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Autore: One Story    22/08/2013    1 recensioni
–Dove siamo?-.
-Siete a Neko City-.
-Che city?-.
-Neko city!-
La ragazza dagli occhi diamante alzò il foglietto nelle sue mani in modo che tutti i presenti potessero leggerlo e deprimersi insieme a lei: la brochure, tenuta stretta fra le sue mani coperte da guanti viola senza dita, citava ‘Venite nella città di Neko City, una bellissima località marittima che vi sorprenderà per la particolarità dei propri paesani!”.

Ma qual'è la particolarità che tanto incita la gente ad approdare in questa curiosa cittadina? Sarà forse da ricercare nel nome? In una cittadina misteriosa, un gruppo di amici si ritrova senza alcuna possibilità di fuga: quale sarà il loro destino, ma, soprattutto, a quello di chi si intreccerà? Un castano amante del surf ed un riccio dagli occhi prato vi invitano a notare che la storia è una LARRY; un moro poetico ed uno studioso castano che è anche ZIAM; mentre una modaiola castana ed una simpatica riccia vi presentano Neko City anche come DELEANOR.
Buona lettura, dalle autrici Thunderfrost & Nadia Yuki :D
Ps. Il rating della storia potrebbe variare in rosso
Genere: Commedia, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Mpreg
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Neko City






Capitolo I - Non ci resta che piangere



Louis’ POV

-Eccoci, siamo arrivati!
Un biondo ragazzo, dal sorriso fino alle orecchie e passa e dalle sudaticce mani incollate al volante del mezzo, urlò, finalmente, il tanto atteso verdetto in merito alla nuova sosta: eravamo arrivati! Senza attendere neppure il passaggio delle altre persone, sedute nei posti precedenti il mio, raccattai il mio fidato zaino e mi feci spazio fra esultanti bambini, stanchi anziani ed adulti disperati, permettendo persino ad una palla di lardo, ovvero una donna dallo stirato abito fucsia, la quale occupava metà del pullman e metteva in dubbio la piccola quantità di nozioni sulla fisica ancora conservate nel mio cervello, di schiacciarmi contro uno scheletrico vecchietto dal completo grigio, il quale quasi finì addosso alla presumibile moglie, la quale stava maledicendo lo scomodo sedile sul quale era accomodata: quanto la comprendevo! Spinta la girandola fucsia contro un bambino di massimo cinque anni in preda ad una crisi di pianto isterico per il giocattolo, uscito dall’ovetto Kinder ancora spiaccicato sul suo volto annaffiato di muco, appena distrutto dal fratello, balzai fuori dal pullman verde, respirando finalmente dell’aria pulita, buona ed incontaminata dal profumo di ketchup e cipolla proveniente dai panini dell’autista. Quindi, mi osservai attorno, con un sorriso che, pian piano, si spense del tutto alla vista del paesaggio: “cosa”. Chiusi gli occhi, li strizzai per bene e li riaprii, controllando se fosse un’allucinazione, mi diedi qualche schiaffo e mi tirai vari pizzichi sulla chiara pelle, ma nulla, non era neppure un sogno: com’era possibile, allora? Attorno a me si stendevano bianche case, vari tetti e persone dai semplici abiti estivi intente a sostenere buste della spesa o a rider a gran voce con i propri amici, sempre, però, con camicie a maniche corte e pantaloncini che sconsiglierei alla grassona di prima: non doveva essere un paesino di montagna? Accaldato, mi levai la giacca a vento blu e cercai di comprendervi qualcosa chiedendo aiuto, con lo sguardo, ad un moro dal ciuffo stile bravo manzoniano, ma nulla: pareva, anzi, persino più confuso del sottoscritto! Allora volai, con i miei azzurri occhi, ad una ragazza dai capelli alla Tecna delle Winx, solo più lunghi, ma non vi fu verso: neppure lei aveva idea dell’accaduto, e neanche la castana accanto a lei dava cenni di comprensione. Dove caspio eravamo finiti?
