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Autore: Nemainn    20/08/2013    3 recensioni
La paura del mare, a volte, può trovare la sua risoluzione nel modo più strano... E fantastico. Una ragazza e l'incontro di una notte che cambierà la sua vita.
(OS scritta a due mani da me e Baldr, episodio dell'infanzia di Kamar protagonista di *Quest'amore è un calcio nei c...*)
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una Notte, Una Spiaggia

 

 

 

 

Aveva perso la scommessa con la sorella e ora si trovava da sola in riva al mare.
Lo odiava.
Durante tutta la sua sua vita aveva evitato di avvicinarsi ad esso guardandolo sempre da lontano, piena di astio e rimprovero.
Eppure il suo orgoglio ancora una volta la aveva portata in una situazione che definire sgradevole era poco.
Sua sorella la aveva lasciata sulla spiaggia deserta, ridacchiando, e a lei sarebbe toccato passare l’intera nottata lì, in riva al mare, per dimostrare che non era vero che aveva paura di quella massa liquida. Il fatto che, in realtà, ne avesse maledettamente paura, era secondario.
Tutto era successo nel pomeriggio quando gli amici di sua sorella si erano radunati a casa loro e avevano cominciato a prenderla di mira con battute idiote sulla sua presunta paura paralizzante, mentre aneddoti abbastanza mortificanti della sua infanzia venivano sbandierati.Ma le risate di sua sorella e dei suoi amici la avevano umiliata, e a lungo andare avevano scatenato la sua rabbia. Era irritata, ed era stato più forte di lei. Aveva messo i pugni sui fianchi e quasi gridando aveva affermato che quelle della sorelle erano tutte bugie, che non aveva certo paura del mare, e che dovevano smetterla di dire certe scemenze sul suo conto. Da lì era degenerato tutto, neppure lei sapeva bene come. Alla fine si era ritrovata, per dimostrare che non temeva il mare, in macchina stipata con gli altri diretta verso il mare, deserto in quella stagione.

Guarda come scappava... Ma se credeva di farla franca, si sbagliava di grosso! Armato di una semplice lancia, seguiva la sua preda. Quello squalo credeva di seminarlo, forse, risalendo verso la superficie! Credeva forse che si sarebbe fermato, una volta giunta alla profondità minima che gli era consentita?
Sciocchezze! Lui era Kamar, principe di Atlantide, le leggi le avrebbe fatte lui un giorno! Quindi non sarebbe stata una regolina di poco conto a fermarlo. Anche se per un attimo tentennò, permettendo al giovane squalo tigre di guadagnare distanza.
Kamar lo osservava dalle profondità del mare e quello? Lo stava forse deridendo? Ecco, quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Serrò la presa sulla lancia e si gettò verso lo squalo, la cui pinna già emergeva tra i flutti. Lo caricò, con una velocità e forza tale, che schizzò fuori dall’acqua. Entrambi ricaddero nelle acque basse vicino alla costa, con Kamar aggrappato allo squalo che si dimenava tra le sue braccia.
Il principe sbatacchiò gli occhi e fu costretto a socchiuderli alla luce del sole morente: sott’acqua la luce non era mai così forte... Si mise in piedi, assaporando per la prima volta la gravità pesare sul proprio corpo. L’acqua gli arrivava si e no alla vita.
“Guarda dove mi hai portato...” bofonchiò guardando la distesa del mare. Era bella la sua casa.

Era la prima volta che saliva in superficie. E non si era minimamente accorto che, sulla spiaggia, vi era qualcuno. Anche perché non si era accorto della spiaggia.
Apparentemente era un ragazzo che forse non aveva nemmeno diciott’anni. In realtà, ne aveva quasi quaranta. Ma, per un atlantideo, quarant’anni erano ancora adolescenza.


 

Un vento decisamente fresco e forte continuava a salire dal mare, pieno di scintille dorate, riflesso del sole al tramonto.
Sì, era innegabilmente e oggettivamente bello, nulla da dire. Era pieno di mistero, non poteva negarlo.
Eppure la ragazza non provava assolutamente nessun moto romantico o nessun’altra emozione che poteva definire positiva verso quella distesa in continuo movimento. No, quella distesa la agitava. Si sedette sulla sabbia chiara e si strinse nella giacca leggera, spostando i capelli ramati dal viso. Perché aveva parlato? Non poteva limitarsi a sbuffare e ad andarsene come sempre, lasciandoli alle loro inutili chiacchiere? Avrebbe apprezzato molto di più dormire nel suo letto, ma la combinazione dell’assenza dei genitori, che avrebbero messo un opportuno veto a quella gita notturna, con la derisione della sorella maggiore e dei suoi amici, era stata fatale.
Sospirò e si strinse le ginocchia al petto, l’auto della sorella si era già allontanata e il sacco a pelo era posato accanto a lei strettamente arrotolato nella sua custodia.
Selene si mordicchiò nervosamente il labbro mentre guardava le onde davanti a lei. Si infrangevano senza sosta, sembravano voler divorare in una fame senza fine la terra e quello lo aveva sempre spaventata. Il mare era per lei un immenso mostro, famelico e insaziabile, oscuro.
Con lo sguardo scandagliava la distesa innanzi a lei, attenta e diffidente.
Eppure quello che vide era talmente strano da farle credere di essere vittima di uno scherzo della sorella in combutta con i suoi amici. Perché semplicemente le persone non uscivano dall’acqua a quel modo. No. Non era fisicamente possibile, ne era abbastanza certa. Era sicura che ci si tuffasse dall’aria all’acqua eppure quello che aveva visto sembrava in tutto e per tutto un tuffo al contrario, dall’acqua all’aria. E con uno squalo tra le braccia. Piccolo, circa un metro, ma uno squalo.
A bocca aperta si alzò, e ad occhi spalancati dall’incredulità fissò il ragazzo.

Ehi! cosa stai facendo tu!”

Sollevò le sopracciglia, stupito, per poi voltarsi lentamente e guardare verso... la terraferma. E su quella... come si chiamava? costa? spiaggia? Spiaggia! Beh, sulla spiaggia c’era una... mortale? Contando il suo stupore, era probabile che fosse una mortale... e mammifera persino.
Fece una smorfia. Quello era un guaio. Il suo mentore gli aveva sfrantumato i maroni con la storia che non ci si doveva palesare ai mortali... Suo padre poi gli aveva proibito di andare in superficie, figuriamoci se fosse arrivato al suo orecchio che, non solo aveva disubbidito, ma si era pure fatto pizzicare da una mortale.
A Roman sarebbe preso un ictus, forse. Gli si sarebbe gonfiata la vena sulla tempia, poi magari si sarebbe rotta...e BAM! Lui sarebbe diventato re.
Non male come eventualità.
Era così distratto, che lo squalo ne approfittò, liberandosi.
“No! Ehi! Aspetta!”
Lo fissò allontanarsi e sbuffò, tornando a guardare la femmina: “Mi hai fatto scappar la cena! Quindi quello che stavo facendo non ha più importanza!” informò scocciato, dirigendosi poi verso riva. La curiosità per quel nuovo ambiente era forte. Tanto oramai suo padre lo avrebbe scoperto: bastava che solo uno dei granchi o dei pesciolini in giro aprisse bocca con il Re. Quindi, visto che oramai era fottuto, tanto valeva curiosare un poco.


