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Autore: lovemeswaggy    24/08/2013    14 recensioni
Jessica James è distrutta. Va male a scuola, è morta la sua migliore amica ed è appena stata arrestata di nuovo. I genitori ne hanno abbastanza del suo comportamento così la iscrivono in un collegio.
Justin Bieber. Un ragazzo d'oro esteriormente ma lacerato dal dolore emotivamente.
Entrambi si ritrovano ad affrontare ostacoli difficili, ma sapranno usar tutto a loro vantaggio.
Due vite, tanto misteriose quanto difficili.
Un amore, tanto semplice quanto improbabile.
***
"Non lasciarmi andare, ti prego!"
"No piccola, sto io qui con te."
"Prometti?"
"Prometto.. e io mantengo sempre le promesse."
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Jaden Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 1. Troubles.
 
 


No One’s

 “Non dire una parola o si potrà rivoltarsi contro.” Il fatto che Jess si fosse cacciata di nuovo nei guai, non era di certo una novità. L’agente di polizia le legò le mani con le manette, prima di farle abbassar la testa e farla entrar in macchina. Quel veicolo puzzava di fumo e i sedili erano sporchi di bustine da merendina e salatini sparsi qua e là. Davvero molto ordinati. Mormorò tra se e se, ridacchiando e ottenendo l’attenzione del poliziotto seduto al sedile passeggero davanti.
“Cara Jess, te la cerchi proprio, eh?”
“A quanto pare, stron.. oh scusa, volevo dir John.” Disse pronunciando la parola ‘scusa’ con voce ironica.
“Sì, te la sei cercata.” Rivolse di nuovo lo sguardo verso lo specchietto davanti, tenendola d’occhio mentre l’altro agente si occupava di Jake. Dopo pochi minuti lui le era accanto seduto ed entrambi si diressero verso la centrale.
 
