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Autore: Lady Memory    21/08/2013    1 recensioni
Quando il secondino aprì la porta, impulsivamente la ragazza si tirò indietro. Quel luogo evocava un tipo di sofferenza molto diversa dal dolore fisico e anche molto più inquietante.
Genere: Angst, Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hermione Granger, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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UNA QUESTIONE DI FORMA
di Lady Memory
 
Come sempre, grazie a JKR per aver creato dei personaggi meravigliosi e per averci permesso di giocare con loro.
 
Piccolo avviso agli audaci che si accingono alla lettura: questa storia è – lo ammetto – un esperimento. Un tentativo di ritornare a scrivere nella mia lingua madre dopo sei anni di creazioni in inglese. Devo dire che sto facendo molta fatica, perché il mio cervello ormai si è stabilizzato su un universo che ha tante cose diverse dal nostro e che, effettivamente, “suona” meglio, dato che è quello originale. Per cui, mi scuso in anticipo e ringrazio tutti coloro che vorranno darmi un parere.
 
Questa storia per ora si concentra in due capitoli, ma potrebbe continuare. In caso, fatemelo sapere voi, coraggiosi lettori.
 
Come sempre, perdonatemi ma preferisco usare i nomi originali dei personaggi; la traduzione italiana di molti di loro non mi è mai piaciuta e inoltre, non ne vedo l’utilità.
 
*******************
 
 
I
 
Quando il secondino aprì la porta, impulsivamente la ragazza si tirò indietro. Quel luogo evocava un tipo di sofferenza molto diversa dal dolore fisico e anche molto più inquietante. La ragazza arricciò il naso; poi, stringendo i denti, si dominò. Aveva chiesto lei quella missione: non poteva tirarsi indietro adesso. Frammenti di pensieri si affacciarono alla sua memoria, risvegliando i dubbi che avevano sonnecchiato dentro di lei per tutti quei mesi. La ragazza trasse un lungo respiro e si impose di ricordare perché era lì. La risposta giunse subito, netta, secca, inequivocabile: perché voleva chiudere definitivamente un capitolo della sua vita e sotterrarlo una volta per tutte nella cella di quel prigioniero, scampato alla morte solo per essere sepolto vivo.
 
Eppure, per quanto fosse abituata alle più strane situazioni, le sue pupille si dilatarono di fronte alla scena che le veniva rivelata.
 
Un uomo giaceva a terra, i polsi legati e agganciati al muro sopra di lui da sottili catene, che spiccavano lucide in quel tetro ambiente. La cella era piccola e scrupolosamente pulita, e questo faceva uno strano contrasto col corpo magro del suo occupante, rivestito da abiti il cui colore nero originario si era a poco a poco sbiadito in una sfumatura indefinita.
 
Il prigioniero sembrava assopito, ma quando la lama di luce si allargò dalla porta aperta e raggiunse il suo viso, l’uomo girò la testa e si irrigidì istintivamente in posizione di difesa.
 
“Prigioniero, ci sono visite!”, annunciò il secondino.
 
La ragazza si aspettava di vederlo chinarsi sull’uomo raggomitolato a terra per controllarne le condizioni; invece, il suo accompagnatore, entrato a passi pesanti nella stanza, sembrava non preoccuparsi minimamente di quello che a lei sembrava quantomeno un modo insolito di riposare.
 
“Visite, prigioniero!”, ripetè il guardiano con una sfumatura d’impazienza.
 
L’uomo sul pavimento alzò faticosamente la testa.
 
“Acqua…”, mormorò a stento.
 
“Quando sarà il momento,” fu la risposta, e il secondino si voltò a guardare la ragazza come a sollecitarne l’approvazione.
 
Lei strinse le labbra. Il rigore della giustizia e il rispetto delle norme avevano sempre avuto la sua approvazione, ma qui c’era una nota stonata.
 
“Perché non adesso?”
 
“Signorina, queste sono le regole.” Il carceriere ora era guardingo.
 