 

"Cena? ma tu sei matto! Non si mangiano gli squali..." Selene si interruppe. Sì, forse si mangiavano, ma non lì, ne era certa. Al negozio non aveva mai visto scatolette di squalo accanto a quelle di tonno. O di sgombro. O di gamberi. Ma aveva un sepolto ricordo su una pietanza al ristorante cinese, qualcosa tipo 'zuppa di pinne di pescecane'.
Si era persa per un momento nel suo monologo mentale, in cui rivedeva lo scaffale del negozio e non si era subito accorta che il ragazzo stava venendo verso di lei. Senza sapere bene perché fece un passo indietro, fissandolo a bocca aperta. Le dava l’idea di essere perfettamente a suo agio nonostante il freddo e nella luce sempre più scarsa non riusciva a distinguere bene il volto, anche se le sembrava avesse circa la sua età.

Kamar riportò l’attenzione sulla mortale. Gli aveva dato... del matto?
Aggrottò la fronte e si diresse verso di lei, scrutandola con intensità: “Ah! Certo! Dimenticavo che voi... gli strappate le pinne e poi li ributtate in mare, lasciandoli morire dissanguati, divorati dagli altri pesci, destinati a una fine atroce, una morte spesso lenta e dolorosa!” sibilò piantando la lancia nella sabbia, prima di fermarsi di fronte alla femmina, incrociando le braccia al petto.
“Ne uccidete milioni ogni anno... Per il vostro diletto. Chi è il matto?” concluse sollevando il mento, altezzoso.
Certo, c’era un ragazzo in slip stilosi che sembravano fatti con squame di pesce, con tanto di riflessi argentei, che parlava a una perfetta sconosciuta di squali... Però, era un gran bel pazzo, a vedersi: fisico scolpito dal nuoto, dalle esercitazioni marziali, dalla vita sana.
Però per un mortale poteva sempre apparire come un tizio strambo in mutande, per quanto ben fatto.


 

Noi, io..- Selene lo vide avanzare deciso e fece un’ulteriore passo indietro. -Io non lo ho mai fatto e non lo farei mai!” Si trovò a deglutire, non aveva fatto davvero caso a quella specie di lancia di metallo rossastro che il ragazzo teneva in mano, anche se fortunatamente la aveva lasciata dietro di lui piantata nella sabbia.

 

Inarcò un sopracciglio e sorrise strafottente.
“Certo, come no. Date sempre la colpa agli altri. Voi preferite il tonno, vero? Preferite assistere alla mattanza, con il mare che si tinge di rosso... e se qualche squalo finisce nelle reti, voi massacrate anche quello. E tu mi dirai: io no, non lo faccio. Ma lo fanno per te. Sei complice. Siete tutti degli assassini” commentò sbirciando poi il sacco a pelo per terra.

 

Una certa paura si fece strada in lei, era sola sulla spiaggia deserta, con un ragazzo emerso dal mare con uno striminzito costume e una lancia dall’aspetto strano in mano. Aveva un aspetto forte e muscoloso, più alto di lei di quasi una spanna e man mano che si avvicinava Selene notò altri dettagli che la spaventarono e incuriosirono allo stesso tempo tempo. Tanto per cominciare era certa che quelle orecchie fossero molto più appuntite del normale.
Se quello strano ragazzo aveva cattive intenzioni era in guai seri perché sua sorella se ne era andata e il cellulare era infilato nelle pieghe del sacco a pelo. Si bloccò e squadrò le spalle inscenando una sicurezza che non provava, incrociando le braccia sul petto.

Che cosa pensi di fare?”


 


Il ragazzo aggrottò la fronte, cercando di capire l’utilità di quel rotolo. Si accovacciò a terra e lo tastò.
Era morbido. Forse era un indumento di protezione usato dai mortali.
La scoperta lo annoiò subito. Sospirò e si guardò attorno, portandosi una mano allo stomaco.
Aveva fame... e la sua cena era scappata.
Poi sorrise mefistofelico, quando vide quel granchio muoversi sulla spiaggia.
“Beh... non sarà molto... ma almeno un antipasto...” mormorò cominciando a muoversi ferino verso l’animaletto. Aveva completamente ignorato la domanda della mortale.

 

Selene guardò il ragazzo mentre palpava con aria curiosa il suo sacco a pelo. Non ne aveva mai visto uno? Aprì la bocca per dirgli di lasciare stare le sue cose ma il ragazzo aveva già perso interesse per il rotolo e stava dirigendosi verso un granchio.
Si strinse la leggera giacca azzurra addosso, infreddolita. Le parole del ragazzo la avevano fatta riflettere, erano vere. Ma non riusciva a condividerle del tutto, dovevano mangiare. Magari il modo in cui avevano monopolizzato tutto era sbagliato, non era certo un loro diritto sfruttare e uccidere senza riguardo, ma non aveva nessuna intenzione di sentirsi in colpa per tutta l’umanità.

Tu! Non puoi venire qua, toccare le mie cose, dirmi che siamo tutti assassini come se non fossi anche tu nella stessa barca, e poi ignorarmi! Anche tu mangi! E magari i metodi andrebbero migliorati ma io non sono una assassina!” Il tono della ragazza era irritato, il corpo minuto era ritto nello sdegno che provava. Assassina lei? Come si permetteva?

Afferrò il granchio e si voltò a guardare la femmina. Mise l’animaletto sul palmo, lasciando che si dimenasse e tornò ad avvicinarsi alla mortale.
“Stessa barca? Dimmi, femmina, hai mai cacciato? È vero, anche io mangio. Quello che mangio viene cacciato da me, o da chi viene incaricato dalla caccia. Nulla viene sprecato...”
E serrò il palmo, frantumando il carapace del granchio, con una facilità che faceva ben intuire che avesse una forza sopra la media.
Scoperchiò la corazza dell’animale e grattò via un poco di polpa candida, con venature rosate. Portò la carne alle labbra e la mangiò, masticandola qualche volta prima di deglutirla: cruda.
Rivoltante.
No, per Kamar era delizioso.

 

La ragazza guardava schifata la mano del ragazzo sporca degli … avanzi... del granchio. Vederlo mangiare l’animale crudo, con un’espressione di evidente apprezzamento per il pasto, le aveva fatto salire dallo stomaco un sapore acido in bocca.

Si può sapere perché dovrei cacciare e dare fastidio a degli animali che si guadagnano con fatica il pane quando li alleviamo apposta? E anche se è vero che si spreca un sacco le cose stanno cambiando! Ci vuole tempo ma la gente inizia a pensare a certe cose!”


