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Autore: dream_more_sleep_less    25/08/2013    5 recensioni
A diciotto anni non si sa mai esattamente cosa si voglia dalla vita, né chi si voglia diventare. Si passa il tempo a porsi domande accompagnate da porte in faccia, e rimaniamo indecisi fino all'ultimo. Leeroy invece è cresciuto con la convinzione di poter diventare esattamente ciò che vuole: un calciatore. Non ha mai voluto altro e non ha mai sognato altro. Gli studi non fanno per lui. La sua presunzione lo porta a distruggere i sogni della squadra del suo liceo proprio alla finale di campionato. Ha deluso soprattutto i compagni che stanno ormai per diplomarsi. Per loro non ci sarà un'altra possibilità, sono arrivati all'ultimo giro di giostra. Alla fine scenderanno da vincitori o da perdenti. Dipenderà tutto da Leeroy, che dovrà riuscire a mettere le redini al suo ego per andare d'accordo con il portiere. Secondo lui, Lance è la vera causa della loro sconfitta.Troppo calmo, troppo sicuro di sé. Ma il loro rapporto dovrà cambiare per permettere ad entrambi e al resto della squadra di guadagnarsi il titolo di campioni. { In corso }
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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The last chance
I


1:37 a.m.
Lo zapping in tv, dopo il calcio, era il suo passatempo preferito: in quel modo passava le giornate, sdraiato sul divano come un ebete, guardando lo schermo e bevendo Red Bull. In onda c'era una replica de I Robinson, la cosa non gli interessava molto: gli bastava che sentisse le voci e vedesse immagini muoversi.
Indossava lo stesso paio di pantaloncini da calcio ormai da tre giorni e non si era neppure rasato, gli occhiali enormi da  vista non contribuivano molto a migliorare il suo aspetto. Anzi, lo peggioravano proprio. Quello era lo stato in cui si riduceva ogni volta che perdeva una partita di calcio. O peggio, il campionato studentesco, cosa che accadeva ormai da due anni consecutivi. Era totalmente demoralizzato, non aveva neppure la forza per cambiare canale anche odiava quelle vecchie serie televisive.
Aveva passato gli ultimi giorni a pensare a cosa avesse sbagliato durante le partite di campionato ed era sempre giusto alla stessa conclusione; la colpa era dell'allenatore che lo aveva sostituito alla semifinale e quindi non era riuscito a dare il massimo. Nella sua testa il ragionamento non faceva una piega, ma in realtà era una grandissima stronzata e, cosa ben peggiore, non se ne rendeva ancora conto. Non riusciva a fare a meno di imprecare contro il portiere della sua squadra, Lance Stark, con il quale non era mai riuscito ad andare d'accordo.
Gli tornavano ancora alla mente gli attimi della partita e il goal della sconfitta, sarebbe bastato pochissimo per vincere eppure non era riuscito a fare nulla. Nonostante fosse il migliore giocatore che quella squadra avesse mai avuto,  non era riuscito ad evitare quel goal, nemmeno quell'idiota di portiere ci era riuscito.  
Lanciò la lattina di Red Bull, ormai vuota, contro la porta, la frustrazione e la rabbia gli salivano alla testa.  "Stupido Leeroy!" disse ad alta voce. Si insultava da solo molte volte ormai, e negli ultimi due anni era anche peggiorato, se qualcuno lo avesse sentito in quella situazione lo avrebbe preso per pazzo. A causa del suo comportamento sua madre era disperata, non capiva come un ragazzo della sua età potesse stare tutto il tempo dietro ad un pallone invece di correre dietro alle ragazze. 
Più di una volta gli aveva detto: "Ma ogni tanto fai sesso?  Tutta questa repressione non può che farti male." Ed ogni volta Leeroy la mandava a quel paese in risposta, e quella notte accadde per l'ennesima volta che Amanda, sua madre, si intrufolasse in camera sua per farsi i suoi affari. Sentì bussare e pregò che sua madre non entrasse. Quella donna cercava di creare un rapporto con lui che non si basasse solamente su Madre, ho fameMadre i soldi, devo uscire.  Ma con lei non si poteva avere nessun altro tipo di relazione, era una persona "particolare", fatta a suo modo, e neppure lui, suo figlio, riusciva a capirla. Provò ad ignorarla come ogni volta, magari se ne sarebbe tornata in camera sua a leggere i suoi stupidi romanzetti. Purtroppo quella non era la sua serata: Amanda, Super Amy per gli amici di Tumblr e Twitter, entrò nella stanza fregandosene della privacy del diciottenne. Tra le braccia portava un vassoio con insalata, pomodori, mozzarella e olive assieme ad un bicchiere di succo di frutta. Poggiò il tutto sul piccolo tavolino in mezzo alle cartacce di patatine e cioccolata. Dannata lei e le sue fisse per il mangiare sano, pensò il ragazzo.
"Mà, che vuoi?" chiese al limite della disperazione, strofinandosi gli occhi con i dorsi delle mani.Era chiedere troppo venire lasciato alla sua depressione post-partita?
Amanda ignorò, come ogni volta, il tono acido e insolente del giovane. In fondo era un maschio, con una femmina sarebbe stato tutto diverso.
