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Autore: Setsuka    22/08/2013    7 recensioni
“Triste, è la natura dell'uomo”.
“Non è triste. Non per noi. E' disgustosa”.
“Non sono io quello che il Sabato va a lodare Dio”.
Genere: Angst, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Eric Cartman, Kyle Broflovski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5.Empty and hollow
La mia estate è passata dando esami, nel casino di un cambio di mobilio, e scrivendo questo capitolo che riesce a venir fuori ora, nonostante il tempo, i miei nervi, ed altre questioni personali non mi invogliassero a mettermi alla tastiera e a tirar fuori quello che avevo dentro, ma è un capitolo speciale questo.
Perché speciale? Perché scritto per una delle due persone a cui l'intera storia è dedicata, Mattie Leland, e il nuovo capitolo è il mio regalo di compleanno per lei, che spero apprezzerà.
In origine doveva esser pubblicato prima questo quarto capitolo, non era stato pensato come regalo; mi son messa però armata di pazienza al lavoro rendendolo speciale, lavorando nel modo in cui la cara Mattie potesse apprezzarlo di più, e visto un contrattempo che ha tenuto lei lontana dal pc nei giorni del suo compleanno, mi son permessa di esternderlo. 
E' un capitolo chiave per la storia, di umori e sensazioni ricorrenti, di spazio per Stan (credo di non aver mai dedicato tanta attenzione a lui in tutte le mie fanfictions), di spazio per l'amicizia, ma anche un capitolo in un certo senso di rottura, di passaggio, un passaggio che ora non si nota, su un futuro di aspettative ed incertezze e... la questione affrontata non è un caso. Ti faccio gli auguri anche qui Mattie, perché sarà un'età importante questa, che spaventerà un po', ma da ora muoverai i veri primi passi verso la vita, una vita che ti auguro radiosa il più possibile, in cui sicuramente troverai ostacoli, spaventeranno, quindi ti auguro di avere sempre l'energia per affrontarli, superarli, e questa energia ce l'hai, perché sei speciale, quindi non dimenticarlo mai!
E vi informo, che non ho dimenticato (chi era su Facebook qualche settimana fa, sa di cosa parlo), visto che la storia ha raggiunto le quindici recensioni, ci sarà un capitolo speciale. Non sono ancora certa quando sarà il momento giusto per inserirlo, ma potrebbe arrivare come doppio aggiornamento o storia/oneshot a se stante; vi informo però che per il prossimo aggiornamento dovrete probabilmente aspettare un po', fin'ora son riuscita ogni mese ad aggiornare, ma dal prossimo mese devo mettermi sotto con la scrittura della mia tesi di laurea, quindi non penso avrò tempo e forze da dedicare alla scrittura di fanfictions, ma spero sempre che voi mi seguiate e non pensiate a un mio abbandono alla storia.
Grazie a tutti coloro che hanno recensito e che ho avuto modo di conoscere, e grazie infinite in quanti recensiranno dandomi così una piccola gioia di cui ho davvero bisogno in questo periodo tanto difficile, una gioia per voi magari insignificante, ma che per me vale tanto, tantissimo, come se mi regalaste dei granelli di oro-
A presto, spero che questa sarà per voi una piacevole e divertente lettura. 





Empty and hollow.






Panta rei*. Perché curiosa è la natura umana.

Ogni volta che riportava la mente alla sua infanzia, Stan, vedeva due bambini diversi.
Quando era più piccolo osservava il mondo con i suoi grandi occhi blu, incerto, timoroso nell'interagire con il prossimo, timoroso nel muovere passi nel mondo. Ma aveva saputo strappare la pelle dell'insicurezza, inghiottire – senza vomitare – ogni paura, deciso ad affrontare tutto con coraggio, arroganza anche, perché c'era sempre stato Kyle al suo fianco, a prenderlo per mano, a fargli affrontare le sue paure, a gabbarsi del mondo con lui perché, gli aveva mostrato, che non era così terrificante, piuttosto abbondante di idiozia ed ignoranza. E lui era intelligente, furbo, con talento – gli aveva sempre ripetuto Kyle –, per tanto aveva tutto il diritto di vivere a testa alta, fiero di se stesso.
Però quando non era un buon amico non aveva nulla di cui esser fiero, Stan.
E se sapeva che Kyle aveva fatto una stupida scommessa che avrebbe rovinato il loro gruppo, allora aveva paura, c'era qualcosa che non andava e... farci caso tardi non lo faceva sentir fiero. E se vedeva poi un Butters nel corridoio che piangeva, rivelandogli che era a causa di Kyle che lo ignorava, senza neanche commettere lo sbaglio di incrociare il suo sguardo, allora ammetteva che non comprendeva il suo migliore amico, e questo non lo faceva per niente sentir fiero ma, piuttosto, lo faceva solo che sentire un fallimento.

Panta rei. Tutto scorre, perché è la natura umana il cambiamento persistente, tuttavia è un'esperienza dolorosa se non si nota e da un giorno a l'altro sono le conseguenze del cambiamento a fartelo notare, inciampare, e – inevitabilmente – soffrire.

Trema un po', perdendo il filo dei suoi pensieri nel dolore, ma imponendosi coraggio e durezza, perché nel momento in cui Kyle finirà il suo turno di pulizia del laboratorio di chimica dovrà essere severo e dirgli chiaramente che sta facendo una serie di stronzate che non sono da lui, non sono giustificabili e delle quali rischia di pentirsi amaramente.

Più di una decina di minuti dopo, vede uscire Kyle dall'istituto, e trema ancor più, ma stringe i pugni e non ricambia il sorriso di Kyle.

“Mi hai aspettato? Non dovevi! Comunque Stan sai, ho dei biglietti del cinema per andare a vedere...”.

“Kyle, dobbiamo parlare”.

“Ok” ha finito le sue pulizie, ha lo zaino in spalla con pochi libri e nessun programma per il pomeriggio, senza contare che sono sulla scalinata della scuola e non c'è che quasi nessuno ormai, visto che la campana è suonata da una ventina di minuti e più: può ascoltare il suo miglior amico e parlar con lui quanto vuole.

“Ecco... diciamo subito che non è per niente ok”.

“Oh... è successo qualcosa con Wendy?”.

“No Kyle, è te che riguarda” vorrebbe dirgli che ha saputo che ha fatto lo stronzo, che lui lo conosce e sa benissimo che non lo è, perciò deve rinsavire, ma... non è così facile e preferisce girare intorno alla questione.

“Ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio?” cade dalle nuvole, portandosi la mano tra la voluminosa e soffice testa rossa, come a cercare tra i ricci il ricordo di qualche sgarbo, ma non crede d'aver fatto proprio niente di male a Stan.

“Ho saputo della scommessa tra te e Cartman”.

“E... allora?”.

Una domanda che è sufficiente a scaldare Stan e a fargli alzare il tono, scandalizzato.

“Come allora? Kyle, amico, che ti è preso? Sai benissimo che Cartman non riuscirà mai a prendere tutte quelle A e ad avere un punteggio così alto al test finale! Così andrà davvero in un altra scuola superiore, lontano da noi e non...” nella mente di Stanley un'immagine colorata di loro quattro sorridenti sbiadisce “...non saremo più noi quattro”.

Kyle non ha alcuna immagine sbiadite di fronte alla sua coscienza.
Kyle non pensa di aver sbagliato.


“Stan, è stato lui a proporre questa sciocchezza, a me non importava, ma ho colto la palla al balzo vista la sua testardaggine e i suoi risultati saranno il frutto della sua stupidità, inoltre...” il verde diventa brillante nei suoi occhi “ce ne libereremo, finalmente non dovremmo più sentire le cazzate di quell'idiota e finire nei guai”.

Stan lo ferma, non vuole sentire altro: gli mette le mani sulle spalle e lo scuote, come per farlo rinsavire, o fermare dal dire altro: non può essere serio, è stupido, e falso e crudele quello che dice.
Se ripensa a uno dei suoi maggiori timori di quando era bambino, uno di questi era che Kyle potesse allontanarsi da lui preferendo come miglior amico Cartman; litigavano sempre Kyle e Cartman, persino quando avevano la stessa opinione su qualcosa, ma era evidente che quelle liti – per quanto aspre – non cambiavano la chimica che c'era tra loro e neanche il dato di fatto – mai ammesso – che si volessero bene. Stan aveva avuto paura per anni di ciò, consapevole che il suo rapporto con Kyle era totalmente diverso, basato su delle radici e una chimica diversa, ma alla fine si era messo il cuore in pace per abitudine, perché Kyle era rimasto sempre fermo su quel punto: lui era il suo super-miglior amico, e sembrava che altre ipotesi non fossero contemplate.
Era palese però che tra loro quattro (più Butters, che però è giusto mettere solo tra parentesi, come un bonus) c'era un legame speciale e che nessuno avesse il coraggio di dire a Cartman che gli volevano bene, ma la verità – alla fine – era proprio quella e Stan non può contemplare un futuro dove loro quattro (più Butters, sempre) siano separati, e non può accettare che dopo tanti anni Kyle voglia liberarsi
davvero di Cartman.

“Kyle, tu non dici sul serio e dovresti ascoltarti e riflettere!”

E quelle parole lo fanno allontanare da Stan, dalla sua presa, quasi come fosse stato scottato. Scende le scale velocemente e imbocca la strada per casa, scappando dall'amico che rimane sulla scalinata alquanto stordito.
“Kyle!” lo chiama e lo richiama con voce più alta.

“Non ho nulla da dire, Stan” afferma quando l'altro lo raggiunge. Non è da lui fare così con Stan, ma lo ferisce il fatto che non lo comprenda e che improvvisamente prenda le parti di Cartman.

“Non devi dirmi nulla, nessuna spiegazione: lo so, sei arrabbiato; Cartman sarebbe capace di far incazzare un monaco buddhista, ma non è da te comportarti così, arrivando ad estendere il tuo malumore su Butters”.
Vede Kyle non dire una parola e continuare a camminare, si chiede se in qualche modo stia riflettendo, comprendendo che ha sbagliato, ma non arrivano indizi dalla sua espressione.

“Stan, devo ricordarti che l'ho lasciato andare in Somalia sperando che morisse? E ricordo che anche tu eri entusiasta della cosa, però... ora che non voglio semplicemente che frequenti la scuola con noi e ci rovini la nostra vita da studenti delle superiori, ne fai una tragedia, perché?”.

Non può che lanciargli un'occhiata incredula Stan: “Kyle, avevamo nove anni all'epoca!”.

