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Autore: LiduenKvaedhi    26/08/2013    5 recensioni
E se Dom, Distretto 1, si innamorasse di Olivia, Distretto 12?
Felici 100° Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!
PS. Fatti e personaggi sono stati inseriti nella FF senza che la sottoscritta abbia letto gli ultimi due libri, quindi mi scuso per le incoerenza presenti con gli avvenimenti reali.
Genere: Azione, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Effie Trinket, Katniss Everdeen, Nuovi Tributi, Peeta Mellark
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Giorno della Mietitura, distretto 1.

Il solito noioso video passò sullo schermo, ormai il solito da 100 anni da quel che raccontavano. Dom non lo guardò neanche, ormai lo sapeva a memoria: tutti lo conoscevano a memoria. Inoltre aveva ben altro a cui pensare: quell’anno si sarebbe offerto volontario. Aveva passato tutta la sua vita ad allenarsi per quel momento, eppure non era tranquillo, non gli andava giù l’idea di andare lì e rischiare di morire o dover uccidere per non soccombere.
Suo fratello, dici anni prima, era riuscito a vincere, riempiendo d’orgoglio i suoi genitori. Ma, da quando era tornato, non è più lo stesso. Era cupo, sempre di cattivo umore e, soprattutto, sempre ubriaco. Non voleva fare la sua fine, avrebbe preferito morire piuttosto.
Lilly Campbell si riavvicinò al microfono e, come da manuale, terminò con “Felici Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!”. La donna era per la prima volta la rappresentatrice del distretto uno: aveva dei lunghissimi capelli lisci, sotto rosa e sopra turchese, con una frangetta a onda. Indossava un abito turchese a pois rosa vecchio stile: il corpetto era molto aderente, in vita aveva una cintura bianca e la gonna era ampia, molto ampia. Aveva dei tacchi bianchi alti 20 cm se non di più con delle borchie fucsia sulla punta e sul tacco. Il viso era tinto di bianco, con degli occhi contornati di blu e con delle ciglia chilometriche, le labbra sempre fucsia e del fard sulle guance rosa. Era snella e, indipendentemente dai tacchi, molto alta.
Il ragazzo sbuffò: il momento si stava avvicinando sempre di più. Era nervoso, troppo per tutto il tempo che aveva passato per prepararsi.
“Prima le signore. Qualche volontario?” squillò Lilly e, non avendo risultati, si avviò verso la boccia e tirò fuori un nome.
“E la fortunata è - aprì il bigliettino - Coral White” nel settore delle ragazze quindicenni si alzò un ‘ooh’ e tutti si girarono verso una ragazza dai capelli ricci rossi e gli occhi azzurri. Non sembrava spaventata, anzi, uscì dal gruppo con disinvoltura, con la più totale tranquillità negli occhi. Salì sul palco e, sorridendo, strinse la mano a Vito e Opra, i mentori, e il sindaco Martinez.
“Ora - continuò l’accompagnatrice - passiamo ai maschi… Qualche volontario?” il silenzio calò nel settore dei maschi; tutti sapevano che Dom si sarebbe offerto volontario. Uscì dalla folla e si avviò al palco. Il terrore si impadronì di lui, ma non poteva lasciarlo a vedere, non doveva farlo.
Salì sul palco e fece esattamente ciò che aveva fatto Coral.
“Bene come ti chiami ragazzo?” chiese Lilly.
“Dom Gray”
“Bene Dom, ora stringetevi la mano” ordinò la donna, spingendo i due ragazzi più vicini.
Obbedirono, stringendosi la mano, come da rituale.
I pacificatori li portarono nel municipio, dove avevano un ora per salutare i loro amici e parenti.
Entrarono i suoi genitori, super orgogliosi di lui.
“Tesoro, sei stato meraviglioso” lo abbracciò la madre, ma lui si sentì tutto fuorché meraviglioso: si sentiva vuoto come un guscio.
“Scommetto che uscirai tu vincitore da quell’arena: sei preparato, sai combattere e pure sopravvivere. - esordì il padre, per poi lo abbracciò - Ti voglio bene” il ragazzo gli sorrise, anche se quello era un sorriso amaro.
“Il tempo è finito” informò un pacificatore.
I genitori uscirono e, al loro posto, entrarono Michelle e Kit, i suoi due migliori amici.
Lei era in lacrime: i suoi meravigliosi occhi grigi erano rossi e gonfi. L’abbracciò fortissimo: non sapeva come avrebbe fatto senza di loro. Ormai i tre si conoscevano sin dall’asilo, dove avevano formato un trio duraturo.
