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Autore: Lulumiao    26/08/2013    7 recensioni
Nella mia immaginazione il mondo di Animal Crossing non è bello come sembra: la repressione e la disperazione sono all'ordine del giorno, a causa di un governatore ben poco onesto. Ma forse qualcuno spera ancora in un mondo migliore.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nook, Nuovo personaggio, Resetti, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Salve :) questa è la mia prima fanfiction su “Animal Crossing: Let’s go to the City”, o, volendo citare il titolo americano, “Animal Crossing: City Folk”. È una visione un po’ alternativa del mondo puccioso proposto dal gioco, spero che vi piaccia comunque. Lulù e Zelda sono i miei personaggi nel gioco e Narnia è il nome che ho dato alla città (non c’entra niente con l’omonimo mondo nell’armadio XD). Alcuni individui della storia sono molto conosciuti, altri fanno parte degli animali casuali che il giocatore può incontrare e solo Lulù e Zelda sono inventate da me; la prima si chiama così perché Lulù è l’abbreviazione del mio nome ed è il primo che mi è venuto in mente, la seconda porta questo nome perché mi piace :3 Ho omesso l’intercalare tipico iniziale dei personaggi perché purtroppo non lo ricordo con precisione. La stellina è la valuta del gioco. Buona lettura :D
 
I personaggi e i luoghi del gioco presenti in questa fanfiction appartengono a Nintendo. Questa fanfiction non è stata scritta a scopo di lucro.
 
La speranza è l’ultima a morire
 
Nessuno aveva più certezze, ormai. Né sul presente, né sul futuro. Nessuno sapeva se sarebbe sopravvissuto fino alla settimana successiva, o se avrebbe avuto da mangiare fino alla fine del mese. Nessuno sapeva se il giorno successivo avrebbe lavorato la terra o se avrebbe dovuto costruire un ponte. Niente aveva più molto senso. Eppure nella mente di molti c’era ancora una sola, singola, nostalgica certezza: il passato era molto diverso dal presente. Anche Lulù ricordava. Era arrivata nel villaggio di Narnia quindici anni prima e aveva trovato un paradiso terrestre:pianure verdi, fiori, ruscelli, insetti da studiare e pesci da pescare, un clima mite e tantissimi alberi, rigorosamente ciliegi. Lulù aveva persino piantato altri alberi da frutto, dopo qualche mese. L’aspetto della città era rimasto quasi immutato negli anni, ma qualcosa effettivamente era cambiato: l’atmosfera. Prima era gioiosa, felice, spensierata; ora, nell’animo degli abitanti, c’era solo desolazione, tristezza e disperazione. Era venuto a mancare il perfetto equilibrio a un certo punto, ed era stato rotto proprio da chi sembrava l’essere più tranquillo e pacato del mondo.
 
«Datti una mossa, ragazzino!» urlò Birro facendo schioccare la frusta. Il povero cucciolo di scoiattolo tremò, ormai abituato alle percosse, continuando il suo lavoro. Non fiatò, era inutile protestare, avrebbe solo ricevuto altre frustate. Stava costruendo un muro di mattoni insieme ad altri abitanti del villaggio, tutti controllati attentamente da Birro e Fido.
«Il Commerciante vuole la villa finita entro la fine del mese e le case non crescono sugli alberi!» sbraitò Birro facendo sibiliare minacciosamente la frusta. Fido, dal canto suo, odiava dover maltrattare i suoi amici e cercava di percuotere il meno possibile. Ma purtroppo gli era stato assegnato quell’incarico ed era troppo codardo per disobbedire. Già, ormai non c’erano più lavori,occupazioni fisse e retribuite, ora c’erano incarichi. Incarichi a breve termine che andavano assolti come recitava il motto che veniva inculcato agli abitanti di Narnia da dieci anni: “Efficienza, velocità e obbedienza”. Nessuna trasgressione. Nessuna possibilità di uscire da quella prigione.
La campana suonò: erano le otto di sera. Il sole stava tramontando e faceva ancora un caldo asfissiante.
