Videogiochi > Final Fantasy VII
Ricorda la storia  |      
Autore: Negative Creep    22/08/2013    4 recensioni
(Vincitrice ai Genesis Awards per la categoria Best Miscellaneous)
Le menti migliori della generazione di Tifa vengono distrutte dalla follia.
Genere: Comico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Tifa Lockheart
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Advent Children, Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
The Tea Party ~ L’ora del tè




La sciacquetta cominciò a calarsi nel Lago dei Cetra con un urlo snervante e tremante, l’appello di una potenziale vedova che sente bussare alla sua porta. Gli operai della squadra assortita del Bone Village – tutti uomini coriacei e duri, nessuno escluso – erano inquieti, a disagio, si scambiavano sguardi nervosi. Erano anni che non intraprendevano un lavoro tanto remunerativo, difficile negarlo, ma l’etica dell’operazione era stata messa in seria discussione da non pochi di loro. Però i gil erano pur sempre gil, e soprattutto nessuno voleva avere questioni con lui. Accantonarono le proteste ed eseguirono gli ordini.

A ogni braccio d’acqua penetrato dall’artiglio della pala di recupero aumentava la tensione in superficie. Quando quello raggiunse il fondo del cenote, l’atmosfera era quasi palpabile, pesante come il fango e carica di un’inspiegabile terrore. L’uomo alla manovella guardò preoccupato il caposquadra, che gli fece cenno di tirare con tutto l’entusiasmo di un impresario delle pompe funebri a un parto dal vivo. La catena si riavvolse rumorosamente; tutto il mondo trattenne il respiro.

In un rovescio di gocce fini, l’artiglio riaffiorò tagliando le onde. Come un sol uomo la folla si irrigidì, poi si rilassò, e alcuni risero nervosamente quando videro finalmente la ricompensa che la sciacquetta aveva trascinato dalle profondità del laghetto dei Cetra.

Stretto tra i rebbi arrugginiti c’era un vecchio PHS fradicio, largamente ammantato di melma e alghe.

L’operatore alla manovella ridacchiava ancora sotto i baffi quando la punta della spada di Cloud gli si conficcò tra le scapole, rispuntando dalla pelle morbida alla base della gola. Due occhi azzurri fulminarono il resto degli lavoratori da sopra il corpo accasciato del loro compagno, traboccanti di una luce di follia. Sfidavano a dissentire e si sottraevano agli interrogatori, davanti al sangue che si raccoglieva ai piedi del loro proprietario.

« Siete pregati di tornare al lavoro. »

Quel pomeriggio non una risata echeggiò nella Foresta dei Cetra, eccetto quella di Cloud Strife stesso quando finalmente ripescarono la cosa che andava cercando con tanto accanimento. Un suono che nessuno dei presenti avrebbe mai dimenticato.





Il sole era allo Zenit in un cielo azzurro e limpido quanto Tifa ritornò a Edge, dopo una visita di un mese a Rocket Town. Era stato un soggiorno piacevole – Shera era incinta di otto mesi, “grossa quanto lo stramaledetto razzo” per citare suo marito, e le serviva una mano nelle cose di cui Cid non era semplicemente in grado di occuparsi da solo – ma Tifa era più che lieta di essere a casa. I suoi vestiti puzzavano di fumo, e benché non potesse averne la certezza assoluta, era quasi sicura di poter fare a meno di tutte quelle varianti sugli usi della parola “cazzo” in una sola frase.

Il suo vecchio pick-up sferragliava e rantolava, e sollevò una nuvola di polvere sottile quando parcheggiò nel cortile spegnendo il motore. Il canto delle cicale che buttavano via le loro brevi vite prostituendosi rimpiazzò il rumore del motore con aplomb, facendo sembrare l’aria di mezzogiorno ancora più calda di quanto già non fosse. Una birretta fredda e il buio umidiccio del suo amato bar non erano mai stati tanto allettanti; aprì la porta del camioncino con un calcio, si tuffò nella luce del sole oltrepassando la soglia della portiera, e si bloccò prontamente come paralizzata.

