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Autore: Silverbreath    24/08/2013    2 recensioni
Tre storie, tre vite, tre incontri forse casuali o forse no tutti ambientati nel giorno di Natale in una notte stranamente silenziosa.
[...]
Era il ventiquattresimo giorno del dodicesimo mese di quell’anno ormai giunto al termine e le strade di Londra erano stranamente silenziose.
La neve cadeva lenta, non aveva alcuna fretta, Bianca si divertiva a paragonarla a tanti piccoli corn-flakes coperti di cioccolato bianco che avrebbe tanto voluto mangiare ma che non poteva permettersi a causa dei pochi soldi che a stento riusciva a guadagnare.
...
Il nome della ragazza era Amie, ed era una di quelle persone che banalmente vengono denominate barboni o senzatetto.
Viveva per strada e guadagnava da vivere rubando cose di poco conto e valore che poi rivendeva a uomini di mala fama.
Non aveva mai conosciuto il calore di una famiglia o l’abbraccio di un amico perché da quanto ricordava non ne aveva mai avuti.
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Suzanne camminava lenta, il violino accuratamente riposto nella custodia e i capelli blu sbiaditi legati in uno chignon disordinato che lasciava fuori parecchi ciuffi.
La giornata non era stata molto proficua, ma cosa ci si poteva aspettare da una semplice violinista che non aveva fatto fortuna facendo il
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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“They scream the worst things in life come free to us cause we’re all under the upper hands
And we go mad for a couple of grams is too cold outside for angels to fly”
 
 
Era il ventiquattresimo giorno del dodicesimo mese di quell’anno ormai giunto al termine e le strade di Londra erano stranamente silenziose.
La neve cadeva lenta, non aveva alcuna fretta, Bianca si divertiva a paragonarla a tanti piccoli corn-flakes coperti di cioccolato bianco che avrebbe tanto voluto mangiare ma che non poteva permettersi a causa dei pochi soldi che a stento riusciva a guadagnare.
Era ferma esattamente al centro del lato sinistro completamente innevato di Tower Bridge, i capelli lunghi color pece che si muovevano come impazziti a contatto con il freddo vento invernale.
Portava delle calze sottili che a forza di essere usate si erano strappate dal lato della coscia destra, una gonna troppo corta per quel periodo dell’anno e una maglia vecchia e sgualcita che le faceva penetrare il freddo nelle ossa fino a congelarla nei meandri più invisibili.
Le due torri con la loro imponenza sembravano scrutarla chiedendosi cosa di facesse una ragazza lì la sera della vigilia di Natale.
Ma lei aspettava un segno di vita in quella immensa città che solo per quell’unica notte sembrava essere diventata fantasma.
All’improvvisa vista delle luci di due fari i suoi occhi blu si animarono.
Il finestrino dell’auto si abbassò e Bianca vi appoggiò contro le mani congelate in cerca di una qualsiasi fonte di calore, anche la più flebile.
L’uomo le fece un piccolo cenno con la mano, le aprì lo sportello chiuso dall’interno e la fece entrare.
Ma Bianca non sentì quella sensazione di calore che si aspettava, forse perché fissare quegli bicolori, che guizzavano da una parte all’altra della strada per controllare che nei paraggi non ci fosse nessuno, le metteva una strana paura addosso, come ogni volta del resto.
Durante il tragitto continuò a guardare la neve chiedendosi se potesse esistere al mondo qualcosa di più bello e concluse che non era possibile.
Successe tutto molto velocemente, arrivarono in una delle zone malfamate di Londra, salirono al dodicesimo piano ed entrarono nell’interno ventiquattro di uno dei tanti edifici anonimi e senza vita.
Bianca conosceva bene quel posto e lo odiava profondamente, ma non diede segni di crollo e continuò a fare ciò che le era stato insegnato molto tempo prima.
 
Era da poco passata un’ora quando si ritrovò di nuovo al freddo, aveva 50 £ in tasca, l’uomo aveva soddisfatto le suo voglie perverse e ora lei era lì di nuovo a contatto con la neve che era così bianca, immacolata e pura, tutto il contrario del suo corpo troppe volte violato e del suo orgoglio spezzato.
Mentre tornava nel luogo da cui era venuta incrociò due occhi marroni persi nel vuoto, i capelli biondi erano sporchi e mal curati ,portava addosso una coperta per difendersi dal gelido freddo di Dicembre, ma non sembrava bastare perché persino da lontano si potevano notare i suoi denti che battevano incessantemente.
Si dirigeva nel luogo da cui lei era tornata e questo spinse Bianca a seguire quella straniera che subito l’aveva colpita.
 