"Puffetto, sembri una ragazza di fronte alla sua prima delusione amorosa." lo canzonò la donna. "Ti sequestro le red bull e le altre schifezze, domani hai scuola e gli allenamenti, quindi vedi di lasciare perdere le repliche dei Robinson e di andare a letto."
Odiava venire chiamato puffetto, quella donna era proprio ostinata, lo chiamava così dai suoi innocenti tre anni. Si poteva odiare la propria madre? Sì, lui poteva. Evitò di pensare al paragone con la ragazzina perché l'avrebbe presa volentieri a schiaffi.
"Abbiamo perso di nuovo la finale, cosa me ne frega degli allenamenti?" il tono era svogliato e disinteressato, ma il suo sguardo duro diceva tutt'altro.
"Ma, Puffetto... principalmente la colpa è tua e del tuo amico..."
A sentir menzionare quell'idiota di un portiere si infervori ancora più di prima: principalmente non si era presentato agli allenamenti per non scatenare un'altra rissa e non venire sospeso proprio gli ultimi giorni di scuola. Non erano mai stati amici, al massimo erano "compagni di squadra", ma anche solo a pensarlo gli saliva il sangue al cervello. Erano incompatibili, non c'era altro da dire.
"Siamo compagni di squadra." disse indignato.
"Sì Puffetto, ma vedi... se non riuscite a fare lavoro di squadra è inevitabile che ogni volta rischiate di subire goal. Come se non bastasse anche durante le partite vi insultate e litigate come due bambini. Si può sapere che ti ha fatto? O che gli hai fatto?".
Amanda era veramente stufa di vedere il figlio comportarsi come una ragazzina mestruata ogni volta che metteva piede in campo o che perdeva una partita. Sapeva che la colpa era del suo brutto carattere, non riusciva a ragionare prima di parlare o fare qualcosa.
"E' un coglione che non capisce un cazzo di calcio, si crede chissà chi solamente perché è bravo."
"Sei un idiota, lo sai?" rispose la madre guardandolo seriamente.
Il ragazzo fece spallucce, e per quel gesto Amanda gli diede uno pugno in testa, non gli fece male ovviamente. 
"Che ho fatto per meritare un figlio così?" chiese disperata.
"E' colpa delle porcate che leggi  e scrivi, sei ossessiva nei miei confronti." le urlò tirandosi in piedi.
"Che c'entra il mio lavoro adesso?!" chiese punta sul vivo.
Leeroy sospirò rassegnato, non si poteva ragionare con quella donna. Amanda viveva nel suo mondo, per cercare di capire il figlio si affidava a dei manuali idioti che non servivano a nulla, oppure cercava di psicanalizzarlo ogni volta che poteva.
"Niente, ora mi lasci da solo?"
"Solo se mi prometti di andare a scuola domani e se cercherai di comportarti da adulto e non come un cavernicolo. Se non ti mostri accondiscendente ogni tanto non arriverai mai da nessuna parte."
Leeroy si mise a ridere ironico, non poteva chiedergli seriamente una cosa simile.
"Scherzi? Io a quello gli spacco la faccia se lo vedo!"
"Almeno dovrò ripassare un'altra notte all'ospedale come l'altro anno! Quindi tu, microcefalo, vedrai di fare come ti ho detto, chiaro?"
Certo che sua madre quando si metteva in testa una cosa era difficile fargliela lasciar perdere, era più testarda di lui, ed era anche più insopportabile di lui. Non voleva diventare come lei, rabbrividì al solo pensiero. Sospirò rassegnato, doveva fare come diceva lei altrimenti non se la sarebbe più tolta dalle scatole.
"Non ti prometto nulla, diciamo che eviterò di finire di nuovo all'ospedale come quella volta." disse rassegnato.
"E' un buon inizio." gli disse sua madre sorridente. "Ora però vatti a lavare che puzzi come un capra, odio le persone che non tengono alla propria igiene, com'è possibile che ti riduci così ogni volta?" Concluse, prima di dargli la buona notte e andare via portandosi dietro le lattine vuote e i pacchetti di patatine accartocciati.
Ogni volta sua madre lo lasciava spiazzato a causa dei suoi discorsi, una madre non dovrebbe parlare così al figlio, Amanda avrebbe dovuto viziarlo e fargli avere ogni cosa  volesse in quanto unico figlio e invece si ritrovava ad essere trattato come un cretino. O almeno, così stava pensando Leeroy.
"Dimenticavo, Puffetto...  trovati una bella ragazza, almeno scarichi tutta questa tensione, ne avresti proprio bisogno." gli urlò dalla porta del corridoio.
"Vai a quel paese." rispose lui. Quella donna era impossibile.
"Puffetto, non devi mica vergognarti perché sei ancora vergine, lo sai vero?" disse la madre con tono apprensivo.