“Almeno voi siete salvi” si limitò a dire, abbracciando anche l’amico: per loro quello era l’ultima mietitura.
“Devi vincere e tornare a casa” singhiozzò Michelle stringendolo nuovamente forte.
“Già” rafforzò Kit l’affermazione dell’amica.
“Mi fratello non è venuto” aggiunse infine Dom malinconico.
“Verrà” dissero i due all’unisono.
“Era fuori in coda” informò Micelle, facendogli l’occhiolino.
“Tempo scaduto” ecco lo stesso pacificatore di prima.
Dom diede un ultimo abbraccio agli amici, per poi accogliere il fratello.
“Edison” lo chiamò, con voce strozzata.
Il ragazzo era ubriaco, perciò si avvicino e, prendendolo per il colletto, lo attaccò al muro.
“Che cazzo ti è venuto in mente? Sai in che guaio ti sei cacciato? Vedrai morire ventitre ragazzi, dovrai ucciderli tu e sarai trattato come un animale! Avresti potuto salvarti, cazzo! Era il tuo ultimo anno”.
Dom era sconvolto dalle urla del fratello e, l’unica cosa che riuscì a dire fu “Non volevo deludere mamma e papà”.
Edison rimise a terra il fratello “M-mi dispiace”.
“Non ti preoccupare. Che mi consigli per la gara?”.
“Non ti fidare di nessuno e, soprattutto, non farti abbindolare o creare alleanze inutili…”Dom fece un cenno di assenso.
“Tempo scaduto” il ragazzo avrebbe voluto avere più tempo, ma sapeva che non sarebbe stato possibile.
“Buona fortuna fratello” Edison lo abbracciò e uscì.
Quando la porta si chiuse, Dom si lasciò cadere su una sedia, in preda alla disperazione.
Quella sarebbe stata l’ultima volta che li avrebbe visti?

Giorno della Mietitura, distretto 12.

“Forza ragazze, vestitevi! fra poco saranno le due e dobbiamo andare alla Mietitura”
Olivia odiava Miss Murphy, una donna ultra sessantenne zitella, dai lunghi capelli grigio topo sempre raccolti in una cipollotta e sempre dannatamente isterica e perfettina.
“Vieni Polly” la quindicenne chiamò la sorella di undici anni a se. L’aiutò a vestirsi e le fece una treccia.
Almeno per un anno è ancora al sicuro” pensò Olivia. Le due sorelle erano uguali: lunghi capelli lisci neri, occhi grandi grigi, lievi lentiggini sul naso e sugli zigomi, labbra rosee molto sottili, sarebbero potute essere gemelle se non ci fossero circa cinque anni di differenza fra le due. Ma, in realtà, nel Giacimento si somigliavano un po’ tutti.
Le due sorelle vivevano nell’Istituto da un anno, da quando il padre era stato arrestato per tradimento e giustiziato e la madre si era suicidata.
“Sei bellissima tesoro” disse Olivia alla sorellina.
Fu il suo turno a preparasi: si mise un abito bianco che le era stato consegnato da Miss Murphy e si fece una semplice coda di cavallo. Nell’istituto abitavano tredici ragazzi, di cui cinque sopra i dodici anni. Si avviarono nella piazza dove vi si trovava il Palazzo di Giustizia, dove ogni anno si svolgeva la mietitura.
Olivia si mise in fila per il prelievo del sangue, seguita dai due ragazzi e le due ragazze dell’istituto.
“Tony” chiamò l’amico dietro a se. Era un ragazzo diciassettenne dai capelli biondi e gli occhi marroni, alto ed esile.
“Dimmi” si avvicinò a lei e le prese la mano.
“Ho paura. Polly ha solo me”.
“Ehi, non succederà niente”.
“Il mio nome c’è 32 volte. Ventisette per le tessere, in più ho altre cinque volte il mio nome”.
“Io ne ho solo sei: una per ogni anno”.
Olivia lo guardò scoraggiata: era finita.
“Il prossimo” la ragazza si avvicinò e le venne punto il dito.
“Puoi andare” il pacificatore le sorrise, anche se da sorridere non c’era proprio niente.
La ragazza si avviò in mezzo ad un gruppo di altre quindicenni.
Salì sul palco la loro ormai datata accompagnatrice: Effie Trinket. Aveva la sua solita parrucca ricciola, con delle sfumature bordeaux. Aveva il solito abito con le maniche a sbuffo e molto aderente, corto fino ai ginocchi. Il trucco era molto pallido e le unghie erano lunghissime. Sembrava sempre giovane, nonostante i suoi cinquantasei anni.