C’era qualcosa di… sbagliato. In realtà “sbagliato” sembrava la parola meno adatta a descrivere l’atmosfera che aveva avvolto il posto; aggettivi come “spettrale” e “malsano” si agitavano nel subconscio di Tifa contro la sua volontà man mano che si avvicinava lemme lemme all’ingresso. Edge non era mai stata esattamente animata, su quello non c’erano dubbi, ma il silenzio di quel pomeriggio, a dispetto della burrasca delle cicale, dava veramente i brividi, di quelli che si infilavano sotto la pelle e la accartocciavano in piccole creste di pelle d’oca sulle braccia e sulla schiena. Il rumore di un cliente rissoso che rompeva la vetrata sarebbe stata una gradita distrazione da quella quiete soffocante, asfissiante, e considerato quante volte aveva dovuto cambiare a caro prezzo quei maledetti vetri in occasioni simili, non era dire poco.

Tuttavia, Tifa Lockheart non aveva fronteggiato vittoriosa inenarrabili orrori e un semi-dio infuriato senza uscirne fuori con un paio di cojones grandi almeno quanto il suo giro petto. Calmando i nervi con un respiro profondo, si fece avanti e allungò la mano sulla maniglia, preparandosi mentalmente a ciò che avrebbe potuto trovare oltre. Ma in fondo, dopo la camera a gas, cosa poteva esserci di tanto male?

I cardini arrugginiti cigolarono in protesta all’aprirsi lento della porta, rivelando…

… il nulla più assoluto. Nessuna bestia feroce né veleni mortali si annidavano oltre l’entrata del Seventh Heaven, al contrario di quello che il suo sovreccitabile sesto senso le aveva ripetuto finora. Si rilassò e si fece strada all’interno, ridendo un po’ della fifona che la formidabile salvatrice del mondo Tifa Lockhart era diventata nei due anni appena trascorsi.

Poi le arrivò l’odore.

Era un uovo marcio su un davanzale di Nibelheim, brulicante di vermi. Era una montagna di immondizia più alta delle case fatiscenti dei sobborghi di Midgar. Era la putrefazione personificata con nome, numero di PHS, e indirizzo. Tifa ne aveva sentite di cose putride nella sua effettivamente breve vita, ma questo le faceva impallidire tutte e le mandava a piangere a casa da Madre. Le riuscì soltanto di deglutire la bile che le ribolliva nella gola, tenendosi a uno sgabello nel disperato tentativo di reggersi in piedi malgrado gli strenui sforzi del tanfo di farla svenire sul pavimento. Il presentimento che l’aveva assalita fuori tornò decuplicato, schiacciante quasi quanto quella puzza.

Dopo un po’ trovò un instabile equilibrio, una mano premuta con fermezza sul naso. Non servì a molto, ma filtrò quel che bastava del miasma per riacquistare un po’ di chiarezza di pensiero. La sala bar era deserta e impolverata; a una prima impressione non avevano clienti da quando Tifa era partita per Rocket Town, oltre un mese e mezzo prima. Dov’erano tutti i clienti fissi che di solito la salutavano, competendo in maniera gioviale per l’attenzione e la birra della barista? Dov’era Marlene, l’autoproclamata mascotte del Seventh Heaven? Ma soprattutto, dov’era Cloud?

Un fischio stridulo si levò dalla cucina dietro il bar, frantumando il silenzio. La porta che dava sull’area sul retro era socchiusa. Alla luce fredda del neon di una serie di insegne di birra, azzardò diversi passi cauti e barcollanti verso di essa, dando una spinta alle ante, notando molto vagamente che le assi di legno sotto gli anfibi erano bagnate e cosparse d’acqua. Proviamo la porta numero due, sì?