“Quello che provo non è cambiato” taglia corto, rendendosi poi immediatamente conto della falsità delle sue parole e arresta il passo.
Tutto è cambiato, persino se stesso.
Ma trovando gli occhi di Stan puntati su di lui continua a mentire, recita, stando male, perché non vuole farlo, ma si sente costretto: “lo odio come quando ero bambino, sempre l'ho odiato e sempre lo odierò. Ne ho abbastanza delle sue cazzate, dei suoi insulti, dei suoi giochetti, delle sue battute, delle sue paranoie; fino ad adesso l'ho accettato, ho sopportato, mandato giù, ma dal prossimo anno voglio solo una tranquilla vita da adolescente, niente di più. Cosa c'è di male in questo?”.

“Tutto” Stan non lascia un secondo di silenzio tra la domanda di Kyle e la sua risposta “ed è terribile che tu dica certe cose, fa... male, e mi dispiace. Soprattutto per te”.
Stan diventa accigliato, abbassa lo sguardo e cerca ispirazione dalla punta delle sue scarpe; Kyle sa essere testardo a livelli superiori dei suoi – che non sono uno scherzo! – e sordo, e cieco, e... sa che così si farà solo del male.
“Noi siamo cresciuti insieme, siamo sempre stati insieme, ne abbiamo passate di cotte e di crude, ce la siamo vista brutta tante volte e tante volte ci siamo divertiti insieme... e abbiamo riso, ci siamo offesi, traditi, presi a pugni, litigato, ma comunque siamo sempre stati insieme come una sorta di famiglia. Lo so che pensi,
perché prendi le parti di Cartman?, perché è mio amico, ma soprattutto – anche se non te ne rendi conto – mi sto preoccupando per te”, alza gli occhi blu e nota d'aver colpito in qualche modo Kyle. Spera vivamente non sia un ascolto passivo, ma ricettivo, e nel senso giusto.
“Ti dirò una cosa che dissi anni fa a Cartman, quando te ne sei andato da South Park per vivere a San Francisco. E' una cosa che vale anche per te: senza Cartman la tua vita sarebbe miserabile e vuota”.

Nell'aria è percettibile il peso di quello parole.

“Lui l'ha capito, e tu che hai una mente brillante dovresti capirlo allo stesso modo”.

Vede che le labbra di Kyle si stanno per aprire in replica, ostinata e contraria, ma Stan non gli da modo per continuare perché vuole essere lui ad avere l'ultima parola stavolta.
“Arrabbiati, sfogati, vai a prenderlo a pugni se serve, ma non perdere la testa e non fare cazzate e tra queste... non prendertela con Butters. Sa essere rompicoglioni a volte, pettegolo, fastidioso, ma è un amico sincero, un animo buono, come te”.

E a questo punto rimane solo il silenzio imbarazzato di entrambi, che nasconde timori ed amarezza.

“Io comunque prendo il bus” farfuglia Stan mentre si volta nella direzione opposta, dov'è la fermata “ma tu cammina. Ti farà bene” consiglia con un fil di voce, prima di defilarsi dalla sua vista.

Kyle rimane fermo, più che colpito dalle parole di Stan amareggiato. Vorrebbe parlare, vorrebbe potergli dire cosa sta accadendo da mesi a lui, ma ha paura di saperlo meglio di quanto creda.

“Stan, io la testa l'ho persa da mesi”.




*



...non dubito che per Kyle sia uno scherzo fare queste cose, è che deve esserci qualcosa in lui che non va, qualcosa di perverso, per amare questa roba”.
Dove
roba sta per libri, libri e ancora libri. Di aritmetica, di geometria, di scienze.


Eric ha gli occhi arrossati, i nervi a fior di pelle, sul punto di ammettere le proprie difficoltà con le materie scientifiche, che ormai da più di due settimane studia prima di andare a scuola, durante e appena torna a casa, fino a che la tarda notte non giunge e i suoi occhi si chiudono. E' ben attento da non farsi vedere dai suoi compagni, non vuole fare la figura del secchione, non vuole che qualcuno sappia che sta faticando per ottenere ottimi voti, non vuole che nessuno sappia che per lui qualcosa come la matematica o la biologia restano incomprensibili nonostante l'impegno. Butters avrebbe potuto aiutarlo, ma gli aveva chiesto un prezzo troppo alto e così ora fa i conti con la fame, tanta, nonostante abbia lo stomaco pieno.

“Forse non è la sabbia che gli prude, ma è questa roba che fa male al suo sistema nervoso, non credi?”.

Confida i suoi dubbi amletici a una barretta energetica, che brama, che vorrebbe nel suo stomaco, ma con la quale preferisce parlare*.
Non vuole più magiare per il nervoso, mangiare non è una risposta ai suoi problemi ha capito, e anche se si riempe fino a dover rigettare il cibo non starà meglio. Il meglio è che tiri fuori ciò che lo angoscia piuttosto, o con parole o con lacrime, ma a queste ultime non vuole dare la soddisfazione di toccare le sue guance.

“Se non dovessi farcela... perderei proprio tutto, quindi... va bene anche passare notti insonni sui libri. Le altre materie non fanno poi così cagare. Credo... credo che ci siano anche cose interessanti e forse Kyle ha ragione, non è poi così male chiudersi nello studio per eccellere, però... per quante volte studi qualsiasi materia scientifica, io... io... non capisco un cazzo”.
Stringe la barretta guardandola intensamente. Il rosso della confezione lo ricollega a Kyle, alla sua nuvola di ricci, al colore che acquista la sua pelle pallida quando si arrabbia o quando s'imbarazza; è il colore del sangue, un sangue di cui condivide lo stesso gruppo, che gli ha passato, che è entrato nelle sue vene. C'è il suo rene nel corpo di Kyle, il rene che lo mantiene in vita, che gli ha sottratto con l'inganno e per il quale mai l'ha ringraziato. Eppure gli sarebbe bastato un solo sorriso... anche se questo Kyle non l'ha mai saputo e mai lo saprà, perché quel che conosce di Cartman sono insulti e bugie.

“Vorrei che Kyle...”

...e il suono del campanello alla porta dissolve quell'utopia rossa chiamata Kyle.

Non si muove però, rimane fermo a prestare attenzione alla sua tachicardia:
e se alla porta fosse Kyle?
Il pensiero è così meraviglioso da terrorizzarlo.

Il campanello però suona ancora, e stavolta gli fa saltare i nervi, per questo decide di muovere il culo ed andare ad aprire, pronto a una carrellata di insulti e bestemmie contro il rompipalle di turno.

“Allora ci sei!”.

“Stan?” non si aspettava proprio una sua visita, se non di scopo, e per questo, in un batter di ciglia, pensa di farlo andar via.
“Non mi interessa se Wendy è incinta e ormai i feti abortiti non valgono più così tanto, visto che la ricerca sulle staminali non è permessa*”.

“Wendy non è incinta!”.

“Oh... ottimo” suppone si dica questo in tali circostanze.

Stan, onde evitare di litigare tira fuori dal suo zaino il libro di biologia – tra l'altro sua materia preferita – e glielo sventola sotto il naso.

“Non sarò Kyle, ma ho solo un'insufficienza e una buona media, e...” guarda oltre le spalle di Cartman. A quanto pare neanche Butters è lì “...sembra anche che io sia l'unico disponibile ad aiutarti”.

Non piace al padrone di casa lo sguardo di sufficienza di Stan, non gli piace il tono che sottolinea il suo essere il buon samaritano, ma soprattutto non gli piace il fatto che ne abbia davvero bisogno.
“Cos'è, stai cercando soldi o crediti da accumulare per andare in Paradiso?”
Essere gentile gli viene proprio difficile, anche quando dovrebbe, per pura convenienza; teoricamente sa esserlo, sa recitare, ma il problema è che è proprio Stan a volergli dare una mano e questo... sa quasi d'umiliazione.

“Cartman, non voglio soldi né niente, e se devi fare lo stronzo me ne torno a casa. Semplicemente trovo che sia stupida la scommessa tra te e Kyle, trovo che sia sbagliato quello che ti ha chiesto Kyle e penso che tu rischi seriamente di perdere”.

Eric guarda male Stan, lieto di non averlo fatto entrare e fa per chiudere la porta. Non ha bisogno di un altro stronzo che non crede in lui.

“Bene, allora Stan torna-”

Ma il moro lo interrompe e non permette a Cartman di continuare “...ma sono anche convinto che con l'aiuto di qualcuno puoi benissimo farcela, ed è proprio per questo che sono qui”, trova imbarazzante aggiungere altro, ma dopotutto lo fa per salvare la loro amicizia, il loro gruppo, quello che sono sempre stati.
“La maggior parte delle volte Cartman è vero che vorrei strozzarti o che finissi sotto un camion”.

“Oh grazie, sono commosso dal tuo affetto. Sappi che è reciproco”.

Stan taglia corto però all'ironia di Cartman, schiarendo la voce. Non vuole assolutamente ripetersi.

“Nonostante tutto però siamo amici, siamo... sempre stati noi quattro e vorrei continuassimo ad esserlo, anche alle superiori”.

Eric dovrebbe essere toccato da simili parole, nessuno è mai stato tanto disponibile a mostrargli affetto, eccezion fatta per sua madre e Butters.
Dovrebbe essere contento o comunque fregarsene e cogliere l'occasione che Stan gli sta porgendo su un piatto d'argento, invece il suo primo pensiero va a Kyle.

“...significa che ti sei messo contro Kyle?”.

“Voglio farlo ragionare”.

“Avete litigato per questo, no?”.

“Non ne sono propriamente sicuro, ho deciso dopo di aiutarti, dopo che ho tentato di far ragionare Kyle”.

Kyle dunque è solo.
Stavolta non sono solo loro due in lite e Stan al fianco dell'ebreo, e non è neanche una di quelle situazioni in cui i due super-migliori amici hanno litigato e Kyle fa ripiego su di lui, facendogli credere di essere il miglior amico di cui ha bisogno. Kyle è solo, contro di lui e contro Stan, e al suo fianco probabilmente non avrà neanche Kenny.
Stringe i pugni Eric, dovrebbe esser grato a Stan, accoglierlo in casa e sorridere, scoppiare di gioia per essere importante almeno una volta, invece... stringe e controlla la rabbia; è una sfida tra lui, Eric Theodore Cartman, e Kyle Broflovski e – come in ogni sfida tra loro – non sono ammessi terze parti, che dovrebbero rimanere al loro posto, anziché schierarsi dalla parte che non desiderano essere.

E proprio lui, Eric, desidera che Stan riservi quei suoi buonismi a chi ha sempre saputo apprezzarli, non a lui, che si può pulire il culo con la gentilezza di Stan.

“Stan, va via”.

“Cos- ...cazzo Cartman, ti ho appena detto che son qui per te e tu fai pure lo stronzo?”.

