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Autore: lunarfield    24/08/2013    0 recensioni
Per chiunque era un fantasma, un involucro di carne predisposto al macello; era un piccolo pesciolino in un oceano immenso. Emilia aveva una vita che in tutto e per tutto assomigliava ad un sogno effimero. Avrebbe voluto fuggire, ma non c'erano vie di scampo; avrebbe voluto urlare, ma nessuno l'avrebbe sentita; avrebbe preferito la morte ad un'esistenza di tedio e dolore che sarebbe iniziata proprio quella sera.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I vetri della finestra, spessi ed appannati, alteravano l'immagine della bellissima Parigi; i fiocchi di neve si raccoglievano a mucchietti sui davanzali, sui tetti, sui boulevard, annichilendo e conformando le ansie e le paure dei passanti. La frenesia e le preoccupazioni sembravano slittare in secondo piano, mentre la pace si concedeva quell'attimo di potere per regnare sulle nevrosi degli uomini, fossero essi bardati di pellicce e diamanti o luridi stracci.
Le vetrine dei negozi, le insegne intermittenti dei bar, le luci dei lampioni e l'aria natalizia non contribuivano a rilassare l'animo in tempesta della giovane Emilia Ulliel: figlia di un ricco borghese, di lì a poco avrebbe assaggiato il sapore dolceamaro dei balli e dello sfarzo mondano. Per il debutto in società, sua madre Antoiniette aveva fatto confezionare per lei un bellissimo abito blu, impreziosito da pietruzze fin troppo scintillanti e appariscenti. Emilia aveva appena quattordici anni e già risentiva del peso delle scelte che ancora non aveva preso.
Qualcuno bussò timidamente alla porta.
- Sì? -, domandò la ragazzina, scostandosi dalla finestra.
- Sono io, mademoiselle Ulliel, Carla. -, rispose una voce femminile e fioca, attutita dal legno pesante dell'uscio.
- Entra pure. -
L'enorme stanza in penombra fu rischiarata immediatamente da un fascio di luce polveroso, ed una silhouette mingherlina vi si stagliò contro; portava qualcosa tra le braccia.
- Sua madre mi ha ordinato di prepararla per il ballo di stasera, signorina. Ho pensato che avremmo potuto arricchire il bagno con degli oli all'essenza di... -
- Non sarà necessario, Carla. Aiutami a vestirmi e spazzolami i capelli, al resto penserò io. - Emilia abbassò lo sguardo, avvicinandosi alla serviente.
Carla appoggiò una grande scatola bianca sul bordo del letto a baldacchino e, sciogliendo lentamente i fiocchi di raso, ne sollevò il coperchio.
La ragazzina non volle vedere un'altra volta quell'abito di bellezza inaudita, non voleva sentirsi ancora a disagio, sentirsi intrappolata in una vita che non era ciò che sognava.
"Madre, io voglio viaggiare, voglio andare lontano!", aveva detto un giorno, con le lacrime agli occhi, sperando che avrebbe potuto capirla. Non era mai stato così.
"Non scherzare, Emilia, sai cosa ti aspetta. Sarai la moglie perfetta dell'uomo che sposerai, e amministrerai le ricchezze mentre egli sarà fuori casa. Dopotutto, è quello che è toccato a me." Eppure, in cuor suo, non lo aveva mai desiderato. Come potevano non capire?
- Signorina, ecco, si giri. - Carla prese ad allacciarle il corpetto con vigore, mentre Emilia si guardava allo specchio. Il suo riflesso mostrava una bambina un po' troppo cresciuta, un seno quasi inesistente e un volto paffuto; gli occhi erano marrone scuro, quasi non riusciva a distinguere la pupilla dall'iride; il piccolo naso sormontava labbra carnose e rosee, ancora inviolate. La fronte era corrucciata, la bocca tesa all'ingiù e gli occhi sull'orlo delle lacrime. Non sarebbero mai scese.
- Fatto!, adesso le spazzolo i capelli. Resti qui, vado a prendere ciò che occorre. - Subito la donna se ne andò, chiudendo morbidamente la porta. Emilia era ancora in piedi davanti allo specchio, ormai immersa nella penombra.
Non sapeva giustificare la sua esistenza, non ci era mai riuscita; nessuno le aveva mai chiesto il permesso di nascere, nessuno le aveva mai in realtà chiesto niente. Sua madre, lo sapeva, non sapeva nemmeno quali fossero i suoi gusti preferiti del gelato, e suo padre lo vedeva due volte all'anno. Non aveva una famiglia, non aveva amici, non aveva qualcuno al quale affidarsi quando era triste, sebbene questo ricoprisse gran parte del suo tempo, e non era mai pienamente felice, poiché non c'era qualcuno col quale condividere le sue gioie. Per chiunque era un fantasma, un involucro di carne predisposto al macello; era un piccolo pesciolino in un oceano immenso. Emilia aveva una vita che in tutto e per tutto assomigliava ad un sogno effimero. Avrebbe voluto fuggire, ma non c'erano vie di scampo; avrebbe voluto urlare, ma nessuno l'avrebbe sentita; avrebbe preferito la morte ad un'esistenza di tedio e dolore che sarebbe iniziata proprio quella sera, al ballo: sicuramente, pensò, i suoi genitori avevano già promesso la sua mano ad un qualche borioso giovane i cui interessi racchiudevano caccia e puttane. Non era quello il posto al quale apparteneva, non era quella la vita che sognava. E così prese una decisione.
 
Bussarono alla porta ripetutamente, quella sera, poco prima dell'inizio del grande ballo, ma era chiusa a chiave dall'interno e non si poteva entrare. Tutte le inservienti erano raccolte davanti a quel rettangolo di legno istoriato, e la signora Ulliel continuava a batterci i suoi pugni energicamente. "Emilia, apri!", "Emilia, il ballo sta per cominciare", "ma dove si sarà cacciata quella mocciosa?"... quante cose si dissero quella sera, poco prima che la grande festa avesse inizio. Quando finalmente riuscirono ad entrare, non senza la preoccupazione di essere in ritardo, tutti notarono quanto la piccola Emilia fosse incantevole, in quel bellissimo abito blu notte. Ci furono molte grida quella sera, appena qualche istante prima che il grande ballo cominciasse, e pianti. Qualcuno non resse la vista, qualcuno esplose in grida rabbiose. Solo Emilia stava in silenzio, guardando tutto dall'alto, il morbido collo decorato da un collier di corda.

  
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