«Potete andare per oggi, buoni a nulla, ma domani mattina dovrete essere qui alle sei precise! Chi ritarderà non riceverà il pranzo!» ringhiò Birro.
I lavoratori, uomini, donne e bambini, abbandonarono la loro occupazione con sguardo affranto, dirigendosi alle rispettive case sotto l’occhio vigile di Birro e quello, un po’ più addormentato, di Fido.
«E ricordate, fannulloni: efficienza, velocità e obbedienza! Soprattutto obbedienza!» abbaiò Birro mentre gli affaticati animali si allontanavano trascinando le zampe. Lulù si diresse verso la sua casa, che essendo una delle più grandi della città ospitava ogni sera alcuni amici. Ormai bisognava essere solidali con tutti e aiutarsi a vicenda, o si sarebbe sprofondati nella miseria e nella solitudine più totali.
«Stasera ho delle ciliegie e alcune mele… voi cosa avete a casa?» chiese Lulù arrivata davanti alla porta di casa, guardando i suoi amici. Protone, Giada e Jacques erano sudati e rossi in viso.*
«Io ho delle pesche» disse Protone, il burbero dal cuore tenero.
«Io ho addirittura due noci di cocco! Che fortuna, sono così rare!» annunciò Giada sorridendo.
«Ehi, ricordate quelle deliziose caramelle che si trovavano sottoterra durante la caccia delle uova di Pasqua anni fa? Ne ho trovate alcune tra i rami dell’albero di Natale mentre lo usavo come attrezzo da palestra! Su e giù, su e giù… I miei muscoli sono sempre tonici e io sono sempre in forma!» disse Jacques mostrando i muscoli orgoglioso.
«Perfetto, stasera si banchetta!» trillò Lulù felice. «Vi aspetto qui, intanto preparo la tavola!». I tre animali presero la strada delle loro case e Lulù oltrepassò la porta d’ingresso. Accese la luce, trovando ad accoglierla il solito tavolo verde con sei sedie sgangherate intorno, il contenitore dell’acqua e il malandato armadio blu. Nient’altro arredava la stanza, ad eccezione della semplicissima lampada grigia da tavolo che illuminava fiocamente l’ambiente, posata sul pavimento. Vi erano altri tre livelli nella casa: la cantina, un tempo piena di mobili, ora desolatamente sgombra, il primo piano vuoto esattamente come la cantina e il secondo piano, più piccolo degli altri, che ospitava solo un letto a una piazza e un comodino con una sveglia posata sopra. Un tempo c’era un telefono al lato del letto, ma era stato tolto dieci anni prima per «sì, sì, ragioni di sicurezza».
Lulù aprì l’armadio e ne trasse una tovaglia sbrindellata e piatti, bicchieri, tovaglioli e posate per quattro persone. Li sistemò sul tavolo insieme a una caraffa d’acqua, alle ciliegie e alle mele. Non aveva certo le stoviglie d’oro del Commerciante e della Gran Signora, ma per una cena tra amici quella semplicità andava bene. Del resto non si poteva pretendere di più.
Uno dopo l’altro arrivarono i tre animali, portando i cibi promessi. Si sistemarono a tavola e cominciarono a mangiare affamati.
«Credo che dovremmo lasciare una noce di cocco per la famiglia degli elefanti… La signora mi ha confidato che in questo periodo non hanno molto da mangiare…» disse Giada, che era l’incarnazione della gentilezza e della generosità.
«Diamine, come ha fame la famiglia degli elefanti ho fame anche io! Non voglio rinunciare a una bella noce di cocco!» protestò Protone indicando i frutti.
«Non essere egoista, Protone, gli elefanti devono mangiare più di noi, sono molto più robusti!» lo rimproverò Giada.
«Essendo più robusti lavorano meglio, quindi io ho bisogno di cibo più di loro per compensare la mole minore!» si impuntò Protone con il suo vocione profondo.
«Beh, le noci di cocco sono mie e ne faccio ciò che voglio!» disse Giada.
«Non litigate, calmatevi… Ha ragione Giada, non dobbiamo essere egoisti… Protone, un boccone in meno non ti cambierà la vita» si intromise Lulù nel tentativo di calmarli.