Il nome della ragazza era Amie, ed era una di quelle persone che banalmente vengono denominate barboni o senzatetto.
Viveva per strada e guadagnava da vivere rubando cose di poco conto e valore che poi rivendeva a uomini di mala fama.
Non aveva mai conosciuto il calore di una famiglia o l’abbraccio di un amico perché da quanto ricordava non ne aveva mai avuti.
Non aveva neanche mai dato importanza alla neve, anzi era solo un fastidio perché non aveva niente con cui ripararsi da essa o vestiti adatti per scaldarsi.
Camminava con un passo incerto, come se non sapesse bene la direzione che doveva prendere, quasi fosse la prima volta che passava da quella strada.
Nel suo intimo pensava ancora che un cambiamento ci potesse essere nella sua miserabile vita, anche se sapeva bene che per lei quella era la fine.
Ironico, pensava, la speranza è sempre l’ultima a morire! 
Sorrise involontariamente quando la neve riprese a cadere dal cielo come se avesse voluto incoraggiarla.
Si fermò solo quando capì di essere arrivata a destinazione, al centro della strada c’era un uomo che la guardava fissa negli occhi, Amie lo conosceva bene e sapeva cosa le avrebbe fatto.
Non aveva paura di morire, le sostanze che aveva preso poco prima non glielo permettevano, era tutto così offuscato, sembrava quasi un sogno.
O meglio un incubo.
Le bastò una semplice frase e tutto finì.
Agli occhi di chi guarda successe tutto velocemente ma per quelli di lei quei pochi secondi durarono in eterno.
L’ultima cosa che vide Amie prima di cadere a terra come un angelo caduto, furono quei due occhi diversi che da sempre la spaventavano.
Amie non aveva mai dato importanza alla neve, ma quella sera avrebbe assunto un significato per lei.. rosso.
La sua purezza si era andata a fare fottere quando le prime gocce di sangue erano cadute sul soffice suolo imbiancato.
 
 
Suzanne camminava lenta, il violino accuratamente riposto nella custodia e i capelli blu sbiaditi legati in uno chignon disordinato che lasciava fuori parecchi ciuffi.
La giornata non era stata molto proficua, ma cosa ci si poteva aspettare da una semplice violinista che non aveva fatto fortuna facendo il lavoro dei suoi sogni e che andava avanti elemosinando qualche sterlina agli impietositi passanti e stranieri che sentendo la sua malinconica melodia si commuovevano.
Gli stivali in cuoio quasi distrutti risuonavano a contatto con la neve e provocavano una dolce musica che andava a ritmo con i lenti battiti del suo cuore stanco.
Aveva sempre ricollegato quel soffice biancore, il ,modo in cui scendeva, come si posava, il contatto che le scarpe hanno con essa ai suoni che l’orchestra compie durante uno spettacolo.
Suoni precisi e creati non solo con le mani, ma con tutto il corpo e con tutta l’anima.
Mentre camminava, una ragazza dai lunghi capelli neri inginocchiata nella neve a fianco di una seconda che sembrava in fin di vita attirarono la sua attenzione.
La prima si girò verso di lei mostrando due occhi blu pieni di lacrime salate che chiedevano pietà.
Ma non si fermò Suzanne, anzi, accelerò sempre di più il passo finendo poi per correre sempre più velocemente.
Tutto ciò che voleva era andare il più lontano possibile da quella scena, troppo dolore stava salendo dal suo stomaco fino alla gola come la più tremenda delle nausee.
Ricordava l’urlo straziante della sorella e il suo corpo che si accasciava sulla terra umida di pioggia, i suoi occhi che si chiudevano e la calda mano di un passante che la portava via da quell’orrore e che la  tenne con se per molti anni diventando suo amante, confidente e fratello.
Poche miglia dopo era a casa, salì al dodicesimo piano e aprì la porta mal ridotta dell’interno ventiquattro, un’improvvisa sensazione di gelo la colpì ma non ci fece caso.
Appoggiò il violino sul divano in tessuto distrutto, si tolse il giaccone pesante, guardò distrattamente l’ora sull’orologio appoggiato alla parete e notò che mancavano solo un paio di minuti alla mezzanotte, poi entrò nella piccola e angusta camera da letto.
Il ragazzo o uomo dipende dai punti di vista la aspettava lì ,gli occhi di cui uno blu e l’altro marrone ,che la fissavano pieni d’amore.
O almeno così pensava lei.
Si avvicinò alla finestra e chiuse le tende cremisi lasciando definitivamente fuori la neve e le due sventurate ragazze da cui era scappata nello stesso modo in cui una gazzella corre via da un leone affamato, poi si sedette accanto all’uomo e gli sussurrò all’orecchio un flebile “Buon Natale”.
Lui sorrise e ancora una volta quella sera soddisfò le sue voglie.
 
Era il ventiquattresimo giorno del dodicesimo mese di quell’anno e il Big Bang si sentiva risuonare persino da quel luogo dimenticato e faceva freddo fuori, così freddo che neanche gli angeli riuscirono s spiccare il volo.
E mentre uno di loro chiudeva gli occhi, gli altri due speravano e pregavano un Dio inesistente per una futuro migliore.
Era la fine del secolo eppure niente sarebbe cambiato per loro negli anni a venire.
Intanto la neve ignara di tutto continuava a posarsi in quella città ancora fantasma.

Primo esperimento di questo tipo in questa categoria di "Originali".
Inizialmente questo racconto era nato per scopi scolastici, solo dopo vari mesi e modifiche ha assunto questo aspetto che dovrebbe essere quello conclusivo.
Ne sono molto orgogliosa e spero che possa lasciarvi dentro qualcosa.
Se volete fatemi sapere cosa ne pensate e se avete qualche critica da fare dal punto di vista stilistico ecc non esitate =D
Spero che questa lettura vi sia piaciuta.
Un bacio
SilverBreath

 

   
 
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