“Stan, mi dispiace toglierti dalla tua frocia utopia di pony ed arcobaleni e super-checche amici, ma io sono sempre il solito, sempre il solito Eric Cartman che consideri uno stronzo. Suppongo che sicuramente dovrei darti ragione in alcuni casi, ma mi scoccia terribilmente farlo, e... cosa volevo dirti poi? Ah sì: io, al contrario di quanto tu dichiari, faccio tutto questo per me e lo dico, mentre tu... beh tu... sei il solito. Vieni a dirmi che lo fai per me, mentre potresti dire che lo fai per te, perché ti seccherebbe da morire che non fossimo più noi quattro, e che dunque i tuoi equilibri cambierebbero e torneresti a vedere merda ovunque. Ecco... se mi avessi dato questa versione puramente egoista e sincera credo che ti avrei persino fatto entrare in casa e offerto un biscotto, ma visto che ho ad attendermi un succoso capitolo sul sangue, ti chiedo di non farmi perdere ulteriore tempo e andare a fare il filantropo altrove perché...” un medio alzato e un borbottio imprecatorio lo lasciano, e come immaginava Stan ha girato i tacchi incazzato.
Sorride.
“Ehi fighetta, sappi che non perderò contro l'ebreo, quindi preparati a dover fare il super-frocio amico per consolare quell'altra checca”; Cartman non definirebbe mai parole simili un insulto, ma normale
teasing tra amici, eppure Stan, di spalle, gli alza ancora il medio non mancando di urlargli un equivocabile 'fottiti', che sarebbe stato seguito da un 'culone', se non fosse che il culo di Eric non ha più dimensioni adeguate a portare quel nome.

“Anch'io ti odio Marsh, anche se meno di Kyle” saluta con affetto Eric chiudendo la porta e lasciandosi scivolare di schiena contro essa.

Sospira.

Gli occhi lucidi rivelano una grande emozione, rara. Mai avrebbe immaginato che quella checca di Stan l'avrebbe lasciato col sorriso sulle labbra. Tutto quello che ha fatto Stan nella sua visita, finita con la scortesia di Cartman, è suonata come un
“ti voglio bene, amico e sono qui per te”
, qualcosa che non si sarebbe mai aspettato né da lui, né da Kenny e né tanto meno da Kyle; mal'ha rifiutato con valide ragioni, perché non è al suo fianco che Stan deve stare.
Non è stato facile rifiutare l'aiuto di cui avrebbe bisogno, ma è sicuro che se anche Stan capisce la fotosintesi clorofilliana, allora lui non può esser da meno.

Quando si rialza ha una nuova luce negli occhi, brillano, non più di commozione, ma perché fiduciosi nella sua vittoria. 





*





Rabbia.
Sembrava essere questa l'unica cosa rimastagli in corpo.
Rabbia nei confronti di Stan, che ha detto:
senza Cartman la tua vita sarebbe miserabile e vuota.
Rabbia nei confronti di Butters, e dei suoi giochi e del suo vittimismo.
Rabbia nei confronti di Kenny, che quando gli si chiede consiglio, inizia a fare allusioni assurde.
Rabbia nei confronti di Cartman, che è il seme di ogni male nella sua vita.
E poi rabbia, tanta, nei confronti di se stesso. Perché lascia che le parole di Stan lo mettano in ansia, perché i suoi comportamenti nei confronti di Butters finiscono per esser crudeli, perché lascia che allusioni di Kenny lo tormentino, perché tutto è legato a Cartman – come sempre – e pensando a lui si è... si è... scuote la testa per non pensare.


Si stende sul letto, sospirando; non è più un bambino, ma il suo pigiama di Terrance e Philip, con le loro simpatiche facce, richiama all'infanzia. Sembra quasi inadeguato per il giovane uomo che sta diventando, ma quel pigiama è anche largo per lui, non potendo ancora vantare una statura da ometto... preferisce non ricordare che è lontano dal toccare il metro e settanta d'altezza, statura che Stan, Kenny, ma soprattutto Cartman, hanno raggiunto e – si augura – non superato.

Un
pop lo riporta alla realtà, e alzando lo sguardo alla scrivania, capisce che è la chat di Facebook.
Si alza seccato, non ricordava neanche d'aver fatto
log-in sul social network, ed è pronto a fanculizzare chiunque l'abbia contattato, ma quando legge il nome di Lola Brown*, il suo animo si placa.
Conversare con Lola è piacevole, non parlano quasi mai di loro stessi, ma hanno sempre interessanti scambi sul Fantasy, e questo accade da quando lui ha mostrato sulla sua bacheca di essere un fanatico di Tolkien, spingendo la ragazza a non apprezzare solo la versione cinematografica, ma a leggere la trilogia de
Il signore degli anelli. Così, da quando Lola ha finito con avidità quella lettura, è iniziato un rapporto amichevole tra loro, di scambi d'opinione e consigli su letture e visioni.

Al momento però non gli va di chattare, neanche con lei, ma risponde comunque al saluto, inventando una scusa plausibile per la sua assenza.

'Ciao, come va? Scusami, non ricordavo d'aver lasciato aperto Facebook, ero preso dalla lettura' e aggiunge uno smile, che non guasta mai.

'Io sto bene, e tu? Cosa leggevi di bello?'.

Cerca di ricordare qual'è il nome del libro che gli ha consigliato la scorsa settimana, al quale è ispirato quel telefilm in onda sulla HBO e che desta tanto scandalo...
True Blood*.
Una veloce ricerca su Wikipedia lo salva.

'Ho seguito il tuo consiglio: sto leggendo Dead until dark'.

'Sono felice che tu mi abbia ascoltato!' e Kyle sorride allo schermo, finché non compare una seconda frase: 'posso essere onesta? Non vedo l'ora che tu mi dica cosa pensi di Eric'.

Guarda stranito lo schermo, e poi con furia si getta alla testiera.

'Cosa posso pensare? E' uno stronzo, egocentrico, crudele, esibizionista, manipolatore... lo odio!'.

'Beh sì, lo è, ma ha un lato tenero e... è innegabile che sia un figo!'.

Legge due, poi tre volte la frase, augurandosi d'aver capito male, ma non è così: ha letto bene e se degnasse lo specchio d'attenzione potrebbe notare d'aver acquisito il colore dei suoi capelli.
Digita tre lettere e poi si ferma a guardare la sua mano, la sente sporca e non ha tutti i torti, perché si è macchiata su pensieri impudici per Cartman.
Non è successo solo una volta, ricorda e inizia a contare, ma quando il numero delle volte supera quello delle dita della mano, se la porta alla bocca, allarmato da un moto di nausea.
E poi un secondo allarme, che gli dilata gli occhi dalla sorpresa e lo porta a scrivere a gran velocità:

'A te piace Cartman???'.

Una faccina sorpresa arriva immediatamente in risposta, seguita da una lunga sequenza di risata onomatopeica, scritta con caratteri maiuscoli.

'Scusami Kyle, non parlavo di Cartman, ma di Eric Northman. E sì è uno stronzo, egocentrico, crudele, esibizionista, manipolatore, ma è anche un gran bel personaggio e, in True Blood, il telefilm, l'attore è un gran figo'.

Si sente coglione a quelle parole e in gran imbarazzo: perché il suo primo pensiero è stato a quell'idiota?
Risponde con una faccina divertita e si giustifica nel modo più articolato e prolisso che può e solo dopo che l'ha inviato si rende conto d'essere ridicolo e neanche un po' divertito.
E pensare che proprio a Lola vuole chiedere di uscire, vuole vedere il nuovo film di Thor con lei, è un miracolo che ancora sia in proiezione, ma in fondo è di South Park che si parla: qualsiasi film sbanca al botteghino resta in sala per un mese. E' diventata la regola da quando il piccolo cinema si è trasformato in una multisala.

Domani le chiederò di uscire me
. Afferma a se stesso, salutandola poi cordialmente con la scusa del ritorno alla lettura di un libro che mai ha acquistato e che non ha intenzione di leggere, se presenta un Eric stronzo, egocentrico, crudele, esibizionista e manipolatore. Uno lo conosce già e gli basta e gli avanza.




*






Sono altissimi i cancelli della nuova scuola, infinite sembrano le inferiate per estensione.
Va bene così, lì c'è la sua vita da studente delle superiori, ci sono i suoi amici, c'è Stan, c'è Kenny... e c'è Lola che è tanto carina e che riesce a strappargli sempre un sorriso. Fuori le nuvole sono scure e minacciose, ma poco importa, sembrano così distanti dalla sua realtà.

Sorride Kyle, sorride passeggiando per i corridoi, senza prestare attenzione a quanto essi siano lugubri.
Prima di entrare in classe fa una visita al bagno, che è nella penombra e si distrae guardando fuori dalla finestra quella che sembra una tromba d'aria che sta sradicando qualsiasi cosa.

“Oh mio Dio!” si porta le mani alla bocca dal terrore.
Andrà tutto bene? Ma loro... sono al sicuro in quella scuola così solida, no?

E prima che altre domande possano sfiorare il suo pensiero si ritrova con i polsi bloccati contro la vetrata che tocca con la fronte, dopo esser barcollato in avanti. Un riflesso sopprime ogni interrogativo, ma non un gemito che sfugge sentendo l'altro corpo aderire al suo.

“Vattene!”.

“Non ti dispiace”.

“N-non... vattene!”.

“Non ti dispiace così tanto uno stronzo, egocentrico, crudele, esibizionista, manipolatore...”.

“Cartman, lasciami e vattene vi-
ahhh...” non si trattiene nel sentire l'inguine strusciare contro il suo fondoschiena. E' una molestia sessuale bella e buona! ...ma, disgraziatamente, tanto eccitante.
E tace, sospirando soltanto, e di piacere. Giù e sù... si concentra solo su quel movimento, finché esso non divieno il movimento dei suoi succhi gastrici e brucia, come il senso di colpa, ma per poco, dimentica tutto non appena sente il respiro dell'altro sul collo.
E diventa docile nell'eccitazione.
Cartman gli libera i polsi e i palmi scivolano sul dorso delle mani di Kyle, le dita s'intrecciano, combaciano e persino la volontà di resistenza è poca.
Fuori c'è uno scenario apocalittico e per quel che sa potrebbe già essere all'inferno, illudendosi che sia il paradiso.
Forse è a causa del brutto tempo che poco dopo la luce va a farsi fottere, ma Kyle non se ne cura, ha priorità più importanti, la sua ragione è oscurata e la voce profonda e bassa di Cartman che accarezza il suo orecchio, è analoga a quella del serpente biblico.

“Sai, mi sono rotto un po' il cazzo delle tue negazioni, sono sicuro che ce l'hai già bello che duro e che il disco del tuo cervello si sia inceppato su
scopami, scopami, scopami... ma il tuo orgoglio, la tua rettitudine morale non lo ammettono, neanche vedendo che fuori vi è la fine del mondo. Saresti disposto a morire con il tuo fottuto orgoglio, vero Kahl?”.

Un bacio sul collo tocca il pulsante giusto per una risposta acida: “mi fai schifo! Levati!”, ma troppo debole è il suo districarsi e non ha effetto, se non quello di una fragorosa risata per Cartman.