“Non credo che ci sia una regola che impedisca di dar da bere ad un uomo assetato. Questo va oltre la giustizia. Questa è crudeltà.”
 
Il suo interlocutore sorrise. “Oh no, signorina. Questa è giustizia nella sua forma più pura. Crede che quest’uomo abbia avuto maggior riguardo per le persone che torturava?”
 
“Il professor Snape non ha mai torturato nessuno,” obiettò impulsivamente lei, rimproverandosi mentalmente subito dopo per essersi lasciata sfuggire quel commento.
 
“Ne è sicura? Come può dirlo?”, chiese il secondino con voce ironica. “Partecipava anche lei alle loro missioni?”
 
“Io no!” rispose la ragazza seccamente. “E lei invece come lo sa? Non mi sembra di conoscere il suo nome, signor…”
 
Lui si mise sull’attenti. “McDowell, signorina. Io sono irlandese, e non ero in Inghilterra durante la seconda guerra magica.”
 
Per un attimo rimasero in silenzio, mentre entrambi sembravano valutarsi a vicenda. Il secondino era un uomo giovane e vigoroso, il cui viso severo dava l’impressione di una dedizione fanatica al dovere, quasi ossessiva.
 
“Forse non so molte cose”, ammise poi McDowell burberamente. “Ma so che quelli come lui, che sono rinchiusi qui dentro, hanno una pena da scontare. E spetta a me farla eseguire.”
 
“In che modo? Maltrattando chi non può più opporsi?”
 
Il carceriere strinse le labbra. “Guardi, signorina, io faccio solo il mio dovere. Non maltratto nessuno. Vede forse sporcizia in questa cella?”
 
Con un gesto enfatico accennò al pavimento ma così facendo, il suo sguardo incontrò nuovamente la forma del prigioniero ai suoi piedi. Immediatamente, McDowell si mise sulla difensiva e proseguì col tono seccato di chi sa di aver ragione ma deve dimostrarlo a chi invece non è in grado di capire.
 
“Senta, lei pensa che sia io a costringere il prigioniero a dormire per terra, non è vero? Bene, allora la prego di ricredersi perché, come può notare, il prigioniero un letto ce l’ha!”
 
E indicò il muro dove era incassato un tavolaccio di legno sul quale era appoggiato un sottile materasso dall’aspetto liso ma pulito.
 
“Come vede, è lui che ha scelto di non usarlo,” dichiarò, incrociando le braccia.
 
“Perché?” tornò a chiedere la ragazza.
 
“Non è compito mio saperlo,” ribattè McDowell. “Il mio compito è fargli ricordare chi è e cosa ha fatto. E io glielo ricordo ogni giorno.”
 
I suoi occhi fissarono quelli della ragazza. “Nessuno gli nega acqua e cibo. Ma non è lui a decidere quando può averli. Vede, lui deve capire. Ripensare a quello che ha fatto. E scontare la sua pena. E’ per questo che è stato condannato, e non sono certo io a stabilire le regole.”
 
“Quindi queste sono decisioni della direzione?”
 
“Esattamente!” rispose lui, e fece girare le chiavi che aveva agganciate sul polso con espressione eloquente. “E poi, la maggioranza dei nostri prigionieri non uscirà da queste celle che per fare l’ultimo viaggio. Lei capisce che non possiamo preccuparcene più di tanto. Alla fine, mangiano e bevono a spese della comunità. Ma solo negli orari stabiliti.”
 
La ragazza lo fissò in silenzio. Quando parlò, la voce le uscì come una frustata.
 
“Carceriere, dia da bere a quest’uomo. E’ un ordine. Devo parlare con lui.”
 
L’uomo alzò la testa con uno scatto a quel tono ostile e a quella qualifica provocatoria. Poi, con espressione riottosa, ostinata, disse seccamente, “Lei ce l’ha con me, l’ho capito subito. Ma non sono io quello che sbaglia… Persone che conosco sono state torturate da questi mostri. Qualcuno ha perso la vita, altri la ragione… E lui era con loro. Era uno di loro, era una delle menti dietro a tutto. La sua colpa è ancora maggiore!”
 