Lui le sorrise sfrontato: “Ti assicuro: è molto meglio per te, se ti ignoro. Siete solo un cancro, una malattia da estirpare. Quando verrà il mio momento, respingerò le vostre schiere dal mio regno e saremo liberi dal vostro giogo!”


 

La ragazza si bloccò nel suo infervorato discorso e lo squadrò realizzando e mettendo a fuoco l’ultima parte del discorso del ragazzo.
No ma comunque tu sei tutto matto sai? Liberi dal nostro giogo? Siamo solo un cancro una malattia? Respingerci dal tuo regno? Si può sapere chi cavolo ti credi di essere?”

Si passò il dorso della mano sulle labbra. Kamar, Kamar, ti stai mettendo nei guai. Palesarti così davanti a una mortale? Ma in fondo, quella è solo una stupida femmina di mammifero che crede pure che tutto quello che mangia sia allevato...
Sospirò, avvicinandosi all’acqua. Posò il ginocchio destro a terra e si lavò le mani. Cominciava a farsi buio.
“Permettiti ancora di insultarmi e te ne farò pentire” commentò “Sentirmi dare del matto, da una squinternata sola su una spiaggia all’imbrunire, è offensivo.”
Si alzò e tornò a fissarla, per poi sorridere strafottente: “Una povera, indifesa, femmina, di fronte a un misterioso figuro uscito dalle acque. Non ti mette i brividi? Non hai paura?” le si avvicinò, divertito.

 

Selene era pallida, tremava e non più di freddo. Ora era davvero spaventata, sentiva la gola serrata dalla paura mentre l’idea che forse era davvero pericoloso perdeva quella sfumatura irreale, per diventare fin troppo solida nella sua mente.
Era inutile fingere l’arrivo imminente di qualcuno, se voleva farle del male poteva spingerlo ad agire più in fretta.


“Potrei essere... pericoloso. Potrei approfittarmi di te, se solo avessi un minimo di sex-appeal... O potrei essere un pazzo omicida che brama la tua carne. Cruda, giusto perché la gente normale come te... la passa sulla fiamma prima...”

La fiamma. Le fiamme.
Non ne aveva mai vista una.
Smise di divertirsi, facendosi serio: “Desidero vedere una fiamma! Se realizzi questa mia richiesta, ti ricompenserò!”


 

Guardò il sacco a pelo abbandonato a poca distanza con all’interno le poche cose che si era portata dietro. Era abbastanza certa di aver un accendino con lei, ma non era sicura di saper accendere un fuoco e improvvisamente tenere buono quel ragazzo era diventata una sua priorità.
Deglutendo cercò di parlare, con rabbia si rese conto di non esserci riuscita al primo tentativo e riprovò con maggiore decisione.

Una fiamma o un fuoco?” fece i pochi passi che la separavano dal sacco a pelo e infilata la mano nel rotolo incontrò l’accendino dopo un minuto di angosciate ricerca.

Kamar aggrottò la fronte:
“Vi è forse differenza? Non ho mai visto nessuno dei due. Mostrami quello che puoi...” replicò inclinando il capo verso una spalla, incuriosito da quel cilindretto che la ragazza stringeva tra le mani.
Non era la prima volta che ne vedeva uno. Ne finivano tanti sul fondo del mare, persino in oceano aperto...
“Ehi! È un accendino vero? Mi son sempre chiesto come funziona. Mio padre non me lo ha mai voluto spiegare... Ma lui non è che mi spiega molto della vita in superficie...” ammise, con una curiosità infantile nello sguardo.


 

Si... È un accendino ma...” Selene si zittì. Come era possibile che non lo conoscesse? Non le sembrava certo un pigmeo arrivato dall'Amazzonia e che non aveva mai avuto nessun contatto con la così detta “civiltà”. Prese in mano l’accendino e si voltò in modo da metterlo tra di loro e fece scaturire una piccola fiammella gialla con il movimento del pollice.

Questa è una piccola fiamma, un fuoco è più grande. Come... Come fai a non saperlo?”

Kamar sussultò all’indietro. Non si aspettava che comparisse così all’improvviso. Durò poco la sorpresa, sostituita presto dalla morbosa curiosità. Anche perché l’ondeggiare della fiamma era ipnotico, era una danza sensuale che stuzzicava il lato esteta dei suoi geni.
Allungò una mano, sfiorando la fiamma con l’indice. Ma non lo ritrasse: no, ce lo lasciò incurante sopra. Anche perché, la sua pelle era inattaccabile da una cosa di così poco conto. Avrebbero potuto sparargli a bruciapelo con un fucile e lui non si sarebbe fatto nulla. La sua pelle era un’armatura naturale, temprata dalle pressioni oceaniche.
“È caldissima!” esclamò, con l’enfasi di un bambino.

 

L’idea che quel ragazzo vivesse sott’acqua era assolutamente folle. Folle e impossibile. Eppure in qualche modo era quello che le stava dicendo.

Aveva guardato il dito rimanere sulla fiamma, e l’assenza di dolore era ovvia sul viso dell’altro. Selene scosse la testa, incredula quanto spaventata da quella situazione che, oltre a sfuggirle di mano, stava diventando assurda.


Lui le strappò l’accendino di mano, rigirandoselo tra le dita e avvicinandosi all’acqua.
“Eppure la rotellina la feci girare anche io... ma non uscì alcuna fiamma” bofonchiò, accendendolo. Quel semplice successo lo fece sorridere. Si accovacciò e immerse l’accendino nell’acqua, estinguendone la fiamma.
“Ah! Ecco svelato il trucco! Non va usato sott’acqua!” esclamò alzandosi. Nuovamente cercò di accendere l’accendino: invano.
Si imbronciò: “Se si bagna non funziona più?” domandò, rivolgendosi alla ragazza.
Di nuovo, aveva ignorato la sua domanda. Anche se dalla sua reazione, era chiaro che... non fosse propriamente di quelle parti.


 

 

Il fuoco per vivere ha bisogno di due cose, combustibile e comburente. Il combustibile in questo caso è il gas dentro l’accendino e il comburente è l’ossigeno dentro l’aria. La scintilla che crea l’attrito tra la pietra e il metallo della rotellina scatena la reazione... E tutto questo non può avvenire sott’acqua... Ma... Ma tu davvero non sai queste cose? Davvero non hai mai visto il fuoco?” Il tono era incredulo, genuinamente curioso. Le faceva ancora paura ma in qualche modo la sua reazione di un infantile candore davanti a quella “magia” la aveva tranquillizzata, in parte.

