come un geco di calce gli scivolò dalla guancia per tuffarsi nel buio.
Come un pescatore tentò di confortalo cercando spugne imprendibili e abissali.
 

 

Un cocktail di allegria e folle strafottenza si rovesciò oltre qualunque parete e corridoio.
Versi  di leoni, lupi e grizzly shakerarono i piani superiori dell’ospedale.
Il reparto rianimazione più che rianimarsi stava esplodendo in una mareggiata di samba carnevalesco.
Non si sapeva se quelle urla appartenessero ad uno stormo di vichinghi d’osteria o ad una ciurma di tifosi domenicali che fa crollare lo stadio al rintocco di un gol.

- Evviva Mu!!

- Grande!

- Fanculo l’incubo!

Il cavaliere dell’Ariete veniva strapazzato , con abbracci e spintoni spartani,  dai suoi amici. Aldebaran, che lacrimava peggio di un irrigatore, lo stritolava tale e quale a un peluche gridandogli “ arietoide pazzoide” e “ testa di cocco legnoso” ; Milo lo prendeva sottobraccio scombinandogli i capelli con  strofinate di pugni; Aiolia lo riempiva  di energiche pacche neanche fosse una grancassa.
Il primo ad aver inaugurato gli sconquassamenti era stato Kiki. Quando il fratellone era andato a prenderlo da Marin, non aveva esitato a partire all’assalto.
Era saltato addosso alla preda ricoprendola di baci, impastandole le guance, scivolandole dalle spalle alle gambe e dalle gambe alle spalle.
Non c’era stato verso di sedarlo con teneri abbracci e carezze.
Non c’era stato verso di staccarlo di dosso.
Mu , esasperato, se l’era portato all’ospedale lasciandolo incollato al dorso, come un cocciuto cucciolo di koala. 
Non appena era riuscito a chetarlo aveva subito le barbariche effusioni dei compagni di battaglia.
La gioia di rivederli era immensa ma quella manifestazioni d’entusiasmo gli stavano centrifugando le meningi e le interiora.  

- Ominidi  del paleolitico, volete assumere atteggiamenti più evoluti?

 Camus intervenne placando il trio di vivaci primati. Fulminò tutti dietro la nuca con un indice che portava una temperatura di meno venti gradi.

- Ma com’è messa la segatura del tuo cervello?! – sbottò Milo – volevi farci crepare con quel ditino calorifero?!  Che contiene l’aria siberiana che ti sniffi?!

- Molecole più attive della muffa dei tuoi neuroni.

Mu rise un po’ rintronato.

- Grazie, Camus… non so come avrei fatto senza di te.

Il francese gli sorrise abbracciandolo con gentilezza e sincerità...

-  Non potevo permettere che questi animali selvatici ti atterrassero.

- Oh! – ruggì Aldebaran – chi sarebbero gli animali selvatici?!

- Un po’ tutti – gli spiegò Aiolia – ma nessuno ha il tuo pedigree di platino.

- Che vorresti insinuare?!

- Che sei un magnifico esemplare di bisonte equatoriale.

- Brutto leonaccio…

- Dai, Al! – esclamò Milo – non puoi rinnegare le tue celebra taurine! Quando abbiamo percepito che il cosmo di Mu era scomparso di nuovo, hai rischiato di sconvolgere l’ecosistema dell’ospedale!

- Già – ritornò alla carica il Leone – abbiamo tentato di farti connettere ma tu zero! Hai un  capoccione di ferro! E poi chiami Mu “ zucca di legname”!

- Gente! Mi sono preso un colpo! Morfino e il Bestio della Fobia potevano giocare un altro brutto tiro a quest’arietaccio!

- Aldebaran – sbuffò Acquarius – si capiva chiaramente che l’aurea dell’incubo era scomparsa dal Grande Tempio…se ci fossero stati altri  pericoli ce ne saremmo accorti.

- Io sono fratello adottivo del Montone Bianco e suo futuro vicino di casa! Guai se gli accadesse qualcosa!
 
Mu posò una mano sull’enorme spalla dell’amico.

- Caro Al, mai vorrei essere ripudiato o scomunicato da te! Perdonami se ti ho fatto preoccupare…Vedi…dovevo accertarmi che una persona a me estremamente cara stesse bene…Icelo l’aveva rapita e io sono riuscito a salvarla. È stato orribile…Mi sono teletrasportato nel mio villaggio per questo.