All’improvviso, un grido attraversò l’aria interrompendo il discorso irato della guardia. La ragazza si irrigidì e l’uomo la guardò con aria di sfida.
 
“Ecco, vede? Questo è quel bastardo di Lucius Malfoy.”
 
Strascicò il nome ostentatamente mentre lo pronunciava. Imitare la parlata altezzosa del famoso condannato - una volta mago illustre e rispettato - sembrava dargli un enorme piacere.
 
“Fa l’arrogante, crede ancora di essere qualcuno. Ma qui dentro, posso assicurarglielo, non c’è un’anima che gli dia retta. Proprio come si merita.”
 
Il grido si ripetè e finì con una specie di singhiozzo.
 
“Perché grida?” chiese la ragazza, e McDowell storse la bocca.
 
“Si è lussato una caviglia due giorni fa. Niente di serio.”
 
Nel silenzio che seguì queste parole, la ragazza fissò il suo interlocutore con evidente scetticismo. Lui abbassò la testa come se si sentisse a disagio e si schiarì la voce.
 
“Be’, ecco, certo… un po’ gli fa male.” Rialzò la testa di scatto. “Ma non tutto il male che pretende di avere. Fa scena, ecco cos’è.”
 
“Non è stato chiamato un guaritore?” lo interruppe freddamente lei. “Almeno si saprebbe la verità.”
 
“Il guaritore si chiama nei casi gravi. E comunque verrà per un controllo tra due settimane. Ma se fosse per me, potrebbe anche non venire mai. Per la maggior parte, i prigionieri mentono. Cosa può succedergli se stanno sempre in cella? Lo capisce anche lei che è solo una scusa per poter trafficare e cercare favori!”
 
“Vi prego, per favore, aiutatemi…” implorò la voce di Lucius Malfoy come a contraddire quelle affermazioni spietate. “Non resisto più, non resisto più…” proseguì tra i singhiozzi.
 
A quel suono, l’uomo sul pavimento alzò gli occhi e, per un attimo, una scintilla si accese nel suo sguardo. La ragazza colse il movimento e incrociò le braccia con fare risoluto.
 
“Signor McDowell, io l’ho ascoltata. Adesso ascolti me, e dia da bere a quest’uomo.”
 
A sua volta, lui incrociò la braccia con un sorriso cattivo.
 
“Spiacente, ma non posso.”
 
“Perché?” chiese lei con asprezza.
 
“Innanzitutto perché, come le ho spiegato, il regolamento vieta la somministrazione di cibo e bevande fuori dall’orario stabilito. E poi, perché il distributore dell’acqua è all’estremità opposta del settore in cui ci troviamo. Tra andare e tornare, perderei troppo tempo, e subito dopo dovrei rifare il percorso per gli altri condannati. Mi dispiace, ma ormai manca poco. Può aspettare, come ha sempre fatto.”
 
“E invece lei gli porterà da bere,” disse duramente la ragazza. “Anche il mio tempo è prezioso e ne ho già perso troppo. Devo parlare col prigioniero e lui deve essere messo in grado di farlo. Devo ricordarle che sono un’inviata speciale del Wizengamot?”
 
McDowell mugugnò qualcosa e la ragazza alzò la mano, interrompendo le sue rimostranze.
 
“E poi, non ha la bacchetta? Un semplice incantesimo di Appello dovrebbe bastare… o devo insegnarle la formula?”
 
“E’ vietato ai secondini far uso di magia per questioni che non riguardano la vigilanza,” rispose lui con evidente soddisfazione, e un sorriso odioso rispuntò sulle sue labbra. “Sono io che devo insegnarle qualcosa, a quel che vedo.”
 