«Uff, e va bene…» si rassegnò Protone, smettendo di brontolare.
Jacques, che non aveva preso parte alla breve discussione, era impegnato a divorare una bella mela rossa e succosa. «Dopo tutta questa fatica una bella mela è quello che ci vuole per rinvigorire i miei muscoli!» bofonchiò sputacchiando pezzetti di mela tutto intorno. «Ah, ho un piccolo extra…» disse tirando fuori un sacchetto dalla tasca della divisa da lavoro sulla quale era disegnata una foglia marrone. Trafficò per qualche secondo con il laccio dell’involucro e finalmente lo sciolse, rivelando il contenuto: un grosso pezzo di cioccolata. La sopresa si impossessò degli altri tre: erano dieci anni che non vedevano della cioccolata, avevano solo intravisto i grossi contenitori di plastica del cioccolato che venivano trasportati ogni tanto dai camion provenienti dalla Grande Città alla dimora del Commerciante e della Gran Signora.
«Dove diavolo l’hai preso, Jacques? Se ci scoprono con del cioccolato ci mettono a lavorare anche di notte!» disse Protone sbigottito.
«Il contenitore di cioccolato che è stato portato ieri a Villa Autunno era bucato: un pezzetto di cioccolata è caduto per terra e io, con uno scatto fulmineo delle mie gambe palestrate, l’ho preso e l’ho messo in tasca» raccontò Jacques. «Sono corso a casa e l’ho avvolto in questo sacchetto. Poi l’ho messo in frigorifero» (Jacques, dei quattro, era l’unico che possedeva un frigorifero) «e quando sono passati gli Ispettori l’ho nascosto in un buco del pavimento». Terminò compiacendosi della sua furbizia.
«Hai corso un pericolo, Jacques… Non vale la pena rischiare i lavori notturni per un misero pezzo di cioccolata!» lo rimproverò Lulù.
«Non è misero, direi che è una bella porzione abbondante» si difese Jacques. Divise il bruno tesoro in quattro parti uguali e le porse ai suoi amici. Gustarono la cioccolata per un po’, ricordando i tempi andati; dieci anni prima non sarebbe stato un evento straordinario gustare un pezzo di quel dolce delizioso.
«Mh, delizioso! È al latte!» disse Giada raggiante. Gli altri annuirono soddisfatti.
Chiacchierarono per un’altra ora, poi gli ospiti decisero che era ora di andare: come aveva detto Birro, guai a presentarsi in ritardo il giorno successivo. Aiutarono la padrona di casa a sistemare la tavola, poi diedero la buonanotte e se ne andarono. Lulù chiuse la porta d’ingresso dietro ai tre amici e sistemò le sedie intorno al tavolo. L’arredamento era scarsissimo, non era difficile tenere in ordine la casa. Lulù sospirò: tutti i mobili erano stati “presi in prestito” dal Commerciante anni prima, che li trovava «Mh, proprio adatti alla mia modesta dimora». Lulù prese una candela dall’armadio, la accese con un fiammifero e si diresse verso le scale, spegnendo la luce. Raggiunse il secondo piano e si cambiò. Indossò una divisa identica a quella che portava prima, ma questa veniva usata come pigiama. Del resto non era permesso indossare indumenti diversi dalla divisa blu con una foglia marrone ricamata sopra. Agostina e Filomena, le sarte, avevano il compito di fornire a tutti gli abitanti del villaggio una serie di capi d’abbigliamento tutti identici. Lulù mise la sveglia e si buttò sul letto, senza coprirsi: faceva caldo. Spense la candela e si abbandonò ai soliti incubi.