“Oh Kyle, ci scommetto quel che vuoi che provi più schifo per te che per me”.

Ride nervoso e sprezzante, “perché mai?”.

“Perché basterebbe che io pronunciassi qualche stronzata romantica, e ti metteresti in ginocchio e me lo succhieresti senza ritegno Kahl”.

“Vaffanculo Cartman!”.

La presa alle sue mani si stringe mentre annusa i suoi capelli.
Vorrebbe vedere la sua espressione Kyle, ma lo scenario devastante fuori dalla finestra cattura maggiormente la sua attenzione.

E se fosse davvero la fine?

Cartman pronuncia altre stronzate a cui Kyle non dà peso, finché non sente liberargli le mani.

Non si muove Kyle, per il terrore di quello che c'è fuori... rottami, auto, alberi che volano... e quando sente l'abbraccio di Eric, la sua stretta sui fianchi, pensa che tutto sia dannatamente triste.

L'oscurità complice, intorno e dentro di se, lo avvolge in modo confortante e lo calma, lo fa essere sincero.
“Sai... non significa nulla eccitarsi, avere un'erezione o farsi una sega... non ha nessun risvolto sentimentale, non c'è nulla di male...”.

Un bacio sulla spalla lo fa sussultare, lo interrompe e – soprattutto – tremare...

“Credo che sia colpa del tuo essere ebreo e di tua madre, se vedi male ovunque, anche dove non c'è. Ma io sono di parte, lo sai; la cosa che però non comprendo è perché ti giustifichi” e queste parole solleticano con malizia il suo orecchio.

“Giustificare? Io non mi sto giustificando” non è neanche troppo convinto nel negare.

“Lo stai facendo invece, perché hai paura”.

“E di cosa?”.

“Di sentirti miserabile e vuoto, Kahl...” orrido déjà vu “...un vuoto che sai di non poter colmare neanche con un cazzo dentro di te”.

E la rottura la fine della pazienza. Una scossa energica lo libera dalla morsa di Cartman, e si gira, per dargli un pugno, un calcio, per farlo tacere con la violenza e far morire lì, nell'oscurità, ogni compromettente pensiero, ma non c'è più, non è da nessuna parte. Persino la luce debolmente torna e dà a Kyle l'occasione di correre fuori dal bagno per punire quello stronzo, ma non c'è: i corridoi sono vuoti.

E il silenzio sembra ammonirlo.

Torna nella sua classe, è la prima che incrocia. Non c'è alcun insegnante, ci sono solo i suoi compagni.
Non vede Kenny... pensa stia pomiciando con qualche ragazza in qualche luogo appartato, ma vede Stan, va verso di lui, ma lo ignora perché i suoi occhi brillano davanti a Wendy. Lo vede rapito dalla sua figura, le porta un braccio intorno alle spalle e va via dalla classe, dove Kyle non lo sa, quindi non gli resta che sedersi al suo posto, solo.

Guarda fuori, il cielo ormai nero, i lampi che danzano, la terra devastata, ma il dramma umano non tocca la scuola.
Kyle guarda la sua classe, nessuno sembra notare che c'è qualcosa che non va, che sembra il mondo stia finendo, tutti riuniti in gruppi, più o meno corposi; ridono e scherzano: sono sagome bianche e nere, volti sfocati, indistinti e tra loro c'è anche qualche solitario.
Nota Butters e si alza perché vuole sapere, è inquieto: “dov'è Cartman?” e il biondo gli lancia un'occhiata infastidita ed altezzosa. Lo fa sentire merda.

“Eric ha perso la scommessa con te, lo sai bene. Non è in questa scuola, dovresti essere felice”.

Ma non sorride Kyle e guarda terrorizzato Butters.
La luce salta e tutti ridono, un fulmine solo illumina quello che la luce non può più svelare.

“Non è vero Cartman non è... Butters? Butters? Dove sei?” il lampo l'ha distratto e ora non c'è più.
“Qualcuno ha visto Butters? E... e Cartman?” Nessuno gli risponde, probabilmente nessuno l'ha sentito e furioso esce dall'aula, muovendosi con dimestichezza nel buio, come un gatto.
Cartman diverse volte gli aveva ricordato che i suoi occhi sembravano quelli di un gatto.

Cammina inquieto nei corridoi senza luci, col vento che si scontra sui vetri, i fulmini le uniche fonti di luce: non c'è panico, non c'è rumore, chiama a gran voce Stan e Wendy e Butters, poi quel disgraziato di Kenny che trova, pochi secondi dopo, seduto sulle scale.

“Kenny, hai visto Cartman?”.

“Che dici Kyle, perché ora te ne esci con Cartman? Lui non è in questa scuola, è fuori da qui. Forse è morto”.

“C-Che stai dicendo?” gli occhi dilatati svelano ogni paura, il verde smeraldo diventa lucido e la ragione si offusca come la vista, già compromessa dall'oscurità.
E scappa, corre, a due a due salta gli scalini, col timore di cadere, ma il timore più grande di arrivare tardi, di aver perso...
E si trova davanti al portone della scuola: nessun portiere, nessun modo per aprirlo, nessun modo per vedere fuori; è grande, enorme, in acciaio, come i cancelli che si possono vedere dalle finestre ai piani superiori.
Calcia, dà pugni contro la superficie, impreca...
Accade tanto, in pochi secondi, forse.
“Kyle...”.

Si volta alla voce familiare di Stan.

“...perché piangi?”.

“Non sto...” non è vero, ha il volto bagnato, il muco che gli esce dal naso.
Patetico è il suo aspetto.

“Qui dentro va tutto bene, dovremmo essere felici, insieme”.

Ma non riesce a rispondergli, non riesce ad affermare nulla, poiché tutto è lugubre, e inquietante è l'indifferenza al finimondo che c'è fuori.
“Non va per nulla bene Stan” mormora tra le lacrime.

“Oh, capisco” guarda i suoi piedi Stan, come mortificato “significa che la tua vita allora è proprio miserabile e vuota”.

Il rombo di un tuono lo fa saltare.
Ma non è un tuono, è la sveglia, e lui fradicio di sudore – e altro – è al sicuro nel suo letto, solo con le sue lacrime, l'unica testimonianza di un brutto sogno dal quale è libero.





*





Non sono state molte le occasioni in quei giorni a cui ha degnato attenzione a Cartman, ma in un sola mattinata si rende conto Kyle di non averlo notato per un semplice fatto: Cartman sparisce quando non c'è lezione e si palesa solo poco prima di esse e, non appena la lezione termina, è il primo ad uscire e non si presenta a mensa.
Kyle inizia a pensare che i momenti in cui scompare li dedichi seriamente allo studio... possibile?
Sospetta, ma non ha prove, e non vuole parlare di nuovo a Cartman.
Sospira.
Quel sogno non gli sta rendendo le cose più facili, tuttavia è sollevato dalla luminosità e dal chiasso che domina nei corridoi. Mai gli è stato tanto gradito il rumore.

Entra nell'aula di scienze, è tra i primi, eppure Cartman sembra essere lì già da un po'.
Lo osserva, ha la testa china sul quaderno degli appunti (non credeva fosse tipo da prendere seriamente appunti) e vorrebbe avvicinarsi, anche a costo di pentirsene, pur di lasciarsi quel brutto sogno triste alla spalle, ma rimane fermo, immobile, gelato dalle ultime parole che Cartman gli ha rivolto:
“uno stronzo è quello che ti meriti, Kahl! Merda, soltanto che merda!” e poi l'ha schiaffeggiato, per la seconda volta.

Come può far finta di nulla?

Eppure questa premura lo irrita ancor di più. E' come uno di quei fottuti cliché da fiction, perché la realtà è sempre molto diversa da quella simulata, perché i rapporti sono diversi tra persone e di certo lui e Cartman non si sono mai scusati dopo una rissa, Cartman non si è mai dispiaciuto per aver fatto lo stronzo e di conseguenza Kyle ha sempre fatto lo stronzo anche lui, a cuor leggero.
Però la possibilità per l'ebreo di vincere la scommessa comprometterebbe tutto, ma se proprio doveva essere una sfida voleva fosse ad armi pari, per avere una vera vittoria. Poteva dire a Cartman...

“Buongiorno Brof!”

Realizza solo dopo qualche secondo che qualcuno gli ha stretto amichevolmente il collo col braccio e, questo qualcuno, è Kenny, entrato in aula con alcune delle ragazze che frequentano quella lezione.

“Cosa facevi in piedi impalato? C'è qualche gnoc-” dà un'occhiata nell'aula Kenny e incontra per un attimo lo sguardo di Cartman, che – pur non avendo nulla contro Kenny – gli lancia un'occhiataccia per poi tornare ai suoi appunti.

Il biondo non trattiene neanche una risata. Considera Eric e Kyle estremamente divertenti.

“Non è esattamente quello che intendo con gnocca Brof, ma rispetto i tuoi gusti”.

Kyle si sforza a non ricordare particolari eccitanti del suo sogno e a non urlare contro Kenny.

Momento...
ha appena ammesso che c'era una parte eccitante nel suo sogno?

“Ho la nausea...” si lascia sfuggire, e Kenny lo libera dalla sua presa.

“Oh beh, non sono io quello che si ferma a contemplare...”

“Finiscila Kenny. Piuttosto perché non arrivi al punto? Lo so tanto che vuoi copiare i compiti” taglia corto Kyle. Non ha voglia di litigare anche con Kenny, vuole avere qualcuno con cui sedersi a mensa e poter parlare di frivolezze, o problemi di famiglia, o qualsiasi altra cosa che non riguardi Cartman.

“Tu sì che sei un caritatevole animo ebreo” fa spudoratamente il lecchino l'altro, prendendo posto con Kyle tra i banchi centrali mentre l'aula si riempe.

Kyle tira fuori il quaderno, il libro e il suo astuccio e prima di gettare a terra lo zaino, vede Stan entrare con Wendy. Il primo sguardo va a lui, si scambiano un'occhiata che mostra un reciproco dispiacere, ma nessuno dei due si saluta; Stan alza la mano e sorride soltanto Kenny, ma non si avvicina e prende posto ai primi banchi insieme a Butters, lontano da loro come da Cartman.
E' una situazione imbarazzante e deprimente, ed è tutta colpa di quel culone... anche se la responsabilità di quel brutto sogno la dà tutta a Stan, di cui ripensa ancora alle parole prima che la sveglia suonasse:
“significa che la tua vita allora è proprio miserabile e vuota”.

“Mamma mia, che è successo? Sembra il giorno dopo un'orgia in cui si scambiano solo sguardi imbarazzati e...”

“Finiscila Kenny. Parli come se avessi esperienza di queste cose, quando non...”

“Mentre tu, Stan e Cartman sì, suppongo”.

Scandisce meglio le parole e alza il tono, vedendo qualcuno girarsi nella loro direzione “Smettila, ho detto!”.