La ragazza restò imperturbabile. “Va bene. Se lei non può farlo, lo farò io. Ora la prego di nuovo di lasciarci soli. Devo parlare col condannato.”
 
“Per favore, per favore!!!” Pianse Lucius qualche metro più in là. Evidentemente sentiva le loro voci, pensò la ragazza, altrimenti non avrebbe continuato a supplicare.
 
“Io non credo di poterle permettere…” cominciò McDowell, ma lei lo fermò di nuovo estraendo una pergamena bollata.
 
“Vedo che è difficile convincerla. Ma suppongo che saprà leggere l’inglese di sua Maestà, non è vero?” chiese con la formula vecchio stile che le avevano insegnato nella scuola elementare babbana. Il secondino si bloccò come se avesse ricevuto un insulto.
 
“Non credo che ci sia da temere per la mia incolumità,” proseguì lei sprezzante senza aspettare la risposta. “Il prigioniero è in evidente stato di deprivazione e inoltre è legato con catene.”
 
McDowell la guardò con una luce di sfida nello sguardo.
 
“E se invece lei fosse qui per aiutarlo a fuggire?”
 
Una fiamma si accese negli occhi della ragazza.
 
“Sa chi sono io?” chiese con voce bassa nella quale tremava una collera trattenuta. Il carceriere indietreggiò, comprendendo di essere andato troppo oltre.
 
“Ecco, io…”
 
“Risponda alla mia domanda!” scattò lei. “Conosce il mio nome?”
 
Lui esitò, strisciò i piedi per terra e poi rispose imbarazzato, “Sì, conosco il suo nome, signorina Granger…”
 
“Allora sa chi sono e cosa ho fatto! Come osa insultarmi con questi ridicoli sospetti?”
 
L’uomo finalmente arrossì. “La prego di scusarmi”, mormorò con tono sottomesso.
 
Lei lo squadrò con disprezzo. “Sono io che la prego di andarsene e lasciarmi parlare col prigioniero. A meno che non preferisca rifiutarmi il permesso. Sono sicura che il Wizengamot sarà felice di sapere con quale dedizione è applicata la legge nelle nostre prigioni.”
 
McDowell la guardò incupito. “Lei mi ha preso in antipatia fin dal primo momento, non è vero? Mentre io mi sforzo solo di fare il mio dovere. Vorrei vedere lei, a trattare tutti i giorni con questa feccia…”
 
Qualche cella più in là, Lucius ripetè il suo richiamo con voce tremante.
 
“Per favore, per favore… qualcuno mi aiuti, vi giuro che troverò il modo di ricompensarvi… parlerò a mio figlio, pagherò bene… per favore…”
 
“Lo sente?” disse l’uomo con un sorriso di scherno. “Non ha ancora imparato. Ma imparerà, non ne dubiti.”
 
Alzò le spalle con ostentata indifferenza. “Il condannato è suo, signorina Granger. Io aspetto in fondo al corridoio. Mi chiami quando ha finito.”
 
Poi, senza aspettare risposta, si voltò e uscì, lasciando la porta aperta.
 
Subito lei si curvò sul prigioniero e gli posò una mano sulla fronte. Scottava.
 
“Febbre”, mormorò preoccupata, e lo sguardo le si indurì mentre guardava la robusta schiena del secondino allontanarsi lungo il corridoio.
 
“Acqua,” balbettò l’uomo sul pavimento, poi alzò lo sguardo verso di lei e un barlume di consapevolezza illuminò i suoi occhi.
 
“Granger?” sillabò a fatica.
 
“Sono io, Professor Snape,” rispose Hermione, ed estrasse la bacchetta, mormorando un incantesimo. Una tazza di coccio fresca e rugiadosa subito si materializzò invitante tra le sue mani.
 
“Acqua…” implorò ancora Snape, tentando di alzarsi sui gomiti senza riuscirci.
 
“Tutta quella che vuole, professore,” rispose lei, commossa. “Però beva con calma. Con calma, o non riuscirà a tenerla giù.”
 