"Crepa!" urlò a pieni polmoni. Quella donna era il diavolo che lo aveva partorito per martoriargli l'esistenza. Non avrebbe augurato una madre del genere nemmeno al suo peggior nemico. Si era da tempo rassegnato alla sua esistenza, quante volte aveva pregato che dovesse trasferirsi per lavoro come suo padre. Ma invece niente, lei aveva piantato le radici in quella città e non le avrebbe mai sradicate, nemmeno per un'offerta migliore di lavoro. Non si capacitava di come era riuscito ad arrivare sano e salvo ai suoi diciotto anni. Durante la sua infanzia invocò più volte la morte per colpa di quell'essere inumano. In fondo poteva ritenersi quasi immortale se non era morto a causa delle stronzate di Amanda, chi lo avrebbe ucciso? Sorrise rassegnato, prima di spegnere la tv e andare in bagno a farsi una doccia. Dopo essersi lavato andò in cucina a farsi una camomilla, ne aveva proprio bisogno: dopo tutta la Red Bull che aveva trangugiato senza ritegno sarebbe stata dura per lui addormentarsi quella notte, prevedeva già di addormentarsi l'indomani a lezione o peggio durante l'allenamento. Tornato in camera sua poggiò la tazza sul tavolino aspettando che si raffreddasse un po', rassegnandosi nel frattempo a mangiare ciò che Amanda gli aveva portato. Sospirò per la centesima volta in quella serata tra un sorso di succo d'arancia e l'insalata.
Si ritrovò nuovamente a pensare a quella maledetta partita persa. La sconfitta bruciava e faceva più male di tutte le botte che aveva preso. Ogni volta gli altri si ostinavano a ripetere che la colpa era sua e del suo brutto temperamento sia durante gli allenamenti che durante le partite, ma era convinto che fossero tutte cavolate. La colpa era anche di Lance che lo istigava a picchiarlo e ad insultarlo per i suoi modi di fare insopportabili. Ma a Lance non veniva mai detto nulla. 
Nella semifinale l'allenatore l'aveva addirittura sostituito con uno dell'ultimo anno perché stava litigando con il portiere già dai primi due minuti della partita. Era stato frustrante per lui dover stare seduto in panchina per tutto il tempo a guardare quella partita, ma erano riusciti a vincere comunque. Purtroppo poi il suo sostituto si era fatto male e non avrebbe potuto giocare, quindi con non poca riluttanza l'allenatore dovette nuovamente mettere Leeroy in campo. Fu ciò che costò la vittoria alla squadra, anche se durante il primo tempo si era comportato bene, senza nemmeno considerare Lance. Avevano ripreso a litigare con l'inizio del secondo tempo, determinando  la loro sconfitta. I tempi supplementari furono un'agonia poi.
Persero 3 a 1. L'unico goal - davvero bello, commentò mentalmente Leeroy - fu merito di un calcio di rigore di uno dell'ultimo anno. Il pensiero che non avessero fatto abbastanza lo tormentava. Leeroy ci aveva provato fino all'ultimo a salvare la partita, ma non era servito a nulla, e come se non bastasse si erano persino giocati il portiere. Il loro continuo litigare aveva reso anche Lance irascibile, perciò  non era più riuscito a pensare lucidamente. Era stato insopportabile sentirsi così impotente e ancora più insopportabile vedere che Lance non riusciva a parare nulla. Era andato tutto a puttane, tutti i loro sforzi e gli allenamenti non erano serviti a nulla.
Ricordava ancora le parole di Lance dopo il fischio finale.
"Non abbiamo fatto abbastanza".
Il suo sguardo fu come un coltello conficcato in pieno petto, ebbe come la sensazioni di averlo deluso e che lui stesso fosse rimasto deluso da Lance, dalla partita, da tutto. Dopo la partita Leeroy non era più tornato a scuola, era rimasto barricato in camera sua a contemplare la sconfitta e a piangersi addosso senza la minima forza di riprendersi. Per lui, così sensibile agli insuccessi, il mondo aveva smesso di girare con il fischio finale dell'arbitro. Il primo giorno aveva cercato di auto-assolversi dando la colpa agli altri difensori e soprattutto a Lance. Il secondo, invece, non pensò più al calcio: si era quasi rassegnato all'idea di diventare uno psicologo come la madre, magari con le sue conoscenze avrebbe potuto metterlo a capo di uno studio. Il terzo giorno avrebbe voluto annullare la sua esistenza e fondersi con il divano e la tv. Ciò che lo risollevò dalla sua depressione, oltre ai discorsi di sua madre, fu arrivare alla conclusione che il prossimo anno sarebbe stato l'ultimo con una buona annata di giocatori. Avevano ancora un anno per dimostrare le loro capacità, ancora un anno per giocare in una squadra forte prima che tutti i ragazzi dell'ultimo anno si diplomassero, prima che quel bastardo si diplomasse. Non voleva dimostrare nulla, ma ammetteva che la loro era una delle squadre più forti del campionato. In teoria avrebbe dovuto vincere ogni partita senza troppe complicazioni, ma non era mai stato così. Tutto era andato a farsi benedire per la loro incapacità di collaborare.
 
***
 
Era finito per dare retta a sua madre e tornò a scuola per l'ultima settimana. Arrivò all'entrata in orario. La scuola era un edifico su due piani fatto di mattoncini rossi, non era molto grande ma era provvista di due grandi palestre e un campo da calcio all'aperto nel cortile posteriore. L'unica cosa che funzionava in quel complesso scolastico erano i club sportivi, le lezioni infatti venivano tenute da professori svogliati che ormai avevano superato la cinquantina e avevano perso ogni voglia di insegnare. In questo modo solamente gli alunni più capaci venivano seguiti, gli altri invece, come Leeroy, venivano abbandonati a loro stessi. Almeno quell'anno, grazie al sostegno del professore di educazione fisica e di quello di biologia, era riuscito a farsi ammettere nella classe successiva. Non c'era da sorprendersi: a Leeroy bastava promuovere senza impegnarsi troppo, la sua priorità era solo frequentare il club di calcio.