 

Kamar sollevò la mano destra, aprendo e chiudendo le dita, imitando il boccheggiare di una cernia (o di un’oca, se preferite) a sottolineare quanto parlava Selene.
“Bla, bla e ancora bla. Per cominciare, l’ossigeno c’è anche sott’acqua, che è formata da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno.
Io, come il mio popolo, ci siamo adattati a filtrare l’acqua e a estrapolare da essa l’ossigeno” spiegò piegando la testa e scostando appena l’orecchio con l’indice, in modo che le sua branchie fossero visibili. Anche se cominciava a fare buio e forse Selene non avrebbe visto molto.

Quando il ragazzo aveva scostato l’orecchio Selene aveva visto qualcosa nella scarsissima luce, sembravano quasi delle cicatrici. Non era certa di cosa stesse vedendo, e il ragazzo gliele aveva mostrate solo per un attimo.


“Comunque, no. Non ho mai visto un fuoco in vita mia. È la prima volta che vengo sino in superficie”
Porse l’accendino alla ragazza: “Comunque hai realizzato la mia richiesta, quindi ora io ne realizzerò una tua. Non sia mai che si dica che Kamar non mantiene la parola data!”

 

A quel punto lei si lasciò quasi cadere sulla sabbia, la tensione, data dallo spavento causato dalle precedenti parole del ragazzo, la aveva abbandonata e ora si sentiva stremata. Certo era un gran cafone, maleducato e pieno di boria, ma lo sguardo colmo di infantile stupore che aveva rivolto alla fiamma la aveva rassicurata. Probabilmente faceva parte di una strana comunità, tipo Amish, isolata dal mondo, decise. Non ne aveva mai sentito parlare di simili comunità in zona e aveva l’impressione che il ragazzo, che aveva detto di chiamarsi Kamar, si fosse allontanato dalla sua casa.

Guarda che anche l’acqua può bruciare se il fuoco è abbastanza caldo, e non farmi il verso! E sono cose che dovresti sapere anche tu o a scuola non ci hai mai messo piede? E poi nell’acqua l’ossigeno è in concentrazione diversa e legata all’idrogeno, non è nell’aria.”

Lo so” replicò, scocciato.
“Non siamo un popolo di selvaggi, come voi altri! La nostra tecnologia è ben superiore alla vostra!” aggiunse, sorridendo tronfio d’orgoglio.

Selene alzò un sopracciglio e sorrise improvvisamente.
E la mia richiesta è che mi faccia compagnia fino a quando non arriva l’alba! Almeno non starò da sola in spiaggia tutta la notte.” Era una cosa folle e se ne pentì nell’esatto momento in cui lo disse. Era una delle cose più stupide che avesse mai detto.

Alla richiesta di lei, schiuse le labbra con espressione di disappunto. Richiuse la bocca levando gli occhi al cielo: “Ah! Fantastico! Mi tocca fare da balia a una mortale!” esclamò.
Poi si zittì, osservando le prime stelle.
Sorrise: “Ehi! Sono stelle quelle? Ho letto qualche libro su di loro. Ho visto anche qualche dipinto, ma è la prima volta che le vedo dal vivo!” ammise, per poi sedersi sulla sabbia, il naso sempre rivolto verso il cielo.
“Sia, rimarrò, come ho promesso. Chi è che ha l’onore di beneficiare della mia presenza?” domandò quindi portando le iridi cerulee su Selene.


Mi chiamo Selene.” La ragazza aveva deciso di non badare troppo a quei continui e strani riferimenti del ragazzo, era sicuramente un po’ matto. “E non ti sto chiedendo di farmi da balia ma di farmi compagnia, una cosa decisamente diversa!” Eppure nonostante i suoi modo tronfi era divertita da lui e voleva capire da dove venisse veramente perché l’idea di un regno sottomarino era assurda.
Sedendosi accanto al ragazzo indicò una stella particolarmente luminosa.
Quella è Venere, e non è una stella. Mentre là puoi cominciare a intravedere l’orsa polare...” Nominò alcune altre stelle indicandole e spiegando quello che sapeva di astronomia al ragazzo che sembrava interessato, anche se non ne era particolarmente sicura.

Che nomi fantasiosi che davano alle stelle. Anche loro avevano dato nomi a stelle e pianeti... altri nomi. Ma il popolo atlantideo conosceva tutte le lingue del mondo, quindi conosceva anche tutti i nomi degli astri in ciascuna lingua esistente: poiché tutte le civiltà erano legate la mare. Da sempre.
“Come mai hanno abbandonato una femmina sola, su una spiaggia di notte? È forse un qualche rito di passaggio all’età adulta? Io per il mio ventesimo compleanno dovetti affrontare un calamaro gigante! Non fu divertente... era abbastanza debole in realtà... Ma la tradizione così vuole” spiegò stringendosi nelle spalle.
“Abbiamo tante tradizioni, per segnare le tappe della vita di un giovane: la nascita come guerriero, la perdita della verginità, la prima caccia... sono tutte accompagnate da importanti rituali!” spiegò tranquillo, gesticolando con la mano.


Selene lo fissava a occhi sgranati. Quella cosa dei riti di passaggio la aveva colta di sorpresa. Come il calamaro gigante. Sicuramente la prendeva in giro si disse. Debolmente scrollò la testa.

No, nessun rito di passaggio. Ho fatto una scommessa con mia sorella.” Con improvvisa timidezza sentì le guance arroventarsi, era stata una stupida e raccontare la scommessa era imbarazzante. “Ho paura del mare e mi ha preso in giro davanti ai suoi amici dicendo che non avrei mai avuto il coraggio di dormire in riva ad esso, e così eccomi qua. Solo una stupida sfida...” Con le mani sprofondate nelle tasche della giacca continuò, senza sapere il perché, a spiegare la sua paura a Kamar. “Ho sempre avuto paura del mare da piccola mia mamma se mi portava in spiaggia scoppiavo a piangere terrorizzata. Mi spaventa è così... è mostruoso. Divora la terra come se avesse sempre fame, è profondo e scuro e la luce non arriva mai in fondo. So che sono solo paure stupide ma... Non ho nemmeno mai messo la mano nel mare.” Voltò la testa guardando il ragazzo con il viso ancora in fiamme.

Kamar si voltò a guardarla, incredulo:
“Come.... come puoi avere paura del mare?” domandò allibito, per poi guardare il mare, che era diventato nero a causa del buio. Alla luce delle stelle e del quarto di luna sembrava veramente un’enorme creatura intenta a respirare.
“Non è un mostro... è... è vivo! Non vuole mangiare nulla! Lui è vita, è serenità, è pace! A volte urla e sbraita, ma chi è che non lo fa?!” le domandò, cercando di capire il perché di quella fobia, per lui assurda.
“Cioè... guardalo! È lì, sono miliardi di anni che è lì. Negli ultimi millenni è arrivato l’homo sapiens e boom! Ha cominciato a scaricarci dentro le peggio cose. Lo ha avvelenato, offeso, umiliato e deriso! Eppure lui è ancora lì, ancora permette la vita su questo pianeta... Tutto è legato a lui, dalle nuvole che portano la pioggia, ai venti che che accarezzano i vostri campi di grano...” sospirò e poi tornò a guardare Selene: “Io credo... che semplicemente tu non lo conosca. Voi umani solitamente temete ciò che non conoscete. Perché se non riuscite a spiegarvi qualcosa, allora per voi è fonte di paura... Ma so che non tutti siete così. Mia nonna si innamorò di un umano... e anche se non fu facile per loro stare assieme nacque mio padre... Però questo... è per farti capire, che le paure vanno superate!” la esortò con un sorriso.


