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Autore: PollyTheHomeless    26/08/2013    2 recensioni
Sono tanti i motivi per cui Oh Sehun ama così incondizionatamente i suoi compagni di band.
Forse sono anche troppi per essere spiegati tutti.
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sehun, Sehun, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Salve people! Di solito le note le scrivo sempre in fondo alla storia, ma stavolta voglio scrivere qua (così, senza un motivo preciso). No seriamente. Volevo avvisare sul contenuto della storia... non ha molto senso in realtà, lo so bene. È anche scritta in maniera molto infantile. Niente linguaggio ricercato, niente paroloni... Boh. È essenzialmente una minchiata, quella che vi apprestate a leggere. Non ha un fine né un perché, solo prendetela per come viene. Vuole essere una cosetta leggera, senza pretese. Non ho molto altro da dire quindi credo che le note si chiudano definitivamente qui! Sappiate che vi amE tutti (?) e che tornerò con altre fanfiction. Non so quando, ma tornerò, quindi stay tuned!

Bye~





One more reason






Oh Sehun prova una discutibile quanto mal celata attrazione verso il collo dei suoi amici. Per quanto sia il maknae, per quanto gli siano concesse delle piccole libertà in quanto più piccolo e immaturo (e qui potremmo mettere in dubbio l’ultimo aggettivo, visto che Baekhyun hyung è decisamente più infantile), per quanto sappia comunque di dover tenere un determinato e dignitoso comportamento con i suoi hyung non riesce a resistere a quella strana e soffocante smania di contatto fisico.

Sono tanti i motivi per cui Oh Sehun adesso ama –e pretende- un minimo di contatto fisico con le persone a lui più vicine (alias familiari e amici).

È sempre stato un bambino un po’ timido. Si vergognava e si vergogna tutt’ora del suo piccolo difetto di pronuncia delle “s”, che nella sua lingua natia, purtroppo, si espande ad almeno un paio di altre pronunce. All’asilo nessuno ci aveva fatto caso più di tanto –insomma, erano tutti dei poppanti!- ma alle scuole elementari i bambini cominciarono a prenderlo in giro e se Sehun inizialmente aveva provato ad essere amichevole con quei bambini che lo prendevano in giro e parlarci un po’ (sforzandosi davvero tanto per riuscire a pronunciare bene quelle stramaledette “s” correttamente ma ahimè con scarso successo) dopo qualche tempo si rassegnò alla crudeltà -di quella che solo un innocente può riservare- e si abituò gradualmente alla solitudine che lo accompagnava durante le ore mattutine e pre-pomeridiane scolastiche. A quel tempo, l’unica cosa che lo consolava era l’abbraccio della mamma e nascondere il visino imbronciato –la prova che in realtà non si era per niente abituato alla solitudine – sul suo collo slanciato e chiaro, che tanto profumava di gelsomino. Si aggrappava a lei e basta. Non le raccontava come era andata a scuola, cosa avesse fatto o se avesse giocato con qualche amichetto o se ci fosse una bimba davvero carina in classe. Solo si perdeva a strofinare il nasino schiacciato e piccolo contro il collo della mamma e ci si aggrappava con entrambe le braccine magre, giocherellando con i capelli lunghi e neri alla base, sulla nuca. Passava talmente tanto tempo a quel modo che lo riteneva normale tanto quanto respirare. Insomma, presumeva d’aver vissuto così fin dalla nascita –non pretendeva di ricordare certo i primi anni di vita- ma ricordava perfettamente quelle tante volte nel lettone con mamma e papà, quando la mamma si voltava per abbracciare il papà e lui le si stringeva sulla schiena, il nasino ora affondato tra quella chioma di sottilissimi fili color della notte profumati di gelsomino tanto quanto la pelle della donna che lo aveva messo al mondo –e che gli aveva fatto amare quei piccoli fiori bianchi come nessun’altra cosa al mondo.

Sono tanti i motivi per cui Oh Sehun ama in particolare toccare il collo degli amici.

Quando aveva soltanto nove anni la sua mamma se ne andò. Ricorda ancora perfettamente quei pochi mesi in ospedale, la visione della madre sempre sorridente e attiva, così bella e giovane, ora invece spenta e provata; le braccia torturate dalle flebo e i punti di sutura delle ultime operazioni ancora freschi e ben visibili a deturpare la sua pelle candida e che adesso non profumava più di mamma, ma portava con sé quel retrogusto amaro di disinfettante; quell’odore onnipresente negli ospedali, quello che ti fa immediatamente arricciare il naso per il disgusto. Ma il collo… il suo collo manteneva ancora una traccia di quell’inconfondibile aroma e Sehun crede di non poter mai dimenticare l’ultima volta che ha potuto sentirlo, in cui ha potuto strofinare il naso su di esso e stringergli le braccia attorno, le lacrime della madre che cadevano copiose bagnandogli i corti capelli neri e il suo sorriso così triste e rassegnato.

