La mia estate è passata dando esami, nel casino di un cambio di mobilio, e scrivendo questo capitolo che riesce a venir fuori ora, nonostante il tempo, i miei nervi, ed altre questioni personali non mi invogliassero a mettermi alla tastiera e a tirar fuori quello che avevo dentro, ma è un capitolo speciale questo.
Perché speciale? Perché scritto per una delle due persone a cui l'intera storia è dedicata, Mattie Leland, e il nuovo capitolo è il mio regalo di compleanno per lei, che spero apprezzerà.
In origine doveva esser pubblicato prima questo quarto capitolo, non era stato pensato come regalo; mi son messa però armata di pazienza al lavoro rendendolo speciale, lavorando nel modo in cui la cara Mattie potesse apprezzarlo di più, e visto un contrattempo che ha tenuto lei lontana dal pc nei giorni del suo compleanno, mi son permessa di esternderlo.
E' un capitolo chiave per la storia, di umori e sensazioni ricorrenti, di spazio per Stan (credo di non aver mai dedicato tanta attenzione a lui in tutte le mie fanfictions), di spazio per l'amicizia, ma anche un capitolo in un certo senso di rottura, di passaggio, un passaggio che ora non si nota, su un futuro di aspettative ed incertezze e... la questione affrontata non è un caso. Ti faccio gli auguri anche qui Mattie, perché sarà un'età importante questa, che spaventerà un po', ma da ora muoverai i veri primi passi verso la vita, una vita che ti auguro radiosa il più possibile, in cui sicuramente troverai ostacoli, spaventeranno, quindi ti auguro di avere sempre l'energia per affrontarli, superarli, e questa energia ce l'hai, perché sei speciale, quindi non dimenticarlo mai!
E vi informo, che non ho dimenticato (chi era su Facebook qualche settimana fa, sa di cosa parlo), visto che la storia ha raggiunto le quindici recensioni, ci sarà un capitolo speciale. Non sono ancora certa quando sarà il momento giusto per inserirlo, ma potrebbe arrivare come doppio aggiornamento o storia/oneshot a se stante; vi informo però che per il prossimo aggiornamento dovrete probabilmente aspettare un po', fin'ora son riuscita ogni mese ad aggiornare, ma dal prossimo mese devo mettermi sotto con la scrittura della mia tesi di laurea, quindi non penso avrò tempo e forze da dedicare alla scrittura di fanfictions, ma spero sempre che voi mi seguiate e non pensiate a un mio abbandono alla storia.
Grazie a tutti coloro che hanno recensito e che ho avuto modo di conoscere, e grazie infinite in quanti recensiranno dandomi così una piccola gioia di cui ho davvero bisogno in questo periodo tanto difficile, una gioia per voi magari insignificante, ma che per me vale tanto, tantissimo, come se mi regalaste dei granelli di oro-
A presto, spero che questa sarà per voi una piacevole e divertente lettura.
Panta rei*. Perché curiosa è
la natura umana.
Ogni volta che riportava la mente alla sua
infanzia, Stan, vedeva due bambini diversi.
Quando era più
piccolo osservava il mondo con i suoi grandi occhi blu, incerto,
timoroso nell'interagire con il prossimo, timoroso nel muovere passi
nel mondo. Ma aveva saputo strappare la pelle dell'insicurezza,
inghiottire – senza vomitare – ogni paura, deciso ad affrontare
tutto con coraggio, arroganza anche, perché c'era sempre stato Kyle
al suo fianco, a prenderlo per mano, a fargli affrontare le sue
paure, a gabbarsi del mondo con lui perché, gli aveva mostrato, che
non era così terrificante, piuttosto abbondante di idiozia ed
ignoranza. E lui era intelligente, furbo, con talento – gli aveva
sempre ripetuto Kyle –, per tanto aveva tutto il diritto di vivere
a testa alta, fiero di se stesso.
Però quando non era un buon
amico non aveva nulla di cui esser fiero, Stan.
E se sapeva che
Kyle aveva fatto una stupida scommessa che avrebbe rovinato il loro
gruppo, allora aveva paura, c'era qualcosa che non andava e... farci
caso tardi non lo faceva sentir fiero. E se vedeva poi un Butters nel
corridoio che piangeva, rivelandogli che era a causa di Kyle che lo
ignorava, senza neanche commettere lo sbaglio di incrociare il suo
sguardo, allora ammetteva che non comprendeva il suo migliore amico,
e questo non lo faceva per niente sentir fiero ma, piuttosto, lo
faceva solo che sentire un fallimento.
Panta rei. Tutto scorre,
perché è la natura umana il cambiamento persistente,
tuttavia è un'esperienza dolorosa se non si nota e da un giorno a
l'altro sono le conseguenze del cambiamento a fartelo notare,
inciampare, e – inevitabilmente – soffrire.
Trema un po',
perdendo il filo dei suoi pensieri nel dolore, ma imponendosi
coraggio e durezza, perché nel momento in cui Kyle finirà il suo
turno di pulizia del laboratorio di chimica dovrà essere severo e
dirgli chiaramente che sta facendo una serie di stronzate che non
sono da lui, non sono giustificabili e delle quali rischia di
pentirsi amaramente.
Più di una decina di minuti dopo, vede
uscire Kyle dall'istituto, e trema ancor più, ma stringe i pugni e
non ricambia il sorriso di Kyle.
“Mi hai aspettato? Non
dovevi! Comunque Stan sai, ho dei biglietti del cinema per andare a
vedere...”.
“Kyle, dobbiamo parlare”.
“Ok”
ha finito le sue pulizie, ha lo zaino in spalla con pochi libri e
nessun programma per il pomeriggio, senza contare che sono sulla
scalinata della scuola e non c'è che quasi nessuno ormai, visto che
la campana è suonata da una ventina di minuti e più: può ascoltare
il suo miglior amico e parlar con lui quanto vuole.
“Ecco...
diciamo subito che non è per niente ok”.
“Oh... è
successo qualcosa con Wendy?”.
“No Kyle, è te che
riguarda” vorrebbe dirgli che ha saputo che ha fatto lo stronzo,
che lui lo conosce e sa benissimo che non lo è, perciò deve
rinsavire, ma... non è così facile e preferisce girare intorno alla
questione.
“Ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio?”
cade dalle nuvole, portandosi la mano tra la voluminosa e soffice
testa rossa, come a cercare tra i ricci il ricordo di qualche sgarbo,
ma non crede d'aver fatto proprio niente di male a Stan.
“Ho
saputo della scommessa tra te e Cartman”.
“E...
allora?”.
Una domanda che è sufficiente a scaldare Stan e a
fargli alzare il tono, scandalizzato.
“Come allora? Kyle,
amico, che ti è preso? Sai benissimo che Cartman non riuscirà mai a
prendere tutte quelle A
e ad avere un punteggio così alto al test finale! Così andrà
davvero in un altra scuola superiore, lontano da noi e non...”
nella mente di Stanley un'immagine colorata di loro quattro
sorridenti sbiadisce “...non saremo più noi quattro”.
Kyle
non ha alcuna immagine sbiadite di fronte alla sua coscienza.
Kyle
non pensa di aver sbagliato.
“Stan,
è stato lui a proporre questa sciocchezza, a me non importava, ma ho
colto la palla al balzo vista la sua testardaggine e i suoi risultati
saranno il frutto della sua stupidità, inoltre...” il verde
diventa brillante nei suoi occhi “ce ne libereremo, finalmente non
dovremmo più sentire le cazzate di quell'idiota e finire nei
guai”.
Stan lo ferma, non vuole sentire altro: gli mette le
mani sulle spalle e lo scuote, come per farlo rinsavire, o fermare
dal dire altro: non può essere serio, è stupido, e falso e crudele
quello che dice.
Se ripensa a uno dei suoi maggiori timori di
quando era bambino, uno di questi era che Kyle potesse allontanarsi
da lui preferendo come miglior amico Cartman; litigavano sempre Kyle
e Cartman, persino quando avevano la stessa opinione su qualcosa, ma
era evidente che quelle liti – per quanto aspre – non cambiavano
la chimica che c'era tra loro e neanche il dato di fatto – mai
ammesso – che si volessero bene. Stan aveva avuto paura per anni di
ciò, consapevole che il suo rapporto con Kyle era totalmente
diverso, basato su delle radici e una chimica diversa, ma alla fine
si era messo il cuore in pace per abitudine, perché Kyle era rimasto
sempre fermo su quel punto: lui era il suo super-miglior amico, e
sembrava che altre ipotesi non fossero contemplate.
Era palese
però che tra loro quattro (più Butters, che però è giusto mettere
solo tra parentesi, come un bonus) c'era un legame speciale e che
nessuno avesse il coraggio di dire a Cartman che gli volevano bene,
ma la verità – alla fine – era proprio quella e Stan non può
contemplare un futuro dove loro quattro (più Butters, sempre) siano
separati, e non può accettare che dopo tanti anni Kyle voglia
liberarsi davvero di
Cartman.
“Kyle, tu non dici sul serio e dovresti ascoltarti
e riflettere!”
E quelle parole lo fanno allontanare da
Stan, dalla sua presa, quasi come fosse stato scottato. Scende le
scale velocemente e imbocca la strada per casa, scappando dall'amico
che rimane sulla scalinata alquanto stordito.
“Kyle!” lo
chiama e lo richiama con voce più alta.
“Non ho nulla da
dire, Stan” afferma quando l'altro lo raggiunge. Non è da lui fare
così con Stan, ma lo ferisce il fatto che non lo comprenda e che
improvvisamente prenda le parti di Cartman.
“Non devi dirmi
nulla, nessuna spiegazione: lo so, sei arrabbiato; Cartman sarebbe
capace di far incazzare un monaco buddhista, ma non è da te
comportarti così, arrivando ad estendere il tuo malumore su
Butters”.
Vede Kyle non dire una parola e continuare a
camminare, si chiede se in qualche modo stia riflettendo,
comprendendo che ha sbagliato, ma non arrivano indizi dalla sua
espressione.
“Stan, devo ricordarti che l'ho lasciato
andare in Somalia sperando che morisse? E ricordo che anche tu eri
entusiasta della cosa, però... ora che non voglio semplicemente che
frequenti la scuola con noi e ci rovini la nostra vita da studenti
delle superiori, ne fai una tragedia, perché?”.
Non può
che lanciargli un'occhiata incredula Stan: “Kyle, avevamo nove anni
all'epoca!”.
“Quello che provo non è cambiato” taglia
corto, rendendosi poi immediatamente conto della falsità delle sue
parole e arresta il passo.
Tutto è cambiato, persino se
stesso.
Ma trovando gli occhi di Stan puntati su di lui continua a
mentire, recita, stando male, perché non vuole farlo, ma si sente
costretto: “lo odio come quando ero bambino, sempre l'ho odiato e
sempre lo odierò. Ne ho abbastanza delle sue cazzate, dei suoi
insulti, dei suoi giochetti, delle sue battute, delle sue paranoie;
fino ad adesso l'ho accettato, ho sopportato, mandato giù, ma dal
prossimo anno voglio solo una tranquilla vita da adolescente, niente
di più. Cosa c'è di male in questo?”.
