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Autore: Callusio    20/08/2013    0 recensioni
In un mondo che potremmo scambiare per il nostro, un ragazzo passa una brutta nottata che lo porterà a fare incontri che non avrebbe mai pensato di fare.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                        I

 

L'aria era tesa. Ci trovavamo tutti su degli spalti a semicerchio, che guardavano verso un palco. Ma non eravamo all'aperto, questa struttura che potrebbe ricordare un teatro stava sottoterra, in una grotta naturale. Ci circondava una luce soffusa, che non sembrava provenire da nessuna particolare fonte, ma aleggiava nell'aria e si poggiava su di noi. Gli spalti erano gremiti di persone, o meglio, di soldati. Anch'io ero un soldato. Ero seduto in alto e potevo scorgere tutti i miei compagni. C'era un parlottio generale e in quel momento o sul palco non si trovava nessuno o quel qualcuno non attirava l'attenzione del suo pubblico. Dopo un po’ capii che era il momento di muovermi, o avrei rischiato di rimanere bloccato in quell’inferno. Addosso avevo solo una canottiera bianca e dei pantaloni da lavoro verde militare, come tutti gli altri. Di certo non era una tenuta adeguata al percorso che dovevo intraprendere. Mi misi il giubbotto, presi lo zaino, imbracciai il fucile e afferrai il casco, poi cominciai a scendere attraverso un corridoio che divideva in due gli spalti e che andava verso il centro del palco rialzato. Gli altri soldati erano sorpresi di vedermi andare via, e man mano che scendevo si veniva a creare un mormorio insistente, evidentemente tutti si chiedevano dove stessi andando. Arrivai davanti al palco, sul quale c'era un tizio in giacca e cravatta, un politico di basso rango mandato a sedare i malumori della truppa. Gli passai davanti e mi avviai verso l'uscita. Senza fermarmi volsi lo sguardo verso gli spalti dove mi stavano tutti guardando e con voce sdegnata esclamai "È questa la vostra libertà?" Nel momento esatto in cui mi pronunciai i militari cominciarono a inveire contro quell’omuncolo con la cravatta ben stirata e si avvicinavano verso il palco, con fare minaccioso.

 

 

                                                                         II

 

Tenevo il fucile lungo il lato destro del corpo, pronto per essere usato in caso di bisogno. Era un M16 dotato di lanciagranate, a cui accompagnavo una Colt 1911 automatica che stava nella fondina. Attraversai un tunnel naturale non eccessivamente lungo. Durante il percorso potevo scorgere le sporgenze naturali della roccia sempre grazie a una luce che non sembrava avere una fonte definita. Però mentre nella grotta la luce era calda, quasi umida, nel tunnel c'era una luce biancastra, come proveniente dai riflessi lunari. 

Vagai per un po’ nei meandri del sottosuolo, dove per quanto mi sforzassi non riuscivo ad orientarmi, e non molto dopo capii di essermi perso. Arrivai in una grotta molto più grande e alta di quella che avevo lasciato. Era grande come due campi di calcio regolamentari, ed era alta una quarantina di metri. Non sapendo dove andare mi incamminai verso il lato opposto, ma non passò un minuto che dall’alto cominciarono a scendere lungo i muri dei mostriciattoli blu dalle sembianze umanoidi e alti più o meno 1 metro e mezzo. Avevano gli occhi infossati e iniettati di sangue ed erano magri da far spavento, per modo di dire ovviamente, in quel momento a spaventarmi era ben altro. A colpo d’occhio ci dovevano essere centinaia di quelle creature. Cominciai a correre verso la zona che mi sembrava meno infestata da quegli esseri. Poi notai che si avvicinavano velocemente da ogni parte, così mi voltai e caricai il lanciagranate. Feci fuoco e 5 di quei mostri vennero colpiti da schegge e fuoco, poi caddero esanimi sulla fredda roccia. Sparai molte altre granate che sortivano sempre lo stesso distruttivo effetto, allontanandomi qua e là dai mostri che mi parevano troppo vicini, fino a quando terminai le munizioni. A quel punto la paura mi afferrò il cuore. Era una paura infantile, la paura del buio, dove si nascondono i mostri come quelli che avevo davanti.

Uno di quegli esseri venne verso di me, sembrava quasi incuriosito dalla mia presenza, ma io non avevo nessuna voglia di un confronto culturale, quindi preso coraggio afferrai saldamente il fucile e con la canna gli diedi un violento colpo in faccia, come se ci fosse stata una baionetta, ma quell'essere non fece un movimento, non gemette ne cadde a terra, rimase immobile con la faccia sfigurata. Io inorridii per quella raccapricciante reazione, e ricominciai a correre alla cieca. Fortunatamente poco dopo scorsi una porta di legno piuttosto malandata, certamente non era rassicurante, ma non me ne curai. In quel momento sarei saltato anche in una voragine infuocata. Corsi verso quella che poteva essere la mia salvezza, e nella fuga disperata sparavo a raffica verso gli aggressori, che però sembravano incredibilmente resistenti alle mie pallottole. Dovevo scaricargli contro una bella dose di piombo per abbatterli, e io non avevo le munizioni infinite come in un videogame.