 

Selene sospirò, malinconica. Era facile per quel ragazzo mezzo matto, convinto di provenire dal mare, dirle che il mare non era quel mostro spaventoso, sembrava quasi sua madre.

Mia mamma ama il mare, lei lo adora. Ogni volta che può ci viene, in qualunque stagione, con qualunque tempo, mio nonno la prende sempre in giro. Le dice che deve essere una mezza sirena visto che riesce a sguazzarci anche in pieno inverno.” La ragazza si interruppe guardando le onde scure appena toccata dalla scarsa luce lunare che sembravano avvicinarsi a lei. ”Le dispiace così tanto che io non sia mai andata con lei, ma non ci riesco... Lei dice che il mare è come una mamma, a volte è severa e sembra crudele, ma in realtà ama tutti i suoi figli... Ma io non provo quell'amore che prova lei... Ho provato a capirla, e a capire il mare, ma non ci riesco.”

Nella voce della ragazza si intuiva chiaramente la paura ma non solo essa. C’era un dispiacere profondo legato strettamente a quell’emozione.


 

Kamar si abbracciò le gambe, giocherellando con le dita nella rena asciutta. Era fredda, faceva un effetto così diverso da quella bagnata a cui era abituato. Ascoltò le parole di quella femmina mortale, sospirando. Lui una madre non ce l’aveva. Non l’aveva mai conosciuta. Era morta poco dopo aver deposto la nidiata e lui era uscito dall’unico uovo che si era schiuso...
Suo padre non parlava mai di lei. Una volta era riuscito a trovare un dipinto, gettato in un angolo dei sotterranei di palazzo, sfuggito alla furia del padre, quando, impazzito dal dolore della perdita, aveva distrutto ogni cosa appartenesse a lei.
Fece una smorfia, infastidito: ad Atlantide tutti sapevano che non era il caso parlare di
mamme in sua presenza. Era una cosa che lo innervosiva. Perché in fondo, sentiva che quella era una lacuna che non avrebbe mai colmato.
Ma non era ad Atlantide. Era su una spiaggia, in superficie, in compagnia di una mortale che non sapeva nulla di lui. Non poteva mica spezzarle il collo per così poco, no? O forse sì...
“Ti rincresce, non riuscire a condividere quella passione con tua madre, vero?” commentò senza fissarla.
“Penso di capire cosa provi. Io non posso condividere nulla con mia madre...” mormorò atono, portando lo sguardo sulla superficie scura. Doveva ammettere, che poteva trasmettere un senso di inquietudine, osservare quella distesa nera, che pareva una belva pronta a saltare addosso alla sua preda.
“Il mare non è una mamma. È casa... È vita. Tu hai paura che ti faccia del male... Se ti mostri debole, lo farà. Ma non perché lui lo voglia... Il mare, di per sé, non fa nulla. È uno spettatore. Sarebbe come dire che hai paura della luna, perché potrebbe caderti in testa... E passi la vita a osservarla con sospetto, inciampando in ogni ostacolo che incontri per strada. La colpa a quel punto non sarebbe della luna, ma tua, ne convieni?” spiegò portando lo sguardo su Selene.
“Non devi per forza amarlo, ma non puoi nemmeno temerlo, senza che te ne abbia dato un motivo! Ci dovrà essere qualcosa di più profondo, a cui la tua paura è legata...”

 

Casa? ancora con quella storia che lui viveva nel mare?
Il mare non era casa, il mare aveva sempre tenuto lontano da lei sua madre. La aveva tenuta con lei mentre dalla spiaggia la osservava nuotare incapace di avvicinarsi La aveva tenuta con lei quando aveva bisogno di sua madre. Divorava e prendeva per sé quello che voleva, senza curarsi di nulla e di nessuno. No, non aveva paura che le facesse del male, gliene aveva già fatto. Le aveva tolto sua madre. Certo, era viva, ma non amava lei, amava il mare . E lo amava, cercava e considerava più di lei.
Sua sorella le diceva sempre che era solo una stupida piagnucolona ma con lei non era stato così, perché lei era sempre andata con la madre tra le onde, anche da bambine. La madre giocava nell’acqua con sua sorella e non la guardava mai, sola, seduta sulla spiaggia ad aspettarle, dimenticata. Non guardava mai la figlia più piccola che attendeva malinconica e triste che  il mare le restituisse sua madre. Non aveva mai occhi per lei quando era tra quelle onde, e Selene temeva sempre non le restituissero la donna.

Io non ho paura che possa farmi qualcosa... Non a quel modo credo.” Si interruppe senza sapere come mettere in parole le sue emozioni, talmente forti in quel momento da farle battere il cuore e inumidire gli occhi. “Mi ha già portato via a suo modo mia mamma, io non esisto e vengo sempre dopo questa stupida massa d’acqua. Quando nuota io non esisto, quando è in mare sparisce tutto, è felice, e non ha mai quel sorriso quando è con noi. Mi ha già portato via qualcosa.”


Aggrottò la fronte.
Si massaggiò la tempia confuso e poi si sporse verso Selene: “Cioè... fammi capire: tu non hai paura del mare. Lo detesti, perché tua madre ama nuotare e, quando nuota, pare ignorarti?” scosse il capo e sorrise divertito.
“Ti rendi conto dell’assurdità della cosa? Il mare non ti ha rubato un bel nulla: sei te che ti sei messa dei paletti. Avrai anche tu delle passioni? Avrai anche tu delle cose, che ami fare e delle quali sei gelosa, no? Beh, penso per tua madre sia lo stesso! E lasciamelo dire: tua madre ha buon gusto!
Non hai idea del senso di libertà che ti fa provare il nuotare! I rumori ovattati, la sensazione di galleggiamento, la quiete assoluta... A te non piace nuotare? Per avvicinarti a tua madre, basterebbe farsi una nuotata assieme, no? E se hai
paura del mare, avete le piscine, no?”


'basterebbe farsi una nuotata assieme' a quelle parole Selene era impallidita, il sangue abbandonò il viso della ragazza che cominciò visibilmente a tremare.

Non... Pensi che ci abbia provato? Non credi che abbia sempre provato e riprovato a mettere piede nel mare? Nelle piscine non ho problemi, ma...” Selene si interruppe il filo di voce spezzato. Ma il mare no, non era capace di entrarci, di avvicinarsi. Aveva chiesto se per caso da piccola avesse rischiato di affogare, ma sua madre le aveva detto che neppure da piccolissima riusciva a portarla tra i flutti. Urlava e piangeva, disperandosi, terrorizzata. Il solo pensiero di entrare tra quelle onde la spaventava a morte e non capiva perché.