-Zayn, non doveva essere una località di montagna?- domandai al moro, intento a sistemarsi il ciuffo con la mano e ad osservarsi intorno con sguardo perso: “Doveva”.
-Sì, Louis, così ho letto dalla brochure …- rispose lui, socchiudendo gli occhi per via del sole, mentre lo osservavo battendo il piede sull’asfalto in attesa di una risposta.
-Già, ma questa non mi pare proprio una montagna … o sbaglio?- ribattei, incrociando le braccia. –Insomma, se siamo in altura, perché sono tutti in maniche corte o a bretelle?-.
-Perché hanno caldo?- provò lui, grattandosi il capo e sospirando: “Ma non mi dire!”. –Ho un brutto presentimento …-.
-Ah sì?- ironizzai, puntando il mio sguardo spalancato nel suo stanco.
-Non provare a fare lo spiritoso, è anche colpa tua se siamo qui piuttosto che … lì- commentò il moro, puntandomi un dito mulatto contro il petto e squadrandomi con sguardo infuriato; quindi, Tecna Enchantix ci divise, allontanandolo per un braccio.
-Basta litigare, voi due- ci ammonì. –Dividerci in questo momento non avrebbe senso. Piuttosto, dove siamo?-.
-Bella domanda!- commentai, aprendo le braccia. –Dove siamo?-.
-Siete a Neko City-.
Una voce alle nostre spalle permise a tutti e quattro i presenti di saltar sul posto per il suo arrivo senza preavviso: ci voltammo contemporaneamente ed osservammo ad occhi spalancati un biondo ragazzo, intento, come suo solito, a sorridere per alcuna ragione apparente. Beato lui che si godeva la vita … ed i panini al salame.
-Che city?- corrugò le sopracciglia la castana alle mie spalle, la quale si era avvicinata al sottoscritto per comprendere meglio il discorso.
-Neko city!- ripeté l’autista-guida-mangiatore di camion, il quale si tastò le tasche dei jeans in cerca di qualcosa, per poi estrarne trionfante una piccola brochure lilla, la quale porse alla ragazza dai capelli dal colore improponibile se non per un paio di bracciali, intenta ad osservarlo persa, come il resto del gruppetto. –Non avevate scelto questa come meta per le vostre vacanze?-.
La ragazza dagli occhi diamante alzò il foglietto nelle sue mani in modo che tutti i presenti potessero leggerlo e deprimersi insieme a lei: la brochure, tenuta stretta fra le sue mani coperte da guanti viola senza dita, citava ‘Venite nella città di Neko City, una bellissima località marittima che vi sorprenderà per la particolarità dei propri paesani!”.
-Non. Può. Essere.- fu la reazione poco teatrale della castana, Eleanor.
-Marittima?!- corrugò le sopracciglia stizzito il moro, Zayn.
-Ditemi che è uno scherzo …- sussurrò implorante la rosa, Perrie.
-Oh, cazzo- bestemmiai, decisamente meno fine dei miei compagni di viaggio, alzando lo sguardo verso il biondo, il quale quasi zampettava, manco fosse Tweedle Dee di Alice. –Ci prende per il culo, vero?-.
-Louis!- protestò per il mio linguaggio scurrile la tipa dalle mani guantate, lasciandomi un debole dolore allo stomaco per via di una sua gomitata.
-Oh, non si preoccupi- proseguì nel sorridere lui, permettendo alla mia voglia di ucciderlo seduta stante di aumentare a dismisura: ma c’era qualcosa che gli dava fastidio? –Piuttosto, no, non vi prendo per il culo, quali problemi vi sono?-.
-Non è questa la meta da noi scelta- rispose calma la castana, sfilando la brochure dalle mani della ragazza poco più bassa di lei e puntandola verso il petto del tipo in camicia bianca e jeans macchiati di senape. –Vi deve essere un errore-.
-Oh, beh, non saprei, io guido solamente- alzò le spalle lui: non poteva essere.