Quel giorno il tempo minacciava pioggia, le nubi che coprivano il cielo erano davvero allarmanti. Forse non avrebbero fatto l'allenamento, si disse Leeroy guardando il cielo con una smorfia. Non aveva nemmeno portato con sé l'ombrello, se avesse iniziato a piovere sarebbe tornato a casa fradicio. "Che palle." sospirò.
"Hey Roy! Hai barboneggiato come tuo solito?" 
Leeroy si girò, sorpreso della voce dal forte accento italiano che l'aveva chiamato. Se la prese con il ragazzo per ciò che aveva appena detto. In fondo era illogico pensare che nessuno si sarebbe mai accorto delle sue "strane" assenze dopo ogni sconfitta.
"Non ho barboneggiato, Daniele." rispose acido.
"Certo. Ti sei fatto crescere la barba perché ti piace? Ma non farmi ridere." 
"L'ho fatto per cambiare un po'." cercò di giustificarsi.
"Roy, hai anche delle occhiaie che ti arrivano fino alla mascella, se ti fossi fatto la barba scommetto che si vedrebbero."
Leeroy non poté fare a meno di pensare che l'ironia del giovane italiano fosse davvero snervante.
"Anche a me fa piacere vederti."
"Eddai, non fare l'antipatico."
"Non sono tutti solari come te di prima mattina.", sospirò esasperato.
L'italiano era davvero stressante, non la smetteva mai di parlare e diceva sempre ciò che pensava. Il più delle volte Leeroy si chiedeva perché non lo avesse ancora picchiato.
"Comunque, l'allenatore ti vuole vedere. e anche Miles. Sai, è davvero incazzato con te. Non la smetteva di insultarti l'altro giorno."
Ovvio che è incazzato, ma perché non con l'altro coglione?, fu il pensiero di Leeroy.
"Che palle. Dovrò evitarlo  fino all'allenamento  di oggi. Non mi va di sentirlo sbraitare  nei corridoi."
Daniele gli poggiò una mano sulla spalla in confidenza. "Sappi che questa volta non farò finta di non sapere dove sei, anche io sono incazzato per la partita Roy."
L'italiano fissò l'inglese con un ghigno malefico. Stupido mangia-spaghetti. Soltanto perché era una brava punta doveva incazzarsi con lui?!
"La colpa non è solo mia. E' anche di quel coglione." Si giustificò mostrando i denti, in una smorfia.
"Lance ha già parlato con Miles, manchi solo tu."
"Che palle."
In quel momento la campanella suonò. Il difensore pregò di non incontrare il capitano nei corridoi.
 
Salite le scale che conducevano al secondo piano, la prima cosa che Leeroy vide fu una testa castana che spuntava tra le altre, proprio davanti alla sua classe. Si fermò sull'ultimo scalino come pietrificato: Reginald Miles lo stava aspettando. La voglia di scappare nei bagni del primo piano era molta.
"Merda."
"Wow." esclamò Daniele, "Per starsene ad aspettarti davanti alla porta della nostra classe deve essere davvero incazzato."
"Tu non mi hai visto." Si girò, pronto a filarsela.
L'italiano afferrò prontamente l'inglese per la tracolla. "Se hai intenzione di nasconderti ai bagni del primo piano scordatelo, perché lo mando a cercarti."
"Sei proprio un bastardo! Fortuna che ti reputi mio amico!" sbottò acido e sorpreso.
Miles era intento a parlare con chissà chi, non si era ancora accorto della loro presenza sulle scale. Leeroy avrebbe potuto davvero scappare per rimandare la strigliata all'allenamento, ma Daniele lo tratteneva per la tracolla.
Con uno strattone l'inglese si liberò dalla presa e corse giù per le scale, investendo i malcapitati che stavano salendo.
Daniele non poté fare a meno di pensare che Roy fosse proprio un coglione di prima categoria. In quel momento Miles si girò  verso le scale,  cercando con lo sguardo il difensore problematico della sua squadra. Tutto ciò che trovò fu Daniele, che lo salutava con un sorriso sornione mentre con una mano gli indicava le scale. Tra le tante cose che Reginald Miles odiava c'erano i codardi, e Leeroy Rogers era uno della peggior specie.
 
Il difensore stava correndo come se non dovesse vedere l'alba del giorno dopo. Escluse di andare a rintanarsi in bagno, optando invece per lo sgabuzzino dei bidelli. In quel posto non sarebbe venuto nessuno a cercarlo. Avrebbe aspettato fino al suono della seconda campanella e poi si sarebbe diretto in classe, sicuramente Miles sarebbe già stato nella sua da un pezzo. Era così preso dai suoi ragionamenti che non guardava dove mettesse i piedi, né  tanto meno si rendeva conti di chi avesse davanti. Andò inevitabilmente a sbattere contro un metro e 96 di muscoli. Cadde per terra a causa dello scontro, iniziando subito ad imprecare come uno scaricatore di porto. Doveva riprendere subito la sua fuga altrimenti non sarebbe servito a nulla.
