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Autore: tagliarsi_con_gli_origami    22/08/2013    6 recensioni
"Due tazze. Due bustine affogate nello zucchero e nell'acqua bollente.
E il tempo dell'attesa.
Due tazze che assorbono l'aroma delle spezie e gli agrumi.
Finire sempre a scambiare i gusti per assaggiare tutto.
La sua tazza sempre accanto alla mia, il the carico di profumi, e nessuno a berlo.
Mi guardano i disegni un po' infantili decorati sui manici. Occhiate gemelle di triste ironia.
Solo due tazze di the, il mio portatile, e il riflesso cangiante delle immagini sulle lenti degli occhiali.
Le braccia mi prudono da tutta la sera. Forse la giacca, il caldo, il sudore o i nervi tesi.
Le unghie digrignano la pelle contro la china dell'avambraccio. I contorni densi di una bussola, e le mie unghie. Un ago fermo che segna una direzione senza uscita."
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alle piume rosa di un flamingo.


Affogare camicie in due tazze di the.



"You know how they say no man is an island? 
Well, I think actually every man is an island and relationships are like bridges. 
One guy builds one half of the bridge and the guy or gal, you know, 
builds the other half and they try to meet in the middle, 
but sometimes the islands are too far apart, 
and its sad but it happens and that’s okay, 
because sometimes its just time to move on." 
(Ethan Ford, 90210, 1x22)
 
Non ho mai rimesso un vestito usato nell'armadio. A mia madre verrebbe un colpo, come minimo, maniaca dell'ordine, lavare le cose, ripiegare le cose, e mettere ovunque l'ammorbidente, l'amido sui colletti delle camicie, le cellette antiacaro negli armadi, i deodoranti per ambienti e l'aspirapolvere. 
Le fregature di vivere da solo, dormire scomodo su un bus immerso nelle magliette sudate di Zayn, e fra i calzini appallottolati di Niall, è il non riuscire più ad abituarsi alle fissazioni delle madri. Scoprire che gli amplificatori accatastati alle pareti sono angoli confortevoli dove lasciar cadere la testa, e semplicemente inspirare fra le bottiglie d'acqua mezze vuote.
Trovare nel rimbombo degli esercizi vocali di Liam note da sprimacciare, per accoccolarsi e osservarli dalla prospettiva privilegiata di oggetti di scena temporaneamente dimenticati. 
Mi sono trascinato nell'ingresso ieri notte, calciando via le scarpe con tutta la strafottenza di uno che rientra in una casa buia ad ore improponibili e strappa al silenzio i suoi cinque minuti di ribellione adolescenziale mancata. Ma alla fine le ho raccolte, l'espressione di mia madre e l'odore di vaniglia del deodorante per ambienti a intasarmi il cervello e le retine.
Un passo e un altro ancora, ammortizzato dal parquet e i tappeti, lungo il corridoio fino al bagno, di fronte al cesto della biancheria.
La camicia coi cuori, i jeans stretti, i calzini fra le dita. Li ho lasciati penzolare sull'orlo del cesto a forma di margherita una manciata di respiri. Un paio di secondi, e basta. 
La tenda della finestra aperta ondeggiava e si attorcigliava attorno alla maniglia d'ottone, l'erba del prato, nera e scura, immobile. Perfino i grilli eccitati mi facevano venire voglia di imprecare.
Li ho solo lasciati cadere. Un indumento dopo l'altro, un dito dopo l'altro, aggrovigliati, tolti controvoglia, all'inverso.
Ma la camicia no. Aggrappata alle unghie, gli spigoli del polso, il sudore dei palmi, è rimasta a mescolare gli odori nell'aria.
Dovevo lasciarla precipitare, affondare nell'odore di paglia del cesto, nell'ammorbidente, nel sudore leggero, nel deodorante, nel profumo di casa alla vaniglia e borotalco. Dovevo lasciar affogare quell'odore fra gli altri, lasciarlo morire.