-Oh, giusto, ha-ha ragione, scusi- annuì col capo lei, permettendo al biondo di allontanarsi, probabilmente per permetterci di ragionare sull’evento e decidere sul da farsi. –Quindi!-.
-Ci troviamo in una città mai sentita nominare prima con abiti decisamente inadatti al luogo e lontani kilometri e kilometri da casa- riassunsi, mentre i tre si disponevano in cerchio attorno al sottoscritto: quello sì ch’era un guaio.
Eppure, potevo esser fiero di annunciare non fosse il peggiore, non quando eravamo riusciti a mandar a fuoco il laboratorio di chimica, il professore di chimica ed a perderci completamente nella sola scuola. Per non parlare delle gite di classe: oramai bastava citare le parole ‘rana’ e ‘pranzo’ per far saltare dalla sedia la nostra ex professoressa di latino! E già, ne avevamo combinate di belle, e non mi lamentavo di certo se non ci era più possibile entrare in biblioteca per quell’incidente con un topo appositamente rapito dall’aula di scienze, anzi: potevo osservare da lontano l’edificio, sorridendo contento ed orgoglioso per i ricordi che quel luogo mi portava alla mente. E tutto, grazie a quei tre pazzi dei miei amici, i quali, in quel momento, si guardavano confusi fra loro, preoccupati per il nostro avvenire: ed anch’io lo ero, ma non per questo mancherò dal lasciarvi una breve descrizione delle loro persone per seguir meglio la trama. La ragazza al mio fianco sinistro era Eleanor Jane Calder, castana, dagli occhi del medesimo colore e dall’altezza simile alla mia; fisico magro ed una passione smodata per la moda, la quale la portava ad indossare quantitativi incredibili di abiti in una sola giornata senza stancarsi neppur un secondo; dal portafogli quasi sempre vuoto, ad eccezione della carta di credito fregata al padre, El era una ragazza vanitosa, fin troppo, ma simpatica, molto, ed era mia amica dal liceo: si aggregò al gruppo già formato dagli altri due con una facilità incredibile, pareva l’elemento mancante! E la ragazza al suo fianco ne fu decisamente contenta: Perrie Louise Edward, dai capelli rosa, era l’unica fanciulla del gruppetto fino all’arrivo di Eleanor; prima di allora, i restanti membri, me compreso, pensavano fosse l’unica santa al mondo in grado di sopportarli; dalla pazienza immensa e la grazia d’una ballerina, Perrie aveva due diamanti come occhi, per quanto azzurri erano, ed aveva un dolce sorriso comprensivo, con il quale permetteva a più e più persone di cadere ai suoi piedi, ed il terzo personaggio, posto al suo fianco sinistro ed al mio destro, n’era ben a conoscenza. Zayn Jawaad Malik, dalle origini pakistane, non poteva decisamente negare d’aver avuto una cotta per l’ornitorinca, com’era soprannominata da noi; dall’enorme ciuffo scuro e la pelle mulatta, Zayn era mio amico sin dai tempi antichi, ovvero dall’asilo nido: i nostri genitori erano amici, nonché vicini di casa, non ci fu complicato andare d’accordo e diventare migliori amici, anzi. L’uno aveva oramai preso l’abitudine di non spender tempo con altri se non con l’altro, e ciò andava bene ad entrambi: dopotutto, era simpatico, divertente, insolitamente poetico, visto l’aspetto da cattivo manzoniano, ma unico; non potevo desiderare amico migliore. Ed io? Beh, io ero Louis William Tomlinson, nato per il surf, lo shopping, le righe, le storie da una notte ed i miei tre amici: nulla di più, nulla di meno. Ed ora ero completamente ed inevitabilmente perso in una città mai sentita nominare prima con abiti decisamente inadatti al luogo e lontano kilometri e kilometri da casa: l’aveva detto mia madre di andare alla nostra villa al mare per le vacanze, ma no, dovevamo andare in montagna!