Fai presto tu! Non credi che mi piacerebbe stare con lei? Non la avrò per sempre e ho rischiato di perderla già una volta. Vorrei solo che almeno una volta, una, mi guardasse come guarda il mare, e che solo per una volta riuscissi ad entrarci con lei.” Una lacrima scese dagli occhi verdi della ragazza che la asciugò con il dorso della mano, rabbiosamente. Sapeva benissimo che sua madre poteva lasciarla da un momento all’altro, sapeva quanto fosse fragile. Sapeva tutto e voleva veramente entrare in mare con lei almeno una volta. Ma quei flutti scuri la terrorizzavano e non sapere il perché le impediva di cercare di affrontare la cosa razionalmente, costringendola i un certo senso a subire le violente emozioni che destava in lei. Tutta quella paura che la investiva, irrazionale, annientandola, ogni volta che cercava di mettere piede tra i flutti.


Kamar arricciò le labbra. Sciocca ragazzina. Giovane e sciocca: come tutte le femmine, d’altronde.
Si alzò e sorrise. Qui c’era bisogno di una buona terapia dell’inganno.
“Tu entrerai in acqua, tu affronterai il mare e vincerai! Perché, io, Kamar, sentenzio che il mare non ti debba nuocere in alcun modo! Io, Kamar, Principe di Atlantide, figlio di Roman, Signore dei Sette Mari, Custode della Sacra Perla di Krinal, ordino al mare di non nuocere a questa umana!” disse con tono forte, allargando le braccia. Quindi si volse a Selene e le porse una mano:
“Andiamo! Ora non ti farà nulla! Permetti che vi presenti? Così che possa riconoscerti anche in mia assenza...”


Selene spalancò gli occhi. Quello era pazzo, sì, pazzo.
E così a te il mare darebbe retta?” Incapace di contenersi la ragazza rise. Non era una risata di scherno ma suonava sinceramente divertita, argentina. “Saresti il Principe di Atlantide quindi? Niente di meno... Piacere di conoscere vostra altezza. Potevi dirmelo prima che eri un principe ti avrei sicuramente trattato in modo diverso...” Selene non accennò però ad alzarsi, di certo la dichiarazione del ragazzo la aveva divertita, ma non certo convinta ad entrare in mare. “E per inciso, anche se non capisco come tu faccia a non essere blu dal freddo, io muoio congelata se mi spoglio e poi entro in acqua.” Il tono della ragazza era leggero, era divertita da quello che Kamar le aveva detto, il modo sicuro in cui aveva dichiarato le sue nobili origini Atlantidee, se non fosse stata certa che era impossibile gli avrebbe creduto tanto le sembrava sincero e sicuro.

Kamar mise le mani sui fianchi, guardando Selene accigliato.
Lo stava prendendo in giro? Non c’era scherno, ma era chiaro che... non gli credesse? Stupidi umani! La gente di superficie era più idiota di quanto gli era stato raccontato. Sì grattò l’attaccatura dei capelli sulla fronte, per poi passarsi le dita tra i corti capelli corvini.
All’ultima affermazione della ragazza, sorrise malizioso: “Oh, se hai paura del freddo, potrei scaldarti io. So essere estremamente caloroso” commentò ironico, velando il tutto con una buona dose di malizia.
“Tu non mi credi. Questo è male...” si volse verso l’oceano. Non poteva controllare tutta quella distesa d’acqua, lo sapeva bene. Ma Selene no, non lo sapeva. Sorrise.
“Inginocchiati, innanzi al tuo Signore!” disse, mentre respingeva i flutti, facendo ritirare l’acqua dalla riva. Così, le onde disegnarono un’insenatura a ferro di cavallo, che si spingeva a largo per circa un centinaio di metri dalla riva. Poteva veramente dare la sensazione che le onde si stessero inginocchiando a Kamar, che aveva preso a camminare su quella lingua di terra ove prima si trovava l’acqua.
Poi si chinò, per raccogliere un pesciolino che, probabilmente, non si era accorto del movimento delle acque ed era rimasto arenato. Con delicatezza lo immerse nell’acqua, lasciando che si allontanasse.
Quindi si volse verso la spiaggia, incorciando le braccia al petto: “Allora, vieni o vuoi farmi aspettare ancora molto?”

Un grido strozzato emerse dalla gola della ragazza che si era alzata in piedi scatto non appena aveva visto il mare ritirarsi. No non era uno scherzo, non era un gioco di marea, no. Deglutì più volte posando lo sguardo alternativamente dal ragazzo al mare, spaventata e indecisa. Se.. Se le avesse detto la verità? E se davvero era un principe di Atlantide, se davvero poteva comandare il mare? I pensieri si affastellavano nella sua mente caotici mentre il viso da elfetta della ragazza riprendeva lentamente colore.

Tu non stavi scherzando...” Quelle parole erano sussurrate più per sé stessa che per essere udite da Kamar in piedi poco lontano da lei, con la mano tesa. Si sfilò le scarpe lentamente, guardandolo sorpresa. Forse non aveva molto senso toglierle ma non le sembrava il caso di bagnarle. Si era un pensiero folle nel calderone di tutto quello che stava accadendo. Il vento le portò una ciocca di capelli sul viso e con un gesto distratto la spostò.

Mi giuri, me lo giuri che non mi succederà nulla?” Perché si fidava di lui?

Sollevò gli occhi al cielo:
“Ti ho dato la mia parola che ti avrei fatto compagnia sino all’alba, no? Sono un galantuomo! Ti pare che permetterei a una femmina di passare dei guai in mia presenza? Sarebbe da screanzati!” replicò, esortandola con le dita ad avvicinarsi.
“Eddai! Ti bagnerai un poco... anzi no! Non ti bagnerai nemmeno, così poi non mi romperai l’anima lamentandoti!”
Sospirò, scocciato: “Guarda, la cosa più brutta che potrebbe capitarti, è che la mia natura atlantidea prenda il sopravvento e che allunghi le mani su di te. Ma per tua fortuna, io non sono un purosangue... Sono un miscuglio di sangue umano, atlantideo e altro ancora...”


Sei un miscuglio...” Sempre più sorpresa e perplessa Selene scosse il capo. “E va bene, ma non allungare le mani. Ecco. Si.” Cosa stava facendo e dicendo? Stava per entrare nel mare e... e si preoccupava di mani lunghe? Lentamente, deglutendo nervosamente, fece il passo più difficile della sua vita, prendendo poi la mano che le porgeva Kamar. La strinse, la presa era disperata, e la ragazza tremava talmente tanto da temere di cadere. Per un momento pensò che, forse, stava facendo male al ragazzo stringendogli la mano a quel modo. Ma decise che, visto che si era offerto, poteva anche soffrire un po’. Fece un altro passo e si trovò accanto a lui, lo guardò, pallida, circondata dall’acqua.

