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Autore: distruggere_e_resistere    23/08/2013    0 recensioni
«E dopo il caffè, posso tornare a buttarmi?»
Janice sorrise «Dopo il caffè, potrai fare tutto ciò che vuoi»
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Natale.

a te, che sei ancora in bilico.
fortunatamente non sul ponte.


 









Tutto ciò che Janice riusciva a sentire era freddo.
E non perché il clima fosse al di sotto della media stagionale, né per la tempesta che si scatenava fuori le mura di casa sua, con lampi e tuoni.
Riusciva a sentire freddo anche sotto la coperta di lana pesante, il riscaldamento che le avrebbe fruttato una bolletta sostanziosa e la tazza di cioccolata calda fra le mani.
Sentiva freddo al naso, al cervello, alle orecchie, alle dite dei piedi, persino alla cute dei capelli.
Sentiva freddo al cuore.
Si alzò lentamente, diretta in cucina, posò la tazza che teneva stretta fra le mani sul bancone e si sporse sul balconcino : La neve.
In una cittadina del genere la neve non era qualcosa di inaspettato, anzi, si era meravigliata di come non fosse caduta settimane prima.
Però la sconvolse e la rese felice, vederla lì, sul suo davanzale, ad uccidere le sue piantine. Si ricordò in quell'istante di come si era ripromessa , l'estate prima, di curarle quelle piantine.
Un sorriso triste le dipinse le labbra carnose.
Non ricordava un solo episodio della sua vita, nel quale era riuscita a mantenere una promessa.
Da quelle più stupide, come comprare la carta igienica o organizzare una serata messicana, a quelle più importanti. La stessa che era sfumata un mese prima.
Era un giorno d'estate. Il giorno più caldo di tutta la stagione, forse.
Era esausta, stremata e decisamente accaldata. Aveva bevuto, tanto e si era riparata sotto uno di quei tendoni per la beneficenza.
Si era anche intrattenuta con uno dei volontari, cosa che non faceva mai. Era contro le donazioni.
Poi lo aveva visto, poco lontano. In realtà non  aveva visto lui. Era dentro un pesantissimo e caldissimo costume di Topolino gigante, uno di quelli per bambini, degli stand della Disney nei corsi principali della città.
La sera stessa erano usciti a cena.
Il mese dopo aveva dormito da lui.
Dopo un anno si era fidanzata con l'essere più carino di quella terra, meglio conosciuto come David.
Ma non era durata, come tutte le cose belle e ripromesse della sua vita.
'' Non sono una tipa da storie perfette, David. Lo hai sempre saputo''
Come avrebbe potuto portare avanti una storia se lì, davanti ai suoi occhi, anche una stupida piantina, alla quale bastavano due gocce d'acqua al giorno, non durava?
Si asciugò una lacrima con la manica del maglione, ritornò nel salotto, afferrò il giaccone e le chiavi dell'auto e corse fuori.
Il vento gelido la colpì in pieno viso come una scarica di elettricità. Temette di aver perso sensibilità al viso.
Corse a rifugiarsi nella sua decappottabile, tentando di non bagnarsi la testa, coprendola con il cappuccio del giaccone.
Inutile.
Quando fu dentro, mise in moto senza nemmeno aspettare che il motore si riscaldasse. Fu per questo che la macchina, giunta al ponte, si bloccò.
Sola, senza cellulare e per di più sotto la pioggia, su un ponte, pensò che probabilmente era il Natale peggiore della sua vita.
Ma non perché sua madre qualche settimana prima si era presentata a casa con uno stallone del Texas, un diamante da capogiro al dito anulare e un sorriso a trentasei denti.
Nemmeno perché aveva mollato il ragazzo più carino e gentile della storia, e nemmeno perché la sua amica era la persona più felice del mondo, con il suo bambino di tre anni e una vacanza alle Hawaii.
Ma perché la sua vita era uno schifo. Letteralmente.
Scese dalla macchina, incurante della pioggia, dei fulmini o del raffreddore che l'avrebbe torturata nelle settimane a seguire.
Si sedette sul ponte, restando con le gambe penzoloni, lasciando che l'acqua le bagnasse il viso, i capelli. Si confondesse con le lacrime.
Fu lì per portarsi le mani al viso, quando si rese conto di una figura poco lontana.
Un uomo, in piedi, sul cornicione del ponte.
Un tuffo al cuore.
Milioni di battiti in un secondo.
Si alzò frettolosamente, corse verso quella figura, ignorando le goccioline nel suo maglione zuppo e gli occhi lucidi per il freddo.
Doveva aiutarlo.
«Ehi!»
L'uomo si girò, la scrutò e torno al suo sguardo perso nel vuoto.
«Non farlo»
«E chi me lo impedisce?»
La guardò
«Beh, la vita è ovviamente tua, ma non farlo. »
«E cosa dovrei fare?»
«Scendere da lì, lentamente se ti è possibile, e goderti questo Natale di merda con me, magari davanti una sfilza di pancake caldi e caffè alla nocciola»
L'uomo non si mosse, ma non tornò con lo sguardo perso nel buio. Restò lì a guardarla e, sotto la luce dell'unico lampione rimasto acceso, si accorse della sua bellezza.
I capelli zuppi incorniciavano un viso perfettamente ovale, forse di origini orientali. Qualcosa nei suoi occhi cenere scuro e nella ragnatela di ciglia scure gli fece pensare che probabilmente era indiana, e che era sicuramente di una bellezza esorbitante.
Ma la cosa che più lo sconvolgeva era il fatto che fosse lì, sotto la pioggia, nel giorno più bello dell'anno, ad offrirgli una tipica colazione da Sturbucks, mentre il suo unico pensiero era buttarsi giù da quel ponte.
«E dopo il caffè, posso tornare a buttarmi?»
Janice sorrise «Dopo il caffè, potrai fare tutto ciò che vuoi»
Scese.
 
