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Autore: Loop    28/02/2008    3 recensioni
Io sono un cane. Sono nato cane, morirò cane. Provengo dal distretto più miserabile, dalle condizioni più miserabili. Ero un cane randagio, e per molti versi lo sono ancora. Con la differenza che ora ho un padrone
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Byakuya Kuchiki, Renji Abarai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata a una mia amichetta, nella speranza di risollevarle un po’ il morale

 

 

Io sono un cane. Sono nato cane, morirò cane. Provengo dal distretto più miserabile, dalle condizioni più miserabili. Ero un cane randagio, e per molti versi lo sono ancora. Con la differenza che ora ho un padrone. Non ho altro modo per definirlo, il nostro….rapporto? Mi sembra una parola troppo grande, troppo importante… non mene sento degno. Non mi sento degno di Lui. Già, Lui… Lui così forte, Lui così freddo, Lui così impassibile, duro, rigoroso, Lui che non ride mai, Lui che non piange, Lui che non concede a nessuno i suoi pensieri, Lui che nessuno eguaglierà mai.
I suoi occhi neri, che mi trafiggevano ogni volta che osavo alzare lo sguardo, non hanno mai mutato espressione, mai una volta la loro luce, il loro bagliore incandescente mi ha suggerito una sensazione diversa da quella totale soggezione che mi colpì fin dal primo momento. Mi colpirono i suoi occhi, come potrebbe colpirmi una spada in pieno petto, mi lasciarono tramortito, a terra, sanguinante, senza fiato. Da quell’unica volta ch’io ebbi l’impudenza di guardarlo negli occhi, non ho mai osato farlo di nuovo.
Mi considerò da subito il suo cane, e io obbediente, scodinzolavo a ogni suo comando, a ogni suo cenno; smaniavo dal desiderio di compiacerlo, e ho accettato di sottomettermi. Non mi sono ribellato alla mia condizione, e forse proprio per questo non ho mai avuto il tuo rispetto. Mi sono lasciato soggiogare sotto ogni punto di vista, ho calpestato il mio cuore perché lui lo voleva, perché era un suo capriccio, ho lasciato che mi torturasse a suo piacimento, senza lamentarmi, nella totale dimenticanza del rispetto che dovevo prima di tutto a me stesso; da bravo cane gli ho donato il mio collare su un piatto d’argento.
Lui questo lo capì dalla prima volta che alzai lo sguardo verso di lui. Mi aspettavo di trovarmi di fronte l’ennesimo bastardo, rampollo disgustosamente viziato di un’importante casato di iene, che per di più mi aveva strappato l’unico brandello di famiglia che mi era stato concesso. Lo disprezzavo. L’avrei ammazzato con le mie mani.  A lui bastò uno sguardo per strapparmi l’anima. No. Non è vero. Fui io a dargliela, gliela offrii in ginocchio, non mi chiese mai niente, Lui non aveva bisogno di chiedere.
Mai, mai si è abbassato al mio livello, mai mi ha concesso di ascoltare la sua voce senza che vi fosse l’ombra di un comando, perché in effetti, lui non mi ha mai chiesto niente. Lui mi dava ordini.
Non ho mai saputo cosa davvero pensasse di me; spero soltanto d’esser stato un buon cane. Per quanto mi riguarda,  non avrei voluto altro padrone. Qualunque cosa pensasse, so di certo di essergli piaciuto. Molto in fondo forse, probabilmente non l’ha mai confessato neanche a se stesso, ma io ne sono sicuro. Io ero il cane randagio più violento e indisciplinato. Per questo gli piacevo. Si è divertito a domarmi da subito, e ovviamente non ha trovato resistenza alcuna; ha iniziato col sottomettere la mia mente, ma non gli bastava. Per questo decise di iniziare quello che per me è stato l’inizio della fine di me stesso. Mi sono consumato in un gioco di speranze vane; dalla prima volta che mi si avvicinò troppo, e con le sue dita da artista mi sfiorò una ciocca di capelli sfuggita dal laccio, dicendo che aveva un colore assurdo; le sue mani che sfioravano il mio viso, sempre fredde, come d’altronde tutto in lui..
Io che non immaginavo nemmeno il calore di un corpo sul mio, io che sapevo solo per sentito dire cosa fosse un bacio, non avevo idea di cosa lui volesse.
Come se fosse la cosa più normale di questo mondo, una notte semplicemente mi chiese di raggiungerlo;  qualcuno mi disse che quella notte il freddo fu devastante, ma io non sentì altro che il contatto morbido della più perfetta pelle d’avorio che potesse esistere. Non potrò mai cancellare la sensazione che quella pelle bruciasse sulla mia, che le viscere mi andassero a fuoco, e l’esplosione che mi devastò, che devastò entrambi, il delirio che ci prese e ci scaraventò nel baratro, aggrappati l’uno a l’altro, le sue unghie piantate nella mia schiena, quasi avesse paura che lo abbandonassi quando finalmente era lui ad avere bisogno di me, nell’unico istante della sua vita in cui ero riuscito a farlo sentire debole, vulnerabile.
Ovviamente era sempre lui a condurre il gioco, lui ad amare me, mai il contrario. Io dovevo solo mettere a disposizione me stesso. Non posso però certo rinfacciargli l’egoismo, perché nonostante sia vero che prima di lui non avessi mai assaggiato una donna, tantomeno un uomo, nessuno riuscirebbe a toccare le corde che fece vibrare lui dentro di me; l’amore è un’arte, il sesso un talento. Lui aveva quel talento, e lo aveva affinato fino a livellarlo come la sua pelle, a renderlo fluido, rosso, a dargli un profumo e un sapore sconvolgenti.
Per quanto barbaro potesse essere il mio modo di esprimere quello che provavo, quando mi carezzava e giocava con i miei capelli, ero capace di sussurrare ininterrottamente il suo nome, senza che lui mi udisse, ma lasciando che lo sentisse attraverso altri sensi; esattamente come un cane, per lui mi rammollivo a tal punto da essere irriconoscibile. Le sue mani che scivolavano sulle labbra, che sfioravano il collo, che percorrevano cicatrici vecchie e nuove. Mi vergogno di me stesso, sono disgustato dai miei stessi pensieri, dal fatto che ricordando quel contatto non posso far a meno di sorridere, di quanto quelli siano i ricordi più belli che ho.
Quei ricordi, quei momenti che non torneranno più, li conserverò per sempre, saranno soltanto miei. Da bravo cane fedele non tradirò mai il mio padrone, per quanto le nostre strade possano dividersi, per quanto possiamo arrivare ad ammazzarci l’uno con l’altro.
Non mi pento d’essere stato il cane di qualcuno, non mi pento d’essere stato il suo cane. Anche se non potrò più toccarlo, anche se non lo bacerò mai più, lo amerò per sempre; ma questo lo sapremo solo io e lui.

lasciate qualche commento, giusto per farmi sapere se l'avete letta, e soprattutto se vi è piaciuta. Se poi avete qualche critica meglio ancora! 

  
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