Zucchero
«Gandini, ho
bisogno di una donna.»
Sollevi gli
occhi dagli appunti di Ettore, incredula della dichiarazione di Malosti.
«E la stai
cercando qui?» domandi, rigirando la penna tra le dita. Lo
guardi con stupore,
facendogli notare come ti considerasse sotto ogni punto di vista
eccetto quello
di donna in senso stretto.
Malosti chiude
la porta, poi ti rivolge un sorriso storto. «Sto piangendo
dal ridere» ti
informa.
«Anche io sto
per piangere. Di commozione, però.»
Riccardo ti
raggiunge e si siede accanto a te, non prima di aver trascinato per due
metri
una sedia a terra, provocando uno stridio insopportabile.
Fai una smorfia.
«Ti dà
fastidio
tutto, Gandini.»
«Da che
pulpito.»
Unisci le mani sul tavolo. «Dunque?» lo solleciti.
«Mercoledì
è il
compleanno di Dario.»
«Ti ha chiesto
un motorino?»
«Non sarebbe
ancora vivo, se lo avesse fatto.»
«Dai, Riccardo,
sono le esigenze di tutti i ragazzi della sua
età… autonomia, fiducia…»
«Dovrete prima
passare sul mio cadavere.»
«Come sei
drastico.» Chiudi il quaderno, dopo aver scarabocchiato
qualcosa. Quindi gli
rivolgi tutta l’attenzione cui agognava. «Allora,
perché sei qui?»
«Non mi dire
che, con tutti i programmi di cucina che impazzano in tv, non hai
ancora
imparato a fare il pan di Spagna.»
Scartabelli i
vari armadietti della cucina di Riccardo, lucida e affatto usurata,
segno
indistinto della sua poca propensione a passare ore tra i fornelli.
Faresti
cambio con la tua anche oggi stesso: il cucinino che ti riserva il tuo
appartamento si sta nascondendo dalla vergogna.
«Non guardo la
tv. E non guardo i programmi di cucina. Roba da donne
annoiate.»
«Allora ci
vediamo domani. Io personalmente ho un sacco di faccende da sbrigare,
invece.
Tipo dormire, anziché passare la notte a farti da aiuto
pasticcere.»
Riccardo ti
trattiene per un braccio, con la sua solita delicatezza da bisonte.
L’anta che
stai per richiudere sbatte in un tonfo, dopo che il gesto di Malosti ti
ha
impedito di accompagnarla sino in fondo. Notando la tua espressione
indisposta,
molla la presa e tenta con le parole.
«È tuo dovere
assicurarti che l’operazione vada a buon fine e che non
coinvolga spargimenti
di sangue o esplosioni.»
Alzi le
sopracciglia. «Mi stupisce che tu possa ammettere di non
essere in grado di
fare qualcosa.»
Riccardo ti si
accosta, quasi a sfiorare i tuoi capelli. Ti irrigidisci, come se
un’ape ti
stesse calcolando come ammissibile preda. E non trovi le differenze tra
le due
situazioni. «Sono molte di più le cose che so
fare» ti parla all’orecchio,
sussurrando quasi fosse una dichiarazione indecente.
Sussulti,
assecondando la leggera tachicardia. «Ecco la modestia del
Malosti che
conosco.» La tua voce trema, mentre sollevi gli occhi a
incontrare i suoi.
«E di cui non
faresti a meno.»
«Come siamo
boriosi, oggi» gli tieni testa. «Mangiato pane e
arie?»
Malosti si
scosta, lasciandoti spazio a sufficienza per poter riprendere a
respirare
regolarmente.
«La tizia della
mensa mi ha rifilato l’insalata coi pomodori.»
Appoggia le mani al bancone
della cucina, sorreggendosi come un sacco senza vita.
«A te non
piacciono i pomodori» continui l’argomentazione.
Ruota il capo
fissandoti, l’espressione cupa.
«Che
c’è?»
allarghi le braccia, assumendo un’aria innocente.
«Tu sai troppe
di cose di me.»
Socchiudi le
labbra pronta a ribattere, ma lo stupore non ti consente la giusta
obiettività.
«Venti
minuti?!»
ti domanda sconvolto, gridando in modo inverosimile per sovrastare il
ronzio
delle fruste elettriche.
«Ti consiglio di
cambiare braccio, ogni tanto, se vuoi prevenire
un’epicondilite.»
«Le
infiltrazioni me le paghi tu» continua ad urlare,
benché non siate al centro di
un cantiere edile.
«E ruota bene
quelle fruste. Movimenti ampi e circolari» lo istruisci,
gesticolando sopra la
ciotola con il composto.