-Che si fa?- pose, infine, la fatidica domanda una Perrie preoccupata, squadrando un po’ tutti.
-Beh, potremmo tornare a casa …- cominciò a proporre Zayn. –Ma è distante e dovremmo soffrirci nuovamente un pullman stipato di persone, con mocciosi lagnanti, anziani russanti ed autisti dall’alito di cipolla, questo per altre … 3 o 4 ore-.
-E se restassimo qui?- proposi, ottenendo degli sguardi ovvi: nessuno desiderava rivivere l’esperienza del viaggio, ed era anche ora di pranzo, erano più che altro gli stomaci a pensare.
Fu un’ottima scelta, in fin dei conti: aveva ragione Skipper, quando diceva ch’era un bene ragionare di pancia …

Zayn's POV


Inciampai in un sasso in mezzo alla strada, sbattendo freneticamente i piedi per terra come un idiota. Nessuno del gruppo si fermò ad aiutarmi: Eleanor e Perrie stavano chiacchierando, mentre Louis, con una mano sul didietro, brontolava ancora sui seggiolini troppo piccoli. Ma se ha un sedere grande come una casa, di cosa si lamenta? Mi rialzai rosso in viso per la figuraccia e notai con immenso sollievo che nessuno aveva fatto caso a me. Beh, una signora di mezz'età affacciata alla finestra mi squadrava innervosita ma, appena si rese conto che l'avevo vista, si barricò in casa. Scossi la testa e corsi dietro alle mie migliori amiche, intenzionato a dirgliene di tutti i colori: insomma, mi avevano lasciato indietro! Quando giunsi davanti a Perrie e le misi una mano sullo stomaco per fermarla. Lei aveva il naso per aria quindi non si accorse del mio braccio e nel giro di due secondi mi era cascata addosso. Eleanor sogghignò, senza farsi venire in mente di aiutarci, e ci prese in giro.
-Volete un po' di intimità, fidanzati?- chiese allontanandosi in modo teatrale. Perrie mi diede una gomitata sullo sterno e si alzò. Stizzita raccolse la borsa e fuggì verso Louis. Mi rialzai rosso fino alle orecchie e mi morsi le labbra. Perrie era stata la mia cotta per cinque lunghissimi anni prima che mi rendessi conto che, in realtà, preferivo un altro genere di persone. Eleanor non mi aveva mai perdonato il fatto che le avessi rovinato una coppia, a suo parere, perfetta. Mi misi alle calcagna di Perrie, deciso questa volta a scusarmi per la botta. Appena le sfiorai i capelli, lei si girò arrabbiata, con le sopracciglia fucsia a formare un unica linea sopra gli occhi azzurri.
-Vuoi farmi cadere o posso godermi il paesaggio senza la tua intrusione?- chiese acidamente. Le strinsi il braccio.
-Mi dispiace.-
-Fa niente.- disse lei rassegnata. In fondo lo sapeva che prima o poi le sarei caduto di nuovo addosso. Si allontanò per andare a chiedere un'informazione a Niall, mentre io frugavo nello zaino alla ricerca del mio pranzo. Alzai la testa e corsi come una lepre in mezzo alla strada per raggiungere Louis.
-Lou, mi hai fottuto il panino?- chiesi, mentre lui attaccava voracemente un trancio di pizza che sciabordava di sugo e olio. Scosse la testa.
-I tuoi panini sono senza prosciutto, senza formaggio... non sanno di niente.- bofonchiò con un bolo di cibo in gola.
-Non parlare a bocca piena che sei disgustoso. E poi non è colpa sua se la sua religione non prevede il consumo di salumi.- ribatté stizzita Eleanor. Anche lei, come Perrie, sembrava aver mangiato pane e acidità per colazione. Louis la incenerì, ma non rispose, occupato a finire con l'ultimo morso la pizza. Guardai il pranzo di Eleanor e decisi di non chiederle di darmene un pezzo. Lo yogurt dietetico al frutto della passione non faceva per me o per il mio stomaco affamato. Perrie parlava con Niall ma sembrava preoccupata. Tra le mani stringeva una mela. Ma cosa avevo intorno, amici venuti dal paese del pranzo salutare? Guardai Louis innervosito.