 

 

                                                                           III

 

Raggiunsi la porta di legno e l'aprii, ma con me entrò anche uno dei mostri blu. Dovetti esaurire le mie pallottole per abbatterlo, quindi chiusi la porta e mi guardai intorno, era un bagno. Un vecchio e fatiscente bagno. Notai che vicino alla vasca lurida e incrostata c’era una ragazza. Stava seduta sul pavimento con le gambe al petto. Aveva dei corti capelli neri e un fisico atletico, ma nei suoi occhi c’erano paura e rassegnazione. Non batté ciglio quando entrai sparando contro un orrendo mostro blu. Mi avvicinai a lei, che ancora non aveva detto o fatto nulla, e capii che era un soldato. Canotta bianca e pantaloni da lavoro verde militare. Le chiesi cosa le fosse successo. Mi disse che stava cercando una via di uscita e si era imbattuta in quelli che lei chiamava “demoni blu”.  A quel punto mollò tutta l’attrezzatura e corse verso la porta di legno. Più o meno quello che successe a me.

Mi presentai e le dissi quel che mi era capitato, poi la invitai a riprendersi, per quanto stanchi dovevamo provare a scappare. Cercai per un po’ delle vie di fuga, ma non ne trovai. Alla fine fu' chiaro che se volevamo sopravvivere saremmo dovuti uscire da dove eravamo entrati, e questo significava affrontare ancora quelle creature. Le munizioni me le fornì la mia nuova compagna, Erica, che aveva ben quattro caricatori. Nel prenderli mi sentii molto meglio, addirittura sorridevo nonostante la situazione disperata. Avevamo ancora una possibilità. 

Il momento era delicato, aspettammo un po' che il coraggio ci desse la spinta necessaria per tornare lì fuori. Ormai più che spaventati eravamo nervosi per l'attesa. O meglio io ero nervoso, lei sembrava così stremata da non avere la forza di preoccuparsi. Prima di entrare in azione mi accertai che tutti i caricatori fossero pieni e pronti ad essere usati. Quando fummo pronti aprii la porta e ricominciai a sparare. Non prestavo attenzione ai movimenti di Erica, che con ogni probabilità mi doveva stare molto vicino non avendo altre difese oltre me. Lo scontro durò quasi un’ora. Un’interminabile ora. Si sentivano solo grida, spari e urli feroci. Percorremmo decine di gallerie, vedemmo fiumi sotterranei e scalammo pareti rocciose. Sempre con centinaia di demoni blu alle calcagna. Alla fine, senza sapere come, ci trovammo all’aria aperta. Vivi.

 

 

                                                                      IV

 

Era notte, una notte che stendeva sulla terra un'oscurità impenetrabile. Paradossalmente ora c'era molta meno luce di quando mi trovavo nell'entroterra, un fatto abbastanza inquietante.

Stavamo prendendo fiato da qualche minuto quando passò davanti a noi un gruppo di una decina di soldati. Non ero in ritardo. Quelli, come me, erano militari fuggiti dall’entroterra. Organizzammo il piano a lungo, dovevamo uscire tutti singolarmente per non dare nell’occhio. Le vie d’uscita erano molte, anche se poche erano sicure. Basti pensare che aderirono al piano centinaia di soldati, e lì eravamo a malapena 10. Purtroppo non avevamo più tempo per aspettare gli altri e cominciammo a muoverci. 

Gli uomini erano tesi, con i fucili imbracciati e i nervi a fior di pelle. Capì dai loro sguardi che era un posto non meno pericoloso dove stare di quello da cui venivamo. Ma cosa poteva essere peggio di un esercito di mostri degni dei peggiori incubi? Non osavo chiederlo, ma lo stavo per scoprire.

Avanzammo per un po' nell'oscurità, fino a quando non arrivammo davanti a un vigneto in rovina, era chiaro che nessuno se ne occupava più da tempo. Non facemmo in tempo a decidere se attraversarlo o meno che a una quindicina di metri da noi vedemmo comparire la maschera di un clown, luminosa che pareva brillare di luce propria, una luce nitida quasi accecante. Il corpo al contrario era avvolto dall'oscurità, ma si capiva che aveva una tenuta militare, nera, che ricordava quella degli SWAT americani. La maschera bianca e rossa dopo poco si dileguò nella notte, come se la luce che emetteva si affievolisse. I soldati si agitarono, alcuni gridarono che eravamo sotto attacco. Non c’era un solo nemico, ma un intero commando. Era uno dei tanti gruppi di predoni folli che devastavano e seminavano morte nella zona. 