- Cavolo! – vociò Aldebaran –  quel porco è arrivato fino in Tibet?!

- Non c’è da meravigliarsi – disse Camus- abbiamo visto le magie che è stato in grado di fare…Credete che l’incubo conosca confini? Esso si sparge ovunque.

- Gli dei del sogno ci possono ammazzare quando dormiamo – constatò dolente Aiolia – la cosa orrenda è che non possiamo fidarci neppure della nostra testa…

-  Al tuo posto saremmo stati spacciati – si rivolse Scorpio al tibetano- è grazie alle tue capacità telecinetiche che sei anche riuscito a salvare il Sommo Sion e Saga.

- È vero…ma devo stare attento quando adopero il teletrasporto…L’uso dei poteri richiede parsimonia e temperanza…Ho speso moltissime energie oggi…tuttavia…non potevo proprio fare altrimenti.

Mu sorrise stanco e vagamente gioioso.
Milo assunse un’espressione scherzosa e felina.
Mise un braccio attorno alle spalle dell’Ariete.

- Dì – pronunciò con l’aria di chi la sa lunga – come sta ora questa persona a te estremamente cara?
 
Il discepolo di Sion arrossì e guardò il pavimento.

- Emh..- balbettò – s-sta bene…l’ho rassicurata perché…perché…era angosciata…insomma, dopo quello che ha passato non…non ce la facevo a vederla in quel modo e….e…

Aiolia gli si accostò al fianco sinistro chiedendo con vocetta  bambinesca:

- Mu…ma hai una ragazza?

Il giovane divenne ancora più bordò di un passato di salsa.

- Io…io…ecco, ecco…è una storia lunga…lei è…

- Monellaccio!! – esplose Milo –  sapevo che sei un ariete e non un frigido ovino da latte!

- Nel tuo sangue c’è il fuoco – stuzzicò il Leone- e sai correre in modo devastante.

Mu voleva essere uno struzzo per piantare la testa nella sabbia.
Il fratellino e Aldebaran ridevano capendo chiaramente che Leira doveva rimanere celata in un bellissimo e proibito naos.

- Su, avvoltoi pettegoli – accorse Camus – levate i vostri aliti fetenti dal collo dell’Ariete.

- Eh no Camiù !! – trillò Scorpio – qui la faccenda è seria! C’è grazia femminea di mezzo!

- Oh mon Dieu, mon Dieu – sospirò il francese – il potere della vie en rose vi fa diventare così zecche?

- Giusto! – proruppe Aldebaran – l’ acquaiolo ha ragione! Io sono il confidente speciale di Mu!

Il Toro liberò l’amico dalle grinfie dei due sparvieri e lo prese in disparte.
Kiki piano piano si avvicinò tendendo l’orecchio.

- Vai tranquillo – sussurrò il brasiliano- al vecchio Al puoi dire tutto…Dimmi…la persona cui ti riferivi è… Leira? L’amica che conosci da quando eri piccolo?

- Esatto – rispose Mu sorridendo – però adesso è molto  più di un’amica…

- Significa che…state insieme?!

- Sì…da pochissimo…da alcune ore a dire il vero…

- Sorbole! La cosa è fresca fresca, eh?

- È successo proprio prima che Sion mi portasse a Lindo.

- Mu! – s’intromise Kiki – non potevi usare il teletrasporto!

- Beh?! – lo riprese il fratello – com’è che lieviti sopra le nostre teste a ficcanasare?!

Il bambino fluttuava in aria usando i poteri telecinetici.

- Tanto lo sapevo!- cantilenò con una linguaccia -  tu sei lesso per Leira! Lesso e fritto!

- Finiscila di ronzare, zanzarotto!

- No! Non mi prenderai!

- Kikinoooo – flautarono Milo e Aiolia- vola da noi e riferisci…

- Spiacente, signori – tagliò seccamente Mu- non otterrete nulla.

Agguantò senza difficoltà il piccolo, intrappolandolo tra le braccia e tappandogli la bocca.
Aldebaran rise divertito canzonando gli amici:

- Ah!ah!ah! Io so cose che voi umani non potete neanche immaginare!

- No, Mu! – si lamentò Scorpio – siamo tra maschietti…con noi ogni fuga proibita è al sicuro…

- Il grande Tempio non può incatenare il tuo cuore- dichiarò solenne Aiolia – sarebbe un empio abuso! Devi sentire le vibrazioni delle tue ali e del tuo spirito!