-Mi accompagni a prendere qualcosa da mangiare?- chiesi portandomi una mano al ciuffo. Louis lanciò uno sguardo alla guida Niall che stava piantonando la sua collega, saltellandole intorno. Annuì distrattamente.
-Basta che non ci perdiamo.- mormorò.
-Dicono che il modo per non perdersi in un labirinto sia andare sempre a destra.- dissi allegramente, camminando accanto al mio amico. Mi guardò stranito.
-Eh?-
-Beh- spiegai -Se vai sempre a destra e devi tornare indietro basta andare sempre a sinistra.- lo guardai con un cipiglio da professore. -Capito?-
-Non sono stupido.- mi riprese stancamente. Svoltammo a destra e ci ritrovammo davanti ad una stradina perfettamente uguale a quelle dei paesini greci più antichi. Le pietre degli scalini erano così bianche che sembrava che qualcuno ci avesse passato sopra una manciata di farina. Il sole illuminava le case di mattoni cotti, incastrando l'aria afosa dell'estate e surriscaldandola, così che dalle pietre si levava anche un debole sospiro caldo. Sembravano carapaci di tartarughe che respiravano. Fu Louis il primo a interrompere la magia del momento e a saltellare senza indugi sul primo scalino. Con una sorta di timoroso rispetto, lo seguii. Da una finestra, con una delicata tenda verde chiaro, si levò una risata maschile e molteplici voci allegre. Chissà che ricorrenza stavano festeggiando. Louis mi prese per un braccio e mi guidò giù dalle scale, sempre più ripide, capendo la mia incapacità di ignorare la bellezza di quel borgo. Alla fine delle scale c'era un ballatoio con delle colonne. Fui costretto a fermarmi dalla magica vista che potevo godere da lassù. Il mare, in tutto il suo profondo splendore, si sdraiata calmo davanti a noi; poco prima c'era la spiaggia, dorata e scintillante, puntellata dalle macchie scure delle persone o dalle chiazze colorate degli ombrelloni. Il sole accarezzava la lingua di scogli che si protendeva in mezzo al mare e dal quale si vedevano gettarsi alcune figure, come uccelli che spiccassero il volo e che all'ultimo decidessero di lasciarsi cadere a fondo nel mare. Sotto il ballatoio invece di estendeva la cittadella, con i suoi tetti rossicci da pesino e i suoi muri gialli. Il vento salmastro ci portò l'eco di un gabbiano. Allargai le braccia come Rose del Titanic e desiderai ardentemente che accanto a me, invece del mio migliore amico sbuffante, ci fosse l'amore della mia vita, pronto a prendermi per la vita e a tirarmi su, su oltre il cielo, fino a rendermi parte del paesaggio e della sua armoniosa pace.
-Hai finito?- chiese Louis accanto a me con un sorrisetto. Lo guardai male.
-Non sai godere delle cose piccole.- lo rimproverai.
-Certo che no! Preferisco grandi cose.- mormorò con un cipiglio perverso. Alzai gli occhi al cielo e gli colpii la spalla.
-Stronzo. Non intendevo quello. Dicevo che sei troppo preso da... altri pensieri per accorgerti del mondo che ti circonda. La bellezza nei piccoli gesti che avvengono intorno a te, occupato a trovare un'altra vittima dei tuoi sadici giochi- sospirai. Louis si fermò a guardarmi male.