Stranamente, la prima cosa che notò non fu Cloud, né la sua ospite seduta al tavolo accanto a lui. La sua attenzione venne immediatamente rapita dal bollitore del tè che sbatacchiava allegramente sul fornello, e fra tutte le cose che avrebbe potuto pensare in quel momento, la domanda che prese corpo nella sua mente fu: Da quando Cloud prende il tè? Era stato un convinto bevitore di caffè da che riuscisse a ricordare, tanto che lasciava sempre il tè a Cid, e a Aeris prima di lui. Per qualche ragione fu questo, più di ogni altra cosa, a turbarla e a gridarle all’orecchio che c’era qualcosa di sbagliato sbagliato sbagliato.

Nella cucina regnava un calore afoso, l’unica luce era quella intima delle candele, e c’era un odore di morte purulenta. Qui era talmente forte che i conati le vennero davvero; si accorse di Cloud, che le si era inginocchiato vicino per tenerle i capelli lontani dal viso, solo dopo che aveva finito di vomitare, il moccio al naso, l’alito che puzzava di bile e indebolita dallo sforzo. Si pulì la bocca con un ultimo colpo di tosse tremante e lasciò che le mani gentili di Cloud la raccogliessero dal pavimento.

« Teef? Stai bene? » chiese, scrutando il suo viso con una certa apprensione. « Non ti ho neanche sentito entrare. Hai la nausea? Vieni, ti prendo una sedia… »

La guidò fino al tavolo e le tirò fuori una sedia. Tifa fu più che lieta di ricaderci; le gambe le si erano come trasformate in gelatina non montata troppo bene. Cloud corse ai fornelli e tornò con una tazza fumante di tè, che lei accettò con la stessa gratitudine. A quel paese le vecchie abitudini: qualunque cosa che sciacquasse via il sapore disgustoso che aveva in bocca e l’odore tremendo che aveva nelle narici era un dono del cielo. Non avrebbe fatto storie nemmeno se Cloud le avesse servito ghiandole di tomberry alla piastra, arrivati a questo punto.

« Cloud, ma cos’è questa puzza? » disse finalmente dopo un momento di pausa, svuotando la tazza in un sol sorso e sbattendola sul tavolo. « Dove diamine sono tutti i nostri clienti? E Marlene? Insomma, non li biasimo se da quando me ne sono andata ha puzzato così, ma che diavolo succede? Non ti sei fatto sentire da quando sono partita per Rocket Town, e cominciavo a preoccuparmi, e- »

Tifa alzò finalmente lo sguardo dal fondo della tazza per guardarlo negli occhi. Qualunque cosa stesse per dire le morì sulle labbra come se la Masamune le avesse appena affettato la lingua quando vide finalmente la figura accomodata accanto a lui nelle ombre. La riconobbe all’istante.

Era Aeris.

Per la precisione, era ciò che rimaneva di Aeris.

Per qualche motivo, non riusciva che a pensare avrei dovuto sapere che sarebbe andata così, avrei dovuto sorvegliarlo meglio oddio aiutaci dio aiutami che cosa ha FATTO

Metà della faccia, ingrossata dall’acqua e dal tempo, era stata rosicchiata dagli animaletti che abitavano il lago – pesciolini, granchi, e tutti gli altri avvoltoi che chiamavano casa il cenote dei Cetra. Era rimasto appeso qualche brandello di pelle; le si vedevano i denti dell’ormai allentata mascella inferiore, ancora bianchi, che l’abbagliavano in un largo sorriso cristallizzato. Si accorse con orrore crescente che la ragazza non aveva più le labbra per celarli, e il senso di nausea tornò inarrestabile, con il tè caldo che tentava di risalirle la gola ribollendo come un geyser.

L’altro lato era integro, ma gonfio quasi al punto da essere irriconoscibile, con la lingua mezza mangiucchiata a rubare il posto delle labbra. I capelli erano caduti a chiazze lungo il cuoio capelluto, ma chissà come, derisoria, le era rimasta quella lunga treccia lucente, tenuta ancora dal fiocco rosa zuppo. Gli abiti erano marciti da tempo, ridotti a stracci di un rosa scolorito, e coprivano a malapena la pelle squamata e ingrigita.