“Tutto” Stan
non lascia un secondo di silenzio tra la domanda di Kyle e la sua
risposta “ed è terribile che tu dica certe cose, fa... male, e mi
dispiace. Soprattutto per te”.
Stan diventa accigliato, abbassa
lo sguardo e cerca ispirazione dalla punta delle sue scarpe; Kyle sa
essere testardo a livelli superiori dei suoi – che non sono uno
scherzo! – e sordo, e cieco, e... sa che così si farà solo del
male.
“Noi siamo cresciuti insieme, siamo sempre stati insieme,
ne abbiamo passate di cotte e di crude, ce la siamo vista brutta
tante volte e tante volte ci siamo divertiti insieme... e abbiamo
riso, ci siamo offesi, traditi, presi a pugni, litigato, ma comunque
siamo sempre stati insieme come una sorta di famiglia. Lo so che
pensi, perché prendi le parti di Cartman?,
perché è mio amico, ma soprattutto – anche se non te ne rendi
conto – mi sto preoccupando per te”, alza gli occhi blu e nota
d'aver colpito in qualche modo Kyle. Spera vivamente non sia un
ascolto passivo, ma ricettivo, e nel senso giusto.
“Ti dirò
una cosa che dissi anni fa a Cartman, quando te ne sei andato da
South Park per vivere a San Francisco. E' una cosa che vale anche per
te: senza Cartman la tua vita sarebbe miserabile e vuota”.
Nell'aria è percettibile il peso di quello parole.
“Lui
l'ha capito, e tu che hai una mente brillante dovresti capirlo allo
stesso modo”.
Vede che le labbra di Kyle si stanno per
aprire in replica, ostinata e contraria, ma Stan non gli da modo per
continuare perché vuole essere lui ad avere l'ultima parola
stavolta.
“Arrabbiati, sfogati, vai a prenderlo a pugni se
serve, ma non perdere la testa e non fare cazzate e tra queste... non
prendertela con Butters. Sa essere rompicoglioni a volte, pettegolo,
fastidioso, ma è un amico sincero, un animo buono, come te”.
E
a questo punto rimane solo il silenzio imbarazzato di entrambi, che
nasconde timori ed amarezza.
“Io comunque prendo il bus”
farfuglia Stan mentre si volta nella direzione opposta, dov'è la
fermata “ma tu cammina. Ti farà bene” consiglia con un fil di
voce, prima di defilarsi dalla sua vista.
Kyle rimane fermo,
più che colpito dalle parole di Stan amareggiato. Vorrebbe parlare,
vorrebbe potergli dire cosa sta accadendo da mesi a lui, ma ha paura
di saperlo meglio di quanto creda.
“Stan, io la testa l'ho
persa da mesi”.
*
“...non
dubito che per Kyle sia uno scherzo fare queste cose, è che deve
esserci qualcosa in lui che non va, qualcosa di perverso, per amare
questa roba”.
Dove roba
sta per libri, libri e ancora libri. Di aritmetica, di geometria, di
scienze.
Eric
ha gli occhi arrossati, i nervi a fior di pelle, sul punto di
ammettere le proprie difficoltà con le materie scientifiche, che
ormai da più di due settimane studia prima di andare a scuola,
durante e appena torna a casa, fino a che la tarda notte non giunge e
i suoi occhi si chiudono. E' ben attento da non farsi vedere dai suoi
compagni, non vuole fare la figura del secchione, non vuole che
qualcuno sappia che sta faticando per ottenere ottimi voti, non vuole
che nessuno sappia che per lui qualcosa come la matematica o la
biologia restano incomprensibili nonostante l'impegno. Butters
avrebbe potuto aiutarlo, ma gli aveva chiesto un prezzo troppo alto e
così ora fa i conti con la fame, tanta, nonostante abbia lo stomaco
pieno.
“Forse non è la sabbia che gli prude, ma è questa
roba che fa male al suo sistema nervoso, non credi?”.
Confida
i suoi dubbi amletici a una barretta energetica, che brama, che
vorrebbe nel suo stomaco, ma con la quale preferisce parlare*.
Non
vuole più magiare per il nervoso, mangiare non è una risposta ai
suoi problemi ha capito, e anche se si riempe fino a dover rigettare
il cibo non starà meglio. Il meglio è che tiri fuori ciò che lo
angoscia piuttosto, o con parole o con lacrime, ma a queste ultime
non vuole dare la soddisfazione di toccare le sue guance.
“Se
non dovessi farcela... perderei proprio tutto, quindi... va bene
anche passare notti insonni sui libri. Le altre materie non fanno poi
così cagare. Credo... credo che ci siano anche cose interessanti e
forse Kyle ha ragione, non è poi così male chiudersi nello studio
per eccellere, però... per quante volte studi qualsiasi materia
scientifica, io... io... non capisco un cazzo”.
Stringe la
barretta guardandola intensamente. Il rosso della confezione lo
ricollega a Kyle, alla sua nuvola di ricci, al colore che acquista la
sua pelle pallida quando si arrabbia o quando s'imbarazza; è il
colore del sangue, un sangue di cui condivide lo stesso gruppo, che
gli ha passato, che è entrato nelle sue vene. C'è il suo rene nel
corpo di Kyle, il rene che lo mantiene in vita, che gli ha sottratto
con l'inganno e per il quale mai l'ha ringraziato. Eppure gli sarebbe
bastato un solo sorriso... anche se questo Kyle non l'ha mai saputo e
mai lo saprà, perché quel che conosce di Cartman sono insulti e
bugie.
“Vorrei che Kyle...”
...e
il suono del campanello alla porta dissolve quell'utopia rossa
chiamata Kyle.
Non si muove però, rimane fermo a prestare
attenzione alla sua tachicardia: e se alla porta fosse
Kyle?
Il pensiero è così
meraviglioso da terrorizzarlo.
Il campanello però suona
ancora, e stavolta gli fa saltare i nervi, per questo decide di
muovere il culo ed andare ad aprire, pronto a una carrellata di
insulti e bestemmie contro il rompipalle di turno.
“Allora
ci sei!”.
“Stan?” non si aspettava proprio una sua
visita, se non di scopo, e per questo, in un batter di ciglia, pensa
di farlo andar via.
“Non mi interessa se Wendy è incinta e
ormai i feti abortiti non valgono più così tanto, visto che la
ricerca sulle staminali non è permessa*”.
“Wendy non è
incinta!”.
“Oh... ottimo” suppone si dica questo in
tali circostanze.
Stan, onde evitare di litigare tira fuori
dal suo zaino il libro di biologia – tra l'altro sua materia
preferita – e glielo sventola sotto il naso.
“Non sarò
Kyle, ma ho solo un'insufficienza e una buona media, e...” guarda
oltre le spalle di Cartman. A quanto pare neanche Butters è lì
“...sembra anche che io sia l'unico disponibile ad aiutarti”.
Non piace al padrone di casa lo sguardo di sufficienza di
Stan, non gli piace il tono che sottolinea il suo essere il buon
samaritano, ma soprattutto non gli piace il fatto che ne abbia
davvero bisogno.
“Cos'è, stai cercando soldi o crediti da
accumulare per andare in Paradiso?”
Essere gentile gli viene
proprio difficile, anche quando dovrebbe, per pura convenienza;
teoricamente sa esserlo, sa recitare, ma il problema è che è
proprio Stan a volergli dare una mano e questo... sa quasi
d'umiliazione.
“Cartman, non voglio soldi né niente, e se
devi fare lo stronzo me ne torno a casa. Semplicemente trovo che sia
stupida la scommessa tra te e Kyle, trovo che sia sbagliato quello
che ti ha chiesto Kyle e penso che tu rischi seriamente di
perdere”.
Eric guarda male Stan, lieto di non averlo fatto
entrare e fa per chiudere la porta. Non ha bisogno di un altro
stronzo che non crede in lui.
“Bene, allora Stan torna-”
Ma il moro lo interrompe e non permette a Cartman di
continuare “...ma sono anche convinto che con l'aiuto di qualcuno
puoi benissimo farcela, ed è proprio per questo che sono qui”,
trova imbarazzante aggiungere altro, ma dopotutto lo fa per salvare
la loro amicizia, il loro gruppo, quello che sono sempre stati.
“La
maggior parte delle volte Cartman è vero che vorrei strozzarti o che
finissi sotto un camion”.
“Oh grazie, sono commosso dal
tuo affetto. Sappi che è reciproco”.
Stan taglia corto però
all'ironia di Cartman, schiarendo la voce. Non vuole assolutamente
ripetersi.
“Nonostante tutto però siamo amici, siamo...
sempre stati noi quattro e vorrei continuassimo ad esserlo, anche
alle superiori”.
Eric dovrebbe essere toccato da simili
parole, nessuno è mai stato tanto disponibile a mostrargli affetto,
eccezion fatta per sua madre e Butters.
Dovrebbe essere contento
o comunque fregarsene e cogliere l'occasione che Stan gli sta
porgendo su un piatto d'argento, invece il suo primo pensiero va a
Kyle.
“...significa che ti sei messo contro Kyle?”.
“Voglio farlo ragionare”.
“Avete litigato per
questo, no?”.
“Non ne sono propriamente sicuro, ho deciso
dopo di aiutarti, dopo che ho tentato di far ragionare Kyle”.
Kyle
dunque è solo.
Stavolta non sono solo loro due in lite e Stan al
fianco dell'ebreo, e non è neanche una di quelle situazioni in cui i
due super-migliori amici hanno litigato e Kyle fa ripiego su di lui,
facendogli credere di essere il miglior amico di cui ha bisogno. Kyle
è solo, contro di lui e contro Stan, e al suo fianco probabilmente
non avrà neanche Kenny.
Stringe i pugni Eric, dovrebbe esser
grato a Stan, accoglierlo in casa e sorridere, scoppiare di gioia per
essere importante almeno una volta, invece... stringe e controlla la
rabbia; è una sfida tra lui, Eric Theodore Cartman, e Kyle
Broflovski e – come in ogni sfida tra loro – non sono ammessi
terze parti, che dovrebbero rimanere al loro posto, anziché
schierarsi dalla parte che non desiderano essere.
E proprio
lui, Eric, desidera che Stan riservi quei suoi buonismi a chi ha
sempre saputo apprezzarli, non a lui, che si può pulire il culo con
la gentilezza di Stan.
“Stan, va via”.
“Cos-
...cazzo Cartman, ti ho appena detto che son qui per te e tu fai pure
lo stronzo?”.
“Stan, mi dispiace toglierti dalla tua
frocia utopia di pony ed arcobaleni e super-checche amici, ma io sono
sempre il solito, sempre il solito Eric Cartman che consideri uno
stronzo. Suppongo che sicuramente dovrei darti ragione in alcuni
casi, ma mi scoccia terribilmente farlo, e... cosa volevo dirti poi?
Ah sì: io, al contrario di quanto tu dichiari, faccio tutto questo
per me e lo dico, mentre tu... beh tu... sei il solito. Vieni a dirmi
che lo fai per me, mentre potresti dire che lo fai per te, perché ti
seccherebbe da morire che non fossimo più noi quattro, e che dunque
i tuoi equilibri cambierebbero e torneresti a vedere merda ovunque.