Era morta poche ore dopo quell’abbraccio e se Sehun fosse stato grande abbastanza da capire quanto grave fosse un tumore al pancreas al quarto stadio le avrebbe almeno sussurrato un ultimo “Ti voglio bene”. Non era riuscito più a dormire la notte; il rimorso di non essere riuscito a ricordare un ultima volta alla persona più importante della sua vita quanto l’amasse lo tormentava costantemente. Suo padre cercava di consolarlo come poteva -distrutto anche lui dalla perdita della moglie- ogni notte, quando il piccolo sgattaiolava nella loro stanza, fermo ai piedi del lettone senza osare salirci su, per chissà quale paura rivolta a chissà quale pensiero della madre che – ne era sicuro- potesse vederlo; “Tua madre ti vuole un mondo di bene Sehun, e sa che anche tu la ami tanto, come la abbiamo amata tutti” e Sehun cominciò davvero a crederci ogni sera di più, fin quando non riuscì a dormire nel suo letto, non prima di essersi ben nascosto sotto le coperte e aver sussurrato un ti voglio bene alla sua mamma in cielo. A volte le parlava, come non aveva mai fatto quando tornava a casa da scuola. Le raccontava che i bambini non volevano giocare con lui, che alcuni lo prendevano ancora in giro e che gli mancavano davvero tanto i suoi abbracci. Quelli del padre non erano la stessa cosa –anche se riuscivano a confortarlo almeno un po’.

Uno dei motivi per cui Sehun cominciò ad interessarsi al collo delle persone era la ricerca di quel qualcosa che potesse confortarlo, che riuscisse a farlo sentire bene come il profumo di gelsomino della madre.

Non avendo amici, Sehun cercava di tratte conforto dai parenti; in casa erano solo lui e il padre, e maledisse più volte quel nessuno-in-particolare che lo aveva fatto rimanere figlio unico. In quel momento gli sarebbe davvero piaciuto avere un fratellino o, perché no, una sorellina da coccolare, che lo chiamasse hyung o oppa, a cui potesse parlare o consigliare o soltanto giocare e passare del tempo insieme. Purtroppo il padre non aveva tanto tempo per lui. Lavorava davvero tanto per mantenere entrambi e la sera tornava in casa molto stanco, tanto che Sehun –ormai abbastanza grande da capire- non si sentiva in dovere di dar fastidio al genitore con i suoi vizi e i suoi capricci. Ogni tanto le zie –le sorelle della mamma- andavano a fargli visita, per coccolare un po’ il nipote e portargli la mujigae tteok* e quel bubble tea fatto in casa che a lui piacevano tanto.

Ma per quanto le zie lo coccolassero e cercassero di viziarlo ad ogni modo, non riusciva ancora a trovare quel qualcosa che potesse rilassarlo a dovere. Rare erano le volte in cui andavano a trovare la nonna, ma quelle poche volte in cui percorrevano ore in macchina per arrivare fino a Yeongdeok si sentiva finalmente a casa -e amava il profumo di salsedine e brezza marina che regnava onnipresente in quella piccola cittadina. Trovava adorabile il modo in cui la nonna gli scompigliasse i capelli e di come lo stringesse al petto, e si convinse che le mamme dovessero avere dei poteri speciali, perché l'abbraccio di una mamma era completamente diverso da quello di qualunque altro. Pensò anche fosse prerogativa delle genitrici portare con sé quell’inconfondibile aroma di fiori (così profumati da stordirti) quando riconobbe distintamente il profumo delicato delle rose sulla pelle della nonna. Probabilmente non ci aveva mai fatto caso troppo distratto dai gelsomini. Chissà. Quei momenti a Yeongdeok però -malgrado le proteste del piccolo Sehun ormai undicenne- duravano sempre troppo poco e quell’aroma di rose, come quello di gelsomino, lo abbandonò troppo presto. La nonna se ne andò una giornata di Agosto, così calda da togliere il fiato perfino a Sehun, alla veneranda età di ottantotto anni. Secondo le zie, aveva detto di non aver più nulla da fare sulla terra; aveva preferito raggiungere il marito e la figlia in cielo.