La fissava dall’altra parte del tavolo con le sue orbite vuote e Tifa ricambiava lo sguardo, nauseata ma incapace di staccarle gli occhi di dosso. L’incantesimo venne finalmente spezzato quando Cloud, con un sorriso orgoglioso, si sporse sul tavolo e le diede un amorevole bacio dove un tempo aveva avuto una guancia. Si rivolse a Tifa con il sorriso più ampio ed eccitato che gli avesse visto fare in tre anni e disse:

« Beh? Che ne pensi, Teef? È tornata! »

Il mondo si capovolse, e Tifa non vide altro che benedetto nulla.





Quando finalmente rinvenne, la prima cosa che incontrò i suoi occhi fu Barret, chino su di lei, che le faceva freneticamente aria con un ventaglio di carta. Il sollievo la sommerse come un bagno caldo. Barret era talmente radicato nella normalità – nel mondano, nel quotidiano, nel mondo di polvere, sabbia, sudore e carbone – che la calmò anche solo con i suoi lineamenti grossi e larghi. La aiutò a sedersi, appoggiandosi agli armadietti della cucina.

« Barret? Quando sei entrato? » riuscì finalmente a biascicare, le giunture che schiocchiavano e scrocchiavano mentre si sistemava in una posizione più comoda sugli sportelli del bancone. « Tu non puoi capire quanto sono contenta di vederti. Penso di essere svenuta, e non crederai mai all’incubo che ho appena fatto… »

L’omone la guardò, e vide un’emozione che non si sarebbe mai aspettata di trovare in quegli occhi scuri: terrore puro, misto a tristezza e alla gamma di emozioni più familiari al suo viso quali frustrazione e rabbia. Si portò un dito grosso quanto un martello alle labbra e scosse la testa.

« Magari fosse stato un incubo, piccola. Che ti ho sempre detto di quello là? Lo stronzo ha passato il punto di non ritorno e adesso non c’è più un cazzo da fare. »

Il rumore di stivali in avvicinamento dall’altra stanza lo interruppe. Ebbe solo il tempo di mormorare un « Sii forte, Tifa » prima che la porta si aprisse e Cloud entrasse di gran carriera, mano nella mano con una stordita Marlene. Il suo viso si illuminò visibilmente quando notò che Tifa aveva ripreso conoscenza.

« Santo Dio, Tifa, prima hai spaventato a morte me, Aeris e Barret » disse, scostandosi una ciocca di capelli dal volto con un sorriso sollevato. « Capisco che era una sorpresa, ma a tal punto eri scioccata di vederla? Te l’avevo detto che un giorno sarebbe tornata. »

Tifa poté solo fissarlo, preda di uno shock sordo, incapace di reagire o rispondere. Guardare l’uomo che un tempo aveva amato sproloquiare in una specie di allegra demenza era stranamente più nauseante persino del guscio rovinato di Aeris sistemato a tavola. Si sforzò di reprimere quella sensazione familiare che si rimescolava nel suo stomaco mentre lui continuava, beatamente ignaro che ci fosse nulla fuori posto.

« Però adesso mi sa che non è più un segreto, eh? Oddio, dite che devo chiamare Cid, Red e gli altri e dire loro la novità, o per ora ce la teniamo per noi? »

Fece per prendere il PHS che gli ciondolava alla cintura. Tifa, ritrovando lingua e gambe, gli si lanciò al braccio e lo fermò prima che avesse il tempo di tirarlo fuori.

no no no porco cane non li coinvolgerò in questo casino ce la vedremo tra di noi si riprenderà IO lo farò riprendere posso farcela so che posso

Ma riconobbe la falsità di quelle parole anche mentre le pensava.

