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Autore: Yellow Canadair    25/08/2013    1 recensioni
La Brigata Dai-Gurren sconfigge il Generale Supremo Adiane in una colossale battaglia in mare; Viral viene sbalzato lontano dal teatro di guerra assieme al suo Gunmen, e atterra su una spiaggia sabbiosa, dove a svegliarlo non sono ordini o rimproveri, ma lo sciabordio delle onde contro i relitti del suo Enki. Ferito e isolato dal mondo, l’uomo-bestia capisce quali siano state le sorti della battaglia e sfoga la sua rabbia urlando contro l’oceano turchese.
Il mattino dopo viene trovato esanime da una piccola donna di superficie che decide di salvarlo solo per non deturpare la sua splendida spiaggia con un cadavere in decomposizione, ma la convivenza non sarà né facile né pacifica.
La domanda “Che cosa sono gli esseri umani?” non è solo memore di scontri contro l’irriducibile Brigata, ma anche di una battaglia, molto più sottile, contro una piccola umana che ha deciso di vivere sola in superficie.
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Viral
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti! Grazie ai miei lettori silenziosi che continuano a leggere questa FF! Ehi, ehi... la situazione si fa grave... Viral deve aver preso una botta bella forte durante il naufragio... Ce la farà Rea a fronteggiare la situazione? Mi farebbe davvero molto piacere un commento... cosa ne pensate della storia? E del personaggio di Rea? Anche le critiche sono ben accette!!


Capitolo 3 - La lunga corsa di Rea

Theme song:  "Blue jeans and Rosary" performed by Kid Rock!


Dal capitolo precedente: "Quando Rea, sospettosa, si chinò vicino a lui per toccargli la fronte, a controllare se avesse febbre, cercò di spostarsi, di non farsi toccare; ma l’avveduta Rea aveva già capito dagli occhi lucidi che l’ospite si sentiva meno bene di quanto volesse dare a vedere..."

-Non è il caso di essere scontroso.- l’ammonì appoggiando le dita fresche e abbronzate sulla fronte dell’uomo-bestia, che guardava altrove con lo sguardo rabbioso. La febbre stava salendo.

Rea aveva scelto di vivere in superficie meno di un anno prima, quando si era resa conto di non poter vivere sotto terra; era scappata e aveva trovato quella casa diroccata, e vi si era insediata. Tuttavia, soffriva moltissimo la solitudine e la sola e unica cosa che avrebbe desiderato da quel naufrago era un po’ di calore. Ma si rese conto da subito che non c’era da chiedergli nemmeno un “per favore”. Rea non ci aveva messo molto ad abituarsi al carattere duro, scontroso e arrogante del suo ospite: le sarebbe stato più semplice e piacevole prendersi cura di un soggetto che non emanasse una simile carica negativa, ma non era tipo da farsi problemi oltre a quelli che c’erano già; come un elastico, si era adattata a quel modo di fare così rude e rispondeva con gentilezza, anche se avrebbe preferito spaccargli qualcosa in testa.

Il problema era un altro, molto più grave del caratteraccio dell’ospite. La povera Rea non sapeva cosa fare: da un lato, doveva aiutare quello sventurato naufrago. Dall’altro, lo sventurato naufrago era un assassino e un razziatore, che in un contesto diverso da quello l’avrebbe uccisa o condotta in schiavitù senza nessuna remora. Ma poteva lasciarlo morire per questo? E poi se la febbre fosse salita ancora, lei non aveva medicine abbastanza potenti: quello che aveva in casa erano preparati blandi, che potevano far sentire meglio lei quando in inverno si prendeva un’infreddatura stagionale, ma non un uomo-bestia, più robusto di una ragazzina, ferito, e con una febbre che certo non dipendeva dalla temperatura esterna; quindi sarebbe dovuta andare al villaggio più vicino, ad almeno tre ore di galoppo ventre a terra e chiedere del dottore: ma questo voleva dire denunciare lo straniero di nome Viral, e consegnarlo a un villaggio che l’avrebbe come minimo impiccato. Poteva raggiungere il villaggio solo a notte fatta, sperando che nessuno si accorgesse del suo arrivo col favore delle tenebre, ma a quel punto il dottore avrebbe tenuto per sé quel segreto? Non lo conosceva così tanto da potersi fidare ciecamente di lui, anche se negli anni passati l’aveva aiutata. Teoricamente i dottori prestavano giuramento di non uccidere nessuno, ma era tutta teoria. Magari quell’uomo-bestia aveva ucciso qualcuno della zona, e il dottore si sarebbe ricordato del suo volto.