Ecco... se mi avessi dato questa versione puramente egoista e sincera
credo che ti avrei persino fatto entrare in casa e offerto un
biscotto, ma visto che ho ad attendermi un succoso capitolo sul
sangue, ti chiedo di non farmi perdere ulteriore tempo e andare a
fare il filantropo altrove perché...” un medio alzato e un
borbottio imprecatorio lo lasciano, e come immaginava Stan ha girato
i tacchi incazzato.
Sorride.
“Ehi fighetta, sappi che non
perderò contro l'ebreo, quindi preparati a dover fare il
super-frocio amico per consolare quell'altra checca”; Cartman non
definirebbe mai parole simili un insulto, ma normale teasing
tra amici, eppure Stan, di
spalle, gli alza ancora il medio non mancando di urlargli un
equivocabile 'fottiti',
che sarebbe stato seguito da un 'culone',
se non fosse che il culo di Eric non ha più dimensioni adeguate a
portare quel nome.
“Anch'io ti odio Marsh, anche se meno di
Kyle” saluta con affetto Eric chiudendo la porta e lasciandosi
scivolare di schiena contro essa.
Sospira.
Gli occhi
lucidi rivelano una grande emozione, rara. Mai avrebbe immaginato che
quella checca di Stan l'avrebbe lasciato col sorriso sulle labbra.
Tutto quello che ha fatto Stan nella sua visita, finita con la
scortesia di Cartman, è suonata come un “ti voglio bene,
amico e sono qui per te”,
qualcosa che non si sarebbe mai aspettato né da lui, né da Kenny e
né tanto meno da Kyle; mal'ha rifiutato con valide ragioni, perché
non è al suo fianco che Stan deve stare.
Non è stato facile
rifiutare l'aiuto di cui avrebbe bisogno, ma è sicuro che se anche
Stan capisce la fotosintesi clorofilliana, allora lui non può esser
da meno.
Quando si rialza ha una nuova luce negli occhi,
brillano, non più di commozione, ma perché fiduciosi nella sua
vittoria.
*
Rabbia.
Sembrava essere questa l'unica cosa rimastagli in corpo.
Rabbia
nei confronti di Stan, che ha detto: senza Cartman la tua
vita sarebbe miserabile e vuota.
Rabbia
nei confronti di Butters, e dei suoi giochi e del suo vittimismo.
Rabbia nei confronti di Kenny, che quando gli si chiede
consiglio, inizia a fare allusioni assurde.
Rabbia nei confronti
di Cartman, che è il seme di ogni male nella sua vita.
E poi
rabbia, tanta, nei confronti di se stesso. Perché lascia che le
parole di Stan lo mettano in ansia, perché i suoi comportamenti nei
confronti di Butters finiscono per esser crudeli, perché lascia che
allusioni di Kenny lo tormentino, perché tutto è legato a Cartman –
come sempre – e pensando a lui si è... si è... scuote la testa
per non pensare.
Si
stende sul letto, sospirando; non è più un bambino, ma il suo
pigiama di Terrance e Philip, con le loro simpatiche facce, richiama
all'infanzia. Sembra quasi inadeguato per il giovane uomo che sta
diventando, ma quel pigiama è anche largo per lui, non potendo
ancora vantare una statura da ometto... preferisce non ricordare che
è lontano dal toccare il metro e settanta d'altezza, statura che
Stan, Kenny, ma soprattutto Cartman, hanno raggiunto e – si augura
– non superato.
Un pop
lo riporta alla realtà, e alzando lo sguardo alla scrivania, capisce
che è la chat di Facebook.
Si alza seccato, non ricordava
neanche d'aver fatto log-in
sul social network, ed è pronto a fanculizzare chiunque l'abbia
contattato, ma quando legge il nome di Lola Brown*, il suo animo si
placa.
Conversare con Lola è piacevole, non parlano quasi mai di
loro stessi, ma hanno sempre interessanti scambi sul Fantasy, e
questo accade da quando lui ha mostrato sulla sua bacheca di essere
un fanatico di Tolkien, spingendo la ragazza a non apprezzare solo la
versione cinematografica, ma a leggere la trilogia de Il
signore degli anelli. Così, da
quando Lola ha finito con avidità quella lettura, è iniziato un
rapporto amichevole tra loro, di scambi d'opinione e consigli su
letture e visioni.
Al momento però non gli va di chattare,
neanche con lei, ma risponde comunque al saluto, inventando una scusa
plausibile per la sua assenza.
'Ciao, come va?
Scusami, non ricordavo d'aver lasciato aperto Facebook, ero preso
dalla lettura' e aggiunge uno
smile, che non guasta mai.
'Io sto bene, e tu? Cosa
leggevi di bello?'.
Cerca
di ricordare qual'è il nome del libro che gli ha consigliato la
scorsa settimana, al quale è ispirato quel telefilm in onda sulla
HBO e che desta tanto scandalo... True Blood*.
Una veloce ricerca su Wikipedia lo salva.
'Ho
seguito il tuo consiglio: sto leggendo Dead
until dark'.
'Sono felice che tu mi abbia
ascoltato!' e Kyle sorride allo
schermo, finché non compare una seconda frase: 'posso
essere onesta? Non vedo l'ora che tu mi dica cosa pensi di Eric'.
Guarda stranito lo schermo, e poi con furia si getta alla
testiera.
'Cosa posso pensare? E' uno stronzo,
egocentrico, crudele, esibizionista, manipolatore... lo odio!'.
'Beh sì, lo è, ma ha un lato
tenero e... è innegabile che sia un figo!'.
Legge due, poi tre volte la frase, augurandosi d'aver capito
male, ma non è così: ha letto bene e se degnasse lo specchio
d'attenzione potrebbe notare d'aver acquisito il colore dei suoi
capelli.
Digita tre lettere e poi si ferma a guardare la sua
mano, la sente sporca e non ha tutti i torti, perché si è macchiata
su pensieri impudici per Cartman.
Non è successo solo una volta,
ricorda e inizia a contare, ma quando il numero delle volte supera
quello delle dita della mano, se la porta alla bocca, allarmato da un
moto di nausea.
E poi un secondo allarme, che gli dilata gli
occhi dalla sorpresa e lo porta a scrivere a gran velocità:
'A
te piace Cartman???'.
Una
faccina sorpresa arriva immediatamente in risposta, seguita da una
lunga sequenza di risata onomatopeica, scritta con caratteri
maiuscoli.
'Scusami Kyle, non parlavo di Cartman,
ma di Eric Northman. E sì è uno stronzo, egocentrico, crudele,
esibizionista, manipolatore, ma è anche un gran bel personaggio e,
in True Blood, il
telefilm, l'attore è un gran figo'.
Si
sente coglione a quelle parole e in gran imbarazzo: perché il suo
primo pensiero è stato a quell'idiota?
Risponde con una faccina
divertita e si giustifica nel modo più articolato e prolisso che può
e solo dopo che l'ha inviato si rende conto d'essere ridicolo e
neanche un po' divertito.
E pensare che proprio a Lola vuole
chiedere di uscire, vuole vedere il nuovo film di Thor con lei, è un
miracolo che ancora sia in proiezione, ma in fondo è di South Park
che si parla: qualsiasi film sbanca al botteghino resta in sala per
un mese. E' diventata la regola da quando il piccolo cinema si è
trasformato in una multisala.
Domani le chiederò
di uscire me. Afferma a se
stesso, salutandola poi cordialmente con la scusa del ritorno alla
lettura di un libro che mai ha acquistato e che non ha intenzione di
leggere, se presenta un Eric stronzo, egocentrico, crudele,
esibizionista e manipolatore. Uno lo conosce già e gli basta e gli
avanza.
*
Sono
altissimi i cancelli della nuova scuola, infinite sembrano le
inferiate per estensione.
Va bene così, lì c'è la sua vita da
studente delle superiori, ci sono i suoi amici, c'è Stan, c'è
Kenny... e c'è Lola che è tanto carina e che riesce a strappargli
sempre un sorriso. Fuori le nuvole sono scure e minacciose, ma poco
importa, sembrano così distanti dalla sua realtà.
Sorride Kyle,
sorride passeggiando per i corridoi, senza prestare attenzione a
quanto essi siano lugubri.
Prima di entrare in classe fa una
visita al bagno, che è nella penombra e si distrae guardando fuori
dalla finestra quella che sembra una tromba d'aria che sta sradicando
qualsiasi cosa.
“Oh
mio Dio!” si porta le mani alla bocca dal terrore.
Andrà tutto
bene? Ma loro... sono al sicuro in quella scuola così solida, no?
E
prima che altre domande possano sfiorare il suo pensiero si ritrova
con i polsi bloccati contro la vetrata che tocca con la fronte, dopo
esser barcollato in avanti. Un riflesso sopprime ogni interrogativo,
ma non un gemito che sfugge sentendo l'altro corpo aderire al suo.
“Vattene!”.
“Non ti dispiace”.
“N-non...
vattene!”.
“Non ti dispiace così tanto uno stronzo,
egocentrico, crudele, esibizionista, manipolatore...”.
“Cartman,
lasciami e vattene vi-ahhh...”
non si trattiene nel sentire l'inguine strusciare contro il suo
fondoschiena. E' una molestia sessuale bella e buona! ...ma, disgraziatamente, tanto eccitante.
E tace, sospirando soltanto, e di piacere. Giù e sù... si
concentra solo su quel movimento, finché esso non divieno il
movimento dei suoi succhi gastrici e brucia, come il senso di colpa, ma
per poco, dimentica tutto non appena sente il respiro dell'altro sul
collo.
E diventa docile nell'eccitazione.
Cartman
gli libera i polsi e i palmi scivolano sul dorso delle mani di Kyle,
le dita s'intrecciano, combaciano e persino la volontà di resistenza
è poca.
Fuori c'è uno scenario apocalittico e per quel che sa
potrebbe già essere all'inferno, illudendosi che sia il paradiso.
Forse è a causa del brutto tempo che poco dopo la luce va a
farsi fottere, ma Kyle non se ne cura, ha priorità più importanti,
la sua ragione è oscurata e la voce profonda e bassa di Cartman che
accarezza il suo orecchio, è analoga a quella del serpente biblico.
“Sai, mi sono rotto un po' il cazzo delle tue negazioni,
sono sicuro che ce l'hai già bello che duro e che il disco del tuo
cervello si sia inceppato su scopami, scopami, scopami...
ma il tuo orgoglio, la tua rettitudine morale non lo ammettono,
neanche vedendo che fuori vi è la fine del mondo. Saresti disposto a
morire con il tuo fottuto orgoglio, vero Kahl?”.
Un bacio
sul collo tocca il pulsante giusto per una risposta acida: “mi fai
schifo! Levati!”, ma troppo debole è il suo districarsi e non ha
effetto, se non quello di una fragorosa risata per Cartman.
“Oh
Kyle, ci scommetto quel che vuoi che provi più schifo per te che per
me”.
Ride nervoso e sprezzante, “perché mai?”.
“Perché basterebbe che io pronunciassi qualche stronzata
romantica, e ti metteresti in ginocchio e me lo succhieresti senza
ritegno Kahl”.