Gli accostò la tazza alle labbra, ma dovette quasi lottare contro la frenesia con cui Snape tentava di impossessarsene.
 
“Piano, professore, piano,” ripeté, avvicinando e allontanando la tazza per dargli il tempo  di inghiottire. “Non abbia paura, ce n’è in abbondanza.”
 
Gradatamente, l’avidità del malato sembrò ridursi. E finalmente le sue labbra screpolate formularono una parola che Hermione non avrebbe mai pensato di ricevere da lui.
 
“Grazie…”
 
Lei rimase in silenzio, non sapendo come rispondere. Ansimando per lo sforzo, Snape riappoggiò la testa sul pavimento di pietra.
 
Di colpo, lei capì che il freddo dei lastroni lo confortava, spegnendo in parte il calore della febbre che gli bruciava il corpo. E subito dopo, trovò anche la risposta alla sua domanda di poco prima: incassato a metà del muro della parete, il letto di legno era troppo alto perché un uomo così debilitato avesse la forza di raggiungerlo.
 
Istintivamente, Hermione si inginocchiò vicino al malato. Adesso che aveva bevuto, il respiro di Snape si andava regolarizzando. La ragazza lo studiò attentamente. I vestiti erano lisi ma puliti. Il carceriere aveva ragione. Non c’erano tracce di sporcizia in quella cella, né sul pavimento né sull’uomo che vi giaceva sopra. Persino i suoi capelli non erano unti come una volta.  Tuttavia il corpo di lui era magro in modo impressionante, e il suo viso esprimeva una disarmante fragilità che turbò profondamente Hermione.
 
La vista del prigioniero a terra aveva offeso il senso della giustizia così radicato in lei e l’aveva portata a intercedere per il condannato quasi per partito preso. Ma adesso, a parlare prepotentemente in sua difesa c’erano compassione ed una sorta di confusa tenerezza che le stringeva il cuore.
 
Con gesti calmi, misurati, quasi affettuosi, Hermione mosse la sua bacchetta in un incantesimo di levitazione che sollevò delicatamente Snape, adagiandolo sul letto. Poi attese che lui si rilassasse. Era evidente che si aspettava che accadesse qualcosa, e qualcosa di doloroso a giudicare da come si era irrigidito. Hermione cercò una frase rassicurante da dire.
 
“Professore, sono venuta qui per parlarle. Il Wizengamot vuole riesaminare la sua causa.”
 
Mentre parlava, sentiva il calore della febbre irradiarsi quasi palpabilmente dal corpo di lui.
 
“Non è possibile,” riflettè sgomenta, ricordando le parole del secondino. “Un guaritore tra due settimane! E se non riuscisse a sopravvivere?”
 
Senza pensare alle conseguenze, alzò di nuovo la bacchetta e la fece ruotare con movimenti esperti. Era un Incantesimo Leniente che aveva imparato da Madama Pomfrey. Non era un rimedio definitivo, ma dava un senso di sollievo immediato e a volte, guariva.
 
Un lungo sospiro sfuggì dalle labbra di Snape e, rincuorata, Hermione ripetè la procedura ancora due volte. Poi, finalmente, il malato alzò la testa.
 
“A cosa devo l’onore di tanta sollecitudine?” ringhiò con un tono che somigliava molto a quello che Hermione ricordava, anche se la voce era estremamente debole. E con uno sforzo evidente, si ritrasse verso il muro, come a sottrarsi allo sguardo compassionevole della ragazza.
 
“Si sente meglio adesso?”, chiese lei, cercando di mantenere un tono neutro per aiutarlo a superare l’imbarazzo. Il professor Snape! L’insegnante che più di tutti incuteva terrore, che riusciva a ridurre al silenzio una classe solo con il suo ingresso in aula, ridotto ad un prigioniero inerme e incatenato, umiliato davanti agli occhi della sua ex allieva. Hermione allontanò quelle immagini di un passato non così lontano e si sedette anche lei sul materasso, badando a tenersi scostata da lui.
 