Quello stesso anno, Sehun cominciò le scuole medie con ancora un sostegno in meno. Decise che se non avesse più potuto abbracciare la madre e la nonna, si sarebbe consolato da solo. In mancanza di amici o familiari –a parte il padre e le rare volte, le zie- prese il vizio di gratticchiarsi il collo da solo. Passava le dita dietro l’orecchio, grattava un po’ quella zona, facendola sicuramente arrossare –la sua pelle era talmente chiara e sensibile che si arrossava eccessivamente persino con il getto d’acqua calda della doccia- poi passava giù, ad accarezzare con i polpastrelli la curva del collo per poi arrivare sulla nuca, giocare con i corti capelli neri per un po’ e ricominciare di nuovo tutto da capo. Lo aiutava a rilassarsi quando era nervoso e agitato o, più semplicemente, annoiato.

Una volta iniziata la scuola, comunque, Sehun trovò finalmente il suo primo amico. Era un ragazzino alto tanto quanto lui –ed era davvero alto per la sua età!- ma con la pelle decisamente più scura della sua e due labbra da fare invidia: una forma tanto particolare e unica, piene e carnose. A guardarle sembravano talmente morbide che Sehun cominciò a vergognarsi anche delle sue labbra fini e insignificanti (checché potessero dirne le noona della nuova scuola, che continuavano ad additarlo e urlicchiare eccitate quando passava loro vicino o le rivolgeva uno sguardo in più del solito) tanto che la prima volta che le vide andò prontamente a mordicchiarsi le sue, passandoci poi sopra la lingua, come a tastare la veridicità dei suoi pensieri – e cioè che si, le sue labbra non potevano davvero competere con quei due cosi enormi che il compagno di classe si ritrovava (da lì prese anche il vizio di leccarsi le labbra ogni tre secondi circa, ma non è un dettaglio significativo).

A dispetto delle sue tristi e catastrofiche aspettative –era straconvinto che anche lì sarebbe stato preso in giro come alle scuole elementari- si inserì abbastanza bene nella classe. Certo, per un tipo come Oh Sehun, a quel punto, inserirsi abbastanza bene significava non essere preso costantemente per il culo (era cresciuto ormai, qualche parolaccia di troppo si prendeva la libertà di usarla) e lasciato almeno in pace di decidere se fare conversazione o meno con qualunque altro essere dotato di polmoni e cervello pensante presente del raggio di 3-4 metri. Che poi non si avvalesse della facoltà di fare ciò, erano dettagli. Ormai si era abituato a rimanere in disparte in classe e dopo rimuginamenti vari, aveva deciso fosse meglio finire la scuola il prima possibile. Gli amici li avrebbe trovati all’università magari. O a lavoro. Ancora non sapeva cosa volesse fare da grande in realtà, ma in ogni caso non era importante. Ciò che contava era dopo la scuola.

Quel ragazzino comunque, mandò in fumo tutti i suoi piani ben costruiti, andando a sedersi al banco vicino a lui, presentandosi e iniziando a fare conversazione su qualunque argomento capitasse a tiro. E con iniziando, significa che non ha mai smesso. Parlava in continuazione: durante le lezioni (con conseguenti rimproveri dei professori che coinvolgevano inevitabilmente anche Sehun), al cambio dell’ora, alla pausa pranzo e nel corridoio d’uscita mentre la campanella suonava assordante coprendo ogni rumore tranne la voce di quel ragazzo che aveva scoperto chiamarsi Kim Jongin. Il bello era che non era neanche un gran oratore: impiastricciava le parole, alcune le saltava o si bloccava alla ricerca di un termine adatto; allora entrava in panico e gesticolava a più non posso per farsi capire per poi scoppiare a ridere imbarazzato e chinare il capo o coprire il sorriso con la mano per non farsi vedere. Insomma, un vero e proprio esaltato, a prima vista. Ma Sehun lo trovò simpatico, e anche molto. Inizialmente si limitava a mugugni o monosillabi come risposte ma, con il tempo, l’insistenza di Jongin che sembrava fregarsene stesse parlando con un muro o meno (e no, Sehun lo ascoltava per davvero, anche se non partecipava attivamente alla conversazione) lo costrinsero ad aprire bocca per zittirlo almeno un’istante.

«Oddio ma non la smetti mai di parlare! Dammi un attimo di tregua, Jongin!» se n’era uscito urlando una mattina, terza ora, lezione di letteratura coreana. Jongin lo guardò un attimo con gli occhi sgranati per poi scoppiare a ridere chinandosi sul banco, un pugno che batteva ripetutamente il legno per la troppa ilarità. Si erano resi conto del macello che avevano combinato soltanto 15 minuti dopo, una volta usciti dall’ufficio del preside e rimasti in punizione in piedi di fronte la porta della loro aula (e quando i professori avrebbero capito che quella non era affatto una punizione per gli studenti, allora gli asini avrebbero avuto le ali). Si erano guardati ed erano scoppiati a ridere per la seconda volta e da lì furono praticamente inseparabili.