« P-perché non… aspettiamo un altro po’ prima di chiamare gli altri, eh? » riuscì a balbettare, facendo del suo meglio per sembrare allegra anche se voleva soltanto scappare quanto più lontano le consentissero le sue forze. « Insomma… Aeris sarà tremendamente stanca, no? Vogliamo darle il tempo di adattarsi prima di far venire tutti gli altri, dev’essere ancora sotto shock! » Scoccò a Barret uno sguardo significativo e aggiunse: « … Come lo siamo tutti, naturalmente. »

Gli occhi azzurri e senz’espressione di Cloud registrarono confusione, poi comprensione. Le sorrise, e lei si rese conto con una fitta di dolore che non aveva mai sorriso così tanto da che lo conosceva. Un risentimento istintivo e cocente verso Aeris le lampeggiò dentro come un fulmine e poi svanì; per quanto potesse provarci, non le era possibile covare rancore per una donna morta, soprattutto quando erano state grandi amiche e compagne di battaglia. Non era colpa sua. Al massimo, Tifa incolpava se stessa per aver ignorato i segni, per non essersi impegnata di più, per aver fatto finta che le cose andassero bene quando andavano tutt’altro che bene da anni e anni. Aveva fallito, e adesso lui ne pagava le conseguenze. Ne pagavano tutti.

« Ben detto, Tifa. Per il momento saremo solo noi, come ai vecchi tempi. Perché non andiamo a sederci e parliamo? » Cloud diede un’occhiata a Marlene e poi tornò a guardare Tifa con un sorriso segreto che le spezzò il cuore. « Qualcuno non l’ha ancora vista, e so che a lei farà molto piacere. »

Le parve di perdere il terreno sotto i piedi. Barret si incupì come il fondo di un pozzo. Marlene arricciò il naso, soppesò gli adulti radunati, e scelse proprio quel momento per chiedere: « Cos’è questa puzza? »

Oh no.

Cloud non parve notare o interessarsi della domanda innocente della bambina. La prese in braccio e tornò al tavolo, con Barret e Tifa al seguito. Negli occhi di Barret c’era furia omicida; Tifa era più che sicura sicura che se avesse avuto la mitraglia collegata al braccio, Cloud non avrebbe vissuto un secondo di più, demente o no. Anni di amicizia passavano in secondo piano quando il bene di sua figlia era in pericolo, proprio come ora. Il suo futuro benessere mentale era appeso a un filo, e Cloud era fin troppo ansioso di tagliarlo senza rendersene conto.

Aeris sedeva dove l’avevano lasciata, la testa che ciondolava cieca da un lato. La bella tazzina di porcellana colma di tè che Cloud le aveva poggiato davanti non era stata sfiorata. Nel vederlo Cloud corrugò la fronte in una smorfia di preoccupazione.

« Aeris? Non hai sete? »

Il cadavere non parlò. Un minuscolo granchio sfuggì da una delle sue cavità oculari e precipitò nel tè con un acquoso plop.

« Hmmm. Mi sa che hai ragione, forse ci ho messo troppo zucchero. Tieni Tifa, tu hai un debole per il dolce, puoi berlo tu. »

Fece scivolare la tazza in direzione di Tifa. Lei provò a non ritrarsi e fallì miseramente. Dalle ginocchia di Cloud Marlene iniziò a piangere, piccoli singhiozzi che spezzavano il teso silenzio della cucina. Persino una bambina di cinque anni poteva capire che c’era qualcosa di terribilmente, orribilmente fuori posto.

« Papà, cos’è successo alla fioraia? » Tirò su col naso, lanciando caute occhiate alla figura ondeggiante di Aeris posta accanto a lei. « Puzza tanto e non dice niente e pare un mostro e… »

Barret intervenne con voce incrinata. « Tu non guardare, piccola. Chiudi gli occhi e non guardare. »

La bimba obbedì. Mentre loro parlavano, Cloud si era distratto a fissare con aria alquanto trasognata il volto distrutto di Aeris, ma fu riportato a una qualche parvenza di realtà quando la bambina si soffiò il naso sul lato anteriore della sua giacca. Abbassò gli occhi come se si fosse appena ricordato della sua esistenza e sfoderò quel suo sorriso assente.

