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Autore: WishfulThinking    28/02/2008    5 recensioni
Scritta di getto dopo aver letto "You're not from here", di Solarial. E' stata una risposta istintiva, viscerale, come se quella fic lo chiedesse. Grazie quindi a quest'autrice di averla scritta.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ino Yamanaka, Sakura Haruno
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You're not from here

Profondamente ispirata dalla fic di Solarial per il concorso di Kagome_chan88…la tua fic era talmente coinvolgente che quello che vedi s’è scritto da solo.

Grazie davvero della tua comprensione e disponibilità,

sorella nelle fanfiction!

 

 

 

I’m there, within you

 

 

 

Sakura, mia piccola, dolce, ingenua Sakura….

 

Sprofondo nei ricordi come nel presente: allora, come ora, non sorridevi. Piangevi solo. E tenevi il broncio perché tutto il mondo pareva avercela con te, pareva divertirsi alle tue spalle, sbattendoti in faccia quanto tu fossi il loro buffone involontario: quell’essere tanto impacciato quanto disgustato dalla sua goffaggine, e dalla vergogna di ciò che era.

Lo so, lo so che da quel primo giorno in cui ti sorrisi non c’è stato un singolo giorno, di quelli a venire, in cui tu non ti sia domandata cosa vedessi in te.

 

Ebbene, io ti vedevo.

 

Puramente, semplicemente.

Vedendo quella bambina piagnucolona e incerta, vedevo te: vedevo il tuo spirito dietro quella frangia che lasciavi crescere con tanta insistenza, per nasconderti dal mondo.

E in quel momento, quando hai accettato di scoprirti davanti a me, mi hai consegnato la tua anima.

E poi forse hai sempre pensato di non ricambiare, ma tu, tu mi avevi già dato tutto quello che potevi: te stessa.

 

E io ero lì, una bambina di sei anni con una vita tra le mani.

 

Me l’avevi affidata tu, il tuo tesoro prezioso perché fossi io a custodirlo, io a investirlo e a farlo crescere. Poi da lì tutto è andato avanti, e mi sentivo di doverti proteggere, come una mamma.

Una mamma di sei anni.

 

E lo sapevo, sapevo perfettamente di avere la tua vita in mano, e sapevo (avevo la presunzione di sapere) dove saresti potuta arrivare, perché io ti vedevo chiaramente, oltre l’apparenza.

 

E lo sapevo, sapevo perfettamente come tu mi vedevi: sicura, bella e dannatamente vincente.

 

“Tanto lo sappiamo com’è: vinci sempre tu”. L’avevi detto una volta, una volta sola, e quella volta mi avevi uccisa.

Uccisa come una pugnalata che arriva nel buio, e uccisa perché il mio cuore aveva esultato, anche, e me ne sentivo tremendamente colpevole.

Perché era vero.

Io ero la più bella, io ero la più brava; io riuscivo, io vincevo in ogni cosa: che fosse un compito o un ballo, io vincevo.

Sempre.

E sarei morta se non l’avessi fatto.

Io ero la principessa del mio papà, la figlia modello di mia madre, la ragazza della porta accanto da presentare ai genitori di lui per la mia semplicità e il corpo da favola che ogni ragazzo sognava.

 

 

 

MA

 

Ma, mia cara, piccola, dolce, ingenua Sakura…

 

Io sono nata in fiore. E non sai quanto ho lavorato per mantenermi così splendente.

La verità era che io non potevo perdere. Per questo vincevo sempre.

E lo facevo anche per te, perché volevo stare nel tuo stesso mazzo, splendere al tuo fianco, mentre io emanavo il mio profumo e tu il tuo, in una fragranza indimenticabile, indissolubile.

E così mi ero messa lì in posizione, vicino a te, e aspettando che anche tu sbocciassi la mia più grande preoccupazione, la mia più grande angoscia era quella di sfiorire prima che tu potessi dischiuderti.

 

Ho tentato di dirtelo, ma per quanto i miei consigli fossero oro ai tuoi occhi…io ero quella che vinceva: cosa potevo saperne del dolore, della sconfitta, dell’afflizione?

Più di quanto mai crederesti, piccola.

Solo, da un altro punto di vista: il mio.

Sapessi quanto ci si sente soli in cima alla montagna!

 

E anche quel giorno, quel giorno in cui di nuovo ti ho vista piangere, piegata sul mio corpo in fin di vita…ti ho sorriso.