Fu solo all’ultimo anno di scuola media che Sehun sentì il bisogno di farsi coccolare dal suo ormai migliore amico. Dopo tre anni di veneranda amicizia –coronata da un’infinità di minchiate pomeridiane, consolazioni e supporti vari- sentiva di potersi fidare ciecamente di quell’idiota dal viso perfetto e il sorriso sghembo.

Si trovavano nella camera di Sehun, in teoria a studiare per l’esame di fine anno –in pratica a guardare un film alla piccola tv che il più piccolo aveva sulla scrivania di fronte al letto, i libri aperti e abbandonati a casaccio sul pavimento. Mai come allora, comunque, Sehun era nervoso o in ansia per qualcosa e il dover pensare al suo futuro, a quale scuola superiore scegliere e di conseguenza, cosa volesse fare da grande lo spaventavano parecchio. Più volte si era chiesto cosa sarebbe stato diverso, se sua madre fosse stata ancora lì.

Quando Jongin era venuto a conoscenza della storia di Sehun erano in casa del più grande, a fare merenda, e Jongin subito se n’era uscito con un Da adesso la mia mamma è anche la tua allora! e un abbraccio soffocante, nel quale Sehun, d’altro canto, si trovò così bene che avrebbe voluto abbracciarlo solo un altro po’.

Strisciando sul materasso si era gradualmente avvicinato sempre più a Jongin, fin quando non erano finiti spalla contro spalla, le gambe che si toccavano l’un l’altra e Sehun aveva piegato il collo, poggiando la testa nell’incavo tra spalla e collo del suo hyung e si sorprese di quanto buono fosse l’odore della sua pelle, così agrumata ma dolce allo stesso tempo. Non aveva resistito e una mano si era arrampicata su per il collo del moro a giocherellare con i capelli sulla nuca. Imbarazzato a morte per quel gesto, non trovò il coraggio di alzare gli occhi verso il suo hyung né proferire parola o scansarsi da lui, adesso che aveva finalmente trovato quel calore e quel profumo così rilassanti. Ma se lo avesse anche solo guardato per un secondo, avrebbe notato il sorriso e lo sguardo comprensivo di Jongin che non aveva poi esitato ad avvolgergli un braccio intorno alla schiena, lasciandolo fare e coccolandolo un po’.

Era stato Jongin a farlo innamorare della danza e a convincerlo così ad iscriversi insieme alla School of Performing Arts* di Seuol dove Sehun scoprì che gli adolescenti potevano essere ancora più crudeli dei bambini delle scuole elementari, quando lui e il suo migliore amico vennero bullati ed etichettati come gay da mezza scuola (quella maledetta cosa chiamata effetto a catena) quando il primo giorno di scuola il più piccolo aveva cercato conforto nell’abbraccio del più grande, andando a nascondere il viso nel suo collo strusciandoci su il naso, come faceva da bambino con la madre. Bel primo giorno di merda.

D'altro canto, tuttavia, l’altra metà della scuola che non li prendeva bellamente per il culo era o gay o bisessuale o talmente aperta di mente da fregarsene totalmente (e questo era uno dei vantaggi di frequentare una scuola popolata da futuri artisti*).

Da quando tentarono i provini per l’SM in seconda superiore e vennero presi insieme ad altri dieci ragazzi, la storia credo la sappiate.



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Sono tanti i motivi per cui Oh Sehun ama così incondizionatamente i suoi compagni di band. Come sono tanti i motivi che lo spingono ad abbracciarli, affondare il viso nei loro colli e bearsi del calore dei loro corpi e dei profumi così vari e diversi della pelle, da quella scura e aspra di Jongin a quella delicata e dolce di Luhan.


Forse sono anche troppi per essere spiegati tutti.








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*Mujigae tteok - qui la ricetta---> http://www.maangchi.com/recipe/mujigae-ddeok


*School of Performing Arts of Seuol - la scuola che hanno frequentato Sehun e Kai. Non ho link sotto mano per ulteriori informazioni, sorry.


*Sapete, quando si dice che gli artisti sono un po' strani, molto aperti di mente ma soprattutto molto ma molto e ancor più strani e schizzati. Ecco. People, qui ce ne saranno tanti di artisti, potete capirmi (già, io sto in mezzo alla massa di artisti disagiati, la questione mi riguarda da molto vicino).
   
 
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