- Cuocetevi in un brodo di cappone! – detonò il colosso – le vibrazioni delle vostre ali e del vostro spirito le avranno sentite benissimo le danzatrici del Grande Santuario! Non credo che andiate negli alloggi femminili, proibiti agli uomini, per fare le pulizie di pasqua!

- Ciccio – strepitò Milo – noi  prestiamo del servizio sociale…

- Servizio sociale?!

- Certo, Al – ammise seriosamente il Leone – noi seguiamo il codice cavalleresco: aiutiamo le fanciulle vessate dai moralismi delle regole. Le liberiamo dal male.

- Wow. Siete una sorta esorcisti erotomani?

- Di più! – s’entusiasmò il cavaliere dello Scorpione – siamo i salvatori delle depressioni femminili!

- Allarme rosso, allarme rosso – comunicò con tono meccanico Camus – il deficientometro ha oltrepassato i livelli d’allerta.

- Camussino , non rompere! – schiamazzò Milo – sei tu quello che colleziona i reggiseni di pizzo!

- No. Io sono più sofisticato. Amo le sottovesti.

- Ma vai via!

- In effetti sei un po’ grezzuccio, Milo – sghignazzò Aiolia – tu non vai fuori di testa per le mutandine striminzite e trasparenti?

- A te  piace allungare le zampine verso le chiusure dei vestiti!

- Volete smetterla branco di scimmie urlatrici?!

A quel grido, amazzonico e stregonescamente rauco,  i cavalieri si girarono.
Sulla porta della loro stanza, una donna emetteva fuochi di rabbia dagli occhi, dalle orecchie e dal naso.
La sua orribile espressione, dalla bocca dilatata e dalle sopracciglia cespugliose, era più impressionante di un mascherone da tragedia teatrale.
I capelli ingrigiti, che fuggivano a ciocche ribelli da una crocchia, parevano quelli di un demone dell’erebo.
Poteva essere il volto di una gorgone, di un’arpia o di una delle erinni.
Poteva essere la manifestazione di una Nemesi apocalittica.
In realtà era semplicemente apparsa l’infermiera responsabile del reparto rianimazione.

- I pazienti non riescono a riposare e si lamentano! – si sgolò ella -  Dove credete di essere?! In una giungla? In un luna park? In una pescheria?

Mu, Kiki e Aldebaran tacevano imbarazzati e dispiaciuti.
Camus guardava tranquillamente le stelle fuori dalla finestra.
Milo e Aiolia si fingevano afflitti mentre tentavano di soffocare le risate.

Quella signora era un capolavoro di rotondità burrosa. Aveva un fisico a forma di scamorza, con la testa tonda, le spalle molli e i fianchi spropositatamente larghi. Il camice bianco e inamidato  le sottolineava maggiormente la  prosperità  di latticino incartato con cura.
Le curve flosce contrastavano con il viso massiccio e  rugoso sul quale spiccava un becco da condor  e due occhi strabuzzati da cagnetto isterico. 
 
- Mi domando che caspita abbiano i vostri ormoni! – abbaiò -  Vi iniettate della nitroglicerina o del tritolo nelle vene?! No, ditemelo! Perché neanche le anfetamine hanno questi effetti disastrosi!

Il cavaliere del Toro avanzò mestamente verso di lei.
Assumendo uno sguardo da santo penitente gemette:

- Gentile signora, vi prego… Cercate di capirci…eravamo entusiasti perché…

- Tu, pachiderma muscolone! Fila a letto subito! I tuoi passi tellurici li avranno sentiti anche i fondali di Poseidone!

- M-mi dispiace! Non volevo far danni! Scusatemi! Scusatemi! È che sono molto emotivo e…e..

- Fila a letto!

Lo spaventato maciste s’infilò sotto le coperte tentando di farsi piccolo piccolo.
Milo, schiarendosi la voce, sviolinò con note garbate e seriose:

- Signora. Non va bene alterarsi in questo modo! Vorreste sciupare la vostra antica bellezza?

La donna digrignò i denti come un mastino napoletano.
 
- Ti suggerisco di metterti al sicuro sotto le lenzuola se non vuoi vederti defenestrato.

- Cosa ho detto di male? La stagionatura rende più saporiti i vini, i formaggi, i prosciutti…la roba di qualità è quella più vecchia!