“Vaffanculo Cartman!”.
La presa
alle sue mani si stringe mentre annusa i suoi capelli.
Vorrebbe
vedere la sua espressione Kyle, ma lo scenario devastante fuori dalla
finestra cattura maggiormente la sua attenzione.
E
se fosse davvero la fine?
Cartman
pronuncia altre stronzate a cui Kyle non dà peso, finché non sente
liberargli le mani.
Non si muove Kyle,
per il terrore di quello che c'è fuori... rottami, auto, alberi che
volano... e quando sente l'abbraccio di Eric, la sua stretta sui
fianchi, pensa che tutto sia dannatamente triste.
L'oscurità
complice, intorno e dentro di se, lo avvolge in modo confortante e lo
calma, lo fa essere sincero.
“Sai... non significa nulla
eccitarsi, avere un'erezione o farsi una sega... non ha nessun
risvolto sentimentale, non c'è nulla di male...”.
Un bacio
sulla spalla lo fa sussultare, lo interrompe e – soprattutto –
tremare...
“Credo che sia colpa del tuo essere ebreo e di
tua madre, se vedi male ovunque, anche dove non c'è. Ma io sono di
parte, lo sai; la cosa che però non comprendo è perché ti
giustifichi” e queste parole solleticano con malizia il suo
orecchio.
“Giustificare? Io non mi sto giustificando” non
è neanche troppo convinto nel negare.
“Lo stai facendo
invece, perché hai paura”.
“E di cosa?”.
“Di
sentirti miserabile e vuoto, Kahl...” orrido déjà vu “...un
vuoto che sai di non poter colmare neanche con un cazzo dentro di
te”.
E la rottura la fine della pazienza. Una scossa
energica lo libera dalla morsa di Cartman, e si gira, per dargli un
pugno, un calcio, per farlo tacere con la violenza e far morire lì,
nell'oscurità, ogni compromettente pensiero, ma non c'è più, non è
da nessuna parte. Persino la luce debolmente torna e dà a Kyle
l'occasione di correre fuori dal bagno per punire quello stronzo, ma
non c'è: i corridoi sono vuoti.
E il silenzio sembra
ammonirlo.
Torna nella sua classe, è la prima che incrocia.
Non c'è alcun insegnante, ci sono solo i suoi compagni.
Non vede
Kenny... pensa stia pomiciando con qualche ragazza in qualche luogo
appartato, ma vede Stan, va verso di lui, ma lo ignora perché i suoi
occhi brillano davanti a Wendy. Lo vede rapito dalla sua figura, le
porta un braccio intorno alle spalle e va via dalla classe, dove Kyle
non lo sa, quindi non gli resta che sedersi al suo posto,
solo.
Guarda fuori, il cielo ormai nero, i lampi che danzano,
la terra devastata, ma il dramma umano non tocca la scuola.
Kyle
guarda la sua classe, nessuno sembra notare che c'è qualcosa che non
va, che sembra il mondo stia finendo, tutti riuniti in gruppi, più o
meno corposi; ridono e scherzano: sono sagome bianche e nere, volti
sfocati, indistinti e tra loro c'è anche qualche solitario.
Nota
Butters e si alza perché vuole sapere, è inquieto: “dov'è
Cartman?” e il biondo gli lancia un'occhiata infastidita ed
altezzosa. Lo fa sentire merda.
“Eric ha perso la scommessa
con te, lo sai bene. Non è in questa scuola, dovresti essere
felice”.
Ma non sorride Kyle e guarda terrorizzato Butters.
La luce salta e tutti ridono, un fulmine solo illumina quello che
la luce non può più svelare.
“Non è vero Cartman non
è... Butters? Butters? Dove sei?” il lampo l'ha distratto e ora
non c'è più.
“Qualcuno ha visto Butters? E... e Cartman?”
Nessuno gli risponde, probabilmente nessuno l'ha sentito e furioso
esce dall'aula, muovendosi con dimestichezza nel buio, come un gatto.
Cartman diverse volte gli aveva ricordato che i suoi occhi
sembravano quelli di un gatto.
Cammina inquieto nei corridoi
senza luci, col vento che si scontra sui vetri, i fulmini le uniche
fonti di luce: non c'è panico, non c'è rumore, chiama a gran voce
Stan e Wendy e Butters, poi quel disgraziato di Kenny che trova,
pochi secondi dopo, seduto sulle scale.
“Kenny, hai visto
Cartman?”.
“Che dici Kyle, perché ora te ne esci con
Cartman? Lui non è in questa scuola, è fuori da qui. Forse è
morto”.
“C-Che stai dicendo?” gli occhi dilatati
svelano ogni paura, il verde smeraldo diventa lucido e la ragione si
offusca come la vista, già compromessa dall'oscurità.
E scappa,
corre, a due a due salta gli scalini, col timore di cadere, ma il
timore più grande di arrivare tardi, di aver perso...
E si trova
davanti al portone della scuola: nessun portiere, nessun modo per
aprirlo, nessun modo per vedere fuori; è grande, enorme, in acciaio,
come i cancelli che si possono vedere dalle finestre ai piani
superiori.
Calcia, dà pugni contro la superficie, impreca...
Accade tanto, in pochi secondi, forse.
“Kyle...”.
Si
volta alla voce familiare di Stan.
“...perché
piangi?”.
“Non sto...” non è vero, ha il volto bagnato,
il muco che gli esce dal naso.
Patetico è il suo aspetto.
“Qui
dentro va tutto bene, dovremmo essere felici, insieme”.
Ma
non riesce a rispondergli, non riesce ad affermare nulla, poiché
tutto è lugubre, e inquietante è l'indifferenza al finimondo che
c'è fuori.
“Non va per nulla bene Stan” mormora tra le
lacrime.
“Oh, capisco” guarda i suoi piedi Stan, come
mortificato “significa che la tua vita allora è proprio miserabile
e vuota”.
Il rombo di un tuono lo fa saltare.
Ma non è
un tuono, è la sveglia, e lui fradicio di sudore – e altro – è
al sicuro nel suo letto, solo con le sue lacrime, l'unica
testimonianza di un brutto sogno dal quale è libero.
*
Non sono state molte le occasioni in quei giorni a cui ha degnato
attenzione a Cartman, ma in un sola mattinata si rende conto Kyle di
non averlo notato per un semplice fatto: Cartman sparisce quando non
c'è lezione e si palesa solo poco prima di esse e, non appena la
lezione termina, è il primo ad uscire e non si presenta a mensa.
Kyle inizia a pensare che i momenti in cui scompare li dedichi
seriamente allo studio... possibile?
Sospetta, ma non ha prove, e
non vuole parlare di nuovo a Cartman.
Sospira.
Quel sogno non
gli sta rendendo le cose più facili, tuttavia è sollevato dalla
luminosità e dal chiasso che domina nei corridoi. Mai gli è stato
tanto gradito il rumore.
Entra nell'aula di scienze, è tra i
primi, eppure Cartman sembra essere lì già da un po'.
Lo
osserva, ha la testa china sul quaderno degli appunti (non credeva
fosse tipo da prendere seriamente appunti) e vorrebbe avvicinarsi,
anche a costo di pentirsene, pur di lasciarsi quel brutto sogno
triste alla spalle, ma rimane fermo, immobile, gelato dalle ultime
parole che Cartman gli ha rivolto: “uno stronzo è quello
che ti meriti, Kahl! Merda, soltanto che merda!”
e poi l'ha schiaffeggiato, per la seconda volta.
Come può
far finta di nulla?
Eppure questa premura lo irrita
ancor di più. E' come uno di quei fottuti cliché da fiction, perché
la realtà è sempre molto diversa da quella simulata, perché i
rapporti sono diversi tra persone e di certo lui e Cartman non si
sono mai scusati dopo una rissa, Cartman non si è mai dispiaciuto
per aver fatto lo stronzo e di conseguenza Kyle ha sempre fatto lo
stronzo anche lui, a cuor leggero.
Però la possibilità per
l'ebreo di vincere la scommessa comprometterebbe tutto, ma se proprio
doveva essere una sfida voleva fosse ad armi pari, per avere una vera
vittoria. Poteva dire a Cartman...
“Buongiorno Brof!”
Realizza solo dopo qualche secondo che qualcuno gli ha
stretto amichevolmente il collo col braccio e, questo qualcuno, è
Kenny, entrato in aula con alcune delle ragazze che frequentano
quella lezione.
“Cosa facevi in piedi impalato? C'è
qualche gnoc-” dà un'occhiata nell'aula Kenny e incontra per un
attimo lo sguardo di Cartman, che – pur non avendo nulla contro
Kenny – gli lancia un'occhiataccia per poi tornare ai suoi appunti.
Il biondo non trattiene neanche una risata. Considera Eric e
Kyle estremamente divertenti.
“Non è esattamente quello
che intendo con gnocca Brof, ma rispetto i tuoi gusti”.
Kyle
si sforza a non ricordare particolari eccitanti del suo sogno e a non
urlare contro Kenny.
Momento... ha appena ammesso
che c'era una parte eccitante nel suo sogno?
“Ho
la nausea...” si lascia sfuggire, e Kenny lo libera dalla sua
presa.
“Oh beh, non sono io quello che si ferma a
contemplare...”
“Finiscila Kenny. Piuttosto perché non
arrivi al punto? Lo so tanto che vuoi copiare i compiti” taglia
corto Kyle. Non ha voglia di litigare anche con Kenny, vuole avere
qualcuno con cui sedersi a mensa e poter parlare di frivolezze, o
problemi di famiglia, o qualsiasi altra cosa che non riguardi
Cartman.
“Tu sì che sei un caritatevole animo ebreo” fa
spudoratamente il lecchino l'altro, prendendo posto con Kyle tra i
banchi centrali mentre l'aula si riempe.
Kyle
tira fuori il quaderno, il libro e il suo astuccio e prima di gettare
a terra lo zaino, vede Stan entrare con Wendy. Il primo sguardo va a
lui, si scambiano un'occhiata che mostra un reciproco dispiacere, ma
nessuno dei due si saluta; Stan alza la mano e sorride soltanto
Kenny, ma non si avvicina e prende posto ai primi banchi insieme a
Butters, lontano da loro come da Cartman.
E' una situazione
imbarazzante e deprimente, ed è tutta colpa di quel culone... anche
se la responsabilità di quel brutto sogno la dà tutta a Stan, di
cui ripensa ancora alle parole prima che la sveglia suonasse:
“significa che la tua vita allora è proprio miserabile e
vuota”.
“Mamma mia,
che è successo? Sembra il giorno dopo un'orgia in cui si scambiano
solo sguardi imbarazzati e...”
“Finiscila Kenny. Parli
come se avessi esperienza di queste cose, quando non...”
“Mentre
tu, Stan e Cartman sì, suppongo”.
Scandisce meglio le
parole e alza il tono, vedendo qualcuno girarsi nella loro direzione
“Smettila, ho detto!”.
“Ok, ok... ma c'era qualcun
altro? Tipo... Butters? No perché solitamente mi saluta sempre,
invece oggi che sto vicino a te...”.