Arrivò il pomeriggio, nella foresta, e la febbre non si decideva a scendere. Rea era spaventata e non sapeva cosa fare; decise per un ultimo tentativo: prese il lenzuolo più vecchio che aveva e lo tagliò in tanti fazzoletti. Prese un bacile di terracotta e ci versò dell’acqua dentro per un dito di altezza; trascinò sotto la credenza una delle sedie, vi si arrampicò su e prese, dal ripiano più alto, una bottiglia di whisky.

-Che succede?- chiese lo straniero dal suo angolo, incuriosito da quel trambusto.

-Devo farti scendere la febbre.- rispose la ragazza, versando quasi tutto il contenuto alcolico della bottiglia nel contenitore con l’acqua. Era un peccato sprecarlo così, ma non aveva altro alcool in casa. Mescolò un pochino, poi buttò nella miscela tutti i fazzoletti ricavati dal lenzuolo. Scoprì il petto del naufrago, che teneva una mano sugli occhi, frastornato, e gli mise su i pezzi del lenzuolo imbevuti e puzzolenti di alcool. Era un antico rimedio per far scendere la temperatura in caso di febbre, ultima spiaggia per Rea che sapeva che raggiungere il villaggio nel minor tempo possibile voleva dire mettere a rischio il suo stesso cavallo, e poi voleva dire denunciare Viral. E rischiare di essere accusata dall’intero villaggio di essere in combutta con il nemico, e linciata ella stessa.

Cambiava i fazzoletti e li immergeva di nuovo nell’alcool. Lo straniero non diceva una parola, neanche per lamentarsi, e la febbre non calava. Rimase accanto a lui tutto il giorno, senza una parola, cambiando fasciature e fazzoletti. Il naufrago era così stordito che la ragazza non riusciva nemmeno a capire se dormisse o no; sapeva solo che era vivo perché respirava a fatica, con la bocca aperta. Ma non poteva andare avanti in quel modo.

A sera, Rea decise di uscire cinque minuti dalla casa. Doveva cambiare aria, le sembrava di impazzire. Provava una pena infinita, ma la provava per un maledetto assassino, che non avrebbe mai dovuto soccorrere. L’aria fresca della foresta nella notte estiva le accarezzò la pelle, sotto la camicia bianca e leggera che indossava sopra al costume. Andò sul retro della casa, dove sotto una tettoia alloggiava il cavallo, e riponeva alcuni utensili; prese un secchio, andò al torrente che scorreva a pochi passi e lo riempì, poi tornò verso casa. Allungò la mano per girare la maniglia della porta e rimase impietrita ad ascoltare: dall’interno della casa, arrivava una voce. Una voce fioca, ma per lei che era abituata a non sentire nient’altro lì attorno se non i rumori della foresta e i suoi, quella voce risultava chiara come se venisse dalla radio. Che diavolo stava succedendo? Aprì di scatto la porta e corse dentro: il cane le corse incontro preoccupato, mentre lo straniero, nel letto, contorceva il lenzuolo fra le mani e con gli occhi spalancati guardava il soffitto della stanza, e diceva nomi, implorava, minacciava, a volte gridando, altre sibilando.

Stava delirando; Rea gli corse vicino gridando il suo nome, spaventata, pose il secchio d’acqua fredda vicino al letto, si bagnò le mani e cominciò a bagnare la fronte a Viral. Sembrò calmarsi per qualche istante, afferrò con le grosse mani quelle piccole e bagnate di Rea e se le premette al capo.

Rea gli si avvicinò, stringendo i denti per non scoppiare in lacrime per la paura e per l’angoscia. -Mi senti, Viral?- non ottenne risposta; lo straniero tremava, e tremava anche lei. -Io vado a cercare un medico. Non ti devi allontanare, non ti devi alzare, hai capito Viral?- lui lasciò andare le mani di lei, che però non scivolarono via, ma rimasero sul suo volto bollente.

-Andrà tutto bene. Tornerò presto.-

Galoppò nella notte verso il villaggio; la luna era alta, ma non era nemmeno a metà: Rea doveva fare affidamento alla sua memoria per gli ostacoli e per la strada, perché se il cavallo si azzoppava a metà strada era nei guai, non sarebbe arrivata al villaggio nemmeno il mattino seguente.