"Sei proprio un idiota."
Al suono di quella voce la rabbia gli fece andare il sangue alla testa. Fra tutte le persone della scuola doveva proprio andare a sbattere contro quella che odiava di più?
"Guardi mai dove metti i piedi mentre cammini?"
"Se Miles mi trova giuro che dopo ti riempio di botte Lance, quindi togliti dalle palle, non è giornata!"
Il suo ritorno a scuola era stato più movimentato del previsto, e la cosa non gli era piaciuta per niente. Prima Daniele, poi Miles e come ciliegina sulla torta quell'idiota dai capelli rossi.
"Non sono affari miei."
Quella frase lo colpì molto. Lance era il tipo di persona che non attaccava mai briga, ma con lui finiva addirittura per alzare le mani. Allora perché non reagiva ai suoi insulti?  Che fosse davvero rimasto deluso dopo la partita? 
Lance gli voltò le spalle, dirigendosi verso la sua classe e lasciando un Leeroy perplesso ed incazzato, seduto in terra come un idiota.
"Ma che cazz..." commentò, assottigliando gli occhi.
Da quando in qua si comportava così? Leeroy si tirò in piedi, determinato a corrergli dietro e riempirlo di botte come non aveva mai fatto in vita sua, ma qualcuno lo afferrò per la maglia. "Ma che cazzo vuoi?" chiese fuori di sé, girandosi. Avrebbe preso a pugni chiunque si fosse trovato davanti anche se fosse stato il preside in persona.
"Cercavi di scappare vero?"
Il sangue gli si raggelò nelle vene, quel bastardo di Daniele lo aveva tradito. Vatti a fidare degli amici, pensò.
Miles lo fissava con uno sguardo omicida che avrebbe fatto accapponare la pelle a chiunque. Il loro capitano faceva davvero paura quando perdeva la pazienza.
"N-non stavo scappando, dovevo andare in bagno." rispose prontamente Leeroy, pregando che quella tortura finisse presto.
"Mi fa piacere." Miles sorrideva ironico, e non auspicava nulla di buono. "Ci sarai all'allenamento di oggi, non è vero?"
Leeroy annuì, deglutendo.
"Lo sai che dovrai recuperare i giorni di allenamento che hai perso?"
"A che serve? Il campionato è finito.", non poté fare a meno di ribadire.
"Taci." Il sorriso del capitano si tramutò in un ghigno. Leeroy si chiese come riuscisse a fare certe espressioni raccapriccianti. "Farai come dico io. E ricordati che dobbiamo ancora parlare dell'esito dell'ultima partita. Sai che se da ora in poi non seguirai i miei ordini alla lettera ti ritroverai seduto sulla panchina a vita?"
"Ma che caz- non puoi farlo! Sai che servo alla squadra!" Leeroy si infervori, colpito sul punto da quella minaccia.
"Te lo ripeto: farai ciò che dico io. Ora torna in classe, ingrato che non sei altro."
"E per quanto riguarda Lance?" Domandò senza neanche pensarci. Voleva sapere se il loro destino sarebbe stato lo stesso, o se l'altro avrebbe ricevuto qualche trattamento di favore. Era intollerabile che quello la passasse sempre liscia, mentre lui si ritrovava sempre in mezzo ai casini.
"Lui non è affar tuo, non devi nemmeno guardarlo, perché se vi ribecco a zombarvi di botte giuro che entrambi farete i panchinari a vita. Sono stato chiaro?" Il suo ghignò si allargò ancora. Si vedeva che si stava trattenendo dal picchiarlo selvaggiamente.
"Cristallino", sibilò tra i denti.
Era fregato. Non avrebbe potuto picchiare quel bastardo per averlo messo nei casini e per averlo lasciato nel corridoio come un idiota.
"Se è tutto chiaro, vai in classe. Ci si vede dopo, e non fare tardi." Detto ciò Miles si dileguò, lasciando un Leeroy in piena crisi di nervi nel corridoio, pronto ad esplodere al minimo accenno di ostilità nei suoi confronti. Le cose non andavano mai come voleva. Quando sarebbe andato in classe l'avrebbe fatta pagare all'italiano.
"Scuola del cazzo."
 
***
 
Alla fine della giornata non aveva ancora piovuto, quindi si ritrovò svogliatamente a dirigersi agli spogliatoi nel cortile posteriore della scuola.  L'entusiasmo che aveva sempre avuto quando si trovava su un campo di calcio quel giorno gli fu come risucchiato da tutte quelle disavventure. 
"Non te la prendere Roy. Sono cose che capitano." commentò Daniele mentre faceva la strada con lui. Alla fine Leeroy non era nemmeno riuscito a vendicarsi del tradimento perché, appena giunto in classe, era stato costretto ad andare alla lavagna e ci aveva passato tutta l'ora. Era sfinito sia fisicamente che psicologicamente.
"Non dire stronzate. Succedono sempre a me."
"Questo perché hai un carattere di merda." risponde sorridendo tranquillamente.
"E' anche colpa tua se sono finito nei casini!"
"Sì, ma non puoi sempre scappare dai problemi. In questo modo hai affrontato subito il problema. Poteva andarti peggio."