“Kenny, ti mando in
infermeria se non taci” mormora con tono che non ammette repliche,
e sospirando scocciato Kenny alza le mani in segno di resa e, penna
alla mano, inizia a copiare i compiti da Kyle.
Finisce appena in
tempo per l'arrivo del signor Stand - l'insegnante di biologia-,
ometto tozzo ma simpatico, che appena vede Eric offrirsi volontario
per l'interrogazione ne rimane piacevolmente sorpreso e non si
risparmia dei complimenti anticipati ed incoraggianti.
Tutti
sanno che il loro insegnante è un tipo che aiuta chi vede
volenteroso, tuttavia Cartman mostra in un quarto d'ora di aver
studiato in modo talmente impeccabile da non aver bisogno d'alcun
aiuto e la A che il
signor Stand scrive sul suo registro è assolutamente meritata, anche
se lascia tutti a bocca aperta.
Kyle si aspetta che Cartman si
volti e gli lanci un sorriso sornione che lo irriti, ma nulla di
questo accade e l'ebreo ne rimane deluso.
“Sembra che tu
perderai la scommessa amico” bisbiglia Kenny al suo fianco,
facendogli levare lo sguardo da Cartman “so tutto, l'ho sentito di
Butters e ieri Stan me l'ha scritto per messaggio” si interrompe
per non esser notato dal docente, e poi con fare vago continua: “mi
ha detto che voleva aiutare Eric, in scienze e matematica, ma lui ha
rifiutato il suo aiuto come quello di Butters per studiare. Pare si
stia davvero impegnando da solo”.
Ammette d'esser sorpreso
Kyle, Cartman è il tipo da sfruttare qualsiasi persona pur di
raggiungere un obbiettivo, è machiavellico.
“Perché l'ha
fatto?”.
“Non so, forse vuole solo mostrarti quanto sia
in gamba; sorprenderti”.
Non risponde, medita sulle parole
di Kenny.
Kyle è convinto di conoscere meglio di chiunque
Cartman, ma allo stesso tempo è consapevole che molte cose non può
comprenderle in quanto frutto di contorti ragionamenti o, se non
addirittura, privi di una base logica.
“Fossi in te Kyle,
io pregherei che non ti chieda di ciucciargli le palle se vince”
ridacchia Kenny, attento a non farsi scoprire, ripiegato su se stesso
e coperto dalle larghe spalle di Clyde, nel posto davanti a
lui.
“Ritieniti fortunato, ci sono troppi testimoni”
borbotta Kyle, aprendo il libro alla pagina richiesta dal professore
e togliendo ogni attenzione al compagno di banco e alle sue sciocche
fantasie.
Fantasie di Kenny o meno, quei pochi secondi in cui
Kyle non prende appunti, finisce per guardare nella direzione
di Cartman, incredibilmente preso dallo scrivere (appunti
probabilmente).
E' un'immagine inusuale, un comportamento che
diventa disturbante ai suoi occhi, è qualcosa che non fa parte delle
sue memorie, qualcosa che non è nella natura di Eric Cartman.
Irritazione o dispiacere? Si chiede cosa realmente provi, quale
due prevalga... e così vola l'ora, tra un ascolto passivo e sciocchi
interrogativi.
Senza rendersene conto, ha passato un'altra
ora, quel giorno, a pensare a Cartman.
*
Passano le
lezioni, passano le ore, passano sguardi d'intesa, passano i momenti
di silenzio che vorrebbero riempirsi di parole, passano le
sciocchezze provocatorie di Kenny e i suoni delle campanelle, finché
non arriva l'ultima, nell'ora più calda della giornata.
E Kyle
fino a quel momento ha meditato alle parole giuste per un approccio,
alle parole giuste per compiere la sciocchezza di cui si pentirà.
“Ehm... ciao”.
Cade di mano il libro di storia ad
Eric, perché dev'esserci qualcosa che non quadra in tutto ciò,
eppure Kyle è proprio davanti a lui, zaino in spalla, pronto anche
lui ad uscire dall'aula. Non lo guarda negli occhi, ma gli ha rivolto
la parola, la sua voce calma – un po' impastata d'imbarazzo – ha
accarezzato le sue orecchie.
Si volta indietro, non troppo sicuro
che stia parlando proprio con lui.
“Parlo con te Cartman,
sì”.
E' come fosse rinato qualcosa. Acqua che ha soccorso
un disidratato, ossigeno in un bosco in fiamme, un profumo che si
insinua nel fetore, la scossa di un defibrillatore che fa pulsare
vita.
“Oh... ehm...” balbetta, si guarda intorno, poi i
piedi, poi il suo interlocutore “è... successo qualcosa?”.
Di
norma si comporterebbe da stronzo, ma Kyle l'ha preso in contropiede
e l'ha fatto emozionare.
“Voglio che la scommessa sia ad
armi pari. Non mi piace vincere facile”.
Eric non capisce
se l'ebreo vuole la lite perché annoiato o bisognoso di sfogarsi, e
si prende qualche secondo per una risposta originale, un fortunato
svantaggio che dà modo a Kyle di aprire la tasca esterna dello zaino
e porgere alla sua nemesi un biglietto.
“Oggi c'è l'ultimo
spettacolo di Thor, se non sbaglio. Se vieni ti porto gli appunti di
matematica, il libro fa pena per come spiega la teoria e, giusto, per
rispondere alla domanda che so stai per farmi: no, non ti consegnerò
un mare di appunti falsi, non mi abbasso a trucchetti di una simile
leva, io”.
Cartman è confuso ed incredulo.
“...e
dove sarebbe la fregatura allora?”.
“Che dovrai sorbirti
Thor, anche se ti sta sul cazzo” taglia corto, ma palesando un
sorriso furbo che fa svolazzare farfalle nello stomaco di Eric.
C'è
malizia in quella curvatura di labbra, nel bagliore dello sguardo,
nel fissarlo intensamente negli occhi. Kyle forse non se ne rende
neanche conto, eppure Eric non può fare a meno di pensare che sia
dannatamente sexy e che Kyle è uno stronzo a mandare in tilt i suoi
ormoni e la sua ragione, un 'ok', in quel modo, l'ha sottratto
con l'inganno.
“Ok, posso... crederti” ma non lo guarda
negli occhi “ma perché dovresti farlo? Non credo tu voglia
lasciarmi vincere la scommessa”.
“Voglio solo sia una
scommessa che parte da una base leale”.
'Cazzate'
pensa Eric, ma si risparmia di dirlo per non rovinare
quell'occasione. “Non mi convinci Kahl, sono sicuro c'è un altro
motivo”.
Oh sì che c'è, ma Kyle – improvvisamente –
diventa un bravo attore e sospira “libero di credere quel che vuoi.
Io alle 19.00 sarò davanti al cinema con i miei appunti, se non li
vuoi peggio per te”.
E detto questo fa dietro front e indossa
il suo ushaka, facendo un altro sospiro – ma silenzioso – poiché
non credeva potesse esser così facile.
“Kahl?”.
“Sì?”
s'irrigidisce immediatamente, ma senza voltarsi. Le sue gambe hanno
fretta di uscire da quell'aula.
“A me Thor non fa così
pena... se c'è Loki”.
“Oh... bene” si volta e forza
qualcosa di simile a un sorriso, per poi liquidarsi, ignorando di
lasciarsi alle spalle un Cartman che ha appena toccato il cielo con
un dito.
*
Quando è davanti
al cinema Eric guarda l'orologio del cellulare e si rende conto di
essere in anticipo di un quarto d'ora. Patetico.
Si allontana,
deciso di perder tempo nella non lontana sala giochi, quando poi si
ferma sotto l'eco di un martellante pensiero: non è da lui arrivare
in anticipo, sì, ma non sta forse sudando e sfidando se stesso per
impressionare Kyle?
Si ferma e si mette con le spalle al muro, a
contemplare il cielo limpido. Ricorda che da bambino lo sognava,
sognava di raggiungerlo con i suoi mezzi, volare... e quando si gettò
da un tetto, convinto di poter planare con le sue ali artificiali,
l'aveva fatto sotto incoraggiamento di Kyle, che probabilmente voleva
solo vederlo morto. Pensieri del genere dovrebbero animare rabbia,
invece lui sorride: Kyle, facendo lo stronzo, non ha fatto altro che
incoraggiarlo ad essere migliore, a superarlo e – nonostante le sue
dichiarazioni d'odio – son sempre stati proprio quei comportamenti
bastardi a fargli prendere posto nella sua vita; sa che Kyle non lo
odia davvero, che è tutta colpa della sabbia nella vagina a cui sono
predisposti gli ebrei pel di carota, ma anche se l'odiasse veramente
gli andrebbe bene così, avrebbe il suo posto importante e i suoi
sentimenti non cambierebbero.
Eric non sa perché, ma la sola
presenza di Kyle nella sua vita lo diverte. E' tutto così
fottutamente noioso lì, tra la neve, e anche oltre... gli bastano
quattro parole per manipolare qualcuno a fare il suo volere, persino
chi si definisce geniale può manipolare. E' facile far leva su
emozioni e logica, è facile conoscere le persone, i loro pensieri, i
loro desideri e tutti sono maledettamente noiosi, ma non Kyle. Kyle
esula da quel triste piccolo sciocco mondo che Eric potrebbe fottere
in qualsiasi momento, nonostante la sua giovane età, ma Kyle...
probabilmente non potrà mai davvero fottere Kyle.
Stacca la
spina dei pensieri e sospira.
Kyle può essere prevedibile,
può conoscerlo meglio di se stesso, però non potrai mai
manipolarlo, quando ci prova e Kyle sembra giocare secondo i suoi
schemi, Kyle – facendo il suo gioco – vince, lo stupisce, mischia
di nuovo le carte in tavola e lo lascia insoddisfatto nella sua
dannata condizione. Eppure, nonostante ciò sia frustrante, è
maledettamente eccitante.
E sorride, anche se non c'è nulla per
cui sorridere: questi pensieri e altre ossessioni, candide e torbide,
hanno reso Kyle come ossigeno e, senza ossigeno, si muore.
Ironicamente, cinque minuti dopo, trova la ragione per avere
quel sorriso: anche Kyle è in anticipo.
L'ebreo, vestito di
jeans e una una griffata felpa gialla e l'immancabile cappello verde,
neanche lo saluta e guarda il suo orologio da 200,0 $.
Cartman
odia i soldi che sembrano uscire dal culo alla famiglia Broflovski,
dopo i Williams, sono sicuramente la famiglia più ricca di South
Park, merito di un grande successo di un paio di processi vinti due
anni prima da Gerald Broflovski che hanno reso l'avvocato più famoso
e pagato di Denver e dintorni.
“Credevo di essere io in
anticipo. Da quando in quai Cartman sei in anticipo per un
incontro?”.
“Sono solo arrivato ora” cerca di non dar
soddisfazione alla domanda di Kyle.
Come si aspettava il rosso
è stato preso in contropiede e non avendo alcun argomento decente da
tirar fuori, si accosta a un muretto dove poggia il suo zaino alla
ricerca degli appunti promessi.
Nel farlo gli dà le spalle ed
Eric ne approfitta per poggiare lo sguardo sul più bel sedere di
South Park.
