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Autore: Milla Chan    25/08/2013    2 recensioni
[ Ottavo episodio della serie di Buret. ]
Vide le sue labbra muoversi, forse per dire qualcosa, forse per piegarsi e sorridere.
Ma una fitta insopportabile e improvvisa al petto spezzò malamente il suo abbozzo di sorriso.
Faticò a non ansimare e pensò che qualcosa, da qualche parte, era successo.
-Tutto bene?- chiese cauto Berwald.
Lukas annuì e guardò a terra, mentre nella sua mente affiorava un paio di occhi blu e limpidi come il mare.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Danimarca, Islanda, Nordici, Norvegia, Svezia/Berwald Oxenstierna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie 'Vores historie.'
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Nota:
Questo è l'ottavo episodio della serie Vores Historie.
Se non avete letto le altre storie, difficilmente capirete il senso di questa.
Buona lettura!

 

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-Io mi dichiaro indipendente.-
Il silenzio calò sul tavolo come un velo pieno di spine.
Lo guardò impietrito.
La sua egoistica felicità non era durata che qualche futile mese.



Svezia teneva la spada con una mano e si limitava a difendersi dai suoi colpi sempre più deboli con gli occhi tristi.
Norvegia boccheggiava.
Gli doleva ogni muscolo, sopportava ogni passo dell’esercito che gli gravava addosso.
Non sentì più alcuna forza nelle braccia. La lama sfiorò terra e cercò di mettere a fuoco la scena attorno a sé.
 
-Non è orribile, Norge?-

Sentì la sua voce ovattata e distante.
Si accasciò sul suo petto, senza più fiato.
Berwald lo prese tra le braccia e si inginocchiò con lui, attutendo la sua caduta.
Guardò Norvegia e il suo volto stremato e sporco, le sue mani premute su ferite scarlatte che non aveva causato lui.

-Fälttåget mot Norge.- mormorò mentre gli spostava i capelli dalla fronte sudata. Scosse la testa e socchiuse le labbra. -Non è bruttissimo?-

Lukas provò a rigirarsi, rantolando, con un’espressione che fece rabbrividire l’uomo.
Tossì e non riuscì più a prendere il respiro. Strinse la terra tra le dita e reclinò il capo, una fitta insopportabile al petto.
Sentì gocce calde piovere sul viso e riaprì piano gli occhi. Il cielo brillava di grigio.
Annebbiato, riuscì a distinguere il volto sformato dal pianto che lo guardava.
Voleva mandarlo via o dirgli di lasciarlo morire.
Alzò faticosamente la mano e provò ad allontanare la sua che si stava avvicinando.

-Adesso basta. - gemette Berwald, tenendo salde le sue dita. -Abbiamo fatto abbastanza.-

-Tu non hai fatto niente.- ringhiò espirando, gli occhi fissi nei suoi e i polmoni che si riempivano d’aria e si svuotavano veloci. -Tu non mi hai attaccato neanche... -
 
Svezia contrasse la fronte e aspettò ansioso che continuasse.
 
-... Neanche una volta.- terminò con un’espressione affaticata.
Ritrasse le mani e ne appoggiò una a terra, per tentare di tirarsi a sedere.
-Ha fatto tutto il tuo esercito.-
Si prese un’altra pausa e strinse la stoffa all’altezza del petto.
-Io non sono debole.-
-Lo so.-
Svezia si alzò in piedi e allungò le braccia per aiutarlo, preoccupato.
-Lo so come ti senti. Per questo ti dico che ormai è finita.-
Il norvegese lo guardò sconvolto.
-Io non ho ancora perso.- respirò affannato. La sola idea lo faceva sentire soffocato.
-Lukas... - gli bisbigliò mansueto, cercando un modo per dirgli che non poteva continuare fino allo stremo delle forze.
-Io non ho ancora perso.- ansimò, il tono di voce più alto.
 
Berwald sembrò riscuotersi e il suo volto si irrigidì. Gli prese le braccia e lo tirò in piedi. Lo sentì leggero e debole, tanto che dovette stringerlo per non lasciarlo crollare.

L’odore di sangue, la debolezza, le braccia attorno al petto, non riuscire a respirare, la sensazione di non aver più valore.
Norvegia ebbe un terribile déjà-vu.
 
