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Autore: Addison88    24/08/2013    0 recensioni
Megan dopo l'incidente ha perso tutto, ha dovuto ricrearsi una nuova vita e una nuova identità. Dopo qualche anno di intenso studio e lavoro sta iniziando a ritrovare se stessa. Ha trovato un nuovo lavoro dopo aver perso quello da neurochirurgo, ora è un medico legale dove la fama la precede, ha perso anche la famiglia che si era creata. Troverà anche l'amore dopo il lavoro? Riuscirà ad essere più aperta verso il prossimo?
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
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Nuovo giorno nuovo caso, speravo di non incontrare Jack e invece era già lì sulla scena del crimine ad interrogare un ragazzo, lo vidi chiudere il block notes e dal sorriso che sfoggiò notai che mi aveva vista ma dietro gli occhiali da sole potevo far finta di non vederlo e andai dritta dal corpo. “Buongiorno dottoressa, sto andando dalla famiglia vuole venire con me?” domandò avvicinandosi sempre con quel sorriso. “Si!” risposi istintivamente. “Dottoressa Hunt…” disse quelle parole con malizia, “cosa può dirmi del caso?” aggiunse guardandomi con la coda dell’occhio. Lo guardai sempre con la mia aria piena di me e dopo qualche istante esordì: “Beh… nulla di certo ancora ma andiamo a interrogare la famiglia voglio partire da loro” Salii in macchina con lui ma gli rispondevo solo se mi parlasse del caso altre cose niente, tanto le donne non gli mancavano. Tra di noi c’era del silenzio poiché del caso non avevamo tanto da dire, guardavo fuori dal finestrino quando lui ruppe quel silenzio esordendo: “Non sei davvero impegnata, perché lo hai detto?” disse quelle parole serio come se io lo avessi in qualche modo ferito, “sono un detective pensi che non lo sarei venuto a sapere? O che io non avessi indagato sulla ragazza che mi piaceva e che ancora non dimentico?” aggiunse guardandomi con la coda dell’occhio. “Io…lascia stare ok?” gli risposi acida, stava oltrepassando la linea di confine dal salvaguardarmi. Tornò ad esserci silenzio e lui mi lanciava delle occhiate ma io non cambiavo posizione, parlavo solo del caso. Non capivo cosa volesse dire che ancora non mi dimenticava, tra noi non è che ci era mai stato una cosa oltre qualche bacetto, cosa volesse ancora da me? Era la domanda che in quel momento riempiva la mia testa. “Megan… non sono uno che molla, ho sbagliato anche a mollare tanto tempo fa ma non ora, non mollo!” esclamò parcheggiando. “Il caso ha la priorità” dissi scendendo dall’auto. Non avevo più vita facile con lui che non mollasse la presa con me, dovevo essere più credibile, avere un polso più fermo. Andammo a parlare con la famiglia, avevo pochi elementi per intervenire e lasciai fare le domande a Jack, anche se non ero solita a stare zitta durante gli interrogatori. Quando tornammo in macchina lui tornò in carica a chiedermi per un caffè insieme, non lo risposi e passò a chiedere per un pranzo insieme, lui continuava a chiedere e io continuavo a declinare. Era cosi insistente ma perché diavolo non capiva? Continuava con i suoi inviti fin quando io non lo risposi male. “No, non voglio venire a pranzo con te, non voglio uscire con te e basta! Abbiamo solo un rapporto di lavoro e che rimanga tale altrimenti cambio squadra, finiscila non uscirò con te.” Scesi dalla macchina ferma al semaforo e proseguii a piedi, continuai per la mia strada e lui mi raggiunse fermandomi per un braccio. “Perché?” si limitò a domandarmi senza lasciare il mio braccio. “Non voglio uscire con te.” Risposi dando per ovvia la cosa e sperando anche che capisse. Mi lasciò il braccio e mi guardava con quei suoi occhioni profondi che cercavano di leggere cosa pensassi. Mi girai e tornai a camminare per la mia strada. “Sappi che io non mollo!” esclamò ad alta voce in modo che io sentissi quelle sue parole. Maledizione, ma perché andai a quella riunione e specialmente perché ora fa parte della mia squadra? Dovevo inventare qualcosa per farlo smettere. Al dipartimento come ogni volta mi buttai a capofitto nel mio lavoro e il capo mi richiamava spesso dicendo di crearmi una vita anche fuori da lì, non capiva che ero rimasta scottata tante volte e che per me era arrivato il momento di smettere di soffrire, avevo perso già il primo lavoro e la famiglia non volevo perdere anche il secondo lavoro. “Megan va a casa stiamo andando via tutti è tardi.” Disse con voce premurosa e con tono basso come parlavo io a mia figlia quando era piccola. “Finisco e vado” le risposi senza alzare lo sguardo dalla vittima a cui stavo sottoponendo all’autopsia. Ormai erano andati via tutti lo sapevo dato le luci spente in giro tranne nella sala autoptica, dov’ero in quel momento e nel mio ufficio. Ero abituata a stare sola in quel luogo. “Sono tutti a casa e tu… ancora a lavoro?!” domandò una voce all’entrata della sala autoptica. Mi voltai puntando il bisturi come se volessi proteggermi e vidi Jack lì, sempre con il suo sorriso e quegli occhi di un celeste che mi facevano perdere. “Ma tu non ti stanchi mai?!” domandai tornando al mio lavoro. “E tu?” domandò entrando con dei fiori. Lo guardai e lo assalii. “Ma sei stupido? Esci immediatamente dalla mia sala con quei fiori in mano” mi guardò e fece dei passi indietro per uscire dalla sala. “Che dici di venire a cena?” chiese sempre calmo e tranquillo. “Che dici di lasciarmi in pace?” “No, te l’ho detto che non mollo” “Se esco con te a cena…poi mi lasci in santa pace?” “Dipende da come va la cena.” Rispose sorridendo. Lo guardai e quella sua espressione diceva molto, non mi avrebbe lasciato comunque in pace. “E poi va a finire che la cena piace anche a te e sarai tu a non lasciarmi andare” aggiunse con il suo sorriso e con aria presuntuosa. “Ne dubito… ci vediamo ora lasciami lavorare” Lo vidi girarsi e andarsene, sospirai e girai intorno alla vittima mettendomi di spalle all’entrata, all’improvviso sentii dei passi dietro di me e strinsi di più il bisturi che avevo in mano, pensando che fosse il momento meno adatto per la parestesia, speravo che non si presentasse proprio in quel momento. Sentii sfiorare alla vita, strinsi ancora quel bisturi, lo sfiorare diventò una presa salda, deglutii lentamente, la presa diventò dolce e sicura. “No ti fa male se ti lasceresti andare un po’!” disse sussurrandomi all’orecchio. Jack, sempre lui, mi voltai di scatto tirandogli uno schiaffo sonoro. “Sei cretino… mi hai fatto morire di paura! Fingi di andartene per poi venire qui di soppiatto e rompere la mia tranquillità?!” gli urlai contro. Mi guardava sbalordito portandosi una mano sulla guancia mentre l’altra l’aveva ancora sulla mia vita, non credeva che qualche istante prima gli avevo tirato una sberla. "A domani dottoressa Hunt!" esclamò andando via con freddezza.
   
 
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