Maledetta Bebe Stevens e le sue ragioni, si
concede di pensare Eric che – nella più assoluta indifferenza –
tira fuori il cellulare e, approfittando della distrazione di Kyle,
scatta una foto al fondoschiena stretto nei jeans, e la fotografia è
di qualità eccellente, grazie alla sua naturale dote di fotografo.
“Cosa stai facendo?” domanda Kyle volta voltandosi, dal
momento che l'ha sentito armeggiare col telefonino.
Ed Eric non
cambia la sua aria indifferente: “niente, fotografavo il cielo. Sto
tenendo un diario fotografico del cielo da qualche settimana”.
Chiude lo zaino e prende in mano gli appunti, un fascicolo di
fotocopie dei suoi quaderni, e torna a guardarlo.
“E a che
pro?”.
“Per le scie chimiche”.
Kyle scuote la
testa, sapendo delle manie ossessive di Cartman e delle sue credenze
a teorie del complotto, e onde evitare il nascere di una nuova
discussione – articolata da termini come stupido,
ritardato e ignorante –, cambia argomento.
Esattamente come Cartman aveva previsto.
“Queste sono le
fotocopie dei miei appunti dall'inizio dell'anno, ho pensato anche di
aggiungere qualche esercizio già svolto che ti facesse da
esempio”.
“Quanta premura” nasconde la sua reale
sorpresa, portando in tasca il cellulare e prendendo le fotocopie,
“mi fiderò dei tuoi appunti. Grazie”, nuovamente lo confonde con
la sua risposta che doveva invece punzecchiarlo su qualcosa come un
grande piano dell'ebreo allo scopo di farlo fuori, invece lo ha
anche ringraziato.
E' tutto negli schemi di Cartman per farlo
sentire una merda, è dura recitare, soprattutto ora che è solo con
Kyle, ma teme che un passo falso, possa portarlo a una reazione
esagerata ed estrema, proprio com'è nella sua natura.
Kyle sa
che quello non è il Cartman che conosce, e un po' ha timore, ma una
volta che questo pensiero risuona nella sua testa alimentando
apprensione, lo scaccia via.
“Anche se manca mezz'ora
all'inizio del film, andiamo a fare il biglietto” esordisce Eric
distraendo Kyle dalla sua coscienza, e guardando intorno coppiette e
gruppi d'amici diventar più numerosi ed irritanti con le loro
risate, le loro urla insensate e fatti personali sbandierati a chi
non frega nulla.
“Voglio prendere i posti migliori e star
lontano dai gruppi di coglioni che si ritengono fans della Marvel e
neanche sanno la formazione originaria degli Avengers”.
“Va
bene, andiamo”.
E dieci minuti dopo sono in sala, con tanto
di popcorn in mano, si stende un pesante ed imbarazzante silenzio che
mai c'è stato tra loro.
Banalità, frasi di circostanza e
nessuno dei due che usa un tono espressivo.
Nessun commento
alle stupide pubblicità sullo schermo quando lo spettacolo è in
procinto di iniziare, nessun commento ai trailers e poi il film
inizia e si prende ogni attenzione, anche se l'ansia di Kyle è
dietro l'angolo.
Kyle pensa sia divertente andare al cinema con
Cartman, quando Stan pregiudica una serie e Kenny non ha abbastanza
soldi per il biglietto (ma abbastanza orgoglio per non accettare che
Kyle glielo offra), lui e Cartman sono soliti andare da soli al
cinema e al rosso non è mai dispiaciuto questo, sono uscite che si
rivelano divertenti; è strano dirlo ma Cartman sa essere divertente
senza essere stronzo, e ancor più stranamente, è propenso a ciò
quando son soli o quando lui è depresso.
Quella sera però non
si sta rivelando divertente, gli lancia tre volte un'occhiata e lo
vede a guardare fisso lo schermo, non una parola o una risata o
un'imprecazione, non vuole però rovinarsi il film per questo non
dice nulla e al secondo tempo si mette comodo a godere di ogni minuto
dello spettacolo.
Dove inizia la recita e dove inizia la
realtà?
Se lo chiede Eric stesso. E' vero, vuole sorprendere e
confondere e far sentire di merda Kyle, ma ogni minuto che sta
passando con lui acquisisce la consapevolezza di sentirsi lui uno
schifo e che tutto ciò è totalmente sbagliato e triste, e vorrebbe
capire cosa diamine passa per la testa a Kyle.
Quando aveva
comprato quei biglietti aveva sognato quel momento, ora che il
momento era arrivato però l'unica cosa più emozionante della serata
realizza che sono i popcorn.
Quando il film finisce, sente
Kyle blaterare il suo commento a caldo del film, ma non lo ascolta,
impegnato piuttosto a fare i conti col suo malumore, che è simile
alla nausea, ma che non lo porterà a vomitare; piuttosto percepisce
– proprio nella sua carne – un vuoto.
Ed uscendo con Kyle dal
cinema si convince che quel vuoto è un buco nero che lo risucchierà
e porrà fine alla sua esistenza.
“E a te è piaciuto
Cartman?”.
Non ha capito cosa gli ha chiesto, e lo guarda
confuso, strabuzzando gli occhi, caduto dalle nuvole, ma forse anche
salvato dal suo buco nero.
“Che diamine hai? E' tutta la
sera che sei strano”.
No, Kyle non l'ha salvato proprio da
nulla.
“A me lo chiedi?” bisbiglia velenoso, pronto a
degenerare l'uscita pur di non sentire quel vuoto.
“Certo
che lo chiedo a te, chi altri ti sembra che...”
“Tu!”
gli urla contro Cartman puntandogli il dito ed ammutolendo Kyle, che
non si aspettava una reazione così violenta e che viene solleticato
dall'inquietudine nel vedere fuoco negli occhi dell'altro.
“Dillo
che ti sei pentito della condizione alla tua scommessa, dillo porca
puttana!”.
Kyle non lo ammetterebbe neanche sotto tortura a
se stesso, figurarsi a un Cartman che gli urla contro!
Kyle non
può ammetterlo, per tutta la vita è stato artigliato alla
convinzione che ogni suo problema ed ogni sua infelicità erano
dipesi dall'esistenza di Cartman, proprio come quando aveva avuto
quelle brutte emorroidi che stavano per ucciderlo. Una volta che
erano passate si era convinto che l'infelicità di Cartman fosse la
sua felicità, quindi non aveva motivo di non desiderarlo lontano
dalla sua vita.
“Perché mai dovrei?” gli risparmia
giusto un ti odio.
“Allora perché diamine mi hai
dato quei cazzo di appunti? Per quale profeta ebreo ti è passato per
la testa di invitarmi al cinema? Cos'è? Una specie di festicciola
d'addio o sei diventato ipocrita come Stan?”.
Kyle arretra
perché non ha una risposta. Cartman ha le sue ragione nella violenza
con cui gli si rivolge, non può negarglielo, ma... anch'io ho le
mie ragioni, afferma per difendersi da se stesso.
“Te
l'ho detto, non volevo fosse una sfida impari” e suona poco
convincente persino per se stesso.
“Mi vuoi fuori dalla tua
vita e mi aiuti? Ma che cazzo ti passa per la testa!”.
“Al
tuo contrario ci tengo a vincere lealmente!”.
“Balle
ebreo, questa è la più grande cazzata che hai detto in tutta la tua
vita, peggiore a non posso diventare un pirata perché sono ebreo”
allude a quelle parole, riportando a Kyle il tentativo di sbarazzarsi
di lui definitivamente facendolo andare in Somalia dai veri
pirati.
“Non tirar fuori storie di quando eravamo bambini,
cielo!”.
“Eri meno infantile di ora però”.
“Oh,
ma sentilo. Ricordami, quand'è stata l'ultima volta che ti sei
comportato da persona matura? Ah già, non può esserci un'ultima
volta senza una prima” lo provoca, assottigliando lo sguardo,
caricando di veleno le sue parole.
Vuole vederlo scoppiare a
piangere, o steso a terra, come nei suoi sogni, dove può
strangolarlo e farlo sparire.
Eric lo scruta per qualche
secondo, silenzioso, mandando giù l'incazzatura che però non può
estinguersi in quel momento.
Kyle non sta ragionando, sta solo
colpendo a vuoto nella speranza di ferirlo abbastanza.
Fa
scivolare da una spalla il suo zaino, lo apre frenetico e con sprezzo
gli lancia contro il fascicolo di fotocopie.
“Hai stampato più
di un centinaio di pagine per poter vincere tu, vero? L'hai fatto
proprio perché la nostra sfida potesse essere leale? Ma certo!”
E prima che Kyle con qualche insulto e qualche ulteriore
scusa assurda gli possa sfuggire, Eric lo afferra per il polso –
forse più forte di quanto avrebbe voluto – e avvicinandolo
pretende: “ammettilo. Ammetti di esserti pentito!”.
“Cartman,
lasciami, mi fai male!” è un coniglio stretto tra le spire di un
serpente che lo osserva bramoso con i suoi freddi occhi d'ambra, e la
cosa che più lo fa incazzare, che più lo fa dimenare, non è la
stretta, ma l'essere consapevole che il suo è il ruolo del coniglio.
“Ora sei diventato una checca piagnucolona Kyle? Dimmi la
verità!”.
E' vicino il suo volto e il poter osservare
quegli occhi di un verde inusuale che ricordano i boschi o i fondi di
bottiglia, il romantico e il dozzinale, lo emoziona, calma il suo
tono, ma non il martellare del suo petto.
Cartman incassa
l'isterismo di Kyle, non può nulla con la sua testarda voglia di
nascondersi, e pensa che quello è il terreno dove mettono le radici
della consapevolezza che triste è il destino dell'uomo.
“Tu...
hai paura”.
E Kyle diventa di ghiaccio come le cime delle
Montagne Rocciose, pallido com'è la neve sotto suoi piedi ed ovunque
intorno a loro, e fa silenzio, il supremo signore delle
montagne.
“Hai paura di me, oppure paura di...” muore
nella gola di Eric il resto. Lascia Kyle, e si allontana di qualche
passo, sistemandosi lo zaino in spalla, ma senza chiudere la zip.
“Lascia perdere. Preferisco non saperlo...”.
Alla fine
però è riuscito nel suo intento: far sentire Kyle di merda. Non può
saperlo Eric, ma sotto la nuvola di ricci si agitano pensieri di
varia natura ed il petto gli fa male.
Kyle ha sempre saputo che
Cartman ha una brillante intelligenza, ha sempre saputo che è un
tipo perspicace, che capisce bene le persone pur essendo privo di
empatia, e – proprio per questo – si sente ora umiliato nell'aver
mostrato quello che ha cercato di nascondere con tutte le sue forze.
Che Cartman gli volti spalle indignato e vada via è del tutto
giustificabile.
“Una cosa Kyle, e ricordalo...” si volta
un ultima volta verso il rosso, guardandolo dritto negli occhi e
mostrando la luminosità della sua determinazione: “...io non
perderò questa scommessa per niente al mondo, te lo giuro sulle mie
sacre palle”.