“Sono lieta di vedere che ha ripreso le forze,” riprese a dire, evitando accuratamente qualsiasi sfumatura che potesse essere interpretata come sarcasmo. “Come le dicevo prima, sono stata scelta dal Wizengamot come suo avvocato per assisterla durante il nuovo processo che sarà tenuto a breve. Sono emersi nuovi elementi che potrebbero-“
 
“E’ stata… scelta?” la interruppe Snape a fatica, ma con un tono molto significativo.
 
Hermione arrossì. Accidenti, quell’uomo non aveva certo perso le sue capacità razionali anche se era stato rinchiuso in quella cella per più di tre anni! Il pensiero tornò involontariamente indietro, a quando era stato annunciato che, nonostante sembrasse impossibile, i guaritori erano riusciti a fare uscire Snape dallo stato di coma profondo indotto dal morso velenoso di Nagini. Lì per lì, lei se n’era rallegrata per il sopravvissuto, liberato da un marchio d’infamia che non aveva meritato: tutti infatti avevano saputo da Harry come l’enigmatico professore, considerato un assassino e un Mangiamorte, avesse invece sempre lavorato sotto copertura, rischiando la sua vita ad ogni passo. La sua sfortunata storia d’amore per la madre di Harry era diventata dominio pubblico nell’ultimo duello del ragazzo con Voldemort, e aveva suscitato reazioni di ogni tipo: ammirazione, compassione, incredulità e… sì, persino risate. Le memorie che aveva consegnato ad Harry in quelli che credeva evidentemente essere gli ultimi momenti della sua vita avevano spiegato molte cose, giustificando addirittura l’omicidio di Dumbledore.
 
Eppure, il Wizengamot non le aveva accettate.
 
In un certo senso, predominava l’opinione che fossero artefatti deliberatamente creati in modo da poter essere utilizzati come difesa di fronte al mondo magico. Una specie di asso nella manica, nel caso che il Signore Oscuro avesse perso, come infatti era accaduto. Un tipo previdente come Snape aveva sicuramente pensato ad una via di uscita in questo caso. E forse, il morso del serpente aveva disattivato i meccanismi di protezione della sua mente, riversandone il contenuto nelle mani di Harry. O forse, ancor più probabile, il professore aveva sperato in un’ultima salvezza che gli era incredibilmente giunta sotto forma del suo alunno più vituperato, trasformato in un’arma segreta da quelle confessioni così inaspettatamente ricevute.
 
Harry non aveva mai preso parte al dibattito che si era creato subito dopo la dimissione di Snape dall’ospedale. Aveva doverosamente difeso l’innamorato di sua madre ma con palese riluttanza, tanto che, alla fine, era risultato poco credibile. Troppo emotivamente coinvolto, era stato il verdetto. In seguito, era stato pregato di depositare una copia delle sue memorie agli atti ed invitato a non interessarsene più. Da allora, Snape marciva in prigione, e Hermione non aveva mai capito cosa volesse dire quell’espressione così eloquente finchè non l’aveva sperimentata con i suoi occhi in quell’occasione.
 
Hermione ritornò in sé di colpo. Snape la stava guardando con chiaro scetticismo e lei si sentì arrossire di nuovo.
 
“Scelta?” ripetè lui con voce più tranquilla.
 
“Ecco, in realtà ho chiesto io questo onore,” spiegò lei, abbassando la testa come se si vergognasse di quella dichiarazione. “Ritengo che io… che la mia storia mi renda più adatta a seguire questa causa rispetto ai miei colleghi.”
 
“E non dimentichiamoci fama, onore e gloria,” Snape rispose col tono sarcastico che lei ben conosceva. “Deve essere deprimente non trovarsi più al centro dell’attenzione, non è vero, Granger? Come passa i suoi giorni, adesso?”
 
Hermione arrossì per la terza volta.
 