Camus,  con biblica espressione da Cristo addolorato, implorò:

- Madame, perdonatelo! Perché non sa quello che dice!

- Mettetevi a letto o vi pianto una siringa di ammoniaca in fronte.

- Ogni vostro desiderio è un ordine.

Aquarius baciò , con burlesca galanteria,   la mano della bisbetica.

- Andate a dormire!

- Signora, siamo mortificati! – piagnucolò Aiolia.

- Anche voi mi state mortificando! Non ne posso più! Credete di sentirvi i padroni del mondo facendo i mega fusti con i vostri fulmini, saette, lampi e tuoni?!

Il Leone giocò a disperarsi come un pellegrino che tenta di ottenere la grazia di una dea di pietra.

- Avete ragione…Non dovevamo fare tutto quel caos…ma eravamo preoccupati per Mu che ha rischiato grosso…

La donna fulminò il tibetano:

- Ah già! Tu, signorinello! Com’è che ti sei intrufolato magicamente qui dentro?! Devi essere l’allievo del Sommo Sion, giusto?

Il ragazzo s’inchinò splendendo  con un’occhiata da gatto placido.
 
- Sì, signora. Sono Mu Ten Goshu.

- Quel bambino chi è?

- È mio fratello e allievo Kiki. Perdonateci se abbiamo commesso delle scorrettezze. Ci siamo occultati per non recare alcun disturbo.

- Vuoi trovare la pezza a colori, eh?! Non mi imbrogli con quel faccino da angioletto! I soggetti come te sono i demoni peggiori!

- Signora, credetemi! Noi…

- Sarà meglio che tu sia sottoposto a una visita di controllo!  Quest’ospedale non è un albergo! Rimarrai qui fino a domattina in vista di ulteriori accertamenti.

Mu spasimò con aria da peccatore pentito:

- Sia fatta la vostra volontà.

- Signora…- pigolò timidamente Kiki - potrò dormire col mio fratellone?

- Certo, certo…basta che non ti metti a ballare e strillare…

I due fratelli abbandonarono la stanza seguendo un infermiere che li portò in un’altra sala.
Dopo che la responsabile ebbe serrato bruscamente il ripostiglio dei chiassosi armigeri, sentì alle spalle uno sciabordio di passi trafelati.

- Direttrice! Direttrice!

Era la voce sconvolta di uno dei portinai dell’ospedale, un uomo di media statura, esile e curvo come una banana.  Aveva un’alopecia che gli affliggeva i capelli rossicci, un naso camuso,  labbra da salvadanaio ,sottili baffi e  occhi da roditore spaurito.

- Cosa c’è adesso? – brontolò l’infermiera.

- E’ …è…arrivata…una strana ragazza in portineria!

- Che?! L’orario delle visite è terminato da un pezzo!

- Non ne ho idea di come sia riuscita ad entrare!- tremò il sottoposto-  La sorveglianza non l’ha vista! È piovuta sul mio bancone e mi ha dato questo!

Porse alla signora,  come fosse dinamite, un involucro  di carta.

- Un sacchetto?! Alle dieci meno un quarto di sera?!

- Emh…sì…bisogna consegnarlo a… Milo Ethymides.

- Mio Dio! Tutti oggi i pazzi?!

- Guardate, è stato terribile! Quella tizia ha minacciato di aprirmi il cervello!

- Non siete riuscito a capire chi fosse?

- Ahimè, no! Era completamente incappucciata ed è fuggita più veloce di una saetta!

Sbuffando simile ad uno gnu, il paramedico ritornò nella stanza dei pestiferi cavalieri.
Gorgogliando scorbutica, consegnò il pacchetto a Milo:

- Tieni, fusto gagliardo – disse spazientita – questo te lo manda una psicopatica che ha minacciato di massacrare il nostro portinaio.

La giunonica signora lasciò la camera.
Camus, Aiolia e Aldebaran fissarono stupiti l’amico, altrettanto stupito.

- Ammazza! – fischiò lui – non credevo di  far impazzire le donne fino a questo punto!

- Scemo – sogghignò il Leone – apri il sacchetto, dai…

- Forse c’è dell’insetticida….stai attento! – scherzò Aquarius.

- Tzè! – si vantò Milo – non esiste nessun veleno in grado di sconfiggere lo Scorpione Celeste!

- Certo- fece il Toro – la madre dei rompipalle è sempre incinta.