Cominciai a guardarmi intorno alla ricerca di qualcuno contro cui aprire il fuoco e scorsi il muro di una villa su cui era montato un riflettore a luce fredda. Si veniva così a creare una striscia di luce nettamente divisa dal buio più totale. Grazie a quella zona più o meno definibile mi resi conto che ci trovavamo su un prato ben tagliato, e c'era addirittura una palmetta vicino al muro della villa. Ad un tratto scorsi una sagoma, sempre con un'inquietante maschera clownesca che mi guardava alla luce del riflettore. Visto che avevo esaurito i proiettili del fucile nella fuga dal sottosuolo, estrassi la mia Colt e cominciai a sparare raffiche contro quel giullare oscuro. Appena aprii il fuoco quello saltò nell'ombra, dove a malapena si scorgeva la sua sagoma, ma con quel poco che vedevo continuavo a sparare, anche se mi sembrava non meno resistente alle pallottole dei mostri nel sottosuolo. 

Lo scontro durò una mezz'ora, e quando riuscimmo a disperderli non eravamo rimasti più di 3 o 4. Così ridotti ci incamminammo.

 

 

                                                                              V

 

Camminavamo in silenzio, ognuno era assorto nei propri pensieri. Eravamo tutti così estraniati che nessuno si rese conto che si era fatta l'alba, e una luce mattutina illuminava timidamente i palazzi di cui adesso eravamo circondati. Eravamo arrivati in una via vicino casa mia. Arrivammo davanti a un palazzo che vedo ogni giorno, con un basso cancello esterno che portava a una porta a vetri la cui funzione era di separare il mondo esterno dalla parte comune dell'edificio, quella dove generalmente ci sono le cassette per la posta. Quella zona usata dai condomini aveva i muri dipinti di un pesca denso e avvolgente. Il tutto era illuminato da faretti puntati verso il soffitto, il che creava un netto contrasto tra luce e ombra. Ancora non riuscivo a credere di essere scappato da quell’inferno e di essere tornato a casa mia. Mi diressi verso casa ed entrai nel vialetto. Infatti il mio condominio non era un classico edificio con il portone che dà direttamente sulla strada, no. Prima c'era il cancello automatico per le macchine e i motorini, seguito da un lungo viale, attorniato qui e la da rose profumate e palazzi giallognoli. Ho sempre adorato la mia stradina privata. Quando uscivo dal portone non venivo immediatamente sbattuto in una confusionaria e caotica strada di città (in realtà la via di casa non era né confusionaria né caotica, comunque poco importa), ma mi trovavo in un tranquillo e silenzioso vialetto, dove mi preparavo psicologicamente al caos della metropoli nei 31 secondi che lo percorrevo. Sul lato sinistro della stradina ci sono i parcheggi privati delle auto, e in fondo c’è il posteggio per i motorini dei residenti. Qui, a destra, c'è una sorta di cortile e in fondo due portoni identici. Se si prende quello a sinistra si può arrivare a casa mia, se si prende quello a destra si entra in un palazzo in cui non ho mai messo piede, che potrebbe essere colmo delle ricchezze più allettanti. In realtà i due palazzi sono speculari, quindi a parte lievi differenze dettate dal gusto dei condomini mi ritroverei in un edificio identico al mio. Entrai nel palazzo e presi l'ascensore rivestito di plastica rosso scura. Entrai in casa. 

Ero salvo, vivo. Riuscii a fuggire dalla zona più oscura della Terra, ed ero a casa. Lì trovai dove li avevo lasciati i miei due coinquilini. Uno girava per casa in accappatoio e l’altro stava sbracato sul divano guardando annoiato la televisione. Nel vedermi furono sbalorditi. Dovevo stare via 2 anni, e dopo 6 mesi ero tornato. Subito cominciarono a chiamare altri amici, volevano uscire, festeggiare il mio ritorno, magari brindare. Ovviamente non parlai della mia diserzione, non avrebbero capito, come potevano.

Dopo qualche ora mi ero rasato, fatto la doccia e rivestito. Andai in soggiorno dove si erano tornati a sbracare i due festaioli. Quando mi videro mi squadrarono, io non capivo il perché. Poi mi accorsi che mi ero rimesso la mimetica militare, con giubbotto e anfibi. Mi inventai che era una trovata divertente per presentarmi a tutti gli amici, e loro furono d’accordo, anzi la trovarono una splendida idea. La verità è che era stato un gesto automatico, istintivo. Chiesi quali erano i programmi per la sera, e i due mi dissero che saremmo andati in discoteca. In discoteca? Pensai. Perché vogliono portarmi in discoteca? Io non ci volevo andare. D’un tratto mi resi conto di un fatto inquietante. Io non volevo affatto festeggiare. Non volevo neanche tornare alla mia vecchia vita. Volevo tornare nell’oscurità senza certezze, dove si possono trovare clown assassini e umanoidi blu assetati di sangue. Volevo riprovare il brivido.

Lentamente mi allontanai dal soggiorno, presi le armi e mi misi lo zaino, poi senza farmi sentire uscii di casa e cominciai a camminare. 

Ma dove stavo andando? Al buio.

  
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