“Ok, ok... ma c'era qualcun altro? Tipo... Butters? No perché solitamente mi saluta sempre, invece oggi che sto vicino a te...”.

“Kenny, ti mando in infermeria se non taci” mormora con tono che non ammette repliche, e sospirando scocciato Kenny alza le mani in segno di resa e, penna alla mano, inizia a copiare i compiti da Kyle.
Finisce appena in tempo per l'arrivo del signor Stand - l'insegnante di biologia-, ometto tozzo ma simpatico, che appena vede Eric offrirsi volontario per l'interrogazione ne rimane piacevolmente sorpreso e non si risparmia dei complimenti anticipati ed incoraggianti.

Tutti sanno che il loro insegnante è un tipo che aiuta chi vede volenteroso, tuttavia Cartman mostra in un quarto d'ora di aver studiato in modo talmente impeccabile da non aver bisogno d'alcun aiuto e la
A che il signor Stand scrive sul suo registro è assolutamente meritata, anche se lascia tutti a bocca aperta.

Kyle si aspetta che Cartman si volti e gli lanci un sorriso sornione che lo irriti, ma nulla di questo accade e l'ebreo ne rimane deluso.

“Sembra che tu perderai la scommessa amico” bisbiglia Kenny al suo fianco, facendogli levare lo sguardo da Cartman “so tutto, l'ho sentito di Butters e ieri Stan me l'ha scritto per messaggio” si interrompe per non esser notato dal docente, e poi con fare vago continua: “mi ha detto che voleva aiutare Eric, in scienze e matematica, ma lui ha rifiutato il suo aiuto come quello di Butters per studiare. Pare si stia davvero impegnando da solo”.

Ammette d'esser sorpreso Kyle, Cartman è il tipo da sfruttare qualsiasi persona pur di raggiungere un obbiettivo, è machiavellico.

“Perché l'ha fatto?”.

“Non so, forse vuole solo mostrarti quanto sia in gamba; sorprenderti”.

Non risponde, medita sulle parole di Kenny.
Kyle è convinto di conoscere meglio di chiunque Cartman, ma allo stesso tempo è consapevole che molte cose non può comprenderle in quanto frutto di contorti ragionamenti o, se non addirittura, privi di una base logica.

“Fossi in te Kyle, io pregherei che non ti chieda di ciucciargli le palle se vince” ridacchia Kenny, attento a non farsi scoprire, ripiegato su se stesso e coperto dalle larghe spalle di Clyde, nel posto davanti a lui.

“Ritieniti fortunato, ci sono troppi testimoni” borbotta Kyle, aprendo il libro alla pagina richiesta dal professore e togliendo ogni attenzione al compagno di banco e alle sue sciocche fantasie.

Fantasie di Kenny o meno, quei pochi secondi in cui Kyle non prende
appunti, finisce per guardare nella direzione di Cartman, incredibilmente preso dallo scrivere (appunti probabilmente).
E' un'immagine inusuale, un comportamento che diventa disturbante ai suoi occhi, è qualcosa che non fa parte delle sue memorie, qualcosa che non è nella natura di Eric Cartman.
Irritazione o dispiacere? Si chiede cosa realmente provi, quale due prevalga... e così vola l'ora, tra un ascolto passivo e sciocchi interrogativi.

Senza rendersene conto, ha passato un'altra ora, quel giorno, a pensare a Cartman.




*





Passano le lezioni, passano le ore, passano sguardi d'intesa, passano i momenti di silenzio che vorrebbero riempirsi di parole, passano le sciocchezze provocatorie di Kenny e i suoni delle campanelle, finché non arriva l'ultima, nell'ora più calda della giornata.
E Kyle fino a quel momento ha meditato alle parole giuste per un approccio, alle parole giuste per compiere la sciocchezza di cui si pentirà.

“Ehm... ciao”.

Cade di mano il libro di storia ad Eric, perché dev'esserci qualcosa che non quadra in tutto ciò, eppure Kyle è proprio davanti a lui, zaino in spalla, pronto anche lui ad uscire dall'aula. Non lo guarda negli occhi, ma gli ha rivolto la parola, la sua voce calma – un po' impastata d'imbarazzo – ha accarezzato le sue orecchie.
Si volta indietro, non troppo sicuro che stia parlando proprio con lui.

“Parlo con te Cartman, sì”.

E' come fosse rinato qualcosa. Acqua che ha soccorso un disidratato, ossigeno in un bosco in fiamme, un profumo che si insinua nel fetore, la scossa di un defibrillatore che fa pulsare vita.

“Oh... ehm...” balbetta, si guarda intorno, poi i piedi, poi il suo interlocutore “è... successo qualcosa?”.

Di norma si comporterebbe da stronzo, ma Kyle l'ha preso in contropiede e l'ha fatto emozionare.

“Voglio che la scommessa sia ad armi pari. Non mi piace vincere facile”.

Eric non capisce se l'ebreo vuole la lite perché annoiato o bisognoso di sfogarsi, e si prende qualche secondo per una risposta originale, un fortunato svantaggio che dà modo a Kyle di aprire la tasca esterna dello zaino e porgere alla sua nemesi un biglietto.

“Oggi c'è l'ultimo spettacolo di Thor, se non sbaglio. Se vieni ti porto gli appunti di matematica, il libro fa pena per come spiega la teoria e, giusto, per rispondere alla domanda che so stai per farmi: no, non ti consegnerò un mare di appunti falsi, non mi abbasso a trucchetti di una simile leva, io”.

Cartman è confuso ed incredulo.

“...e dove sarebbe la fregatura allora?”.

“Che dovrai sorbirti Thor, anche se ti sta sul cazzo” taglia corto, ma palesando un sorriso furbo che fa svolazzare farfalle nello stomaco di Eric.

C'è malizia in quella curvatura di labbra, nel bagliore dello sguardo, nel fissarlo intensamente negli occhi. Kyle forse non se ne rende neanche conto, eppure Eric non può fare a meno di pensare che sia dannatamente sexy e che Kyle è uno stronzo a mandare in tilt i suoi ormoni e la sua ragione, un 'ok', in quel modo, l'ha sottratto con l'inganno.

“Ok, posso... crederti” ma non lo guarda negli occhi “ma perché dovresti farlo? Non credo tu voglia lasciarmi vincere la scommessa”.

“Voglio solo sia una scommessa che parte da una base leale”.

'Cazzate' pensa Eric, ma si risparmia di dirlo per non rovinare quell'occasione. “Non mi convinci Kahl, sono sicuro c'è un altro motivo”.

Oh sì che c'è, ma Kyle – improvvisamente – diventa un bravo attore e sospira “libero di credere quel che vuoi. Io alle 19.00 sarò davanti al cinema con i miei appunti, se non li vuoi peggio per te”.
E detto questo fa dietro front e indossa il suo ushaka, facendo un altro sospiro – ma silenzioso – poiché non credeva potesse esser così facile.

“Kahl?”.

“Sì?” s'irrigidisce immediatamente, ma senza voltarsi. Le sue gambe hanno fretta di uscire da quell'aula.

“A me Thor non fa così pena... se c'è Loki”.

“Oh... bene” si volta e forza qualcosa di simile a un sorriso, per poi liquidarsi, ignorando di lasciarsi alle spalle un Cartman che ha appena toccato il cielo con un dito.




*





Quando è davanti al cinema Eric guarda l'orologio del cellulare e si rende conto di essere in anticipo di un quarto d'ora. Patetico.
Si allontana, deciso di perder tempo nella non lontana sala giochi, quando poi si ferma sotto l'eco di un martellante pensiero: non è da lui arrivare in anticipo, sì, ma non sta forse sudando e sfidando se stesso per impressionare Kyle?
Si ferma e si mette con le spalle al muro, a contemplare il cielo limpido. Ricorda che da bambino lo sognava, sognava di raggiungerlo con i suoi mezzi, volare... e quando si gettò da un tetto, convinto di poter planare con le sue ali artificiali, l'aveva fatto sotto incoraggiamento di Kyle, che probabilmente voleva solo vederlo morto. Pensieri del genere dovrebbero animare rabbia, invece lui sorride: Kyle, facendo lo stronzo, non ha fatto altro che incoraggiarlo ad essere migliore, a superarlo e – nonostante le sue dichiarazioni d'odio – son sempre stati proprio quei comportamenti bastardi a fargli prendere posto nella sua vita; sa che Kyle non lo odia davvero, che è tutta colpa della sabbia nella vagina a cui sono predisposti gli ebrei pel di carota, ma anche se l'odiasse veramente gli andrebbe bene così, avrebbe il suo posto importante e i suoi sentimenti non cambierebbero.
Eric non sa perché, ma la sola presenza di Kyle nella sua vita lo diverte. E' tutto così fottutamente noioso lì, tra la neve, e anche oltre... gli bastano quattro parole per manipolare qualcuno a fare il suo volere, persino chi si definisce geniale può manipolare. E' facile far leva su emozioni e logica, è facile conoscere le persone, i loro pensieri, i loro desideri e tutti sono maledettamente noiosi, ma non Kyle. Kyle esula da quel triste piccolo sciocco mondo che Eric potrebbe fottere in qualsiasi momento, nonostante la sua giovane età, ma Kyle... probabilmente non potrà mai davvero fottere Kyle.

Stacca la spina dei pensieri e sospira.

Kyle può essere prevedibile, può conoscerlo meglio di se stesso, però non potrai mai manipolarlo, quando ci prova e Kyle sembra giocare secondo i suoi schemi, Kyle – facendo il suo gioco – vince, lo stupisce, mischia di nuovo le carte in tavola e lo lascia insoddisfatto nella sua dannata condizione. Eppure, nonostante ciò sia frustrante, è maledettamente eccitante.
E sorride, anche se non c'è nulla per cui sorridere: questi pensieri e altre ossessioni, candide e torbide, hanno reso Kyle come ossigeno e, senza ossigeno, si muore.

Ironicamente, cinque minuti dopo, trova la ragione per avere quel sorriso: anche Kyle è in anticipo.
L'ebreo, vestito di jeans e una una griffata felpa gialla e l'immancabile cappello verde, neanche lo saluta e guarda il suo orologio da 200,0 $.
Cartman odia i soldi che sembrano uscire dal culo alla famiglia Broflovski, dopo i Williams, sono sicuramente la famiglia più ricca di South Park, merito di un grande successo di un paio di processi vinti due anni prima da Gerald Broflovski che hanno reso l'avvocato più famoso e pagato di Denver e dintorni.

“Credevo di essere io in anticipo. Da quando in quai Cartman sei in anticipo per un incontro?”.

“Sono solo arrivato ora” cerca di non dar soddisfazione alla domanda di Kyle.