"Avrei preferito affrontare Miles dopo. Quello è pazzo, e lo sai."
"Smettila di piagnucolare come una ragazzina."
"Non rompere."
Furono i primi ad arrivare allo spogliatoio, degli atri nemmeno l'ombra. Leeroy sperò che fossero andati tutti a casa per il brutto tempo. Si cambiarono velocemente ed uscirono ad aspettare. Il primo ad arrivare fu Akel. "Perché non mi avete aspettato?" 
"Roy non aveva voglia di aspettare che finissi di copiare la roba per le vacanze.., e nemmeno io." rispose l'italiano all'amico di origini turche.
"Certo che sei proprio uno stronzo." 
"Non lo dire a me, oggi mi ha dato in pasto a Reginald." chiarì Leeroy.
"E non arrabbiatevi così, dai!"
Gli altri arrivarono poco dopo insieme all'allenatore. Leeroy rabbrividì, sperando che la ramanzina da lui sarebbe giunta alla fine dell'allenamento. Lance e Miles furono gli ultimi ad arrivare, beccandosi un breve rimprovero dall'allenatore. 
"Si può sapere dove eravate?!"
"Miles era impegnato a fare il Don Giovanni con Abigail, come suo solito." replicò il portiere per prenderlo in giro.
"Non è vero! Le ho solo chiesto se era venuta a vederci durante la finale!"
"Non mi interessano le vostre cavolate, andate a cambiarvi che siete gli ultimi."
I due obbedirono senza protestare, l'allenatore era ancora infuriato per la partita quindi era meglio non contraddirlo. Anche il portiere lo era e non aveva ancora smesso di colpevolizzarsi per l'accaduto. Se la difesa crollava lui era l'ultimo uomo che poteva ancora salvare la partita, ma non c'era riuscito nonostante tutti i suoi sforzi. Non era riuscito a rimanere lucido e La rabbia aveva avuto la meglio sul suo solito sangue freddo. Di Leeroy non gli importava nulla, ma sapeva che parte della colpa era anche del compagno di squadra.
"Abbiamo ancora un anno." disse Miles come se avesse capito i pensieri dell'amico.
"Come?"
Il capitano aveva intuito lo stato d'animo del portiere e voleva rassicurarlo: in fondo era anche suo compito sollevare gli animi della squadra quando qualcosa non andava. Lance non poteva continuare a rimproverarsi, doveva rialzarsi e andare avanti. D'altronde avevano ancora tanti anni per giocare, anche dopo il diploma. Condivideva i suoi rimpianti ma non potevano fermarsi al primo ostacolo.
"Non te la prendere, il prossimo anno vinceremo." Miles accennò un sorriso, sicuro ed ottimista.
"Non è questo il punto. Quelli dell'ultimo anno saranno veramente delusi, e anche io lo sarei, se questa fosse stata la nostra ultima possibilità." disse alzando la voce per la frustrazione.
"Credi che anche io non ci abbia pensato?"  
Il tono del capitano era duro e pieno di rimpianto. Lance diede un calcio allo stipetto per la rabbia che gli straboccava da ogni poro della pelle. Non poteva più nemmeno sfogarsi prendendo a calci Leeroy come aveva fatto fino a quel momento.
"Dannazione."
"Senti, andiamo ad allenarci che è meglio. Sfogati durante l'allenamento."
Il portiere sospirò. "Forse hai ragione."
Lance prese l'elastico nero che portava al polso, il suo portafortuna, e lo mise in testa a mo di fascia per tenere i ciuffi di capelli rossi lontani dagli occhi.
"Ma perché non ti tagli i capelli? Non ti danno noia così lunghi?" chiese Miles.
"Vanno bene così. Ora andiamo."
Miles annuì. Una volta fuori si unirono agli altri nei giri di campo.
"Fate quattro giri poi iniziate a cambiare andatura." urlò l'allenatore.
Miles corse alla testa del gruppo dando il ritmo alla squadra.
Fortunatamente non ci furono problemi durante l'esercitazione. Filò tutto liscio senza intoppi da parte di nessuno. Alla fine però l'allenatore chiamò tutti i ragazzi per un discorso. 
"Ora ti prenderà per le orecchie" disse Akel  a Leeroy. Il difensore sbiancò pensando che forse il turco avesse ragione. Si immaginava Stan  prenderlo a pallonate fino al giorno dopo.
"Se non lo fa lui ci penserà Miles." aggiunse Daniele ridacchiando.
"La volete smettere?"
"Mi sa che ha paura." Anche Akel rise.
Forse era quello che succedeva ad avere un turco ed un italiano per migliori amici, pensò Leeroy. Avevano l'abitudine di punzecchiarlo e prenderlo in giro alla minima occasione.
"Piantatela." Fu la risposta esasperata dell'inglese. Cercò per un attimo gli occhi di Lance per verificare se anche lui fosse un po' preoccupato per ciò che l'allenatore stesse per dire. Il portiere però era girato a parlare con il capitano, durante l'allenamento quei due non si erano mai separati. Sicuramente era stata una delle direttive dell'allenatore e di Miles per tenerlo buono. Lo vide mettersi davanti a Stan per ascoltare ciò che aveva da dire alla squadra mentre Leeroy si era messo alla destra del mister assieme ai suoi "amici".