E adesso?”


Kamar sorrise rassicurante, la prese a braccetto, carezzandole dolcemente la mano.
“Adesso, passeggia con me” disse, volgendosi verso l’oceano e cominciando a camminare. L’acqua si spostava al suo passaggio, sebbene il fondale stava scendendo di profondità. Selene poteva intuirlo dal fatto che le pareti d’acqua attorno a loro si facevano più alte a ogni passo.
Kamar ne percepì la tensione e cercò di distrarre la mente dalla ragazza, in modo che non si focalizzasse sulla sua paura:
“È un vero peccato che sia notte. Non potrai godere appieno delle bellezze della scogliera...” mormorò, guardando la ragazza con un sorriso gentile. Non perché lui fosse gentile, ma solo perché sapeva come esserlo: era fondamentale se volevi portarti a letto qualcuna. Anche se in quel frangente non era quello lo scopo di quella gentilezza.
“Se fosse luna piena, il mare sarebbe pieno di luce. È col plenilunio che certe specie si riproducono e alla luce lunare le uova sono fluorescenti, illuminando tutto. Ma... è presto...” spiegò, mentre sopra di loro le acque si richiudevano.
La sagoma del quarto di luna ondeggiava sulla superficie... uno spettacolo così diverso visto da sotto la superficie!
Quando lo sguardo si Selene si abituò alle tenebre, potè scorgere quello che non aveva mai visto: il fondale, i raggi lunari che penetravano nell’acqua rischiarando le rocce, danzando sulla sabbia sotto i suoi piedi. E attorno a loro c’era vita, tantissima vita!
Banchi di pesci che guizzavano con riflessi argentei, alghe che danzavano sinuose, meduse, paguri che duellavano tra loro...
“Ti fa ancora paura?”

 

Tremava ancora, ma ora la paura era diversa, non era più talmente forte da annichilirla, legandola tremante alla terra. Ora la paura era avvolta dalla maestosità di quello che vedeva, dalla meraviglia, dalla sorpresa. Era meraviglioso. Certo aveva visto fior di documentari sui fondali marini. Aveva sentito sua madre e sua sorella parlare dei banchi di pesci. Ma non la avevano mai emozionata, solo spaventata, riempiendola di un oscuro orrore, di  quella paura che non la aveva mai davvero lasciata e che pure in quel momento serpeggiava sinuosa in lei., Ma ora non era unica, era una componente. Una alchimia magica di luce e suono, perché ora il mare attorno a lei sembrava respirare dolcemente, non più famelico. Era atterrita eppure attratta, piena di meraviglia. Si era stretta al ragazzo, non lo aveva fatto consapevolmente, cercava in qualche modo una certa protezione forse. Camminava sorretta da lui, gli occhi colmi ora di meraviglia.

Si, ma ora non c’è solo la paura...”

l’importante è che non ti faccia più solo paura. La paura fa parte di noi. Solo io non provo mai paura. Scherzo. Lo dico solo perché il mio ruolo me lo impone” disse facendole l’occhiolino.
“Bene! Passiamo al livello successivo della terapia by Kamar”
Le passò un braccio attorno ai fianchi, stringendola a sé. Entrambi si sollevarono dal suolo, cominciando a fluttuare nell’aria.
“Non sarà come nuotare, ma ti avevo detto che non ti avrei fatto nemmeno bagnare... quindi... tienti stretta”
Avvolti da quella bolla d’aria, presero a muoversi, dapprima lentamente, poi veloci. Kamar si teneva lungo la costa, in modo che la luce della luna potesse permettere a Selene di vedere quello che il mare custodiva: il mare proteggeva, ecco cosa voleva farle capire. Proteggeva i suoi abitanti, dava loro un riparo e li conservava lontano da occhi indiscreti e dai pericoli della superficie.

 

In un primo istante le sfuggì un grido spaventato, non era certo una cosa che una si aspettava abitualmente volare nel mezzo del mare protetta in una bolla d’aria. Poi il fascino di quello che la circondava la conquistò nuovamente.
Non pensavo... che il mare fosse così. Forse ha ragione mia mamma. Forse ha sempre visto questo e... E aveva ragione.” Guardò il ragazzo e gli rivolse un sorriso luminoso, pieno di gioiosa meraviglia. Certo aveva ancora paura ma ora era completamente diverso. Ora era solo una fetta del tutto, una fetta piccola, che poteva essere ignorata e gestita. Il sorriso di Selene sembrò illuminarla, mentre con gli occhi scandagliava il fondale e quello che c’era attorno a loro. “E’ bellissimo...” sussurrò con un filo di voce.

Kamar sorrise. Non disse nulla, si limitò a riportarla a riva, là dove avevano lasciato il sacco a pelo e la lancia.
“Ecco, ora hai capito come gestire le tue emozioni, le tue paure... Fai bene ad averne, perché nel mare, e non solo, un errore, una distrazione, possono risultare fatali... Ma non c’è solo quello”

 

Solo grazie a te Kamar. Grazie...” La voce della ragazza era sommessa, colma di meraviglia


Le lasciò la mano e ritornò verso l’acqua, immergendosi in essa, solo per mantenere l’idratazione della propria pelle Quindi ritornò a riva e si sedette vicino al sacco a pelo.
“Quindi ora, potrai condividere la passione di tua madre...” commentò malinconico.


Selene sorrise, divertita da un pensiero improvviso.
Penso piaceresti a mia mamma, sarebbe capacissima di invitarti a cena, senza sapere neppure come ti chiami! Nonostante la tua aria altezzosa sei una brava persona, decisamente.”


Kamar inarcò un sopracciglio:
“Altezzoso? Perché ne parli come se fosse un difetto?” bofonchiò, per poi scuotere il capo.
“Sì, certo... A cena con gente che brucia il cibo. Già per colpa tua mi sono dovuto accontentare di un misero granchio... Vomiterei l’anima a mangiare le vostre pietanze!”


Ma che strano che sei... Ovvio che essere altezzosi è un difetto! ma parlando d’altro, mai sentito parlare di frutta e verdura? Si mangiano solitamente crude. E sono certa che una... bruciata... torta di mele ti piacerebbe.” Selene si illuminò e gli sorrise. “E poi a casa abbiamo un bel camino, e ultimamente la sera è sempre acceso. Vedresti e studieresti il fuoco quanto vuoi.” Voleva in qualche modo sdebitarsi, ma dentro di lei dubitava il ragazzo avrebbe mai accettato quella strana forma di invito, anche se sperava moltissimo lo accettasse.

E poi c’è il sushi. Mangiamo anche noi il pesce crudo sai?”