Come si aspettava il rosso è stato preso in contropiede e non avendo alcun argomento decente da tirar fuori, si accosta a un muretto dove poggia il suo zaino alla ricerca degli appunti promessi.
Nel farlo gli dà le spalle ed Eric ne approfitta per poggiare lo sguardo sul più bel sedere di South Park.
Maledetta Bebe Stevens e le sue ragioni, si concede di pensare Eric che – nella più assoluta indifferenza – tira fuori il cellulare e, approfittando della distrazione di Kyle, scatta una foto al fondoschiena stretto nei jeans, e la fotografia è di qualità eccellente, grazie alla sua naturale dote di fotografo.

“Cosa stai facendo?” domanda Kyle volta voltandosi, dal momento che l'ha sentito armeggiare col telefonino.
Ed Eric non cambia la sua aria indifferente: “niente, fotografavo il cielo. Sto tenendo un diario fotografico del cielo da qualche settimana”.

Chiude lo zaino e prende in mano gli appunti, un fascicolo di fotocopie dei suoi quaderni, e torna a guardarlo.
“E a che pro?”.

“Per le scie chimiche”.

Kyle scuote la testa, sapendo delle manie ossessive di Cartman e delle sue credenze a teorie del complotto, e onde evitare il nascere di una nuova discussione – articolata da termini come stupido, ritardato e ignorante –, cambia argomento. Esattamente come Cartman aveva previsto.

“Queste sono le fotocopie dei miei appunti dall'inizio dell'anno, ho pensato anche di aggiungere qualche esercizio già svolto che ti facesse da esempio”.

“Quanta premura” nasconde la sua reale sorpresa, portando in tasca il cellulare e prendendo le fotocopie, “mi fiderò dei tuoi appunti. Grazie”, nuovamente lo confonde con la sua risposta che doveva invece punzecchiarlo su qualcosa come un grande piano dell'ebreo allo scopo di farlo fuori, invece lo ha anche ringraziato.
E' tutto negli schemi di Cartman per farlo sentire una merda, è dura recitare, soprattutto ora che è solo con Kyle, ma teme che un passo falso, possa portarlo a una reazione esagerata ed estrema, proprio com'è nella sua natura.

Kyle sa che quello non è il Cartman che conosce, e un po' ha timore, ma una volta che questo pensiero risuona nella sua testa alimentando apprensione, lo scaccia via.

“Anche se manca mezz'ora all'inizio del film, andiamo a fare il biglietto” esordisce Eric distraendo Kyle dalla sua coscienza, e guardando intorno coppiette e gruppi d'amici diventar più numerosi ed irritanti con le loro risate, le loro urla insensate e fatti personali sbandierati a chi non frega nulla.
“Voglio prendere i posti migliori e star lontano dai gruppi di coglioni che si ritengono fans della Marvel e neanche sanno la formazione originaria degli Avengers”.

“Va bene, andiamo”.

E dieci minuti dopo sono in sala, con tanto di popcorn in mano, si stende un pesante ed imbarazzante silenzio che mai c'è stato tra loro.

Banalità, frasi di circostanza e nessuno dei due che usa un tono espressivo.

Nessun commento alle stupide pubblicità sullo schermo quando lo spettacolo è in procinto di iniziare, nessun commento ai trailers e poi il film inizia e si prende ogni attenzione, anche se l'ansia di Kyle è dietro l'angolo.
Kyle pensa sia divertente andare al cinema con Cartman, quando Stan pregiudica una serie e Kenny non ha abbastanza soldi per il biglietto (ma abbastanza orgoglio per non accettare che Kyle glielo offra), lui e Cartman sono soliti andare da soli al cinema e al rosso non è mai dispiaciuto questo, sono uscite che si rivelano divertenti; è strano dirlo ma Cartman sa essere divertente senza essere stronzo, e ancor più stranamente, è propenso a ciò quando son soli o quando lui è depresso.
Quella sera però non si sta rivelando divertente, gli lancia tre volte un'occhiata e lo vede a guardare fisso lo schermo, non una parola o una risata o un'imprecazione, non vuole però rovinarsi il film per questo non dice nulla e al secondo tempo si mette comodo a godere di ogni minuto dello spettacolo.

Dove inizia la recita e dove inizia la realtà?
Se lo chiede Eric stesso. E' vero, vuole sorprendere e confondere e far sentire di merda Kyle, ma ogni minuto che sta passando con lui acquisisce la consapevolezza di sentirsi lui uno schifo e che tutto ciò è totalmente sbagliato e triste, e vorrebbe capire cosa diamine passa per la testa a Kyle.
Quando aveva comprato quei biglietti aveva sognato quel momento, ora che il momento era arrivato però l'unica cosa più emozionante della serata realizza che sono i popcorn.

Quando il film finisce, sente Kyle blaterare il suo commento a caldo del film, ma non lo ascolta, impegnato piuttosto a fare i conti col suo malumore, che è simile alla nausea, ma che non lo porterà a vomitare; piuttosto percepisce – proprio nella sua carne – un vuoto.
Ed uscendo con Kyle dal cinema si convince che quel vuoto è un buco nero che lo risucchierà e porrà fine alla sua esistenza.

“E a te è piaciuto Cartman?”.

Non ha capito cosa gli ha chiesto, e lo guarda confuso, strabuzzando gli occhi, caduto dalle nuvole, ma forse anche salvato dal suo buco nero.

“Che diamine hai? E' tutta la sera che sei strano”.

No, Kyle non l'ha salvato proprio da nulla.

“A me lo chiedi?” bisbiglia velenoso, pronto a degenerare l'uscita pur di non sentire quel vuoto.

“Certo che lo chiedo a te, chi altri ti sembra che...”

“Tu!” gli urla contro Cartman puntandogli il dito ed ammutolendo Kyle, che non si aspettava una reazione così violenta e che viene solleticato dall'inquietudine nel vedere fuoco negli occhi dell'altro.
“Dillo che ti sei pentito della condizione alla tua scommessa, dillo porca puttana!”.

Kyle non lo ammetterebbe neanche sotto tortura a se stesso, figurarsi a un Cartman che gli urla contro!
Kyle non può ammetterlo, per tutta la vita è stato artigliato alla convinzione che ogni suo problema ed ogni sua infelicità erano dipesi dall'esistenza di Cartman, proprio come quando aveva avuto quelle brutte emorroidi che stavano per ucciderlo. Una volta che erano passate si era convinto che l'infelicità di Cartman fosse la sua felicità, quindi non aveva motivo di non desiderarlo lontano dalla sua vita.

“Perché mai dovrei?” gli risparmia giusto un ti odio.

“Allora perché diamine mi hai dato quei cazzo di appunti? Per quale profeta ebreo ti è passato per la testa di invitarmi al cinema? Cos'è? Una specie di festicciola d'addio o sei diventato ipocrita come Stan?”.

Kyle arretra perché non ha una risposta. Cartman ha le sue ragione nella violenza con cui gli si rivolge, non può negarglielo, ma... anch'io ho le mie ragioni, afferma per difendersi da se stesso.

“Te l'ho detto, non volevo fosse una sfida impari” e suona poco convincente persino per se stesso.

“Mi vuoi fuori dalla tua vita e mi aiuti? Ma che cazzo ti passa per la testa!”.

“Al tuo contrario ci tengo a vincere lealmente!”.

“Balle ebreo, questa è la più grande cazzata che hai detto in tutta la tua vita, peggiore a non posso diventare un pirata perché sono ebreo” allude a quelle parole, riportando a Kyle il tentativo di sbarazzarsi di lui definitivamente facendolo andare in Somalia dai veri pirati.

“Non tirar fuori storie di quando eravamo bambini, cielo!”.

“Eri meno infantile di ora però”.

“Oh, ma sentilo. Ricordami, quand'è stata l'ultima volta che ti sei comportato da persona matura? Ah già, non può esserci un'ultima volta senza una prima” lo provoca, assottigliando lo sguardo, caricando di veleno le sue parole.
Vuole vederlo scoppiare a piangere, o steso a terra, come nei suoi sogni, dove può strangolarlo e farlo sparire.

Eric lo scruta per qualche secondo, silenzioso, mandando giù l'incazzatura che però non può estinguersi in quel momento.
Kyle non sta ragionando, sta solo colpendo a vuoto nella speranza di ferirlo abbastanza.
Fa scivolare da una spalla il suo zaino, lo apre frenetico e con sprezzo gli lancia contro il fascicolo di fotocopie.
“Hai stampato più di un centinaio di pagine per poter vincere tu, vero? L'hai fatto proprio perché la nostra sfida potesse essere leale? Ma certo!”

E prima che Kyle con qualche insulto e qualche ulteriore scusa assurda gli possa sfuggire, Eric lo afferra per il polso – forse più forte di quanto avrebbe voluto – e avvicinandolo pretende: “ammettilo. Ammetti di esserti pentito!”.

“Cartman, lasciami, mi fai male!” è un coniglio stretto tra le spire di un serpente che lo osserva bramoso con i suoi freddi occhi d'ambra, e la cosa che più lo fa incazzare, che più lo fa dimenare, non è la stretta, ma l'essere consapevole che il suo è il ruolo del coniglio.

“Ora sei diventato una checca piagnucolona Kyle? Dimmi la verità!”.

E' vicino il suo volto e il poter osservare quegli occhi di un verde inusuale che ricordano i boschi o i fondi di bottiglia, il romantico e il dozzinale, lo emoziona, calma il suo tono, ma non il martellare del suo petto.
Cartman incassa l'isterismo di Kyle, non può nulla con la sua testarda voglia di nascondersi, e pensa che quello è il terreno dove mettono le radici della consapevolezza che triste è il destino dell'uomo.

“Tu... hai paura”.

E Kyle diventa di ghiaccio come le cime delle Montagne Rocciose, pallido com'è la neve sotto suoi piedi ed ovunque intorno a loro, e fa silenzio, il supremo signore delle montagne.

“Hai paura di me, oppure paura di...” muore nella gola di Eric il resto. Lascia Kyle, e si allontana di qualche passo, sistemandosi lo zaino in spalla, ma senza chiudere la zip.
“Lascia perdere. Preferisco non saperlo...”.

Alla fine però è riuscito nel suo intento: far sentire Kyle di merda. Non può saperlo Eric, ma sotto la nuvola di ricci si agitano pensieri di varia natura ed il petto gli fa male.
Kyle ha sempre saputo che Cartman ha una brillante intelligenza, ha sempre saputo che è un tipo perspicace, che capisce bene le persone pur essendo privo di empatia, e – proprio per questo – si sente ora umiliato nell'aver mostrato quello che ha cercato di nascondere con tutte le sue forze.
Che Cartman gli volti spalle indignato e vada via è del tutto giustificabile.

“Una cosa Kyle, e ricordalo...” si volta un ultima volta verso il rosso, guardandolo dritto negli occhi e mostrando la luminosità della sua determinazione: “...io non perderò questa scommessa per niente al mondo, te lo giuro sulle mie sacre palle”.
E quando si volta e si avvia verso casa, promette a se stesso che studierà quanto basta a far sanguinare gli occhi se necessario.