“Ce la siamo cercata, Jess.” Jake le era seduto di fronte, mentre lo spazio di quella cella veniva riempito dal ticchettio delle dita di Jess contro la parete.
Uno, due, tre, quattro ticchettii.
“Credi che ci mettano in galera?” La faccia di Jess passò da annoiata a preoccupata.
Sta scherzando, vero? Cercò di capir se scherzava ma sul volto del suo migliore amico non c’era ombra di sorrisi o altro. Non ci credo!
“Cazzo Jake, non abbiamo mica commesso un furto o ucciso qualcuno.. che cazzo ti fai prendere?” domandò la ragazza avvicinandosi al biondino, che intanto era appoggiato alle sbarre di ferro.
La stanza- se così vogliamo chiamarla- era piccola. Le pareti erano di un color grigio mischiato con il blu ed erano illuminate da una lampadina al centro del soffitto. Come oggetti, erano presenti solo due sedie di acciaio. Nient’altro.
Jake si avvicinò ad una delle sedie e ci si sedette, puntando lo sguardo ai leggins neri stracciati della sua amica. “Si, hai ragio..”
Non finì di parlare che un agente si avvicino a loro e, con grande sorpresa di Jess, tirò fuori il mazzo di chiavi e aprì velocemente. Poi disse con voce metallica: “Siete liberi sotto la custodia dei vostri genitori, potete andare.” I due amici si guardarono per un secondo sorridendo, prima di uscir dalla cella.
Quaranta sei, quaranta sette..
Cinquanta passi più avanti, Jess e Jake incontrarono gli occhi stanchi, arrabbiati e perfino delusi dei loro padri. Jess si avvicinò al suo, che la prese per il gomito e la trascinò fuori.
“La mia roba è..”
“L’ha già presa io, sali in macchina..” Aprì lo sportello della porta passeggera e continuò: “Ora.”
Senza esitar Jess salì in macchina, aspettò il padre e una volta salito, partirono.
“Io.. Papà.. Lascia che ti spieghi.. Ehi, mi sta ascoltando?” Agitò le mani in aria con fare esasperato ma il padre non parlò, poi dopo qualche minuto iniziò: “Cosa Jessica, cosa devo lasciarti far? E’ la terza volta in due mesi, cazzo! Datti una fottuta calmata!” la guardò per un secondo poi si rivolse verso la strada.
La voce del padre era piena di.. disprezzo. Le venne una stretta al cuore e per due secondi le se appannò la vista, facendola agitar. Aprì il finestrino della macchina, lasciando entrar aria nei polmoni.
Uscirono dalla macchina dopo qualche minuto ed entrarono nell’ampio salone dove era seduta la madre. Jess salì le scale, in modo da evitar gli altri ma venne fermata ugualmente.
“Jess, vieni a sederti.” Le ordinò la madre con dolcezza.
Ok, qui ci si mette male. Pensò mentre si sedeva tra loro due. Iniziò il padre.
“Vedi Jess, noi siamo stanchi.” E si capiva, che diceva la verità. Il suo tono era più basso del solito e faceva fatica a parlar. Erano.. stanchi, della loro figlia. Guardò per un secondo la moglie aspettando il suo consenso per continuar. “Ti abbiamo iscritto ad un collegio fuori città. Vivrai lì.” Abbassò lo sguardo.
Io.. dove? Collegio? “C-cosa? Siete pazzi o cosa?” guardò entrambi con le lacrime agli occhi. Non posso crederci. Pensò mentre continuava a scrutarli, pregando mentalmente che fosse uno scherzo. Ma non lo era.
“devi darti una calmata, Jessica. E’ la terza..” Non lasciò continuar la madre che continuò lei: “Volta in due mesi che vado dalla polizia. Si. Ma a voi non è mai capitato che. Vi. Muore. Una. Persona. Che. Ritenete. La. Vostra. Vita. Cazzo!” Salì le scale urlando e sbattendo i piedi e si chiuse un camera sbattendo la porta.
Centoventi, centoventuno, centoventidue.. camminò avanti e indietro nella camera, cercando di ragionar. Ma su cosa? I SUOI GENITORI ERANO PAZZI. Non ci credo! Ditemi che scherzano! Dopo un paio di minuti qualcuno bussò alla porta. “Jess.. Apri.. Jess.. Ehi”
“Che cazzo vuoi?” sputò con rabbia mentre apriva la porta. Si ritrovò sua madre in lacrime, così domandò con più calma: “Che c’è?”
Aveva il cuore a mille, pensò se la madre riuscisse a sentire i battiti contro la pelle.
“Mi dispiace..”
“Un corno, mamma!”
“Jessica, ne hai bisogno..”
“E voi avete bisogno di una cazzo di persona che vi porti al manicomio!” Le sue parole riecheggiavano in tutta la casa con una nube di odio, rabbia e tristezza.
“Jessica..” Incalzò la madre con tono rassicurante, poi continuò vedendo la figlia non dir nulla. “Ti.. piacerà. Partirai tra due giorni.. prepara tutto. Lì sulla scrivania c’è un libricino riguardante la scuola.” La abbracciò “Leggilo.” Poi se ne andò.
La sedicenne si avvicinò alla scrivania e lo guardò prendendolo tra le mani. Sopra c’era il nome della scuola (La Santany Academy) in neretto. Lo aprì e nella prima pagina c’era una lettera della preside- una certa Kate Sheridan- che diceva che non vedeva l’ora di accoglierla nella sua scuola.
Oh, ma bene. Non vedo l’ora. Giuro. Sfogliò la pagina e ci trovo una scrittura a mano. Raffinata e veloce.
Ciao Jess, la scuola ti fornirà: shampoo, bagno schiuma,
libri, quaderni con penne e matite. Spero ti troverai bene qui.
Oh, si. Di sicuro. Poi più giù:
il regolamento ti verrà dato appena attraverserai il portone della
tua nuova scuola. Dovrai obbedir a tutte le regole o verrai
punita severamente. Ci vediamo.
Jess buttò il libricino sul mobile, poi si spogliò e velocemente si buttò sul letto. Si promise mentalmente che l’indomani avrebbe chiamato Jake poi crollò.
 