 
La sveglia suonò alle cinque e mezza, facendo sobbalzare Lulù: stava facendo un orribile sogno in cui un enorme cane molto simile a Birro la rincorreva e si avvicinava sempre di più; quando stava per morderla la sveglia era suonata, per fortuna. Si alzò e si preparò velocemente, indossando una divisa e mangiando una manciata di ciliegie. Uscì e incontrò alcuni concittadini, tutti molto assonnati, e li seguì al cantiere dove stavano lavorando la sera precedente. Lungo la strada incontrarono le truppe del Commerciante impegnate nella corsa mattutina che si davano il tempo urlando: «Efficienza, velocità, obbedienza! Efficienza, velocità, obbedienza! Efficienza, velocità, obbedienza!». Tra di loro Lulù riconobbe il lupo Zanna, un suo vecchio amico. La ragazza si fece prendere dai ricordi: anche Zanna era caduto nell’inganno. Il Commerciante per anni aveva studiato gli abitanti di Narnia, vedendoli più volte al giorno, aveva selezionato i più aggressivi e vigorosi e aveva proposto loro di diventare i suoi «Mh, aiutanti speciali». Coloro che avevano sentito puzza di bruciato e si erano rifiutati di diventare gli “aiutanti speciali” del Commerciante erano misteriosamente spariti. In realtà quegli aiutanti erano delle vere e proprie guardie che avevano il compito di controllare che nessuno facesse qualcosa di proibito e non era vietato loro picchiare chiunque trasgredisse le regole «Sì, sì, più che giuste, atte a mantenere l’ordine e contenere i comportamenti scorretti» imposte dal Commerciante. Tra le guardie c’erano gli Ispettori, un gruppo che aveva il compito di controllare le case degli abitanti di Narnia ogni fine settimana.
Arrivata al cantiere Lulù intravide Zelda: la ragazza aveva tre anni meno di lei ed era arrivata a Narnia un anno dopo la venuta di Lulù. In quei quattordici anni di permanenza nel villaggio Zelda non era cambiata molto, somigliava ancora alla tredicenne che era il giorno del suo arrivo. Lulù ricordava bene quella timida ragazzina con i codini e il vestitino verde che era venuta a presentarsi poche ore dopo essere scesa dall’autobus di Remo: le era sembrata disorientata e impaurita dal quel mondo nuovo e Lulù l’aveva trattata con gentilezza. Ma Zelda era timidissima ed introversa, preferiva passare il suo tempo in solitudine e non aveva molti amici. Lulù e Zelda, per il forte distaccamento di quest’ultima, non erano mai state amiche, ma quando capitava che chiacchierassero erano entrambe gentili e amichevoli.
Lulù vide anche Giada, Jacques e Protone e li salutò con un sorriso: non erano permesse le dimostrazioni di amicizia e di affetto in pubblico, avrebbero distratto dai compiti, ci si doveva far bastare un sorriso; le strette di mano e i baci, poi, erano assolutamente vietati dalle leggi del villaggio.
«Forza, mettetevi a lavorare, scansafatiche!» urlò Birro tenendo bene in mostra la frusta. Fido stava mangiucchiando una pera e prestava scarsa attenzione ai lavoratori. Tutti ricominciarono da dove avevano interrotto il giorno prima. Mattone su mattone, la nuova casa del Commerciante e della Gran Signora veniva su. Era più piccola di Villa Autunno ed era un mistero perché il Commerciante volesse due ville nello stesso villaggio, ma d’altronde ogni suo capriccio andava assecondato senza discutere. Continuarono a lavorare sotto il sole cocente fino all’una, quando fu concesso loro di mangiare. Fido e Birro distribuirono il pranzo, che consisteva in una misera porzione di riso bollito. Mentre Lulù divorava affamata la sua razione le si avvicinò il cane Buffetto, una guardia.
«Ehi, tu» abbaiò minacciosamente, «il Commerciante vuole vederti». Molti si voltarono a guardare Lulù, che non sapeva cosa pensare. Cosa poteva volere da lei il Commerciante? Sicuramente nulla di buono. Posò la ciotola del riso, ormai vuota, e si allontanò con Buffetto. Il cane arancione la portò fino al cancello di Villa Autunno, chiamata così in onore della foglia marrone, da sempre il simbolo del Commerciante. Intorno alla porta d’ingresso c’erano dieci guardiani armati di fucili, che osservavano Lulù con sguardo torvo. Se la ragazza non fosse stata accompagnata da Buffetto sicuramente le guardie le avrebbero puntato i fucili contro: non era permesso avvicinarsi troppo a Villa Autunno perché «Sì, sì, è pieno di malintenzionati in giro». Lulù non era mai entrata nella villa e sperava di uscirne viva. L’interno era elegantissimo e la ragazza riconobbe alcuni dei suoi mobili. Buffetto la condusse attraverso vari corridoi, tutti sfarzosamente arredati con lampadari di cristallo e varie opere d’arte. Era molto nervosa: ricordava che chi era entrato in quella villa spesso, dopo alcuni giorni, era morto in un qualche strano incidente. A volte erano suoi amici. Ovviamente nessuno si sognava di incolpare il Commerciante o la sua cerchia di servitori più vicini.
