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Autore: tagliarsi_con_gli_origami    24/08/2013    4 recensioni
“Non me ne frega niente di Larry Stylinson. È un gioco, un cruciverba” si alza in piedi con le caviglie leggermente malferme “ma siamo noi...”
Noi che per tre anni abbiamo avuto le rose.
Anche se piangevamo avevamo le rose.
Nel fallimento le rose.
Nella resa le rose.
L'un l'altro.
“Siamo noi che non esistiamo”"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Twitter uccide anche noi. Sempre.



 

Come gommapiuma

nei corridoi ciechi

 

 



Sembra strano che la mia vita debba finire in
un posto così orribile, 
ma per tre anni ho avuto le rose
e non ho chiesto scusa a nessuno.
(Valerie, V for Vendetta)
 
 
Dopo la tredicesima volta che uno impugna la maniglia, forse, è ora di aprirla. 
O di chiuderla a chiave. 
E dormire, e tentare inutilmente di riposare. E smettere di pensare ai quattordici passi e tre quarti che separano le nostre porte.
Tre passi e una gobba nella moquette del corridoio, otto passi e la stampa di Van Gogh sulla parete. Undici passi e il battiscopa con il graffio a forma di X.
C'è un cuore disegnato a penna sullo stipite della porta. In basso, all'altezza del mio sterno. Un cuore colorato di nero con una penna stilografica dall'inchiostro denso e ancora umido.
L'ho fissato trentaquattro minuti prima di riuscire a chiudermi dentro. Il climatizzatore fischiava, piatto e monocorde. Niall dormiva con un braccio penzoloni sul divano della camera, piccolo e morbido, un po' impersonale, ma non irritante come certe fantasie accecanti dei copridivani che abbiamo stropicciato e macchiato di Coca Cola negli ultimi tre anni. Un po' patetico e banale, ma niente che non si possa sopportare.
Mi mancano anche quelle macchie scure su ogni cosa, e l'olio di patatine fritte che sapeva sempre di pesce.
Non è il sesso. È l'intimità, la libertà di toccarsi senza diventare il riflesso ingigantito di una lente d'ingrandimento sotto il sole. Tracciare le rotte sbilenche di virgolette e gabbie per uccelli spalancate. 
Semplice.
Come grasse formiche sofferenti, siamo rimasti nudi nel lampo di luce ad aspettare di bruciare. 
Forse se non gli avessi sfiorato la mano, stretto il ginocchio, accarezzato i capelli...forse senza tutte quelle dichiarazioni pubbliche di ingenuo sentimentalismo, senza la verità, e le certezze sempre un po' spigolose che ho strappato senza chiedere niente, forse, magari, avremmo ancora un po' di tempo.
Ma per tre anni ho avuto le rose, e non ho chiesto scusa a nessuno.
E non eravamo troppo giovani, o troppo stupidi, o troppo piccoli. Piccoli dentro e fragili fuori, come gommapiuma sistemata sugli spigoli dei corridoi ciechi per impedire ai bambini di ferirsi. Ma abbiamo corso, e corso, e corso, a occhi chiusi e giravolte, e risate rumorose, e parole lasciate andare senza protezioni, nel mondo.
E adesso quattordici passi e tre quarti mi sembrano una distanza incolmabile.
E quattordici centimetri.
E quattordici millimetri.
Inarrivabile.
Per svegliare Niall non basta un tocco, una leggera spinta, la voce bassa. Bisogna scrollarlo, chiamarlo e minacciarlo un po'
“Lou” si lamenta con uno sbadiglio smozzicato in bocca “eddai...” penso, per un attimo, che potrebbe restare qui. Russerebbe piano, masticherebbe parole nel sonno. 
Magari il suo nome.
Magari, il suo nome, anche pronunciato da qualcun altro, mi basterebbe. 
Per qualche minuto. Potrebbe anche essere abbastanza.
Abbiamo corso troppo nei corridoio dagli angoli ciechi, e siamo andati a sbattere.
Si alza, mi guarda, sorride un po'. 
Non posso fare a meno di essere grato per quel sorriso sonnolento e vago, per non essere un consiglio, una massima sulla vita, sull'amore, sulla resa.
Solo un sorriso, e una buonanotte silenziosa e ciondolante.
Un intero corridoio di diramazioni e spigoli ciechi, un silenzio tremolante di neon, e un odore sterilizzato al disinfettante.
Harry, cinque passi, e una porta chiusa.
Erano quasi confortanti quei quattordici passi e tre quarti. Una distanza spaventosa e incalcolabile.
Cinque passi sono pochi anche solo per pensare di tornare indietro.
Niall fa semplicemente scorrere la chiave magnetica e scivola in camera bofonchiando un saluto. 
Sapere come uscire di scena con grazia è una dote che io e Harry non siamo mai stati bravi a padroneggiare. Ma d'altra parte non ci è mai importato davvero dell'uscita. 
Andare via è un concetto che ho dovuto imparare in fretta, sgraziatamente, improvvisamente, controvoglia.