“Non è come pensa, professore,” rispose fieramente. “Forse le riuscirà difficile crederlo, ma sono venuta perché…. Perché io, Hermione Granger, avevo bisogno di risposte. E soprattutto perché io, Hermione Granger, ho bisogno di capire.”
 
Snape chinò la testa, evidentemente affaticato.
 
“Capire cosa?” chiese a bassa voce, mentre cercava di mettersi seduto. Ma le catene si erano intrecciate, così quando provò a raddrizzarsi lo tirarono indietro, sbilanciandolo.
 
“Un momento, lasci che l’aiuti”, mormorò Hermione e svolse rapidamente gli anelli d’acciaio avvolti su sé stessi. Poi tese una mano per sorreggerlo.
 
Snape strinse le labbra mentre un rossore cupo gli coloriva il viso dal pallore cadaverico. “Non ho bisogno del suo aiuto”, rispose bruscamente, allontanandosi da lei per quel che gli permettevano le catene.
 
In silenzio, Hermione lo guardò aggrapparsi faticosamente al tavolaccio, vide il suo corpo magro tendersi nello sforzo di sollevarsi e poi ricadere inesorabilmente di lato, scivolando a terra. Con un gemito di frustrazione, Snape curvò la testa in un’ammissione di sconfitta, nascondendo tra le mani il viso velato dai capelli neri.
 
Senza dire una parola lei si alzò e si sedette a terra vicino a lui. Restarono così per qualche momento, ed Hermione fece finta di non notare il tremito convulso che lo scuoteva, ma aspettò in silenzio. Finalmente Snape alzò la testa. Aveva gli occhi arrossati e le labbra vibravano leggermente, come se stesse cercando di parlare.
 
Hermione fissò il soffitto. Certo, era una ben strana situazione quella in cui si trovava. Non ricordava di aver mai fatto una consultazione professionale seduta sul pavimento.
 
“Professore,” disse con calma, continuando a fissare il soffitto per dargli modo di controllare la sua emozione. “Io sono qui per aiutarla, ma non le impongo niente. Lei può scegliere se vuole me o preferisce che la segua un altro avvocato. Mi dica se posso continuare o se devo andarmene.”
 
“Perché?” mormorò lui con voce così lieve che lei non riuscì a capire. Preoccupata, Hermione si chinò a guardarlo, aggrottando la fronte.
 
“Perché?” ripetè ancora Snape. “Non ha risposto alla mia domanda.”
 
Hermione rimase in silenzio. Già, perché?
 
Entrando in quella cella, non aveva pensato di provare sentimenti così profondi. Non aveva immaginato che il passato sarebbe riapparso così intensamente di fronte a lei. Non aveva considerato che si sarebbe ritrovata di colpo nella Stamberga Strillante, intenta a scrutare quegli impenetrabili occhi scuri ancora una volta. Era arrivata armata di certezze. Un prigioniero probabilmente colpevole. Una spia che era stata in grado di ingannare per anni l’Oscuro Signore. Un mago che aveva sviluppato enormi poteri. E soprattutto, un uomo che celava una carica di amarezza, frustrazione, dolore e malizia sufficienti a motivare ogni possibile supposizione. Era davvero stato l’agente di Dumbledore o ne aveva sapientemente sfruttato le debolezze? Hermione si era poco a poco convinta di una doppiezza abilmente celata. Si era offerta per quella missione proprio per sconfiggere definitivamente i suoi dubbi.
 
Invece, aveva era riuscita solo a farli risorgere più forti di prima.
 
Hermione trasse un profondo respiro. Cos’era che si agitava dentro di lei? Cos’era che cercava di venire alla luce? Catturò quel pensiero.
 
“Perché ognuno di noi ha diritto ad avere giustizia,” rispose quietamente. “Soprattutto coloro che non l’hanno mai ricevuta.”
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Il secondo capitolo è già scritto e verrà pubblicato nei prossimi giorni.
 
  
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