Finalmente giunsero davanti a una grande porta; Buffetto la aprì e spinse dentro Lulù, poi la richiuse.
Ciò che la ragazza si trovò davanti era un’ampia sala circolare dal soffitto molto alto, arredata con rigidi divani rossi, poltrone, tavolini, credenze, tappeti e un caminetto massiccio. Sulle pareti erano appesi vari arazzi con l’effige della foglia autunnale. Dall’altra parte della stanza c’era un trono d’oro su cui era accomodato il Commerciante.
Costui era un paffuto procione marrone dalla coda folta e dalle palpebre sempre un po’ abbassate sugli occhi azzurri. Indossava un distinto completo viola e al suo fianco c’era mr. Resetti, la talpa, un tempo un operaio, ora il più fidato consigliere del Commerciante. Mentre Resetti incuteva da sempre un certo timore a chiunque, il Commerciante, un tempo noto semplicemente come Tom Nook, sembrava un morbidissimo e dolcissimo peluche da abbracciare. Ma le apparenze spesso ingannano.
Appena il Commerciante vide Lulù spalancò gli occhi e si sedette più composto sul suo seggio. Lulù, che voleva comportarsi nel modo più rispettoso possibile allo scopo di uscire viva da quella situazione, si avvicinò al Commerciante e si inginocchiò sul pavimento, dando il buongiorno. Tom, guardandola attentamente, ricambiò il saluto con un sorriso: «Buongiorno bimba, sì, sì». Da circa dieci anni, cioè da quando aveva cominciato a prendere potere, il procione la chiamava bimba, nonostante ormai Lulù avesse trent’anni. Forse credeva di risultare simpatico.
«Cara, cara ragazza, oh, ma che dico, cara amica!» cominciò Nook con enfasi, allegro, «Benvenuta nella mia casetta! Non ti sembra forse la dimora più adatta per la guida del villaggio, mh? È qui che svolgo il mio certosino lavoro di aiutante della comunità! Sì, sì, una personalità di spicco come me si merita un po’ di comodità, giusto, mh? Sono un aiutante della comunità, in sostituzione del nostro compianto sindaco, e un commerciante! Sì, sì, il commercio che astutamente mantengo con le altre città allo scopo di arricchire Narnia fa di me l’unico vero Commerciante! Come sai, visto che siamo amici da anni, io non ho la presunzione di definirmi qualcosa che non sono: sono semplicemente un negoziante che ha preso le redini del governo in un momento di bisogno e ha fatto la fortuna del villaggio, ed è così che voglio essere chiamato: il Commerciante. Sì, sì, molti diranno, e anche tu lo dici, bimba, ne sono certo, che non devo essere così modesto e che dovrei adottare un soprannome degno della mia persona. Ma io sono da sempre un umile procione che vende e compra. Rispetto ad alcuni anni fa ho solo tolto il grembiule blu in favore di abiti più eleganti e ho accumulato qualche stellina. Non è più che giusto, bimba, mh? Suvvia, non essere così imbronciata! Di’ qualcosa al tuo amico!» concluse allargando le braccia con un sorriso da un orecchio all’altro.
La vita di Tom, procione gestore di un negozio di piante, utensili, mobili e articoli per la casa, era cambiata radicalmente da quando il sindaco Tortimer era stato trovato morto una mattina di giugno in uno stagno, probabilmente affogato. Le circostanze della morte non erano mai state chiarite, ma non serviva molta immaginazione per figurarsi uno scenario plausibile in cui il procione dal grembiule blu aveva un ruolo di primo piano. Nook, risoluto, aveva annunciato che avrebbe preso «Sì, sì, temporaneamente» il posto del sindaco in quel momento di confusione. Da quel giorno il suo potere era cresciuto sempre di più fino a diventare la dittatura in cui gli abitanti di Narnia vivevano.