“Hei” l'espressione che gli barcolla fra i lineamenti trema sull'orlo della felicità, del benessere, e della tristezza “di dormire non se ne parla eh?” è questo che fa davvero male: l'imbarazzo, la distanza, evadere e sfuggirsi. Non solo barcollare da una parte all'altra cercando di non sbattersi addosso sul palco, o stritolarsi i polpastrelli nelle interviste, o sedersi ai lati opposti di una stanza, e smettere di toccarsi, di parlarsi, di trovarsi. Non solo in scena, sotto la lente, a telecamere accese. Ma ora, alle tre di notte, in un corridoio deserto di New York, con strofe di canzoni in gola e la certezza di averle tirate addosso alle persone sbagliate, noi siamo due estranei.
Per tre anni, le rose.
Harry scrolla le spalle, frammenti di tatuaggi che mi occhieggiano ovunque.
“E' New York. Diciotto taxi, quattordici ambulanze e cinquanta sirene della polizia al minuto” c'è uno spigolo accanto a lui, uno spazio in cui incastonare la spina dorsale e aspettare il momento giusto per avvicinarmi. 
Il battiscopa graffiato, la gobba nella moquette.
Non so quando abbiamo deciso di misurare la distanza fra noi in anni luce.
Le rose. Backstreet Boys e tazze di the.
Cosa rimane. Moquette al disinfettante e distanze insormontabili.
Il cellulare abbandonato accanto alla caviglia sinistra, il numero di sua madre che ancora lampeggia.
“Larry Stylinson nel corridoio di un albergo. Il mondo impazzirà”
Faccio schifo a sdrammatizzare.
“Evviva”
E lui fa schifo a dissimulare.
“Scusa. Larry Stylinson: argomento tabù. Possiamo sempre parlare della giornalista meno informata della storia” sorride un po', non nel modo che conosco io, non fino alle orecchie, con i denti e gli occhi, e il battito cardiaco.
Ma è qualcosa.
“Twitter la ucciderà” tasti dolenti su tasti dolenti. Una tastiera di tasti dolenti.
“Harry...” inspira
“Non me ne frega niente di Larry Stylinson. È un gioco, un cruciverba” si alza in piedi con le caviglie leggermente malferme “ma siamo noi...” 
Noi che per tre anni abbiamo avuto le rose. 
Anche se piangevamo avevamo le rose.
Nel fallimento le rose.
Nella resa le rose.
L'un l'altro.
Espira “Siamo noi che non esistiamo” siamo diventati Larry Stylinson, e Larry Stylinson ha cominciato ad essere tutto quello che avevamo. 
Essere noi stessi un cavolo. Noi stessi non esiste più.
Non corriamo più bendati nei corridoi rivestiti di gommapiuma. Ci barcameniamo, soli, ciechi, negli angoli senza uscita.
Ci hanno radiografato anche i respiri, e non c'è più niente di nostro. Guardarlo, prima, fra le parole e le movenze coordinate dei concerti, significava averlo, catturarlo, tracciare una rotta.
Adesso è solo paura, solo imbarazzi, disagio, spigoli e i millesettecento modi che conosco per incespicare, perché quelle parole, le nostre parole, non possono essere per noi.
Ma Harry ha ancora quell'espressione, la stessa di sempre, la declinazione della claustrofobia, della vertigine, del panico e dell'imbarazzo. E della delusione. Riesco sempre a vederla, la delusione.
Spostandosi da sotto la luce, via dalla lente d'ingrandimento, dal calore del sole, vedo tutto.
E diventa pateticamente automatico sollevare quella mano alla ricerca di una traiettoria familiare. Prima era facile, non c'era nessuna curva cieca, nessuna parabola pericolosa. Ogni centimetro quadrato di pelle era il posto giusto. Il mio posto. Fra la china scura dei tatuaggi e la trama casuale dei nei. Nessuna scusa, nessun permesso.
Adesso sono solo dita che sfarfallano in un'aria che puzza di detergenti per moquette, alla ricerca di un punto da sfiorare che non bruci troppo.
Frustrante.
Potrei sistemargli la piega della maglietta, l'orlo dei jeans, il laccio delle scarpe.
Quel broncio, quel respiro, il battito.
Solo uno dei tanti modi per sentirlo sotto la pelle, e sapere che è ancora lì.
E invece la mia mano quasi si aggrappa senza senso all'ultimo centimetro, come se dovessimo cadere entrambi a terra per la troppa pressione. 
Ed un centimetro è quello che trovo. Il pollice soltanto sulla gola.
Un centimetro fra la clavicola e il collo. 
Un centimetro sulla pelle tatuata del petto. 
Un centimetro di Harry sotto le dita.
Solo un centimetro. La massima distanza. La minima resistenza. 
Un centimetro in cui esistere di nuovo.
 

Tutto di me finirà. 
Tutto, tranne quell'ultimo centimetro... 

Un centimetro: è piccolo, ed è fragile, 
ma è l'unica cosa al mondo che valga la pena di avere. 
Non dobbiamo mai perderlo, o svenderlo, 
non dobbiamo permettere che ce lo rubino.

 
 








Note: ormai c'ho preso gusto.
Lo ammetto, anche io li amo.
I video del concerto di oggi a NY mi hanno rattristato non poco.
E vengono fuori 'ste amene oscenità quando io sono triste.
Capitemi.
Le dediche son superflue, e inevitabili^^

   
 
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