Ora la camicia mi fissa appesa all'anta dell'armadio, stropicciata e sprimacciata, melanconica e stazzonata contro la gruccia. E quell'odore rimane, e vuole lottare contro le cellette antiacaro e le saponette al burro di karité, per imprimersi, sgomitare e ritrovare il suo posto. 
Un posto incastrato fra i pori di Harry Styles, le scapole di Harry Styles, e la trama di tatuaggi a china scura che si dimenano uno accanto all'altro fra le spalle e lo stomaco.
Tatuaggi che tutto il mondo conosce, e traccia con le dita, e con cui racconta la mia storia come fosse la sua. Come se non fosse nostra, e non fosse pateticamente incompleta, così abbozzata. Come se non avesse bisogno del resto dei pezzi per avere senso.
Anche guardarmi allo specchio è come guardare un film muto senza sottotitoli. Non hanno nemmeno una trama, adesso, afflosciati sulla pelle come scarabocchi da banchi di scuola.
E davvero non vorrei che lo schermo del portatile fosse l'unica luce nella stanza a parte il lampione del vialetto, con la solita sequela di scatti di paparazzi e fans da ogni angolazione, sorrisi e sguardi, pose, atteggiamenti, momenti da mostrare, preconfezionati e ben interpretati. 
Silenzi in limousine, silenzi fra i passi, silenzi contro i flash.
Labbra tirate e silenzi. 
Saluti e silenzi.
Addii e silenzi.
Ma quell'odore non ha potuto fingerlo, ritrattarlo, ricacciarlo indietro. Ogni singolo dito aggrappato alla stoffa della mia camicia un po' kitsch a cuori bianchi ha lasciato il segno. Profumo, gel per capelli e bagnoschiuma. Deodorante stick e sapone per le mani.
La cera per capelli di Louis che ha sempre lo stesso odore e la stessa consistenza fra le dita.
Il deodorante chiesto in prestito dieci secondi prima di salire sul palco, perché nella foga ha dimenticato la borsa nel backstage. 
Il metallo delle bretelle di Lou, sempre freddo fra i denti e agrodolce contro il palato.
Un po' di quell'odore che diventa sapore ed è difficile da masticare. Anche adesso.
Eleanor era bella. Non bella come al solito, come una che deve essere bella perché è la fottutissima ragazza di Louis Tomlinson degli One Direction. Una bellezza leggermente tenera e impacciata, la bellezza di una che sta forse cominciando a realizzare che è davvero la ragazza di qualcuno, qualcuno da accompagnare ad una première, a cui stringere la mano sotto il tavolo per l'attesa, qualcuno con cui tornare a casa.
Casa.
Mi viene da vomitare.
Ma forse è stato il bicchiere di Champagne buttato già in limousine, specchiandosi nelle bollicine per non guardarlo. 
Mi hanno beccato lo stesso, e incastrato di nuovo. Ovunque.
Tumblr è intasato di #larrystylinson e della mia stupida faccia da coglione imbambolato. 
E della sua, anche, a tratti, se il delirio delle fans è come sempre una lucida follia visionaria.
Un silenzio liberatorio nell'urlo afoso di una serata sotto le luci bianche, un respiro preso a polmoni pieni e non rosicchiato negli anfratti dell'iperventilazione, sorrisi che non riuscivo a trasformare, perché così volevano venire fuori, incastrati fra la piega sempre un po' casuale dei suoi capelli e le rughe d'espressione che odia attorno ai suoi occhi. Sentirlo vicino di nuovo, come se tutta quella gente potesse bastare a spingere indietro le cose che dovevamo dire e fare, e le persone che non potevamo assolutamente ignorare. Svicolare un paio di secondi per volta, guardarsi dritto negli occhi senza trovare una buona scusa. Usare il riverbero del mondo per creare un'intimità travagliata e sofferta, ma reale.
Lo sferragliare di centinaia di telecamere per concederci bocconi ingordi di contatti veri.
Il suo odore sulla mia camicia, di nuovo, a resistere, aggrappato.
Scorrere fotografie per ricordare com'era, con quei grilli eccitati che non danno nemmeno troppo fastidio.
 