Lulù rispose, ma non pensava davvero neanche una parola di ciò che disse: «Ritengo assolutamente giusto che un condottiero valoroso come lei viva negli agi. So che fa tutto il possibile per concedere al villaggio una vita migliore e che il nostro duro lavoro è indispensabile per la riuscita dei suoi piani benefici. La sua modestia è toccante». La ragazza provava disgusto per se stessa mentre elogiava Nook, che dal canto suo non aveva smesso un secondo di esibire quel sorriso accomodante.
Resetti, che fino a quel momento non aveva detto una parola, si decise ad aprire bocca: «Se non ci fosse il Commerciante la tua vita sarebbe un inferno, ragazzina, ricordatelo! Non avresti neanche l’acqua da bere! Ringrazia come si deve!» sbraitò. Lulù, impaurita da quella faccia antipatica, disse, inchinandosi di nuovo: «La ringrazio, Commerciante, per tutto quello che fa per noi. Efficienza, velocità e obbedienza».
«Sì, sì, senz’altro, bimba. Sono de-li-zia-to dal tuo comportamento! Ah, sì, sì, quando ci siamo conosciuti quindici anni fa sapevo già che saresti diventata una donna assennata e adorabile!» disse Tom applaudendo leggermente. «È passato tanto tempo… Sì, sì, io ero un gagliardo quarantenne e tu una piccola quindicenne! Tutti i giorni nel mio negozio a comprare semi e fiori! Un esempio per la comunità, bimba, sì sì! La nostra amicizia è cominciata subito!! Ti ricordi, per un periodo hai lavorato per me! Ero il fortunato proprietario di quattro casette e tu ne hai occupata una appena arrivata! Poi, sì, sì, con il lavoro hai detratto le prime stelline dal pagamento. Eri così graziosa con quella divisa verde! Ah, quanti ricordi, bimba, quanti ricordi, sì, sì! Ti ricordi, sì? Quanto ho lavorato per allargare la tua casa! Sì, sì, sono stato aiutato da quei monelli dei miei nipotini Marco e Mirco, ma è stato molto faticoso! Ma un po’ di stelline facevano comodo al povero negoziante che ero! Ti ricordi, bimba, mh? Sì?».
Lulù ricordava fin troppo bene l’enorme quantità di stelline che aveva lasciato a quel ladro in cambio di un ben modesto ampliamento della casa e di una bandiera decorabile. «Mi ricordo, signore. Una casa degna di un re, le sarò per sempre debitrice». Nook sembrava di ottimo umore, forse c’era qualche speranza di sopravvivere a quella passeggiata a Villa Autunno. Invece Resetti la guardava male. Molto male.
In quel momento la porta si aprì e fece la sua comparsa uno strano personaggio che Lulù non vedeva da almeno cinque o sei anni. Non che le fosse mancata. Piume viola, becco giallo ed espressione perennemente scocciata: Polly, la Gran Signora, la moglie del Commerciante. La pennuta entrò borbottando e, quando si accorse della presenza della ragazza, la guardò attentamente per qualche secondo, poi disse, con il più profondo disprezzo: «Ah, tu sei quella che rompeva sempre le scatole al municipio alle undici di sera con decine di lettere da inviare. Grazie al cielo non lavoro più, altrimenti ti avrei già mandata a quel paese. Che ci fai qui, ragazzina?».
Lulù si inchinò anche a lei; non doveva mancare di rispetto neanche ai soprammobili sul camino.
«Sono stata convocata dal vostro illustre marito, Gran Signora, ma non conosco il motivo dell’invito» disse.