-Io non ho perso... - mugolò ancora, contro la stoffa lisa.
Sbatté improvvisamente gli occhi umidi e fece una smorfia. Avrebbe voluto urlare.
Diceva addio alla sua tanto bramata libertà.
 
-Ti prometto che... - biascicò lo svedese mentre lo sollevava con cura prendendolo tra le braccia, il cuore turbato dalla vista della sua mano che oscillava nel nulla. Camminava strusciando i piedi verso l’accampamento, le iridi fisse a terra mentre pensava a come curarlo. -... Che non combatterò mai più una guerra.-
 

 
Eirik iniziò a camminare più veloce non appena sentì il rumore secco di una porta che si chiudeva.
Entrò in quella stessa stanza più veloce che poté e si portò una mano al cuore, che per un attimo sembrò fermarsi.
 
-Ha perso!- gridò Danimarca, agitando per aria un foglio di carta stretto forte tra le dita e affondando le mani tra i capelli. -Ha perso la guerra!-

Islanda indietreggiò subito e si appoggiò con la schiena al legno della porta, prendendo un respiro profondo, cercando il coraggio di non scappare.
Avrebbe voluto cancellare dalla memoria le crisi che aveva dovuto placare quando giunse la notizia che Norvegia si era opposto. La calma apparente era già precaria prima di quell’annuncio che apriva nuove porte su un destino che sembrava già scritto.
Ma, a quanto pareva, il destino non sbagliava e tutto si era concluso in pochi mesi con l’esito meno dolce che potessero sperare.
Danimarca si girò a guardarlo con gli occhi tristi di chi non ha idea di cosa sia appena successo.
Islanda osservò la stanza sottosopra e lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi, senza speranze, dicendosi che avrebbe dovuto mettere a posto tutto. Un’altra volta.
-Scusami, Eirik.-



-Io non dormo con te.-
Berwald si accigliò un poco alla sua testardaggine e incrociò le braccia al petto. Guardò pensieroso il letto grande mentre cercava un compromesso che lo avrebbe soddisfatto.
Si imbatté nei suoi occhi e rimase colpito nel trovarci solo una grande inquietudine, piuttosto che accanimento.
-Se preferisci, mi trovo un altro posto.- gli suggerì paziente.
Norvegia si infilò sotto le coperte senza complimenti, facendo calare un silenzio ostile. Ancora gli bruciava di aver perso la sua guerra.
Alla luce di una candela, ascoltò Svezia sospirare e prendere il cuscino accanto al suo. Pochi passi e la poltrona cigolò piano.

Sentì il cuore stringersi per il senso di colpa quando capì che stava cercando di addormentarsi lì.
Provò a scivolare nel sonno senza pensarci, ma, quando la fiammella ormai aveva quasi consumato tutta la cera, alzò la testa e guardò verso il fondo del letto.
-Se sei così scomodo puoi... - si interruppe e serrò la bocca, rigirandosi tra le coperte e indicando la piazza vuota del letto.
 
Berwald aprì gli occhi e raddrizzò il capo, sostenuto da un braccio.
Sembrò passare un tempo infinito prima che si alzasse con cautela e scostasse le coperte del letto. Si sdraiò con un sospiro di sollievo.
Lukas socchiuse gli occhi e rimase il più lontano possibile da lui, infastidito dalla sensazione di dover condividere ancora un letto.
-Voglio una mia Costituzione.- pensò a voce alta, senza preavviso.
 
Berwald voltò il capo verso di lui.
 
-... Va bene.- concluse dopo un lungo momento di pausa.
Ci stava già pensando, in realtà, anche lui credeva che fosse una buona idea, se proprio voleva più libertà. Lo capiva.
 
Il norvegese sentì il cuore fare un balzo inaspettato. Si tirò a sedere e lo guardò negli occhi, cercando di capire se lo stesse prendendo in giro.
-E un mio Parlamento.- continuò, la voce flebile.
 
Svezia annuì e l’altro si trattenne dallo sgranare gli occhi.
 