Stan era un uomo sulla quarantina, probabilmente era il professore più giovane della scuola e dimostrava anche meno anni degli altri. Era una di quelle persone sempre attive e che credeva nel sostegno dei giovani nonostante fossero delle teste calde o dei buoni a nulla. Il suo sguardo in quel momento era serio e non lasciava trasparire emozioni, tanto che tutti si stavano chiedendo cosa avesse di così importante da dire.
"Sono molto dispiaciuto per gli esiti della finale, ero convinto di essere riuscito a portarvi al massimo. Non credo di avervi sottovalutato. Siete ancora al massimo, avete fatto un bel lavoro in questi anni." fece una pausa, nella sua voce si avvertiva una nota di irritazione forse dovuta alla sconfitta. "Non dovete arrabbiarvi per come è andata, sono cose che succedono. Ed è per questo che non dovrà più accadere." L'andamento della voce si fece più duro e fermo.
Leeroy si sentì punto sul vivo, pronto a scommettere che di lì a poco avrebbe fatto il suo nome addossandogli tutte le colpe. Non aveva la minima intenzione di scusarsi pubblicamente per ciò che non aveva fatto durante la partita.
"Mi dispiace solo per i ragazzi dell'ultimo anno, so che ci speravate, e anche io ci speravo. In realtà ne ero proprio convinto. Potevamo vincere quella partita."
Un ragazzo della squadra però lo interruppe. "Non si preoccupi, Stan. Sapevamo che con certi elementi sarebbe stata dura, ma l'importante è che siamo diventati più forti. E poi noi tutti dell'ultimo anno continueremo a giocare a calcio all'università. Non si preoccupi." commentò James, l'ormai ex attaccante della squadra. Il suo tono di voce non era colmo di rimpianti o di rabbia, ma semplicemente nostalgico. Lui ed altri cinque giocatori si sarebbero a breve diplomati e quindi sarebbero stati sostituiti da quelli più giovani come Daniele e Akel.
"Però certa gente dovrebbe calmare i suoi bollenti spiriti." aggiunse.
"Che?" fece Leeroy, sentitosi chiamato in causa.
"Voglio dire che devi darti una calmata." disse con tono serio James.
"Parole sante." concordarono Daniele ed altri giocatori, quasi all'unisono.
Leeroy guardò malissimo l'amico, quella se la sarebbe ricordata.
"Hai pienamente ragione, infatti mi assicurerò di far calmare quella testa calda." disse Stan.
"Vi ricordo che sono qua." Leeroy si sentiva davvero offeso. Alla fine lo aveva tirato in causa quello dell'ultimo anno e aveva ricevuto un'altra ramanzina. Non poteva però dar loro torto per avercela con lui.
"Stai buono, io e te parliamo dopo." aggiunse l'allenatore.
Era ufficialmente nei guai. Aveva creduto che il discorso sarebbe finito lì, invece il peggio doveva ancora arrivare. Si sentiva un vero schifo, si chiese se anche Lance in quel momento provava lo stesso. Cercò nuovamente la sua figura con lo sguardo. Il portiere teneva lo sguardo basso e le mani munite di guanti nelle enormi tasche dei pantaloni. Era strano quel comportamento da parte sua, di solito stava con le mani sui fianchi a mò di prima donna. Doveva essersi incantato perché non si accorse che Daniele lo stesse chiamando fino a che non lo strattonò per la maglia.
"Ci sei o ci fai?" chiese l'italiano.
Solo allora si accorse che l'allenatore era sparito e che gli altri si stavano già avviando allo spogliatoio. "Che vuoi?" Rispose Leeroy, sorpreso.
"Il mister vuole che lo raggiungi in sala insegnati dopo che ti sei cambiato." gli disse Daniele annoiato.
L'inglese annuì e lo seguì nello spogliatoio. Non aveva voglia di cambiarsi, ma gli tornarono alla mente le parole della madre. Odio le persone che non tengono alla loro igiene, com'è possibile che ti riduci così ogni volta? Sbuffò scocciato. Onde evitare altre scenate da parte di quella donna isterica si spogliò e andò a farsi la doccia.
Si infilò nel box vuoto, tra i due occupati da Akel e Daniele, i quali erano intenti a parlare a gran voce dei loro propositi per le vacanze estive.
"Quindi torni in Italia appena finita la scuola?" domandò il turco.
"Sì, mi sono rotto dell'Inghilterra." Fu la risposta di Daniele.
"Avete finito di urlare?", interruppe l'inglese al limite della sopportazione.
"Se non ti vuoi muovere dalla tua cara e piovosa Inghilterra non è un problema nostro." disse Akel infastidito, sottolineando l'aggettivo piovosa.
"Posso andare dove voglio, ma non ho voglia di muovermi questa estate." rispose svogliatamente. Uscì dal box doccia, saturo dei discorsi di quei due. Fuori trovò Lance, in attesa di potersi lavare. Il rosso lo sorpassò senza considerarlo, chiudendosi la porta in plastica alle spalle. Leeroy rimase di sasso, chiedendosi immediatamente se poteva esistere qualcuno più coglione di quel portiere. Cercò di calmarsi, altrimenti sarebbe entrato nel box e lo avrebbe pestato a sangue. Decise però di abbandonare quell'idea e si vestì velocemente per andare a parlare con l'allenatore. Si sarebbe sfogato a casa giocando a Call of Duty.