«Ah, ho capito» bofonchiò Polly sedendosi su una sedia. Sorrise a Resetti che ricambiò con un cenno della zampa. Poi si rivolse al marito, tornando alla solita espressione annoiata: «Tom, fuori dalla finestra della nostra camera c’è un nido di api, esigo che venga eliminato. Ah, ho detto di far portare il tè. Ovviamente non ce n’è per te, ragazzina» disse guardando Lulù, «Considerati fortunata, tanto lusso non lo vedrai mai più, probabilmente. Non sei fortunata e dotata come me, fattene una ragione».
Tom, nonostante non facesse altro che ripetere che lui e Lulù erano amici per la pelle, non si oppose alla decisione della moglie di non far servire il tè all’ospite. Disse invece: «Più tardi dirò di far bruciare il nido d’api. Tu, piuttosto, hai finito di revisionare i conti, mh?».
«No, non mi andava».
Tom era molto contrariato. «Potresti anche fare qualcosa, ogni tanto, sì?». Poi tornò all’espressione cordiale di prima, rivolgendosi a Lulù. «Dunque, bimba, veniamo al motivo della tua visita, sì, sì. Sai che ti considero una ragazza di un’intelligenza sopraffina, quindi volevo consultarmi con te. Dunque, sì, sì, forse l’altro ieri avrai notato un grosso contenitore che veniva trasportato qui. Mh? C’era del cioccolato, dentro. Speravo che tu, sveglia ragazza amica del Commerciante, avessi notato della cioccolata sparsa in giro. Sai, bimba, quando il contenitore è arrivato qui i miei adorati nipotini Marco e Mirco con il loro occhio vigile si sono accorti di un buco sul contenitore. Quindi è plausibile che della cioccolata sia caduta e che qualcuno l’abbia presa, sì, sì. Sai che è severamente vietato mangiare la cioccolata tra il popolo, bimba. Se tu avessi qualche informazione da darmi io sarei molto felice di ricompensarti e il colpevole del furto di cioccolata sarebbe severamente punito. Sì, sì, non vedo l’ora di farti qualche bel regalo, bimba! Dopotutto siamo amici! Dimmi, hai visto qualcosa, mh?».
L’espressione gioisa di Tom Nook non era mutata, ma Lulù si fece prendere dal panico: non poteva tradire Jacques, ma se avesse detto che non ne sapeva niente forse Tom non avrebbe creduto alle sue parole; poteva addossarsi la colpa del furto? No, probabilmente Nook l’avrebbe fatta uccidere in quanto incurante delle leggi. Scelse la soluzione meno rischiosa. «Sono desolata, signore, ma non ne so niente. Ho visto il contenitore che veniva trasportato qui, ma non ho notato né il foro né della cioccolata per terra». Sperava che Tom ci credesse.
«Oh, che peccato, bimba, sei proprio sicura di non potermi aiutare, mh? Sì, sì, avrei un bellissimo regalo per te se mi aiutassi! Potrei restituirti tutti i mobili che ho preso in prestito da te, sì, sì!! E potresti anche entrare a far parte delle mie guardie! Non è fantastico, mh? Faresti bella figura con tutti i tuoi vicini, saresti la migliore! Allora, non sai proprio niente, mh?».
«No, signore, mi devasta deluderla, ma non ho informazioni utili». Se Tom non le avesse creduto sarebbe sicuramente morta.
In quel momento qualcuno bussò alla porta e Polly urlò aspramente: «Avanti!».
Entrò Pelly, la sorella di Polly. Era vestita da cameriera e reggeva un vassoio con tre tazze, una teiera, latte, biscotti, cucchiaini e zucchero. Prestò poca attenzione a Lulù e appoggiò il vassoio su un tavolino, inchinandosi leggermente. «Ecco, signori» disse con voce stanca, affranta.
Lulù guardò sbalordita la scena: non poteva credere che Polly avesse costretto la sorella a farle da cameriera. Osservò Pelly: era molto magra, le penne e le piume erano disordinate, aveva gli occhi rossi e la schiena curva. Sembrava in tutto e per tutto una schiava denutrita.
«Va bene, adesso vattene» starnazzò Polly. Pelly tornò da dove era venuta e richiuse la porta.
Il procione, il pellicano e la talpa si servirono, lasciando Lulù senza tè, come promesso. Polly e Resetti continuavano a scambiarsi sguardi complici; Lulù sospettava che Polly non fosse una moglie molto fedele.