-Domani firmiamo.-

Lukas strinse le labbra e si rimise sotto le coperte, veloce, avvolgendosi stretto e dandogli la schiena, il petto improvvisamente libero da ogni macigno.
Percepì solo una carezza sui capelli, poi il dolce nulla.


 
Danimarca alzò gli occhi lucidi e tra le immagini fosche e liquide vide il volto di Eirik vicino al suo.
-È tutto a posto.- ascoltò la sua voce incerta. -Ora basta.-
Sentì le sue dita sui polsi e rilassò le mani, allungando le braccia e stringendolo forte al petto.
-Norge tornerà presto.- disse l’uomo, convinto, con l’intenzione di rassicurare Islanda.
Finì però col parlare a se stesso, perché il ragazzo era consapevole che niente lo avrebbe spinto a tornare lì e le parole volavano vane al vento.
Eirik tenne gli occhi spalancati, l’orecchio sul suo cuore impazzito senza muovere un muscolo. Non proferì parola, troppo sconvolto all’idea di dover affrontare tutto da solo. Non gli rispose, per non dargli false speranze e per non sradicare del tutto quel filo di aspettativa e desiderio.
-Sai, Norge mi ha detto che avrei dovuto fare in modo che tu ti fidassi di me. Ti fidi di me, Eirik?-
Gli passò la mano tra i capelli e lui continuò a stare in un silenzio pesante, gridando di no nella sua testa.
Tutto ciò che sperava non accadesse stava invece accadendo e niente lo terrorizzava di più. Non voleva più spaventarsi. Gli sarebbe piaciuto sparire.
Non sapeva più cosa volesse fare, in realtà.
-Certo.-
 
 

Berwald allentò la presa sul suo fianco allo scemare della musica.
Lukas non lo lasciò fermare e fece segno ai musicisti di ricominciare a suonare.
-Adesso guido io.- mormorò prendendogli la mano e volteggiando con lui un’altra volta.
Lo svedese lo guardò sorpreso e si lasciò condurre senza protestare, le dita strette con le sue.
Gli sembrava che la sua durezza si stesse scalfendo, poco alla volta.
Osservò il suo volto rilassato e lo guardò negli occhi, intimamente felice, mentre i finestroni del salone, pieni di luce, passavano loro accanto.
Norvegia ascoltò i violini e si sentì a mezzo metro da terra, tanto era leggero. Avrebbe voluto provare quella sensazione più spesso.
-Anche io so suonare questa canzone.- disse, il fiato corto per i balli senza fine.
L’uomo alzò appena gli angoli della bocca.
-Scommetto che quando la suoni tu è ancora più bella.-
 

 
Eirik si sedette sul letto alto e si portò una mano alla guancia arrossata e bruciante.
Scoppiò a piangere e socchiuse gli occhi. Era il male peggiore che avesse mai sentito.
Non si asciugò le lacrime, rimanendo a singhiozzare come un bambino alla luce fioca della sera.
 

 
Lukas uscì nei giardini e si diede dello stupido, perché si era perso la primavera per colpa della guerra.
Allungò la mano verso una delle foglie del roseto, pensando che gli sarebbe piaciuto tanto vederne i fiori.
La accarezzò con la punta delle dita e abbassò lo sguardo a terra.
Il cielo era sempre grigio, minacciava di piovere, ma non sapeva se tornare in casa o no.
Stare da solo gli dava modo di pensare, di chiedersi come stessero Danimarca e Islanda e di rendersi conto che ciò che stava vivendo era ciò che più si avvicinava al suo ricordo di libertà.
Sbatté gli occhi quando sentì un rumore di passi attutiti avvicinarsi alle sue spalle.
Si voltò e Berwald camminò ancora un poco prima di fermarsi davanti a lui.
Lukas tornò a guardare il paesaggio.
 
-A cosa pensi?- gli chiese con calma lo svedese, con le mani dietro la schiena.
-A tante cose.-
 
Svezia annuì, comprendendo il suo stato.
 
-Devo tornare in casa?- domandò Lukas, cercando di intuire cosa lo avesse spinto a venire da lui.
Berwald scosse la testa.
-Anche io stavo pensando a tante cose.-
Il norvegese alzò le sopracciglia e soppresse un sospiro. Probabilmente non aveva in testa neanche la metà dei pensieri che aveva lui.