 

Non mi sembri giapponese... Il sushi è tipico di quella nazione, no? E no, non è un difetto. Sono un principe! Secondo te cosa dovrei fare? Abbassarmi allo stesso livello della plebaglia? Il passo successivo quale sarebbe? Copulare con femmine del volgo?”
Sbuffò e appoggiò il mento alle ginocchia.
“Ho detto che sarei rimasto fino all’alba. E rimarrò qui, su questa spiaggia, sino all’alba.”


Selene sospirò, un moto di irritazione che però subito scomparve, se lo aspettava in fondo.
Certo, attento a non abbassarti troppo principe, che la tra i nobili si deve stare proprio bene. E se fossi pignola ti ricorderei che io ti ho chiesto di stare con me, non su questa spiaggia. E se mi sposto teoricamente dovresti spostarti con me...” Selene ridacchiò. “Ma tranquillo, non oserei mai fare presente a sua altezzosità la fallace lacuna nel suo ragionamento, non dopo che sei stato così gentile con me.” Mancava probabilmente poco all’alba, il freddo era intenso e la ragazza tremava. Selene non sapeva quanto mancasse al sorgere dell'astro e non voleva saperlo. Era sicura, non l’avrebbe visto mai più, e sapeva che non avrebbe mai parlato con nessuno di quella notte, nessuno comunque le avrebbe mai creduto.
Un principe di Atlantide... E non stava sognando.

Lo sguardo di Kamar si indurì. Prese il rotolo del sacco a pelo e lo srotolò, mettendoselo di fianco.
Poi afferrò Selene per un polso e la tirò a sé, facendosela sedere in grembo, la schiena posata contro il proprio petto Prese il sacco a pelo e la coprì.
“Mi stai perculeggiando, forse? No, perché potrei anche decidere di spezzarti l’osso del collo e finire questa pagliacciata...” bofonchiò, passandole le mani attorno ai fianchi e posandole il mento sulla spalla.
“Fai meno la spiritosa, che stai tremando come una foglia. Possibile che voi mammiferi siate così deboli e fragili? Nemmeno a un po’ di brezza notturna riuscite a resistere?” domandò osservando l’orizzonte, mentre a est cominciava a schiarire. Gli uccellini della pineta alle loro spalle presero a cantare. Kamar li cercò con lo sguardo.
“Cos’è questo suono?”
No, non aveva mai sentito il canto degli uccelli...

 

I denti di Selene smisero di battere, certo si era un po’ spaventata quando la aveva spostata praticamente di peso senza mostrare il minimo sforzo ma doveva ammettere che così stava meglio.

Alla domanda del ragazzo si zittì ascoltando il cinguettio. Alcune upupe dal canto inconfondibile accompagnate da un più forte canto di altre specie che non sapeva distinguere.

È il canto degli uccelli che salutano l’alba. Alcuni li conosco dal suono altri no. Uno dei pregi di abbassarsi un po’ più al livello di noi poveri mortali.” Selene si scostò sorridendo guardando in viso il ragazzo. “Grazie, Kamar.” Sospirando la ragazza volse poi il viso a est, il sole stava innegabilmente sorgendo.

Ma mi credi forse un bifolco? Solo perché non abbia esperienza del tuo mondo, non vuol dire che io sia un beota... Anche nel mio ci sono creature che cantano.... e io, a differenza tua, le conosco tutte!”
Figuriamoci se lui avrebbe palesato una sua qualche inferiorità nei confronti di una femmina mortale!
Però il tono non era cattivo, alla fin fine. Più che altro era affamato. Per cena un granchio...e all’alba non ci vedi più dalla fame.
Poi sapeva che, al ritorno a palazzo, suo padre gli avrebbe dato un buongiorno piuttosto brusco. Tutta la notte fuori da palazzo... in superficie. Lo avrebbe messo in punizione per almeno un paio d’anni.

Mmmph!” mugugnò in risposta al ringraziamento di Selene.

Almeno, da domani... anzi, tecnicamente da oggi, potrai venire al mare e dimostrare a chi ti derideva, che sono dei calamari!”


Dei calamari? giganti magari? meglio di no, mi accontento di dimostrare loro che sono solo stupide oche starnazzanti.” Selene ridacchiò divertita era abbastanza certa il ragazzo non avrebbe capito.

No i calamari giganti in realtà sono piuttosto intelligenti... ma quelli piccoli... Per tutte le meduse quanto sono idioti!” commentò scuotendo il capo divertito.
Poi aggrottò la fronte. Oche, stupide... doveva essere il modo di dire della gente di superficie per indicare i calamari...

Preferì tacere la sua ignoranza e annuì.

Poi di colpo il viso della ragazza si rabbuiò. “Non ti vedrò più vero?”

“Per tua fortuna, non avrai più a che fare con questo altezzoso e borioso gran pezzo di atlantideo che ti era capitato. Rifatti gli occhi, piccola, quassù immagino che non se ne vedano tanti come me!”

 

Se pensi che quello che mi porta dispiacere sia non vedere mai più il tuo bel fisico sbagli di grosso, sappilo.” La ragazza lo fissava seria, gli occhi verdi puntati in quelli di lui. “Sei altezzoso, borioso, talmente egocentrico che potresti riempire il pianeta da solo. Ma sei un bravo ragazzo, e sei gentile. Mi dispiace, davvero, ma immagino che un principe abbia cose migliori da fare là sott’acqua piuttosto che venire qua.” La ragazza sgusciò delicatamente via dalle braccia del ragazzo. “Stanno arrivando a prendermi, o per lo meno arriveranno tra poco.” Abbassando lo sguardo e imponendosi di non piangere si strinse nelle spalle. Non voleva dirgli addio ma non poteva certo fare altro. “Addio... giusto?”

Kamar si alzò. Aveva visto tra i flutti i tridenti dei soldati atlantidei: suo padre lo aveva mandato a chiamare...
“I miei son già arrivati invece. Mio padre sarà furioso” commentò recuperando la propria lancia. Si avvicinò a Selene e le carezzò una guancia con il dorso delle dita.
“Chissà. Magari una volta o l’altra, ti capiterà di spingerti abbastanza a largo... e io sarò da quelle parti. Invidierò te e tua madre che nuotate assieme e ghignerò nel vedere gli altri, invidiarvi a loro volta”
Fece un passo indietro: “Che le correnti siano dalla tua parte, Selene”.
Quindi si incamminò verso il mare.


Lei lo guardò andare al largo, sfiorò con le sue dita la guancia che Kamar aveva accarezzato. Il sogno di una notte. Un principe venuto dal mare.

Addio Kamar, che tu possa essere felice!” Non sapeva perché gli aveva augurato proprio quello, ma era certa il ragazzo non fosse veramente felice, e ne era dispiaciuta.

Lo guardò scomparire nel mare in piedi sulla spiaggia e fissò le onde per molto tempo, ora non le temeva più.



 


 


 

Note:
Piccola round-robin scritta per gioco tra me e Baldr! Andate a visitare il suo profilo!

   
 
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