E quando si volta e si avvia verso casa, promette
a se stesso che studierà quanto basta a far sanguinare gli occhi se
necessario.
Kyle sorride un po' invece stringendo a se le
fotocopie che gli ha gettato con sprezzo; gli sembra che quella di
Cartman sia una promessa fatta proprio per salvarlo dalla sua stessa
stupidità, e nella notte, forse, sotto qualche stella cadente che
non nota, sussurra “...grazie”.
*
Giugno arriva,
sciogliendo ogni traccia di neve e facendo indossare a South Park un
abito di un brillante verde, particolareggiato dalla vivacità dei
colori dei fiori.
E il sole splende richiamando un caldo a cui
nessuno è abituato, ma di cui nessuno si lamenta, contenti di poter
indossare leggere magliette, gonne senza calze e sandali, che ogni
abitante mostra con vanto ricordando d'amare l'estate. Anche gli
adolescenti, nel loro giorno dei test finali, si preoccupano più di
essere in linea con le tendenze dell'estate che di non aver studiato
abbastanza. Tutti, eccezion fatta per tre persone, nella scuola media
di South Park: Kyle Broflovski e Wendy Testraburger, che si
contendono il primo posto come miglior studente che lascerà le
scuole medie, ed Eric Cartman per l'infame scommessa.
Prendere
ben sei dannatissime e sudatissime A, è stata l'impresa più
ardua della vita di Cartman, dal momento che è partito con il
vantaggio di una sola eccellenza. Guadagnarle in inglese e spagnolo
non è stata una sfida particolarmente difficile, ma le ore e il
sudore per ottenerle in Scienze Naturali, Arte e Geografia, non
l'avrebbe mai e poi mai dimenticato e ancor peggiore è stato
salvarsi dall'insufficienza di matematica è stata un'impresa
titanica e, davanti al foglio con le domande, c'è l'invito a
replicare le sue fatiche erculee.
Tre ore di test volano,
col sottofondo dei canti dei passeri e il sole che illumina
maestosamente le aule.
Ed Eric Cartman alla fine di quelle ore ha
le occhiaie, gli occhi rossi, i capelli in disordine e il costante ed
ansioso pensiero: ce l'avrò fatta?
Non ha più parlato
con Kyle, ha rivolto qualche volta la parola a Stan e a Butters, ma
l'unico che gli è stato vicino davvero è stato Kenny, il quale gli
ha donato graditi silenzi e la consapevolezza che come lui Eric non
ha mai preso – pur impegnandosi – un voto superiore al 70.
Eppure, nonostante tutto, Kenny è l'unico che gli ha detto che
ce l'avrebbe fatta senza ombra di dubbio.
“Allora, com'è
andata?” osa il biondo una volta che sono fuori dall'istituto, nel
momento in cui Eric ha smesso di parlare da solo riguardo a cose
incomprensibili alle orecchie dell'altro.
“...ho risposto a
tutto, quindi dovrebbe esser andata bene, no?”.
“E lo
chiedi a me?” lo deride Kenny che studia il suo volto “sembra che
cerchi di convincere te stesso chiedendomelo. E con quella faccia da
zombie incuti più timore che altro, tra poco le palle dei tuoi occhi
rotoleranno via...”.
“Era il mio obbiettivo studiare fino
a far sanguinare dagli occhi, quindi non sarebbe un problema”.
“Vuoi un applauso?”.
“...Kenny, l'impegno paga,
vero?” più che una richiesta quella di Eric sembra una supplica
per mettergli il cuore in pace, farlo rilassare e poter aspettare per
qualche giorno in attesa dei risultati.
Ma Kenny è un tipo
odiosamente onesto.
“Questo è quello che dicono a un
idiota qualunque per fargli credere che potrà essere quello che
vuole nella vita e che gli permetterà di auto-compiacersi della
puzza delle sue scorregge”.
E lo sa Eric. Ma vorrebbe
illudersi, per questo alza il dito medio al suo presunto migliore
amico.
“Ti odio Kenny. Fottiti. Me ne vado a casa... ad
ibernarmi”.
*
Il giorno
dell'esposizione dei quadri è un giorno importante, per tutti, ma
particolarmente quando ti chiami Kyle Broflovski e sai che il tuo
valore di figlio è scritto in numeri sulla classifica dei punteggi
dei test.
Sheila e Gerald vogliono bene al loro ragazzo, contano
molto su di lui ed in lui hanno riposto il loro orgoglio.
Da
quando ha terminato le elementari Sheila è più liberale nei suoi
confronti e meno invasiva nella sua vita, mentre Gerald pensa al
benessere economico di tutti e ha investito molto denaro perché un
giorno possa frequentare il miglior college, ma tali privilegi devono
essere ripagati nel miglior dei modi e Kyle l'ha capito quando al
secondo anno di scuola media aveva preso due B e un punteggio
di 90 a un test: non era quello il risultato atteso, non era
abbastanza, era un voto distinto, ma non l'eccellenza e Kyle era in
dovere di collezionare A, collezionare complimenti dai docenti
ed essere il primo, studiando sodo, sempre, senza trascurare mai
niente.
Ora ha concluso le scuole medie, l'attendono le
superiori, la scuola di simulazione della vita, e Sheila la sera
prima ha dichiarato le sue speranze ed attese, che Kyle si augura
siano concretizzate.
Si è alzato presto e di buon ora è uscita,
e nel percorso per raggiungere la scuola è stato a lungo al telefono
con Stan che era quasi arrivato a sua differenza, e a lui ha
confidando le sue ansie, ma adesso nota che i suoi ricci gli
ricadono sulla fronte imperlati di sudore, i jeans sono troppo
pesanti e la camicia a maniche corte vorrebbe sbottonarla; copre gli
occhi con una mano e guarda il cielo di un azzurro pittoresco e nota
che il sole è bello che alto, tutto ciò è indice di quanto abbia
perso tempo camminando, allungando il percorso, temporeggiando su un
risultato che gli mette ansia e che... non è il suo.
E'
abbastanza convinto di aver fatto un lavoro non ottimo, ma
eccellente, anche se non vuole cantar vittoria ed esser troppo sereno
su questo, però... è il risultato di Cartman che gli mette ansia.
Ed è abbastanza convinto che, vinca o perda la scommessa, non avrà
nulla di cui gioire.
Si sente stupido.
'Spero, in ogni
caso, non faccia troppo male'.
E a quel pensiero segue la
vocina della sua coscienza, che tanto gli sembra maligna per il modo
in cui lo imbarazza: lo pensi perché gli vuoi bene dice, e
non una volta. Kyle scuote la testa però e si concentra sui suoi
passi, su quello che lascia indietro senza curarsene, siano ombre o
nulla, e portando attenzione ad ogni attuale passo, prospettive
future non sembrano tanto terrificanti anche se ignote.
E'
vicino all'istituto una decina di minuti dopo. Ci sono gruppi di
ragazzi sorridenti, qualcuno incazzato che calcia l'erba ed urla
all'amico, gruppi di ragazze che con toni squillanti che parlano
delle vacanze che le attendono; poi ci sono le coppiette vomitevoli e
quelli che semplicemente si allontanano con il volto segnato dalla
preoccupazione, forse perché rimandati o perché hanno collezionato
troppe insufficienze?
Eppure quella cupa espressione potrebbe
essere sul volto di Kyle se scoprirà di aver ottenuto un punteggio
poco inferiore a 100, o forse... potrà avere quell'espressione seria
anche con un 100.
Fa un cenno di
saluto a chi conosce, evita con imbarazzo occhiate di ragazze, e
scruta tra i volti, tanti di essi seri, e poi, sorpassato il
cancello, sorpresa: un volto serio ha gli occhi puntati su di lui.
Deglutisce e poi acquisisce un passo spavaldo nonostante gli occhi
fissino terra e su di essa vorrebbero rotolar via.
Eric Cartman,
con innaturale compostezza è lì, ed è proprio lui ad avere il
volto più serio di tutti.
“...ciao”.
Cartman non
risponde, ma saluta con un cenno.
Si scambiano lentamente
un'occhiata, poi lo sguardo di Kyle finisce sulle sue scarpe, mentre
quello di Eric si perde nell'erba fuori dai cancelli.
Solo quando
si sentono troppo stupidi per essere in reciproco imbarazzo tornano a
guardarsi a testa alta.
“Ho visto i quadri” esordisce
Cartman, spezzando il silenzio, ma non la tensione.
A Kyle
brucia lo stomaco.
“Sei arrivato primo totalizzando il
massimo. Suppongo dovrei complimentarmi...”
E come
sospettava Kyle, sapere di essere primo non lo fa star meglio. “E
tu?”.
Vede distintamente Eric mordersi le labbra e fare
un'espressione strana. Alza gli occhi al cielo e scrolla le spalle,
portando nelle tasche le mani.
'Non può essere, lui ha
promesso che avrebbe...'
Conosce
Eric Cartman meglio di chiunque altro e sa che quando fa una promessa
la mantiene. Cartman non può...
“Hai vinto
Kyle”.
Non riesce a gioire.
Non riesce a sorride.
Non
riesce a dire nulla.
Non c'è nulla che ha il sapore della
vittoria.
Ha perso vincendo, ha creato la disfatta con le sue
stesse mani.
Sente chiaramente che entrambi son vinti dalla loro
stupidità, ma più pesante è la stupidità che sente sulle spalle
Kyle, che potrebbe ritirare, basta togliere l'orgoglio di mezzo, ma
esso è cera che aderisce alla sua pelle, perfetta nell'apparenza e
dolorosa nella realtà.
Sente distintamente l'ingloriosa
vittoria, peggiore della sconfitta, una delusione che non ammette
rabbia e rimpianto, è un boccone avvelenato da mandar giù e –
Cartman ne godrebbe se sapesse – ma probabilmente è come aver
sabbia nella vagina.
E poi, oltre l'irritazione, oltre la rabbia,
la delusione e tutte quelle altre violente emozioni che non può
liberare; c'è altro lì, le ossa della verità, quello che sa
rimarrà pian piano che dei brandelli del suo dolore, che cadranno
nelle fauci di se stesso: miseria e nulla.
“Beh...
nessun gnegne ho vinto Cartman e tu hai perso?”
“Non...
non ne vale la pena”.
“Dovrebbe però, visto che non
rovinerò la tua splendida vita da studente delle superiori”.
Non
c'è rimprovero però nella voce di Cartman. Kyle lo guarda, vorrebbe
dir altro, ma cos'altro c'è da dire? Che si sente esattamente come
dopo una sega?
Non ne valeva la pena, non c'era nessun vincitore,
ma non avrebbe ritirato nulla, perché era la sua occasione, la cosa
giusta da fare per sradicare la sua parte insana che pensava
eccessivamente troppo ad Eric Cartman, un Eric Cartman che aveva
visto urlare e fare il folle innumerevoli volte e che ora sorrideva
beffardo, mascherando probabilmente quanto male provava, ma che
voleva nasconderlo per farlo sentire in colpa. E in colpa si sentiva,
sì, ma mai l'avrebbe ammesso.
“Sono sicuro che, se ti
comporterai da persona civile, anche tu l'avrai”.
“Civile?”
domanda beffardo Eric, portandosi una mano tra i capelli,
scompigliandoli.