«Sei scandalosa,
Gandini.»
Boccheggi,
ritirando le mani e uscendo il più in fretta possibile dal
suo campo visivo, ma
continuando a sentire addosso il suo sguardo divertito. Ti rifugi
dietro la
porta del frigo, cercando un diversivo per sviare la conversazione.
«Dove hai messo
la panna?»
Di male in
peggio.
«Quale panna?»
«Quella che ti
avevo detto di comprare per la torta.»
«Merda.»
Merda.
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Appollaiata
sullo sgabello dell’isola della cucina, lasci ciondolare una
gamba, le dita a
tamburellare sul ripiano. E Malosti a guardarti, incurante degli
schizzi di
impasto dovuti alla sua disattenzione.
«Domattina butto
giù dal letto il proprietario del negozio di alimentari qui
sotto.»
Sbadigli,
poggiando la fronte sul bancone. «Siamo di turno,
Riccardo» gli ricordi, con
voce sommessa e stanca, senza veramente porre attenzione alla sua
esposizione
minuziosa sul numero e il contenuto delle ricette che aveva compilato
per il
salumiere del quinto piano nel corso dell’ultimo anno.
Malosti
interrompe il suo resoconto magistrale e con la sua voce si quieta
anche il
brusio delle fruste elettriche.
La casa torna a
immergersi nel silenzio profondo della notte, quello che, una volta
raggiunto,
si ha timore di infrangere, se non per augurarsi sogni d’oro.
Riccardo sospira
inarcando le spalle per sgranchirsi. «Che disastro»
mormora, studiando la scena
che si manifesta dinnanzi a lui. «Non avevi detto che avrebbe
triplicato di
volume?»
Butti l’occhio
nella ciotola. Il composto ti osserva con disprezzo, a dimostrare una
cosa
sola.
«Avevo anche
detto che non eri capace.»
«Mezz’ora che
giro quell’affare…» inizia a lamentarsi.
Ti sporgi sul
bancone e con un dito raccogli un po’ del contenuto del
recipiente.
«No, non farlo!»
«Temi per la mia
salute?» gongoli mostrando qualche smorfia esagerata mentre
assaggi. Ti volti
ad appoggiare la schiena, dandogli le spalle.
«Riccardo…»
Ti raggiunge in
un attimo, attendendo qualsiasi tua reazione con apprensione.
Tu sorridi.
«Giramenti di
testa? Vista annebbiata? Nausea? Dolore epigastrico?»
Ti avvicini fino
quasi a sfiorare il suo corpo, mentre lui rimane stranamente immobile,
stralunato a soppesare ogni tuo gesto. «Fossi in
te» esordisci, picchiettando
un dito sul suo petto, «prenderei in seria considerazione
l’idea del motorino.»
Malosti ti ferma
la mano, stringendola tra le proprie.
«Te l’ho mai
detto che non do mai retta alle donne?» sogghigna.
«Fai male»
dici,
osservando l’intreccio delle vostre dita, che Riccardo si
affretta a disfare.
«È venuto
così
male? Ho seguito le tue istruzioni alla lettera: non è colpa
mia se la
professoressa non è capace a elargire il proprio
saper-»
«Ci hai messo il
sale, Malosti.»
Riccardo scoppia
a ridere, di fronte alla tua sconfitta serietà.
«Probabilmente
perché la mia vita si sta addolcendo troppo, Gandini»
ipotizza, scandendo il tuo cognome come tu hai fatto con
il suo.
Sposta il peso
da una gamba all’altra, barcollando verso di te. Avverti il
freddo del marmo
del bancone dietro la schiena, a impedire ogni altro tentativo di fuga.
«Dovresti
provarti la glicemia, allora, perché dimostrerebbe il
contrario» prendi tempo,
incerta delle sue intenzioni.
«Sei sempre
così
demolitiva.»
«Parla chi ha
messo sottosopra tutta la cucina senza risultati.»
«Sei stata tu a
insistere perché provassi io. Ricordalo, la prossima
volta.»
«La prossima
volta non ci sarà, perché passerai in
pasticceria.»
«Ne sei sicura?»
Annuisci con
convinzione, accennando un sorriso.
«Potrei
comprarti con qualche giorno di permesso, un paio di cambi di
turno…»
«Perché invece
non ti arrendi?»
«Perché non
sono
un codardo.»
Stringi le
labbra. «D’accordo. Sentiamo: cosa vuoi che faccia,
per soddisfare il tuo ego?»
Gli occhi
di
Riccardo s’illuminano. «Oh, tante cose,
Gandini.»