-Per esempio?-
-Per esempio, credo che, dato che siamo obbligati...-
 
Norvegia non riusciva a capire perché si fosse fermato né come sarebbe finito il discorso.
Quando voltò la testa verso di lui e lo vide inginocchiarsi con un’espressione imbarazzata, trattenne il respiro.
 
-... Vorrei che fosse piacevole.- gli mormorò, tenendo un anello tra le dita e mostrandoglielo.
 
Lukas sentì il cuore sprofondare sottoterra e il battito rompergli le orecchie.
Rosso in volto, ma sempre impassibile, rimase a guardarlo per un tempo che parve infinito.

L’uomo inginocchiato si chiedeva a cosa stesse pensando. Immaginava e temeva che sarebbe scoppiato a ridere da un momento all’altro.
Ma Lukas gli porse la mano e gli ci volle un attimo per realizzare ed essere raggiante.
Alzò gli occhi e incontrò i suoi, seri e profondi, che sembravano intimargli di sbrigarsi, prima che l’imbarazzo lo facesse morire.
 
Gli infilò l’anello al dito e Norvegia sentì il volto irrigidito sciogliersi.
Berwald si rialzò e tenne le mani sulle sue. Vide le sue labbra muoversi, forse per dire qualcosa, forse per piegarsi e sorridere.
 
Ma una fitta insopportabile e improvvisa al petto spezzò malamente il suo abbozzo di sorriso.
Faticò a non ansimare e pensò che qualcosa, da qualche parte, era successo.
-Tutto bene?- chiese cauto Berwald.
Lukas annuì e guardò a terra, mentre nella sua mente affiorava un paio di occhi blu e limpidi come il mare.
 
 

Islanda strinse le ginocchia al petto, il volto smunto e gli occhi circondati da un alone scuro fissi fuori dalla finestra.
Non avrebbe voluto passare quella notte in bianco, ma non aveva alternative.
Non scostò lo sguardo dal vetro un attimo, troppo sconvolto.

- Giuro che non me la sono presa per lo schiaffo.-
 
Non voleva vedere il braccio nel nulla, il capo rilassato tra le lenzuola, né il sangue agli angoli delle labbra. Non voleva vedere gli occhi di cera, che ancora si chiedevano con quale coraggio avesse alzato la voce e le mani e quale disperazione l’avesse portato a perdere anche la sua personale battaglia.
 
-Svegliati, pabbi.-



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Angolo autrice.
Buonasera! Grazie per aver letto anche questo seguito. E se siete qui per caso, benvenute!(?)
A quanto pare vi piace sentire il cuore spezzarsi, vero?
Spero davvero che vi sia piaciuto e ringrazio ViolaNera per avermi betato la storia :3
Ora vi do qualche nozione storica, per correttezza. Nella storia precedente infatti non vi ho spiegato bene che cosa fosse il Trattato di Kiel e forse è meglio rimediare.
In seguito alla sconfitta nelle guerre napoleoniche, si tenne il Congresso di Vienna. Esso aveva lo scopo di riportare l'Europa alla "normalità" dopo gli sconvolgimenti apportati dalle guerre condotte da Napoleone, di "restaurare" e apportare i dovuti mutamenti territoriali. Vi parteciparono le più grandi potenze europee, tra le quali c'era la Svezia, nel gruppo dei vincitori.
La Danimarca-Norvegia invece, alleata della Francia. aveva subito la sconfitta durante le guerre napoleoniche.
Il 14 gennaio del 1814 fu firmato il Trattato di Kiel, con il quale il re di Danimarca-Norvegia doveva cedere la Norvegia alla Svezia.
Però la Norvegia non accettò il Trattato di Kiel e si dichiarò indipendente, così durante l'estate dello stesso anno fu combattuta una guerra, che si concluse con la sconfitta della Norvegia e la sua unione con la Svezia, con una propria Costituzione e un proprio Parlamento.
Questa guerra fu ricordata dagli svedesi come "Fälttåget mot Norge", "campagna contro la Norvegia", ed è l'ultima guerra che la Svezia ha intrapreso fino ad oggi.
Un bacio a tutte, spero di essere stata utile!
Al prossimo episodio!
   
 
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