Kyle sorride un po' invece stringendo a se le fotocopie che gli ha gettato con sprezzo; gli sembra che quella di Cartman sia una promessa fatta proprio per salvarlo dalla sua stessa stupidità, e nella notte, forse, sotto qualche stella cadente che non nota, sussurra “...grazie”.



*





Giugno arriva, sciogliendo ogni traccia di neve e facendo indossare a South Park un abito di un brillante verde, particolareggiato dalla vivacità dei colori dei fiori.
E il sole splende richiamando un caldo a cui nessuno è abituato, ma di cui nessuno si lamenta, contenti di poter indossare leggere magliette, gonne senza calze e sandali, che ogni abitante mostra con vanto ricordando d'amare l'estate. Anche gli adolescenti, nel loro giorno dei test finali, si preoccupano più di essere in linea con le tendenze dell'estate che di non aver studiato abbastanza. Tutti, eccezion fatta per tre persone, nella scuola media di South Park: Kyle Broflovski e Wendy Testraburger, che si contendono il primo posto come miglior studente che lascerà le scuole medie, ed Eric Cartman per l'infame scommessa.
Prendere ben sei dannatissime e sudatissime A, è stata l'impresa più ardua della vita di Cartman, dal momento che è partito con il vantaggio di una sola eccellenza. Guadagnarle in inglese e spagnolo non è stata una sfida particolarmente difficile, ma le ore e il sudore per ottenerle in Scienze Naturali, Arte e Geografia, non l'avrebbe mai e poi mai dimenticato e ancor peggiore è stato salvarsi dall'insufficienza di matematica è stata un'impresa titanica e, davanti al foglio con le domande, c'è l'invito a replicare le sue fatiche erculee.

Tre ore di test volano, col sottofondo dei canti dei passeri e il sole che illumina maestosamente le aule.
Ed Eric Cartman alla fine di quelle ore ha le occhiaie, gli occhi rossi, i capelli in disordine e il costante ed ansioso pensiero: ce l'avrò fatta?

Non ha più parlato con Kyle, ha rivolto qualche volta la parola a Stan e a Butters, ma l'unico che gli è stato vicino davvero è stato Kenny, il quale gli ha donato graditi silenzi e la consapevolezza che come lui Eric non ha mai preso – pur impegnandosi – un voto superiore al 70.
Eppure, nonostante tutto, Kenny è l'unico che gli ha detto che ce l'avrebbe fatta senza ombra di dubbio.

“Allora, com'è andata?” osa il biondo una volta che sono fuori dall'istituto, nel momento in cui Eric ha smesso di parlare da solo riguardo a cose incomprensibili alle orecchie dell'altro.

“...ho risposto a tutto, quindi dovrebbe esser andata bene, no?”.

“E lo chiedi a me?” lo deride Kenny che studia il suo volto “sembra che cerchi di convincere te stesso chiedendomelo. E con quella faccia da zombie incuti più timore che altro, tra poco le palle dei tuoi occhi rotoleranno via...”.

“Era il mio obbiettivo studiare fino a far sanguinare dagli occhi, quindi non sarebbe un problema”.
“Vuoi un applauso?”.

“...Kenny, l'impegno paga, vero?” più che una richiesta quella di Eric sembra una supplica per mettergli il cuore in pace, farlo rilassare e poter aspettare per qualche giorno in attesa dei risultati.
Ma Kenny è un tipo odiosamente onesto.

“Questo è quello che dicono a un idiota qualunque per fargli credere che potrà essere quello che vuole nella vita e che gli permetterà di auto-compiacersi della puzza delle sue scorregge”.

E lo sa Eric. Ma vorrebbe illudersi, per questo alza il dito medio al suo presunto migliore amico.

“Ti odio Kenny. Fottiti. Me ne vado a casa... ad ibernarmi”.



*






Il giorno dell'esposizione dei quadri è un giorno importante, per tutti, ma particolarmente quando ti chiami Kyle Broflovski e sai che il tuo valore di figlio è scritto in numeri sulla classifica dei punteggi dei test.
Sheila e Gerald vogliono bene al loro ragazzo, contano molto su di lui ed in lui hanno riposto il loro orgoglio.
Da quando ha terminato le elementari Sheila è più liberale nei suoi confronti e meno invasiva nella sua vita, mentre Gerald pensa al benessere economico di tutti e ha investito molto denaro perché un giorno possa frequentare il miglior college, ma tali privilegi devono essere ripagati nel miglior dei modi e Kyle l'ha capito quando al secondo anno di scuola media aveva preso due B e un punteggio di 90 a un test: non era quello il risultato atteso, non era abbastanza, era un voto distinto, ma non l'eccellenza e Kyle era in dovere di collezionare A, collezionare complimenti dai docenti ed essere il primo, studiando sodo, sempre, senza trascurare mai niente.

Ora ha concluso le scuole medie, l'attendono le superiori, la scuola di simulazione della vita, e Sheila la sera prima ha dichiarato le sue speranze ed attese, che Kyle si augura siano concretizzate.
Si è alzato presto e di buon ora è uscita, e nel percorso per raggiungere la scuola è stato a lungo al telefono con Stan che era quasi arrivato a sua differenza, e a lui ha confidando le sue ansie, ma adesso nota che i suoi ricci gli ricadono sulla fronte imperlati di sudore, i jeans sono troppo pesanti e la camicia a maniche corte vorrebbe sbottonarla; copre gli occhi con una mano e guarda il cielo di un azzurro pittoresco e nota che il sole è bello che alto, tutto ciò è indice di quanto abbia perso tempo camminando, allungando il percorso, temporeggiando su un risultato che gli mette ansia e che... non è il suo.
E' abbastanza convinto di aver fatto un lavoro non ottimo, ma eccellente, anche se non vuole cantar vittoria ed esser troppo sereno su questo, però... è il risultato di Cartman che gli mette ansia. Ed è abbastanza convinto che, vinca o perda la scommessa, non avrà nulla di cui gioire.
Si sente stupido.

'Spero, in ogni caso, non faccia troppo male'.

E a quel pensiero segue la vocina della sua coscienza, che tanto gli sembra maligna per il modo in cui lo imbarazza: lo pensi perché gli vuoi bene dice, e non una volta. Kyle scuote la testa però e si concentra sui suoi passi, su quello che lascia indietro senza curarsene, siano ombre o nulla, e portando attenzione ad ogni attuale passo, prospettive future non sembrano tanto terrificanti anche se ignote.

E' vicino all'istituto una decina di minuti dopo. Ci sono gruppi di ragazzi sorridenti, qualcuno incazzato che calcia l'erba ed urla all'amico, gruppi di ragazze che con toni squillanti che parlano delle vacanze che le attendono; poi ci sono le coppiette vomitevoli e quelli che semplicemente si allontanano con il volto segnato dalla preoccupazione, forse perché rimandati o perché hanno collezionato troppe insufficienze?
Eppure quella cupa espressione potrebbe essere sul volto di Kyle se scoprirà di aver ottenuto un punteggio poco inferiore a 100, o forse... potrà avere quell'espressione seria anche con un 100.

Fa un cenno di saluto a chi conosce, evita con imbarazzo occhiate di ragazze, e scruta tra i volti, tanti di essi seri, e poi, sorpassato il cancello, sorpresa: un volto serio ha gli occhi puntati su di lui. Deglutisce e poi acquisisce un passo spavaldo nonostante gli occhi fissino terra e su di essa vorrebbero rotolar via.
Eric Cartman, con innaturale compostezza è lì, ed è proprio lui ad avere il volto più serio di tutti.

“...ciao”.

Cartman non risponde, ma saluta con un cenno.
Si scambiano lentamente un'occhiata, poi lo sguardo di Kyle finisce sulle sue scarpe, mentre quello di Eric si perde nell'erba fuori dai cancelli.
Solo quando si sentono troppo stupidi per essere in reciproco imbarazzo tornano a guardarsi a testa alta.

“Ho visto i quadri” esordisce Cartman, spezzando il silenzio, ma non la tensione.

A Kyle brucia lo stomaco.

“Sei arrivato primo totalizzando il massimo. Suppongo dovrei complimentarmi...”

E come sospettava Kyle, sapere di essere primo non lo fa star meglio. “E tu?”.

Vede distintamente Eric mordersi le labbra e fare un'espressione strana. Alza gli occhi al cielo e scrolla le spalle, portando nelle tasche le mani.

'Non può essere, lui ha promesso che avrebbe...'

Conosce Eric Cartman meglio di chiunque altro e sa che quando fa una promessa la mantiene. Cartman non può...

“Hai vinto Kyle”.

Non riesce a gioire.
Non riesce a sorride.
Non riesce a dire nulla.
Non c'è nulla che ha il sapore della vittoria.

Ha perso vincendo, ha creato la disfatta con le sue stesse mani.
Sente chiaramente che entrambi son vinti dalla loro stupidità, ma più pesante è la stupidità che sente sulle spalle Kyle, che potrebbe ritirare, basta togliere l'orgoglio di mezzo, ma esso è cera che aderisce alla sua pelle, perfetta nell'apparenza e dolorosa nella realtà.

Sente distintamente l'ingloriosa vittoria, peggiore della sconfitta, una delusione che non ammette rabbia e rimpianto, è un boccone avvelenato da mandar giù e – Cartman ne godrebbe se sapesse – ma probabilmente è come aver sabbia nella vagina.
E poi, oltre l'irritazione, oltre la rabbia, la delusione e tutte quelle altre violente emozioni che non può liberare; c'è altro lì, le ossa della verità, quello che sa rimarrà pian piano che dei brandelli del suo dolore, che cadranno nelle fauci di se stesso: miseria e nulla.

“Beh... nessun gnegne ho vinto Cartman e tu hai perso?”

“Non... non ne vale la pena”.

“Dovrebbe però, visto che non rovinerò la tua splendida vita da studente delle superiori”.

Non c'è rimprovero però nella voce di Cartman. Kyle lo guarda, vorrebbe dir altro, ma cos'altro c'è da dire? Che si sente esattamente come dopo una sega?
Non ne valeva la pena, non c'era nessun vincitore, ma non avrebbe ritirato nulla, perché era la sua occasione, la cosa giusta da fare per sradicare la sua parte insana che pensava eccessivamente troppo ad Eric Cartman, un Eric Cartman che aveva visto urlare e fare il folle innumerevoli volte e che ora sorrideva beffardo, mascherando probabilmente quanto male provava, ma che voleva nasconderlo per farlo sentire in colpa. E in colpa si sentiva, sì, ma mai l'avrebbe ammesso.

“Sono sicuro che, se ti comporterai da persona civile, anche tu l'avrai”.

“Civile?” domanda beffardo Eric, portandosi una mano tra i capelli, scompigliandoli.
“Non esiste nulla di più schifoso ed innaturale della civiltà”.