- Anche quella dei vitelloni dementi. 

Scorpio,  ridacchiando, aprì il cartoccio.
Spalancò gli occhi.
Si fermò un istante e poi  frugò dentro…
Tirò fuori un pezzetto di carta…
Guardò perplesso quella calligrafia secca, un po’ irritata ma strambamente dolce.
 

Caro deficiente,
Grazie per avermi fatto intossicare alla grande.
Ti garantisco che quando sarai in piedi, fresco e tosto riceverai la più bella pestata della tua esistenza.
Ci vedremo sui campi di addestramento. Intanto mangiati questi mirtilli che ho comprato stamattina.
Sono buonissimi come quelli che mi avevi fatto provare quando avevamo otto anni.*
 Era il giorno in cui per la prima volta c’eravamo seduti vicini.
 Mio padre mi aveva messo in castigo, ricordi?
Spero di riavere il tempo per parlarti senza interferenze.
Ce l’eravamo promesso e i cavalieri le promesse le mantengono.

Siamo un cobra e uno scorpione che non temono alcun veleno.

Shaina


Milo sorrise infiammato nel più profondo.
Ripercorse con maggiore lentezza le  curvature  e i duri  riccioli delle parole.
Gli suscitò uno strano effetto toccare la scrittura di Shaina. Lo fece con delicatezza e  timida malizia come se stesse carezzando davvero le mani e il viso della guerriera.
Era intirizzito da una gioia fumosa…Una gioia che civettava di non rivelargli ancora alcun segreto…Era un senso d’indescrivibile e inedita attesa, una lieve e bruciante emozione che nessuna ragazza mai gli donava.

Camus scrutò l’indugio dell’amico, quell’ immobilità che lo coglieva quando le cose riuscivano a bloccare   la sua veloce impulsività.
Nell’attimo in cui era ghermito dal silenzio, Scorpio adorava vacillare.
Il francese intuì che la causa di tutto fosse l’amazzone dell’Ofiuco. 
Era l’unica fanciulla della quale Milo gli avesse parlato con particolare gusto, descrivendola in ogni sua movenza, parola aggressiva e  tenere verità da svelare.

- Allora, Milo? – domandò Aldebaran – cosa c’hai lì?

- Mirtilli...i frutti poetici dell’amor!

- Ah! Un regalo di un’ammiratrice?

- Della mia fan numero uno!

Aiolia inarcò le sopracciglia:

- Non mi dirai che è Shaina?!

- Ovvio! Chi è secondo te la serpentella più indemoniata di Atene?

L’adolescente cominciò a mangiare , immerso nella contentezza ,  i piccoli frutti.
Il Toro e il Leone lo pregarono , con piagnistei da chierichetti, di non fare lo spilorcio e anche Camus , con faccia di bronzo, lo costrinse a offrire qualche bacca.

- Eh va bene, sfasciapalle! – soffiò il cavaliere dell’ottava casa – nutritevi e non vi allargate troppo! Sono i miei mirtilli questi!

Gli amici condivisero così quei granelli di tranquillità evitando di pensare al Fato che avanzava prima di qualunque sole, luna o tempesta…

 Aiolia guardò l’ultimo mirtillo che stringeva tra le dita…
Non seppe perché, ma gli venne in mente Marin.
Si ricordò che lei, in una giornata di chissà quale festa, confessò timidamente che adorava gli orecchini a forma di perla…
Purtroppo non aveva mai modo di indossare gioielli e abbellirsi di vestiti eleganti come le ragazze qualunque…

Il giovane sentì il cuore cadere in una soave tristezza.
Si mise lentamente il chicco in bocca…
Forse i respiri dell’aquila avevano quella consistenza buia, acidula e dolce…Come sarebbe stato stringerli tra le braccia e baciarli?

Egli non era in grado di misurare con un metronomo la lunghezza delle note di Marin, eppure conosceva chiaramente la luce ramata dei suoi capelli, del suo odore, della sua ombra…
Era un mistero, ma quando le spiegava le mosse di lotta,  annullando la distanza tra i loro corpi, provava uno stravagante desiderio.
Non lo si poteva definire esattamente carnale. Era qualcosa di più alto, lontano ed evaporante.
Era indubbia una curiosità sensuale, però dietro si nascondeva ben altro…

Una volontà di spogliare, evadere, conoscere.
Una volontà di soffocare le obbligazioni.