-Non dipingermi come un coglione che non sono. Sai che so essere dolce.-
-Il problema è quello! Sai essere una delle persone più gentili di questa terra, perché allora ti nascondi dietro una patina di lussuria e freddezza?- gli chiesi ignorando il fatto che le scale fossero finite e che ci fossimo infilati nella calca di quello che, a mio parere, era il mercato. Una ragazza mi sbatté sul petto con il naso, finendo a terra. Con lei crollò una pila di tovaglie arancioni e rosse, che si spagliarono per terra, una mi arrivo anche sul braccio. Mi chinai ad aiutarla e mi scontrai con qualcosa di morbido e peloso. Ci misi un po' per capire che erano le orecchie della ragazza, di un sobrio arancione a righe. Erano a triangolo, feline e guizzavano all'indietro spaventate. La ragazza si rialzò, aggiustandosi gli occhiali e una cosa arancione le avvolse la vita, come un terzo braccio. Rimasi basito e la guardai mormorare uno “Scusa” flebile prima di rituffarsi nella folla. Guardai Louis terrorizzato. Quelle orecchie non erano finte. Louis incrociò il mio sguardo e me lo restituì se possibile ancora più terrorizzato. Fermai una donna che camminava lì vicino.
-Scusi ma... quella ragazza.- indicai il vuoto, visto che l'avevo completamente persa di vista. -Ha le orecchie da gatto vere?-
-Certo!- esclamò lei. -Tutti come lei ce l'hanno.- analizzò un secondo le nostre occhiate allucinate, soffermandosi con un sorriso su Louis che spalancava ritmicamente gli occhi come una bambola. -Siete turisti?- ci chiese. Annuimmo insieme e lei ci sorrise. -Allora siete giustificati. Qui da noi i ragazzi che non sono arrivati all'età adulta hanno le orecchie e la coda da gatto. Vengono chiamati Little Cats.- ci guardò più attentamente. -La vostra guida non ve l'ha detto?-
-Probabilmente era troppo preso a mangiare.- sibilò malignamente Louis dietro di me. La donna ci sorrise e sparì nella folla prima che avessimo il tempo di ringraziarla. Guardai Louis con la sensazione che la storia non fosse completa, ma la donna era scomparsa tra gli anonimi volti della folla. Deglutii, la storia delle orecchie su un essere umano mi aveva chiuso lo stomaco, non avevo più voglia di mangiare.
-Torniamo da El e Pez.- dissi a Louis e lui annuì energicamente. Mi girai convinto verso la scala ma mi trovai a sbattere contro una fontana. Mi girai a destra e vidi una schiera di case lunghissime. A sinistra c'era lo sbocco per il mare, verso il quale si riversavano, come alla foce di un fiume, milioni di persone. Guardai Louis e lui indurì lo sguardo.
-Zayn, tu non ti sei perso, vero?- mi minacciò. Deglutii.
-Certo che no. Solo.. chiediamo là una conferma.- dissi scappando dentro un negozio con l'insegna gialla, senza nemmeno leggere che tipo di negozio fosse. Louis, masticando sbuffi e parole invettive, mi seguì. Entrammo e venimmo investiti da un forte odore di farina e pane. Una voce gentile di un uomo ci accolse.
-Serve qualcosa?-


-Spazio autrici-


Salve e benvenuti al primo capitolo di Neko City, la fan fiction nata dalle menti (malate) di due (pazze) autrici: Thunderfrost (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=203435) & Nadia Yuki (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=170443)! Vi ringraziamo di cuore per aver aperto questa pagina ed esser arrivati fin qua, speriamo la storia possa piacervi tanto da continuare a seguirla :3 (vi regaliamo biscotti se lo fate) Prima di lasciarvi a qualsiasi altra attività più interessante di guardarvi sta parte idiota, Thunderfrost vorrebbe farvi gentilmente (sicuro guarda) notare che vi sono delle AVVERTENZE che devono esser lette per evitare spiacevoli inconvenienti. (scusatela, l'è già capitato e si è fissata) Detto questo, Nadia (che so io, modest!amente-ma anche no) vi ringrazia nuovamente e vi supplica vi chiede gentilmente di lasciare una recensione o verrà ad uccidervi nella notte con la bambola triste che la sta fissando :3
Bye and thanks :3

Nadia Yuki & Thunderfrost
  
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