Galoppò nelle praterie, andò al passo sui sentieri di montagna, scese a piedi lungo le pietraie: arrivò dopo più di tre ore vedere i primi tetti del villaggio, con il cavallo tutto sudato e ansante. Lo spronò ancora e quando arrivò alla porta della casa del dottore, l’animale era quasi esausto: respirava a fatica e sembrava stesse per cadere; come lei, del resto. Bussò alla porta di legno con foga. Dopo alcuni minuti le fu aperto. Era il dottore in persona.

Era un uomo alto, sulla cinquantina inoltrata, magrissimo. Rea doveva alzare la testa per guardarlo in volto; aveva i capelli corti, tagliati a spazzola, e due mustacchi dello stesso colore. Il volto era scarno e assonnato, ma rassegnato: in fondo, il mestiere del medico prevedeva anche le emergenze notturne.

-Rea.- le disse a mo’ di saluto. Era un tipo un po’ scorbutico. -Che è successo?- aveva già capito che doveva essere successo qualcosa di fuori dal comune: sapeva che Rea viveva sola, e se era lì voleva dire che a stare male non era lei.

-Dottore la prego… la prego deve.. deve venire con me…- ansimò la ragazza.

Da dietro al dottore fece capolino un ragazzetto. Il dottore la interruppe con un cenno. -Ragazzo.- ordinò. -Sella due cavalli, e porta nella nostra stalla quello là.-

Rea era sollevata: il dottore l’avrebbe aiutata. Però prima doveva dirgli di cosa si trattava. -Dottore aspetti.- lo pregò. -Le devo prima fare una… una premessa.-

-Entri un attimo.- le disse brusco.

-Non posso perdere tempo, glielo dico per strada.

-Dobbiamo aspettare due minuti che Johnny selli i cavalli, e mi devo mettere un pantalone, venga dentro.- le intimò.

Rea fu condotta in un salottino illuminato da due candele, mentre il dottore scomparve per alcuni secondi nella sua stanza, per riemergerne pochi secondi dopo con un pantalone da giorno.

-Chi è, Rea?

-Dottore, due giorni fa ho raccolto un naufrago…

-Perché hai aspettato tanto a chiamarmi?- la rimproverò alzandosi e prendendo la valigetta che teneva sempre pronta per le emergenze.

-Dottore!- esortò buttandosi a terra. -Io devo avere la sua parola che non consegnerà il naufrago.

Il dottore si fece attento, e aggrottò le sopracciglia. -Io sono un medico.- le disse severo l’uomo, strappando di mano alla ragazza il lembo di pantalone che aveva afferrato. -Il mio compito è curare, non giudicare.-

-Non è il medico che temo.- rispose Rea, alzandosi e sbarrandogli il passo. -Temo l’essere umano, che è scappato alle profondità della terra per abitare in superficie.-

Il dottore rimase immobile alcuni istanti.

-Tu, Rea.- tuonò. -Hai dato ospitalità a un uomo-bestia.

-Sì dottore. Io non lo voglio convertire o roba simile, ma l’ho trovato sulla mia spiaggia, stava morendo, adesso è a casa mia, sta delirando per la febbre, cosa devo fare?

-Basta chiacchierare di te, Rea.- l’ammonì il dottore serio. -Andiamo adesso.-

John, che era il figlio del medico, aveva portato davanti alla casa due grandi cavalli, dall’aria robusta e scattante. Rea saltò su quello leggermente più basso.

Coprirono in altre tre ore la distanza che li separava dalla casa di Rea, e quando smontarono era quasi l’alba, e il cielo si stava tingendo di rosa. La ragazza saltò giù dal suo morello e spalancò la porta di casa: dentro si sentiva fortissimo l’odore dell’alcool, il cane le corse in braccio abbaiando, ma lo straniero non era nel letto: era caduto, o era sceso, comunque era per terra a qualche passo dal giaciglio; qualche ferita si era riaperta e aveva ripreso a buttare sangue, macchiando le bende e il pavimento.

-Mio Dio, Viral!- chiamò forte precipitandosi vicino allo straniero.

Il dottore le corse dietro. Rea lo girò sulla schiena, mettendogli la testa sulle sue gambe. -Mi senti? Svegliati!!- gli spostò i capelli biondi e sudati dal volto, lo chiamò per nome, ma la febbre non era scesa. Il dottore intanto stava svolgendo le fasce, per rendersi conto di quanto grave fosse la situazione. Lo straniero aprì gli occhi di scatto, guardò l’uomo e cercò di alzarsi, ma ricadde tra le braccia di Rea, che lo tenne a viva forza, inchiodandogli le spalle alle sue cosce. Era bollente, toccarlo era come scottarsi. -È un medico. Ti vuole aiutare.- gli sussurrò all’orecchio.

 

  
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