Anche Kyle fa una risata nervosa, irritata. Cosa deve aspettarsi da lui?

“Non mi aspettavo risposta diversa da te”.

“Non mi aspettavo reazione diversa da te”.

Gli occhi di Kyle sono di un verde più scuro, palesano il fastidio delle parole di Cartman, quanto quello per il suo sguardo diretto, che lo sfidano a smentirlo.

“Cosa credi sia la civiltà che ami tanto Kahl? E' assassina della natura umana, è un cumulo di merda artificialmente profumata e colorata, ma tutti, per un presunto bene superiore, la invocano e fingono di professare la sua legge, sopprimendo i loro istinti...” un passo verso Kyle “... i loro desideri...” un altro passo “...la loro volontà...” e Kyle indietreggia “...i loro sentimenti...” un altro passo in avanti di Cartman ed uno indietro per Kyle “...la libertà”, si ferma. Silenzio.
“Anche se ti fa incazzare, io preferisco l'inciviltà che lascia trasparire il mio mondo e quello che provo”.

“Tu hai solo odio e disprezzo per tutto, Cartman” vorrebbe essere una difesa, quella.

“Ho odio e disgusto per quasi ogni cazzo di cosa che c'è al mondo, è vero” e si fa serio, una serietà che acquisisce una luce dorata nel suo sguardo.
“Ma c'è un sentimento in me che è più grande, devastante e condizionante in ogni fottuta giornata. E non è odio, l'odio che provo per ogni maledetto respiro del genere umano è insignificante, a confronto”.

Kyle non comprende, Eric lo sa.
“Stai cercando di impressionarmi per lasciarmi un buon ricordo di te?”.

E Cartman lo osserva per una generosa quantità di secondi, poi sbuffa divertito scuotendo la testa:
“era proprio questo che intendevo dicendo che triste è il destino dell'uomo” ora lo ricorda, e lo ricorda anche Kyle, che trema appena fuori, mentre dentro di lui vi è un terremoto che lascia solo tanta ma tanta paura, e il silenzio.
“Beh, ci vediamo in giro ebreo” e abbassa la testa, camminando lontano da lui, ma non velocemente, non scappa, si allontana ciondolando; è una figura compassionevole, che Kyle vorrebbe fermare, ma che in nome della civiltà lascia andare, con rimpianto, ma sicuro che un giorno lui stesso capirà d'aver fatto la cosa giusta.

Forse, diplomati, si rincontreranno, e sapranno avere una conversazione decente degustando una decente cioccolata calda, che per la prima volta bollirà più dei loro spiriti, e dolce e gradevole sarà il suo sapore, come quello che avranno nelle loro bocche nel parlare di se, e di quello che è stato il passato e, ancor più, di quello che è il loro presente.
Kyle lo desidera, lo spera, perché se quella soluzione masochista è il prezzo da pagare per la sanità dei loro animi, lui vuole pagarlo, e accetterà il ruolo del cattivo, ma vuole un futuro in cui si realizzino le sue speranze, speranze per una vita sana anche se triste.

Entra camminando distratto per i corridoi, finché un agitato Stan non gli va incontro.
E' felice di esser tornato a parlare con lui una settimana fa, gli mancava poter parlare col suo migliore amico, i silenzi lo facevano piangere, ma ora... nonostante è felice Stan sia lì, ora... non ha alcuna voglia di contatto umano, di parlare, perché c'è un vuoto che fa male in lui.

“Kyle, hai saputo di Cartman?”.

“Sì, l'ho incontrato poco fa” il tono è monocorde.

“Mi... mi spiace”.

Non gli va di parlare, ma si concede parole sincere finalmente: “me l'avevi detto che me ne sarei pentito, quindi non dire che ti dispiace. Sapevamo cosa stavamo facendo”.

Stan rimane in silenzio per un po', guardando intorno, nei corridoi in cui gli studenti si disperdono per raggiungere l'uscita.

“Ho capito le tue condizioni della scommessa, avevi le tue ragioni. E in fondo sappiamo che è uno stronzo”

“E' uno stronzo” conviene Kyle, senza un sorriso “ma avevi ragione in fondo. Gli voglio bene in qualche strano e malato modo”.

Stan sbarra gli occhi, cade in uno strano imbarazzo che lo fa balbettare sillabe a caso, prima di formulare una frase con senso compiuto: “ricordatelo, quando da domani imprecherai il tuo odio per lui, fino alla fine delle superiori”.

Kyle guarda confuso l'amico: “cosa?”.

“Beh Cartman cercherà di umiliarti in ogni modo e tu rimpiangerai d'aver scommesso con lui”.

Kyle sbatte gli occhi più volte, come se quella fosse un'illusione. “Che stai dicendo Stan?”.

“Sto dicendo che da domani, fino a che non ti diplomerai, maledirai Cartman ogni fottuto giorno, come hai sempre fatto dalle elementari”.

“Ma Cartman non verrà nella nostra scuola, era quella la condizione”.

“Ma Cartman ha vinto, quindi ti umilierà con le sue condizioni e farà lo stronzo come ha sempre fatto”.

“Cosa?”.
Caduta libera dalle nuvole al terreno roccioso. Si ripete, stridulo ed esilarante: “cosa?!”.

E prima che Stan apra la bocca per rispondere, c'è polvere davanti a lui, come in un cartone animato, polvere è quello che rimane della presenza di Kyle che, scontrandosi anche con qualche amico, raggiunge, facendo a gomitate, la bacheca davanti alla Presidenza che mostra i migliori cinquanta studenti dell'istituto con i loro punteggi.
Kyle è al primo posto, con i suoi cento centesimi, ma non è quello che guarda, ignora se stesso, il suo prestigio, gli sguardi ammirati ed invidiosi di chi gli è intorno e che sanno di non poter competere con la sua bravura.

L'attenzione di Kyle va a diciannove posizioni sotto la sua, lì dove è espresso il punteggio totale – senza trucco né inganno – di Eric Theodore Cartman: ottantaquattro.

“Quel... quel figlio di pu-” il cellulare gli vibra nella tasca e lo prende, d'istinto, non convinto nel leggere il nuovo messaggio, ma quando vede il suo destinatario, preme OK e avido legge il contenuto:

'Gnegnegne. Io ho vinto e tu hai perso, gnegnegne. E nella remota eventualità in cui avessi vinto ebreo, mi hai mostrato che ti saresti comportato da fighetta perdente. Sei proprio uno spasso! Preparati, il vero divertimento inizia da domani: ore 7.00 a casa mia. Sii puntuale e non tentare di fuggire a San Francisco o in Israele'.

...Kyle aveva mai detto al mondo quanto odiasse Eric Cartman?

Il nulla e la miseria non erano il massimo, ma sarebbero state ottime compagne rispetto alla caotica esistenza di colui che ha sempre riempito la sua vita di incubi.
Un incubo su cui, oltretutto, si fa le seghe.

“...che schifo”.

Perché, davvero triste, sa essere la natura umana.







Empty and hollow: il titolo è preso dalle parole di Stan dette a Cartman nell'episodio 10x2 Smug Alert ("without Kyle your life is empty and hollow"), che in inglese indicano la stessa cosa, il vuoto, il nulla, ma insieme rinforzano il significato. In italiano è stato tradotto, in "vuota e noiosa", ma più corretto ritengo sia dire "miserabile e vuota", in quanto più denso di significato è il concetto.  

Panta rei: Pánta rhêi hōs potamós (in greco πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός‎), tradotto in tutto scorre come un fiume, è il celebre aforisma attribuito a Eraclito, ma in realtà mai esplicitamente formulato in ciò che dei suoi scritti conosciamo, con cui la tradizione filosofica successiva ha voluto identificare sinteticamente il pensiero di Eraclito con il tema del divenire, in contrapposizione con la filosofia dell'Essere propria di Parmenide. (Direttamente da Wikipedia la miglior spiegazione sintetica).

Confida i suoi dubbi amletici a una barretta energetica, che brama, che vorrebbe nel suo stomaco, ma con la quale preferisce parlare: l'idea l'ho presa da Business of my (House)band della mia amica LadyKokatorimon. Eric che parla col cibo, facendo così terapia, la trovo davvero geniale e perfetta per lui.

Ormai i feti abortiti non valgono più così tanto, visto che la ricerca sulle staminali non è permessa: riferimento esplicito a quanto accade nell'episodo 5x13 Kenny Dies. Alla fine di quell'episodio però la ricerca delle staminali è permessa, ma secondo l'attuale legge vigente negli U.S.A. non è possibile invece. Non so se la legge in questione è cambiara nel tempo o soltanto nell'universo di South Park fu approvata, ma ho voluto portare le cose sul piano dell'attuale realtà.

Lola Brown: il personaggio di Lola (che ricordo essere lei) non ha un cognome, per tanto ho dovuto inventare e che - molto originalmente - ho preso dal colore dei capelli. Sapete, i cognomi comuni non sono così brutti dopotutto.

True Blood: famoso telefilm della HBO, che narra le avventure paranormali, sentimentali e sessuali di Sookie Stackhouse e della cittadina di Bon Temps, in un'America futura dove i vampiri, ed altri esseri sovrannaturali, si sono rivelati agli umani grazie all'invenzione del sangue artificiale chiamato True Blood (da qui il titolo del telefilm appunto), e ciò porta il mondo ad essere diviso tra fiducia e sfiducia verso la razza non umana, che dichiara invece di desiderare una pacifica convivenza con gli umani e non essere discriminata... o questo almeno è quello che viene detto. La storia ruota intorno alla misteriosa e sfortunata Sookie che si ritrova innamorata di un vampiro dai modi gentili, Bill Compton, con cui vorrebbe vivere una tranquilla storia d'amore, ma la sfortuna e i guai sono dalla sua parte, visto che da quel momento omicidi e fenomeni inquietanti iniziano a sconvolgere la sua vita, creature non umane iniziano a rivelarsi a lei, che ha tutto meno della comune essere umana e per questo entra nell'interesse anche dell'affascinante quanto crudele Eric Northman, vampiro secolare e sceriffo della zona (e quindi tenuto a tenere l'ordine e a far sì che i vampiri regolino dritto) che acquisisce importanza nel corso delle stagioni. Il telefilm è liberamente ispirato alla saga scritta da Charlaine Harris Il ciclo di Sookie Stachouse (The Southern Vampire Mysteries, in originale) che inizia nel 2001 con Dead until dark ( in Italia ribattezzato Finché non cala il buio) e che ha concluso quest'anno con Dead Ever After (Morti per sempre). Non ho citato la saga per caso, importante in essa è il triangolo sentimentale tra Bill/Sookie/Eric, i quali, come personalità, ricordano fin troppo i nostri cari Kyle (Sookie), Eric (l'altro Eric) e Stan (Bill), e tutto ciò è molto divertente. 


 



   
 
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