«Allora non hai niente da riferirmi, bimba, mh? Non fa niente, non fa niente. Ti considero ancora una mia grande amica. Ora puoi tornare al tuo lavoro cara, sì, sì. Efficienza, velocità e obbedienza, sì, sì. Ciao ciao, bimba, troverai una guardia qui fuori dalla porta, ti accompagnerà all’uscita. Va bene, mh?».
«Bene, signore. La lascio con i miei più calorosi saluti. Arrivederci. Arrivederci anche a voi, Gran Signora e mr. Resetti» disse Lulù inchinandosi per l’ennesima volta.
Si voltò per andarsene. Polly e Resetti non la salutarono. Aprì la porta e uscì, trovando la guardia. Il grosso gorilla la guardò male e senza una parola la accompagnò verso l’uscita dopo che lei ebbe chiuso la porta. Percorsero il tragitto inverso e finalmente Lulù si ritrovò all’aria aperta, libera da quella prigione.
 
«Secondo lei quella ragazzina era sincera, signore?» chiese Resetti a Tom.
«Non lo so. Forse davvero non ne sapeva niente» rispose il commerciante. «Peccato, speravo che si rivelasse utile».
«Secondo me dovremmo farla fuori, signore. È troppo furba per i miei gusti» disse Resetti.
«Sì, sì, è fin troppo furba, Resetti, te lo assicuro. Per anni è venuta nel mio negozio tutti i giorni, so che tipo è. Stai tranquillo, appena farà un passo falso ti concederò di ammazzarla. Per il momento lasciamola ai suoi compiti di servitrice del Commerciante» rispose Nook che aveva perso il suo sorrisone innaturale.
«Tom, secondo me con tutti quei complimenti non inganni nessuno. Si vedeva che facevi finta» disse Polly.
«Sì, sì, forse. Ma è l’immagine che devo mostrare» rispose Nook.
«Resetti, va’ a togliere di mezzo quel nido di vespe, per favore» disse Polly dolcemente. Resetti era l’unica persona a cui Polly diceva “per favore”.
«Sì, sì, e già che ci sei, Resetti, hai presente Guizzo, sì? Il papero, mh? Mangia tanto e lavora poco. Vai a levarlo di mezzo. Ovviamente dovrà sembrare un tragico incidente, come al solito, mh? Sì?» ordinò Nook.
«Sì, signore, lo conosco. Vado subito» rispose Resetti con un ghigno, lasciando la stanza. Il Commerciante e la Gran Signora continuarono a bere il tè.
 
Lulù tornò al lavoro. Appena la videro, i suoi amici sembrarono molto sollevati. La giornata lavorativa trascorse sfiancante come al solito, poi Lulù e i suoi tre migliori amici si radunarono a casa della ragazza, che raccontò tutto.
«Oh, grazie di avermi coperto, Lulù!» esultò Jacques dopo il racconto.
«Non potevo certo tradirti, Jacques…» rispose Lulù. Tutto era finito bene, ma la ragazza aveva corso un bel rischio, e sperava che Tom non decidesse che era ora che andasse all’altro mondo. Ancora molto scossi, i quattro amici stettero per un po’ in silenzio intorno alla tavola. Poi all’improvviso Protone ruppe il silenzio: «Secondo voi usciremo mai da questa situazione?».
Giada rispose, ottimista come al solito: «La speranza è l’ultima a morire. Se resteremo uniti sarà meno difficile affrontare la realtà e forse un giorno saremo liberi».
Gli altri non erano così ottimisti, ma non potevano fare a meno di sognare un mondo migliore. D’altronde, come aveva appena detto Giada, la speranza è l’ultima a morire.
 
 
 
 
*Rispettivamente uno scoiattolo viola, una rana verde e una rana gialla a macchie, personaggi del gioco.
 
 
Ho voluto descrivere una dittatura, spero di esserci riuscita. Tom ripete spesso “Sì, sì” e “Mh” perché anche nel gioco parla così; il soprannome “bimba” l’ho inventato. Grazie di aver letto :D
  
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