Perché finalmente ho capito la verità. In un lampo ho intuito qual era la via per farti sbocciare.

La verità, Sakura, è che non c’era acqua a sufficienza per entrambe in questo vaso che chiamiamo mondo; non c’era luce abbastanza per te se i miei grandi petali ti facevano ombra.

Avrei potuto lottare, forse…avrei potuto dimenarmi e vincere, anche contro la morte, talmente credevo in me.

Ma non ci ho nemmeno provato. Ho lasciato cadere i miei petali, semplicemente.

Ho smesso di succhiare avidamente il liquido della vita e ho lasciato che mi prendesse, la morte, che mi prendesse mentre ancora ero bella, e in fiore.

 

Ma ora, permettimi di raccontarti, piccola ingenua, tutto ciò che quel sorriso racchiudeva.

 

Ti ho scelta quando tu mi cercavi perché io volevo una pari. Volevo disperatamente una persona che  non mi adulasse, ma mi sfidasse. Che mi portasse a superare i miei limiti, ad andare più in là, a migliorare. A non ritenermi arrivata a sei anni.

E per me, quella persona eri tu. Potevi essere tu. Perciò ti sfidavo, per migliorarmi e migliorarti. Perché, se possibile, volevo crescere con te.

Perciò non ho detto nulla, assolutamente nulla, quando quella volta mi hai detto che saremmo state rivali. Perché in fondo, lo eravamo sempre state.

 

Amiche e rivali.

 

Era la prima volta che mi sfidavi apertamente, che credevi in te stessa abbastanza da dire: “posso competere con te”.

E non sai quanta gioia e quanto dolore questa tua scelta mi ha portato.

Gioia perché finalmente, dopo anni, avevi deciso che eri in grado di lottare, di lanciarmi una sfida, di raccoglierne una. Con me.

Con me, che all’inizio idolatravi, come tutti gli altri.

Con me, che ero sempre la più brava.

Con me, che ero la tua migliore amica.

E poi ho pianto, ho pianto tanto mentre solo mia madre ascoltava i miei singhiozzi; ma quella era pena per me, per me stessa perché ancora una volta mi era stato rifiutato ciò a cui più agognavo. Un’amicizia gratuita.

 

Per questo ho preso a fare battute sul tuo conto, per sentirti rispondere a tono, per capire che mi trattavi come una tua pari. E questo, per me, forse valeva più di ogni altra cosa.

 

Tu non avevi più paura di me.

 

Per la prima volta, mi guardavi da simile, per la prima volta mettevi in conto l’ipotesi che anche io, Ino Yamanaka, potessi perdere.

Non che l’avrei fatto.

Solo, che ci fosse anche la più remota possibilità che potessi farlo.

Che non dovessi vincere per forza.

 

Mi hai regalato la libertà.

 

Dio, Sakura, ti stai chiedendo se sono orgogliosa di te, non è vero? E’ questa la domanda nel barlume del tuo sguardo?
Che peccato che i sorrisi non possano parlare, che peccato che mi restino pochi secondi e non abbia il tempo di dirti tutto questo, che peccato che non possa scrivere i miei pensieri nel cielo, o in quella tua fronte spaziosa. Così forse rimarrebbero lì, impressi, e non ti dimenticheresti chi sei. E come sei.

 

Sei tanto ingenua!

Sono stata orgogliosa di te nel momento in cui, a sei anni, hai scostato le mani dagli occhi, hai guardato oltre la coltre nebulosa delle tue lacrime, e hai fissato il tuo sguardo nel mio.

Il resto, piccola mia, era crescere.

 

E Dio mio, quanto sei cresciuta! Sei diventata forte, fortissima e bellissima nell’ autoconsapevolezza che mano a mano ti sei conquistata, con e contro di me.

Ma questo non importa.

Tutto, oramai, non importa.

Tutto eccetto tu: tu importi, l’hai sempre fatto, più di chiunque altro.

 

Amica mia, ora vai, vivi, fai tutto ciò che io non ho potuto fare: sii serena, consapevole e soprattutto felice.

 

Per una che ha sempre vinto, è una fine deprimente questa, immobile su un letto d’ospedale.

Ma in fondo, se ci penso bene, ho vinto anche questa volta.

 

Perché la mia più grande scommessa eri tu.

 

 

 

 

Ps: Kagome, questa fic, ovviamente, era per te, che meriti la tua Ino.

  
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