 
 
 
 
«Perché eri lì?»
Alzò gli occhi dal suo cappuccino schiumato, con cacao e panna, la guardò intensamente e fece spallucce.
«Mi andava di morire. E tu, cosa ci facevi lì?»
«Mi andava di salvarti»
Sorrise.
«Allora, Janice. Quale storia ti porta in questo bar, alle 3:45 del mattino, dopo aver passato un Natale rovinoso?»
«Vita incompiuta, infelicità, disastri, essenzialmente me stessa. Una madre in cerca di stalloni, matrimoni andati in fumo, migliori amiche con la vita perfetta e sensi di colpa abnormi»
«Mm» commentò «Questo pancake ha una vita più emozionante della tua»
«Così sembra»rise.
Per un po’ continuarono a scrutarsi. Il proprietario del locale li aveva fatti accomodare nel retro, gli aveva portato un asciugamano e con l'aria contrariata, aveva aspettato che si dessero un'asciugata veloce.
Seduti al tavolo, sembravano due personaggi usciti da un cartone animato comico.
Lui, spalle larghe, maglione a collo alto, capelli ricci e folti, occhi azzurri, magnetici e sorriso misterioso.
Si erano raccontati la vita come se fossero amici di università, dopo essersi persi di vista e rincontrati dopo anni, al solito bar.
Eppure Janice, sapeva, che gli avrebbe cambiato la vita.
«Allora ci si vede»
Janice gli sorrise «Ti andrai a gettare, adesso?»
«No, fa troppo freddo stasera»
Ma Janice, in quel momento, non sentì  più freddo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Percorse la navata quasi marciando. Le scarpe le facevano terribilmente male ai talloni, sotto la cascata di seta bianca.
Fece una smorfia. Michael la intercettò, le fece l'occhiolino e sorrise.
Contento.
«Vuoi tu prendere questa donna, come tua legittima sposa?»
La guardò «Lo voglio»
Era quella la soluzione.
Distruggere i cattivi propositi, i sensi di colpa, i momenti difficili, e resistere.

  
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