« Anche tu le sei mancata, Marlene, più di quanto possa spiegare a parola. Su, rifate conoscenza; mi comporto come se non sapesse nemmeno parlare da sola! Scusa Aeris, colpa mia. »

Prima che Tifa potesse saltare sul tavolo per fermarlo, Cloud aveva allegramente depositato Marlene nel grembo di Aeris. Il corpo, già in una posizione precaria, perse l’equilibrio e ricadde sulla bambina. Lo strillo che seguì fece fischiare le orecchie di Tifa per due minuti abbondanti.

Barret perse finalmente l’inconsistente controllo che aveva mantenuto e balzò in piedi con un ruggito, capovolgendo il tavolo e strappando la figlia dal cadavere in un unico, fluido movimento. Le tazze di tè e i piattini schizzarono in ogni direzione e si infransero sul pavimento.

« Che CAZZO credi di fare, psicotico figlio di puttana?! » latrò, cullandolo la bambina singhiozzante tra le braccia come una bambola di pezza. « Non lo sai che quella povera ragazza è morta?! Smettila di fare lo psicolabile del cazzo e SVEGLIATI! »

Adesso anche Cloud si era alzato, le braccia strette con fare protettivo attorno alle spalle di Aeris. La rimise con cura in una postura eretta e squadrò Barret in cagnesco, arrabbiato e confuso.

« Ma che cazzo, Barret, non è morta, per quanto ancora potrai negarlo?! È proprio qui e ti sta guardando in faccia, sei cieco? » Abbassò lo sguardo e accarezzò teneramente ciò che era rimasto dei suoi capelli. « L’ho riportata io stesso dal Lago dei Cetra. Era svenuta, ma l’acqua santa l’ha preservata. Mi è bastato usare una Coda di Fenice e… »

« Ragazzo, sono tutte fottutissime stronzate e dentro di te lo sai pure tu. Abbiamo provato a usare tre di quelle cazzo di cose la prima volta e non è servito a niente, non ti ricordi? »

« Beh, allora forse non ci abbiamo provato abbastanza, ci hai mai pensato? L’abbiamo lasciata lì, e dopo tutto quello che ha fatto per noi, dopo tutto quello che aveva sacrificato… »

Per qualche ragione l’unica cosa a cui Tifa riuscisse a pensare, mentre li guardava litigare e urlarsi addosso sopra il tavolo da cucina capovolto, era la persona che non produceva alcun suono.

Aeris era stata una compagna fidata, una rivale in amore, e una delle migliori amiche che Tifa avesse mai avuto. Ripensò a lei che accudiva i suoi fiori a Midgar. Ripensò a quella volta che si erano provate i costumi da bagno a Costa del Sol, cercando di superarsi a vicenda. Ricordò le storie della buonanotte che raccontava a Marlene, o quella volta che aveva legato i fiocchi rosa alla criniera e alla coda di Red mentre lui dormiva. Rievocò questi e altri ricordi vibranti e provò a riconciliarli con la cosa putrefatta ingobbita sulla sedia, ma la sua mente non arrivava a comprendere il nesso, si rifiutava di accettare la verità. Il conduttore aveva da tempo lasciato il motore; ciò che rimaneva era un involucro, un guscio vuoto come le carrozze abbandonate dei treni che tappezzavano il cimitero ferroviario del Settore Sette. Semplicemente, non era più Aeris. Perché Cloud non riusciva ad arrendersi?

Riemerse dai suoi pensieri giusto in tempo per sentirlo sbottare: « Beh, se non vuoi credere a quello che hai proprio davanti agli occhi, allora non crederai neanche a quello che io e Aeris abbiamo fatto con l’Holy, vero? Cazzo, Barret, sapevo che eri testardo, però… »

La mente di Tifa si congelò. Cloud continuava a farneticare; lo interruppe nel bel mezzo di una frase, agitando la testa per schiarirsi le idee. Forse aveva sentito male. « Cloud, aspetta, che cosa? Tu hai l’Holy materia? Adesso? Qui con te? »

Lui le rivolse un’occhiata curiosa e scosse il capo. « No, dopo che l’abbiamo usata l’ho buttata. Troppa tentazione, e Aeris ha detto che non le serviva più. » Tornò a studiare il suo corpo, adorante, inconsapevole delle ciocche di capelli che se ne venivano via con le sue dita quando li accarezzava. « Ha detto che aveva già tutto quello di cui aveva bisogno. Non appena Zack sarà qui si sistemerà tutto, vi sveglierà lui. Vedrete. »

Silenzio di tomba.