***
 
Il fischio della teiera quasi mi fa sbattere la testa contro lo schermo del portatile, il riverbero flashato sulle lenti degli occhiali da riposo. 
Casa è un casino, ma ho chiuso a malapena la porta tanto ero stanco morto.
Eleanor mi ha guardato solo pochi secondi più a lungo del solito, a labbra serrate, un sorriso vago, un vago sbadiglio mescolati ai saluti. 
Lou, fai schifo.
Era bella in modo diverso stasera. O forse ero solo io che mi sentivo meno da schifo.
Ho ancora una manica della giacca infilata fino al gomito, l'altra che ciondola mollemente sullo schienale. Un calzino infilato a metà e una scarpa. L'altra devo averla lasciata a metà del corridoio, scalciando via i vestiti di troppo.
Crollerei sulla tastiera, adesso, perché ho davvero il fiato corto di qualcuno che ha corso una maratona in apnea. È come se non avessi più respiro, o un principio di iperventilazione.
Ma non mi manca l'aria. Non mi sento imprigionato in un ascensore con le luci spente e nessun allarme.
Ne ho lasciata andare troppa per un solo giorno, libera. Lontano. 
Far away.
La teiera ha fischiato nel silenzio incompleto della notte inoltrata. Fra il ticchettio della sveglia, le travi di legno del soffitto che sfiatano nell'atmosfera meno afosa delle quattro di mattina, la caldaia che ogni tanto brontola e il frigorifero che si lamenta ad intervalli regolari, un solo fischio quasi allegro.
Twitter è così intasato che per scrollare la pagina potrebbero volerci cinque ore, Tumblr sembra posseduto da qualche spirito del paparazzo assatanato, e Instagram propone la media delle cinquecento fotografie ritoccate scattate alla première.
Vorrei essere uno di quelli che arrivano a casa dopo un concerto e non controllano ossessivamente qualsiasi cosa. Vorrei fregarmene, davvero, dell'inclinazione del mio sguardo in un dato momento, delle distanze delle nostre mani, della posizione esatta delle mie anche rispetto a quelle di Harry. Quanto siamo vicini, quanta pelle riesce a sfiorarsi sotto giacche e magliette, e camicie a cuoricini, e cinture, e jeans. 
Quanti se ne sono accorti, e quanti l'hanno lasciato cadere nel mondo senza ammortizzare la caduta.
Solo i miei occhi e quello stupido sorriso.
E fa un po' incazzare doverla catturare su Tumblr quell'occhiata. Forse appena accennata, forse durata secondi interi. Forse è ancora lì.
Il tempo di uno scatto, Louis Tomlinson, o forse ancora l'hai aggrappata al corpo e non lo sai.
La teiera fischia ancora mentre zoppico senza una scarpa fino al fornello.
Due tazze. Due bustine affogate nello zucchero e nell'acqua bollente. 
E il tempo dell'attesa.
Due tazze che assorbono l'aroma delle spezie e gli agrumi.
Finire sempre a scambiare i gusti per assaggiare tutto.
La sua tazza sempre accanto alla mia, il the carico di profumi, e nessuno a berlo.
Mi guardano i disegni un po' infantili decorati sui manici. Occhiate gemelle di triste ironia.
Solo due tazze di the, il mio portatile, e il riflesso cangiante delle immagini sulle lenti degli occhiali.
Le braccia mi prudono da tutta la sera. Forse la giacca, il caldo, il sudore o i nervi tesi.
Le unghie digrignano la pelle contro la china dell'avambraccio. I contorni densi di una bussola, e le mie unghie. Un ago fermo che segna una direzione senza uscita.
Le cose che possiamo fare, e quelle che, invece, semplicemente, no.
Smettere di segnare una rotta, e lasciarsi trascinare.
Ricordare com'era non prendere le misure. Sbattersi contro e fare un passo indietro, oppure no, contusi e confusi sugli orli imprecisi del senso. A me non fregava davvero niente, del senso, se ammaccato accanto a me c'era lui.
Adesso è come vivere con un misuratore di frequenze, un metro, una bilancia e una macchina della verità nelle tasche.
E il vuoto dentro.
E una tazza sempre piena.
Il cellulare che s'illumina e vibra, uno di quei rumori innaturali che ti fanno accavallare le vertebre sulla spina dorsale.
Cazzo.
“Ops” 
Scusa, ho sbagliato numero. Ho fatto un casino. Non dovevo chiamarti. È tardi.
Tardi.
“Hei” una risposta naturale nell'ironia amarissima di questo secondo scarso.
La sensazione di stoffa contro il palmo della mano, riccioli contro i polpastrelli, una risata contro lo sterno.
Inchiostro di china sottopelle.
Non dover misurare la distanza.
“Ho fatto il the” il che, da dire, è veramente una cosa stupida. Ma uno stupido the può voler dire altre millesettecento cose stupide.
“Ah” ridacchia in quel modo nervoso che i giornalisti credono sempre significhi chissà cosa.
Io so cosa vuol dire. 
Aspetta, qualcosa c'è ma non posso lasciarla cadere così, senza un attimo per arrotolarsi sulla lingua e nelle orecchie. 
Aspetta Lou, aspetta.
Lo schermo del portatile va in standby, scuro, luci gialle che rimbalzano contro le pupille, la ventola che soffia aria calda contro le mie due disarmoniche tazze di the.
“Mettine su anche un po' per me” 
“Sempre”
E tutto quello che rimane, ce lo siamo già detti.
 
You can't go to bed without a cup of tea
Maybe that's the reason that you talk in your sleep
And all those conversations are the secrets that i keep
Though it makes no sense to me
(Little Things, One Direction)




 
Note da leggere perchè sono esplicative :D
Chiedo già anticipatamente scusa a tutte le Directioners sfegatate, e chi di questa coppia è veramente appassionata e onniscente.
Io ne so veramente poco di loro, se non quello che ho appreso qui e là. Non so se la madre di Harry è veramente amante del pulito, o se ha un cesto della biancheria a forma di margherita, o dove stia Harry ora, o Lou. Ho cercato di mantenermi sul generico, perchè non vorrei scrivere eresie.
In realtà questa OS è un regalo. Solo un regalo ad una persona speciale che invece li ama e li adora, e li shippa, e ci ha contagiat* tutt* con il suo amore incondizionato per Larry Stylinson.
Per farla sentire meglio, insomma, tutto qui^^
Sono pronto anche a farmi ingiuriare eh, ho precisato il tutto per chi si avventurerà qui con una cultura sul tema milioni di volte più precisa e avrà voglia di insultarmi per la mia inettitudine :D


PS: ho corretto le "generalità" delle note, perchè direi che è ora di dichiararsi maschio e farla finita :D Chiedo scusa, c'è voluto il suo tempo per carburare la decisione ahahahah



 
   
 
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