“Non esiste nulla di più schifoso ed
innaturale della civiltà”.
Anche Kyle fa una risata
nervosa, irritata. Cosa deve aspettarsi da lui?
“Non
mi aspettavo risposta diversa da te”.
“Non mi aspettavo
reazione diversa da te”.
Gli occhi di Kyle sono di un verde
più scuro, palesano il fastidio delle parole di Cartman, quanto
quello per il suo sguardo diretto, che lo sfidano a smentirlo.
“Cosa
credi sia la civiltà che ami tanto Kahl? E' assassina della natura
umana, è un cumulo di merda artificialmente profumata e colorata, ma
tutti, per un presunto bene superiore, la invocano e fingono di
professare la sua legge, sopprimendo i loro istinti...” un passo
verso Kyle “... i loro desideri...” un altro passo “...la loro
volontà...” e Kyle indietreggia “...i loro sentimenti...” un
altro passo in avanti di Cartman ed uno indietro per Kyle “...la
libertà”, si ferma. Silenzio.
“Anche se ti fa incazzare, io
preferisco l'inciviltà che lascia trasparire il mio mondo e quello
che provo”.
“Tu hai solo odio e disprezzo per tutto,
Cartman” vorrebbe essere una difesa, quella.
“Ho odio e
disgusto per quasi ogni cazzo di cosa che c'è al mondo, è vero” e
si fa serio, una serietà che acquisisce una luce dorata nel suo
sguardo.
“Ma c'è un sentimento in me che è più grande,
devastante e condizionante in ogni fottuta giornata. E non è odio,
l'odio che provo per ogni maledetto respiro del genere umano è
insignificante, a confronto”.
Kyle non comprende, Eric lo
sa.
“Stai cercando di impressionarmi per lasciarmi un buon
ricordo di te?”.
E Cartman lo
osserva per una generosa quantità di secondi, poi sbuffa divertito
scuotendo la testa:
“era proprio questo che intendevo dicendo
che triste è il destino dell'uomo” ora lo ricorda, e lo ricorda
anche Kyle, che trema appena fuori, mentre dentro di lui vi è un
terremoto che lascia solo tanta ma tanta paura, e il silenzio.
“Beh,
ci vediamo in giro ebreo” e abbassa la testa, camminando lontano da
lui, ma non velocemente, non scappa, si allontana ciondolando; è una
figura compassionevole, che Kyle vorrebbe fermare, ma che in nome
della civiltà lascia andare, con rimpianto, ma sicuro che un giorno
lui stesso capirà d'aver fatto la cosa giusta.
Forse,
diplomati, si rincontreranno, e sapranno avere una conversazione
decente degustando una decente cioccolata calda, che per la prima
volta bollirà più dei loro spiriti, e dolce e gradevole sarà il
suo sapore, come quello che avranno nelle loro bocche nel parlare di
se, e di quello che è stato il passato e, ancor più, di quello che
è il loro presente.
Kyle lo desidera, lo spera, perché se
quella soluzione masochista è il prezzo da pagare per la sanità dei
loro animi, lui vuole pagarlo, e accetterà il ruolo del cattivo, ma
vuole un futuro in cui si realizzino le sue speranze, speranze per
una vita sana anche se triste.
Entra camminando distratto per
i corridoi, finché un agitato Stan non gli va incontro.
E'
felice di esser tornato a parlare con lui una settimana fa, gli
mancava poter parlare col suo migliore amico, i silenzi lo facevano
piangere, ma ora... nonostante è felice Stan sia lì, ora... non ha
alcuna voglia di contatto umano, di parlare, perché c'è un vuoto
che fa male in lui.
“Kyle, hai saputo di Cartman?”.
“Sì,
l'ho incontrato poco fa” il tono è monocorde.
“Mi... mi
spiace”.
Non gli va di parlare, ma si concede parole sincere
finalmente: “me l'avevi detto che me ne sarei pentito, quindi non
dire che ti dispiace. Sapevamo cosa stavamo facendo”.
Stan
rimane in silenzio per un po', guardando intorno, nei corridoi in cui
gli studenti si disperdono per raggiungere l'uscita.
“Ho
capito le tue condizioni della scommessa, avevi le tue ragioni. E in
fondo sappiamo che è uno stronzo”
“E' uno stronzo”
conviene Kyle, senza un sorriso “ma avevi ragione in fondo. Gli
voglio bene in qualche strano e malato modo”.
Stan sbarra
gli occhi, cade in uno strano imbarazzo che lo fa balbettare sillabe
a caso, prima di formulare una frase con senso compiuto:
“ricordatelo, quando da domani imprecherai il tuo odio per lui,
fino alla fine delle superiori”.
Kyle guarda confuso
l'amico: “cosa?”.
“Beh Cartman cercherà di umiliarti in
ogni modo e tu rimpiangerai d'aver scommesso con lui”.
Kyle
sbatte gli occhi più volte, come se quella fosse un'illusione. “Che
stai dicendo Stan?”.
“Sto dicendo che da domani, fino a
che non ti diplomerai, maledirai Cartman ogni fottuto giorno, come
hai sempre fatto dalle elementari”.
“Ma Cartman non verrà
nella nostra scuola, era quella la condizione”.
“Ma
Cartman ha vinto, quindi ti umilierà con le sue condizioni e farà
lo stronzo come ha sempre fatto”.
“Cosa?”.
Caduta
libera dalle nuvole al terreno roccioso. Si ripete, stridulo ed
esilarante: “cosa?!”.
E prima che Stan apra la bocca per
rispondere, c'è polvere davanti a lui, come in un cartone animato,
polvere è quello che rimane della presenza di Kyle che, scontrandosi
anche con qualche amico, raggiunge, facendo a gomitate, la bacheca
davanti alla Presidenza che mostra i migliori cinquanta studenti
dell'istituto con i loro punteggi.
Kyle è al primo posto, con i
suoi cento centesimi, ma non è quello che guarda, ignora se stesso,
il suo prestigio, gli sguardi ammirati ed invidiosi di chi gli è
intorno e che sanno di non poter competere con la sua bravura.
L'attenzione di Kyle va a diciannove posizioni sotto la sua,
lì dove è espresso il punteggio totale – senza trucco né inganno
– di Eric Theodore Cartman: ottantaquattro.
“Quel...
quel figlio di pu-” il cellulare gli vibra nella tasca e lo prende,
d'istinto, non convinto nel leggere il nuovo messaggio, ma quando
vede il suo destinatario, preme OK e avido legge il
contenuto:
'Gnegnegne. Io ho vinto e tu hai perso,
gnegnegne. E nella remota eventualità in cui avessi vinto ebreo, mi
hai mostrato che ti saresti comportato da fighetta perdente. Sei
proprio uno spasso! Preparati, il vero divertimento inizia da domani:
ore 7.00 a casa mia. Sii puntuale e non tentare di fuggire a San
Francisco o in Israele'.
...Kyle aveva mai detto al mondo
quanto odiasse Eric Cartman?
Il nulla e la miseria non erano
il massimo, ma sarebbero state ottime compagne rispetto alla caotica
esistenza di colui che ha sempre riempito la sua vita di incubi.
Un
incubo su cui, oltretutto, si fa le seghe.
“...che schifo”.
Perché, davvero triste, sa essere la natura umana.
Empty and hollow: il titolo è preso dalle parole di Stan dette a Cartman nell'episodio 10x2 Smug Alert ("without Kyle your life is empty and hollow"), che in inglese indicano la stessa cosa, il vuoto, il nulla, ma insieme rinforzano il significato. In italiano è stato tradotto, in "vuota e noiosa", ma più corretto ritengo sia dire "miserabile e vuota", in quanto più denso di significato è il concetto.
Panta rei: Pánta rhêi hōs potamós (in greco πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός), tradotto in tutto scorre come un fiume, è il celebre aforisma attribuito a Eraclito, ma in realtà mai esplicitamente formulato in ciò che dei suoi scritti conosciamo, con cui la tradizione filosofica successiva ha voluto identificare sinteticamente il pensiero di Eraclito con il tema del divenire, in contrapposizione con la filosofia dell'Essere propria di Parmenide. (Direttamente da Wikipedia la miglior spiegazione sintetica).
Confida i suoi dubbi amletici a una barretta energetica, che brama, che vorrebbe nel suo stomaco, ma con la quale preferisce parlare: l'idea l'ho presa da Business of my (House)band della mia amica LadyKokatorimon. Eric che parla col cibo, facendo così terapia, la trovo davvero geniale e perfetta per lui.
Ormai i feti abortiti non valgono più così tanto, visto che la ricerca sulle staminali non è permessa: riferimento esplicito a quanto accade nell'episodo 5x13 Kenny Dies. Alla fine di quell'episodio però la ricerca delle staminali è permessa, ma secondo l'attuale legge vigente negli U.S.A. non è possibile invece. Non so se la legge in questione è cambiara nel tempo o soltanto nell'universo di South Park fu approvata, ma ho voluto portare le cose sul piano dell'attuale realtà.
Lola Brown: il personaggio di Lola (che ricordo essere lei) non ha un cognome, per tanto ho dovuto inventare e che - molto originalmente - ho preso dal colore dei capelli. Sapete, i cognomi comuni non sono così brutti dopotutto.
True Blood: famoso telefilm della HBO, che narra le avventure paranormali, sentimentali e sessuali di Sookie Stackhouse e della cittadina di Bon Temps, in un'America futura dove i vampiri, ed altri esseri sovrannaturali, si sono rivelati agli umani grazie all'invenzione del sangue artificiale chiamato True Blood (da qui il titolo del telefilm appunto), e ciò porta il mondo ad essere diviso tra fiducia e sfiducia verso la razza non umana, che dichiara invece di desiderare una pacifica convivenza con gli umani e non essere discriminata... o questo almeno è quello che viene detto. La storia ruota intorno alla misteriosa e sfortunata Sookie che si ritrova innamorata di un vampiro dai modi gentili, Bill Compton, con cui vorrebbe vivere una tranquilla storia d'amore, ma la sfortuna e i guai sono dalla sua parte, visto che da quel momento omicidi e fenomeni inquietanti iniziano a sconvolgere la sua vita, creature non umane iniziano a rivelarsi a lei, che ha tutto meno della comune essere umana e per questo entra nell'interesse anche dell'affascinante quanto crudele Eric Northman, vampiro secolare e sceriffo della zona (e quindi tenuto a tenere l'ordine e a far sì che i vampiri regolino dritto) che acquisisce importanza nel corso delle stagioni. Il telefilm è liberamente ispirato alla saga scritta da Charlaine Harris Il ciclo di Sookie Stachouse (The Southern Vampire Mysteries, in originale) che inizia nel 2001 con Dead until dark ( in Italia ribattezzato Finché non cala il buio) e che ha concluso quest'anno con Dead Ever After (Morti per sempre). Non ho citato la saga per caso, importante in essa è il triangolo sentimentale tra Bill/Sookie/Eric, i quali, come personalità, ricordano fin troppo i nostri cari Kyle (Sookie), Eric (l'altro Eric) e Stan (Bill), e tutto ciò è molto divertente.