Mentre si vestiva gli cadde l'occhio sullo specchio dell'armadietto. Con la barba e quei capelli arruffati sembrava un trentenne, eppure rasato dimostrava sì e no sedici anni. Si sistemò i ciuffi neri ribelli all'indietro in modo che non gli ricadessero sugli occhi. Lo infastidivano le punte dei capelli bagnati sulla fronte, gli sembrava di avere degli aghi piantati nella pelle.
"Hai finito di farti bella?" lo canzonò Miles, ridendo divertito.
"Simpatico." rispose acido, fingendo una risata.
"Muoviti a cambiarti, a Stan non piace aspettare."
"Lo so, lo so." Gli sembrava che il destino del mondo dipendesse da quel colloquio. Quando fu pronto prese la borsa a tracolla di scuola e il borsone di calcio e si avviò all'edificio scolastico.
"Leeroy, fatti quella barba!" urlò Miles da dentro gli spogliatoi. Subito dopo si udì uno scoppio di risate.
"Ma fatevi i cazzi vostri!" sbottò digrignando i denti. Cosa volevano quegli idioti dalla sua barba?  Perché non pensavano ai loro problemi invece di rompere l'anima proprio a lui? Li mandò mentalmente al diavolo e corse dall'allenatore, fortuna che non ci fosse nessuno all'interno dell'edificio altrimenti sarebbe rimasto incastrato con le borse tra i primini. 
La sala insegnanti si trovava al piano terra in fondo al corridoio, subito dopo l'aula di arte. Trovò la porta aperta e l'allenatore seduto a bere una tazza di caffè. L'aula odorava di uno strano mix tra aroma di caffè, deodoranti e vecchi fogli. La stanza era quadrata con al centro un tavolo rettangolare di legno scuro, in un angolo alla sua destra vicino alla finestra si trovavano gli armadietti dei professori, mentre subito alla sua destra c'era una specie di cucinino per il caffè e il tè. I muri, a cui appese foto di paesaggi,  erano dipinti del solito bianco immacolato come tutte le altre classi dell'edificio, e alla sua sinistra si trovava una bacheca piena di foto di gite e cartoline.
"Entra pure e siediti."
Leeroy  lasciò le borse ingombranti dietro la sedia prima di seguire l'invito dell'allenatore . "Di cosa vuole parlare?", domandò una volta accomodato.
"Lo sai di cosa voglio parlare." Il tono autoritario lasciava intendere a Leeroy che, esattamente come immaginava, le cose erano serie. Il ragazzo annuì e automaticamente si appoggiò allo schienale della sedia, pronto a sentire qualsiasi cosa gli fosse stata detta.
"Sai di avermi deluso molto?" 
Il ragazzo annuì di nuovo.
"Si può sapere che ti è preso? Nel primo tempo eri  perfetto, poi che diavolo è successo tra te e Lance?" Il tono di voce si era fatto più alto e infuriato.
"Niente." rispose secco.
"Niente un corno! Per poco non vi siete presi a pugni e ti sei preso anche un'ammonizione." urlò Stan.
Leeroy si ostinava a non parlare e ciò fece irritare ancora di più l'allenatore, ma poi lo vide calmarsi dopo aver fatto un respiro profondo.
"A questo punto non mi interessa, ma ti avverto: fai altri scherzi come quello e ti giuro che sei fuori dalla squadra, chiaro?"
Il giovane teneva lo sguardo basso per la vergogna e la frustrazione. Non era possibile che l'allenatore volesse buttarlo fuori dalla squadra unicamente per il suo comportamento. Dannazione lui era tra i più bravi, se non il migliore. Aggrottò di più le sopracciglia.
"Non mi interessa se sei bravo, posso sempre rimpiazzarti. Non credere di essere unico, posso trovarne altre dieci come te. Datti una regolata o non arriverai da nessuna parte." Ne aveva visti di ragazzini come lui che si credevano imbattibili ma che col passare del tempo  si rivelavano essere solo fumo negli occhi.
A quel punto Leeroy non poté fare a meno di sgranare gli occhi, incredulo. Stan non poteva dire sul serio, lui non era fumo negli occhi!
"Se ci tieni, e lo so, dimostralo a me e alla squadra. Cerca di instaurare un rapporto con Lance. Non dovete diventare amici, ma almeno imparate a fare gioco di squadra." L'allenatore si strofinò gli occhi con le mani per la stanchezza, non vedeva l'ora di essere a casa per poter dormire.
"Ho capito." conclude mogio Leeroy.
"Lo spero per te e ora fuori dalle scatole."
Il ragazzo si alzò e riprese le sue borse prima di salutare.
"A domani."
"Ciao." disse sovrappensiero per poi aggiungere: "Fatti quella barba."
"Certo." rispose il giovane con tono piatto, uscendo dalla stanza. A quel punto le cose sarebbero dovute cambiare seriamente.

NDA:
Devo ringraziare H_Ele che gentilmente mi ha fatto da beta reader e mi costringe a scrivere i capitoli. u.u Non ti lamentare del ringraziamento, non mi piacciono i discorsi da Oscar. :)
   
 
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