« … Come scusa? » Ora toccava a Tifa essere confusa. « Cloud, Zack è morto quanto- »

« No, non è morto. Non proprio. Aeris ha voluto che usassimo l’Holy per metterlo a posto, e l’abbiamo usata. »

L’orologio scandiva i momenti con i suoi ticchettii, ignaro della situazione quanto Cloud stesso. Il cuore di Tifa saltò qualche battito e poi si tramutò in ghiaccio.

L’Holy era un potere formidabile al servizio del bene nelle mani di un discendente dei Cetra. Eseguiva la richiesta del padrone ed esaudiva il suo più fervente desiderio come meglio poteva. Tuttavia, Tifa non aveva la più pallida idea di come avrebbe reagito a un ordine impartito da un essere umano mezzo pazzo che non badava alle specifiche. In fondo aveva salvato il mondo, ma li aveva lasciati ad agonizzare alla mercé del Geostigma – quale risvolto pratico avrebbe dimenticato questa volta?

Forse non ha reagito affatto, si disse, cercando di calmarsi mentre l’isteria minacciava di prendere il sopravvento. Probabilmente l’ha ignorato e basta, infusione Mako o no. Mantieni la calma.

Manco a farlo apposta, sentirono un clangore dall’altra stanza, il rumore degli sgabelli che venivano ribaltati da qualcosa di grosso e vacillante. Passi pesanti e traballanti cigolarono sul pavimento in legno massiccio. Come di un ubriaco che trascinava a casa la mazza in perfetto stato che aveva trovato sulla strada di casa dopo l’ultima telefonata.

Cloud si illuminò.

« Visto, è arrivato! Ho lasciato la porta aperta per farlo entrare subito. Sapevo che sarebbe venuto. Ero talmente sicuro che si sarebbe ripreso che ho lasciato la Buster Sword alla sua tomba. » Un sorriso modesto, piccolo, gli balenò sulle labbra. « Tanto l’avevo solo presa in prestito. Sapevo che un giorno saremmo stati tutti insieme. »

Cadde il silenzio. Il rumore dalla sala bar cessò bruscamente.

Tifa guardò Barret.

Barret guardò Tifa con altrettanto panico, poi la porta, poi di nuovo Tifa.

Cloud sorrise estatico a tutti gli interessati, infilando la mano in quella di Aeris.

Aeris perse altre due dita che rotolarono sul pavimento e atterrarono a piedi di Marlene.

Poi la porta della cucina tremò come se avesse subito un forte impatto – come se qualcuno ci si fosse buttato a capofitto con una spalla insensibile – e tornò il silenzio. Venne momentaneamente interrotto dai lenti, dolorosi graffi dall’altro lato delle ante, intervallati dal debole thud di un pugno impotente contro il legno.

Guardando gli amici raccolti, Cloud pose la domanda che tutti temevano, alzando la voce per sovrastare il frastuono sempre più forte.

« Beh, ragazzi? Nessuno va ad aprire la porta? »







NdT: dedicata a tutti quelli che "ma non potevano usare una Phoenix Down?"
(also, vorrei far presente a tutti che con le fic in cui Aeris "torna" sono ufficialmente a quota tre. *guanto di sfida*)
(also, "Tea Party" non è l’ora del tè, ma forse "ora del tè" rende con una certa immediatezza il riferimento ad altri famosi tea party.)
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy VII / Vai alla pagina dell'autore: Negative Creep