Il Leone  non possedeva ancora le chiavi di un piano rivelatore ma le avrebbe trovate.

Ci credeva.
Non capiva con chiarezza ma ci credeva.
Avrebbe trovato degli orecchini per Marin. Le avrebbe trovato degli altri abiti.

Si addormentò lentamente con l’animo che cercava di trovare i passi di danza giusti…
Si addormentò con l’impazienza di incontrare di nuovo la sacerdotessa e la sua maschera di sigillati sussurri.   

Quando le luci si spensero e si espansero le chiazze nere, blu e grigie della notte, il ticchettio dell’orologio troneggiò tra le mura della camera.

Camus si lasciò altalenare da quel suono a mano a mano che sfumava nella sonnolenza come una goccia di pioggia sui vetri d’una finestra.
Il chiocciare delle lancette gli ricordò dei piccoli e deliziosi suoni argentei…
Erano quelli che emettevano le viti di un cavalletto  che veniva montato…
Erano quelli che musicavano le mani di Odette* quando preparavano la macchina fotografica.

Nel buio il ragazzo sorrise.
Un profumo di occhi rosa gli invase la mente.

Nel buio il ragazzo respirò una bionda pace.
L’amica lo stava aspettando su una slitta di cristallo alla ricerca di case di legno, regni di conifere e laghi di vergineo indaco.

Il silenzio divenne freschezza.
La freschezza neve di stelle alpine.

Sulle lenzuola biancore d’inverno.
Sulle ciglia biancore di pensieri in volo. 

 


 Note inerenti ai capitoli precedenti:

“ Non capisco! Avevo avvertito che Mu era uscito dal Regno di Mr. Fobia-Merda!*”: vedi CAP 14- gli ultimi rintocchi dell’uragano.

“non avrei mai voluto buttarti a terra in quel modo…*”:  vedi CAP 9 – verso il crepuscolo

“gli atteggiamenti con cui ti sei presentato al porto* “:  vedi CAP 5 – conchiglie di storie: l’ora di cena

“ Dopo essere stata salvata dalle grinfie di Icelo, lei non era riuscita più a dormire." * vedi CAP 13 – amoris lex: il profumo dei tuoi battiti.

" Sono buonissimi come quelli che mi avevi fatto provare quando avevamo otto anni.*": vedi CAP 16- scie d’intramontabile estate.

" Erano quelli che musicavano le mani di Odette*: CAP 11 –  apnea  di ghiaccio: nel ventre del baratro

 

Note personali:
salve a tutti!! ^^ mi dispiace aver aggiornato con una decina di giorni di ritardo ma tra studio, vacanze  e altri piccoli impegni ho dovuto posticipare quest’episodio.
Il cap 17 è “ leggero” ma mi sono sfrappolata alla grande per scriverlo!! Non la finivo più!! >.<  io pensavo che le scene tranquille fossero un po’ più semplici di quelle drammatiche ma mi sbagliavo enormemente -_____- ho impiegato tanto per descrivere ogni atteggiamento o sensazione…la struttura dell’episodio segue uno schema preciso ^^: se ci avete fatto caso la prima e l’ultima parte sono collocate agli estremi di quelle centrali. Si potrebbe dire che le scene light siano ai lati estremi mentre quelle più serie e tristi nell’area centrale…ho adoperato una sorta di bilanciamento ;)
Ci tenevo a parlare del trattato di pace tra Aldebaran e Camus XD si sono guardati in cagnesco per un po’ di tempo e finalmente qui giungono ad un accordo! Poi dovevo assolutamente ritornare sulla disgraziata Leira che avevo abbandonato , piangente, nel tredicesimo capitolo! ^^ Non poteva mancare un momento di intimità con Mu  X3…spero che abbiate gradito questi momenti di “respiro” per i nostri eroi!!
Forse a fine agosto metterò l’ultima parte del 17 dove incontrerete  nuovi ed importanti personaggi! ;)
A settembre, su questo fandom, posterò una spin off che sarà attinente a L’occhio dell’Ariete e quindi a De servis astrorum…non dico nulla! Sorpresa! ^^

Grazie a tutti voi lettori

 un ringraziamento speciale va a lady dreamer che si è sorbita i miei attacchi di panico e crisi di affaticamento per la realizzazione di questa parte!! XD

Alla prossima!! ^^

 

  
 
 

   
 
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