Il giorno successivo passò velocemente. I suoi l’avevano rinchiusa in camera, così fu costretta a preparar le valigie. Era scesa giù solo una volta per mangiar uno snack, dopodiché era risalita in camera a leggere un libro.
Nel libricino della nuova scuola si diceva che avrebbero fornito tutto loro così decise di portar solo qualche libro, molti block notes e poi delle tinture per capelli e creme per il corpo.
Aveva parlato solo una volta con Jake, raccontandogli quel che era successo e dove stava andando ma non finì di pronunciar il nome della scuola, che subito il padre staccò la spina. Lo guardò in cagnesco e gli ridiede il telefono.
Verso le dieci si addormentò ansiosa. La tv era ancora accesa ed illuminata il buio presente nella camera.
Non era pronta per andar in quella scuola, non voleva andarci. Dover conoscere nuova gente, dover studiar e per di più non poter andar a fare shopping o incontrar i suoi amici. Un vero disastro.
Era una cosa ingiusta. Cazzo.
 
“Muoviti, Jessica!” La voce del padre si percepiva in tutta la casa. “Arriviamo tardi, poi!”
Era pomeriggio-le 15:30- e loro stavano per partire. L’ansia aveva preso il sopravvento su Jess che ebbe due attacchi di panico in due ore. Una vera tragedia. Il mattino della ragazza era trascorso velocemente, visto che non aveva fatto altro che dormire. Dopo tanto tempo, a Londra c’era un po’ di sole. La prima settimana estiva non era iniziata bene in quella città, ma quel lunedì Jess potè non veder nuvole grigie.
“Mi sto muovendo, oh Dio!” Arrivò davanti alla porta quando intravide Jake appoggiato ad un cespuglio sulla stradina del suo giardino.
“Che ci fai qua?”  iniziò a correre nella sua direzione.
“Son venuto a salutarti.” La ragazza si precipitò tra le braccia del suo migliore amico, quasi strozzandolo. Inspirò il suo odore, come fosse l’ultima volta sentendosi riempire le narici di caffè e dopobarba.
“La scuola è la Santany Academy.” Gli sussurrò all’orecchio poi lui le fece l’ occhiolino.
“Ti chiamerò.”
“prometti?”
L’amico annuì e lei cacciò un urlo di gioia prima di dargli un bacio sulla guancia e salir in macchina.
Mezz’ora prima era rimasta davanti al suo armadio, pensando a cosa indossar. Alla fine scelse un paio di jeans grigi molto aderenti e una canotta lunga nera con la frase DIE BITCH scritta in grigio poi indossò gli anfibi neri che le arrivavano a metà gamba. Si contemplò allo specchio e decide si metter uno strato pesante di eye-liner nero sulle palpebre, e applicò un forte strato di mascara sulle lunghe ciglia.
Perfetto. Sorride guardandosi allo specchio. Così sembrava una rockstar. Le piaceva.
Era pronta per una nuova vita.. o forse no.



spazio autrice:
ciao a tutti i lettori, questa è la mia prima fanfiction su justin
e, sinceramente, spero possa piacer a qualcuno!
come avete capito, Jess è la terza volta che si ritrova in una
centrale di polizia, e questo di certo non piace ai suoi genitori.
Costretta a trasferirsi, lascia il suo migliore amico(io avrei rotto 
qualcosa per la disperazione) e taadaa, va via.
Ho preso spunto da un libro che ho letto qualche settimana fa e,
visto che è una storia che non ho mai trovato su efp,
ho deciso di scriverla.
DITEMI COSA NE PENSATE, PER FAVORE.
lasciate una recensione, vi prometto che continuerò presto.

xoxo, angelica. 

  
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