Sul palco c’erano il sindaco e i nostri mentori: Katniss Everdeen e Peeta Mellark. Loro due erano una leggenda nel distretto dodici. Erano riusciti a sconfiggere Capitol City e a sopravvivere entrambi ai 74° Hunger Games, anche se ciàò non era bastato per fermare queste barbarie.
Effie presentò il video, il solito da sempre. Al suo termine la donna sfoderò un sorriso, perché, come ripeteva tutti gli anni, adorava qual video.
“E ora, estraiamo i fortunati” come ogni anno, si avvicinò per prima alla boccia delle ragazze.
“E la fortunata è…”.
Non il mio nome, non il mio nome” pensò, o meglio implorò Olivia in quel momento.
“Olivia Reed” il suo cuore si fermò per un istante.
“No, non può essere vero” sussurrò lei, tremante: non poteva crederci.
Guardò una ragazza accanto a lei e chiese sconvolta “Non ha detto il mio nome, v-vero?”
Quella ragazza, dai capelli neri a caschetto, non riuscì a pronunciare altro che un ‘mi dispiace’.
“Olivia Reed? Ci sei?” Effie cercò in mezzo alla folla la fortunata.
Olivia obbligò le sue gambe a camminare, a muoversi verso il palco.
“Oh, eccola!” sorrise soddisfatta; Olivia avrebbe solo voluto strapparle quello stupido sorriso.
Si guardò in torno, cercando sua sorella e Tony. Incrociò il suo sguardo con quest’ultimo, che le fece segno di stare calma. Poi trovò anche la sorella, che era già in lacrime abbracciata a Miss Murphy, anche lei visibilmente sconvolta.
Un pacificatore l’aiutò a salire gli scalini: Effie le venne in contro, trainandola nel centro del palco.
In seguito la dona andò alla boccia maschile “Il nostro fortunatò è… Derrick Powell”.
Un ragazzo bruno alzò di colpo la testa, incredulo. Uscì dalla folla e si diresse lentamente al palco.
Salì gli scalini un passo alla volta, lentamente, quasi come se aspettasse che qualcuno lo svegliasse da un incubo.
“Muoviti su!” un pacificatore lo spintonò.
“E ora, ragazzi, stringetevi la mano” Olivia si avvicinò a Derrik, stringendo le sue mani.
Per terminare in bellezza la mietitura, Effie disse la battuta finale “Felici Hunger Games! E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!”.
“Olivia!” la porta si spalancò e, ancor prima che la quindicenne se ne rendesse conto, si ritrovò Polly in lacrime fra le braccia.
“Amore” si limitò a dire Olivia, stringendo la sorellina il più forte possibile.
“Promettimi che sarai forte” le disse. Polly annuì con la testa, mentre con il braccio si puliva il moccio.
“Miss Murphy, si occupi di lei, per favore”.
“Certo cara, tu pensa a vincere”.
“Vincere” pensò. Non sapeva fare niente: non sapeva cacciare, impugnare una spada, creare una trappola o trovare un rifugio. Come avrebbe potuto vincere?
Il resto dei minuti li passò abbracciata alla sorellina.
“Tempo scaduto, hai un'altra visita”
“Non mi lasciare Olivia, devi vincere, ho solo te” il suo cuore si spezzò in due.
“Ciao amore - le schioccò un bacio sulla fronte - Arrivederci Miss Murphy” la donna tirò a se la ragazza e le sussurrò “Torna vincitrice, sentiremo la tua mancanza”.
I pacificatori scortarono fuori le due ed entrò Tony.
“Ehi” lui le sorrise.
“Non ce la farò mai - scoppiò a piangere - ti devi occupare di lei, non avrà più nessuno” i suoi singhiozzi erano interminabili.
“Ehi ehi, calmati” l’abbracciò, le diede un abbraccio di conforto, un abbraccio disperato.
“Riuscirai a vincere, hai tre giorni per allenarti ed imparare! Sei in gamba e anche Derrick lo è. Ti aiuterà sicuramente, è molto gentile”.
“Morirò di sicuro” continuava a ripetere Olivia in preda al panico.
“E’ ora”.
“Ci vediamo presto” la rassicurò Tony, reggendola per il mento.
“Speriamo” tirò su con il naso.
Tony le diede un bacio sulla guancia, per poi uscire.

- I bla, bla, bla di Chiara -
Ciao a tutti! Questa è la mia prima Long su Hunger Games. So che ci sono delle incoerenze con i due ultimi libri (me l'ha confermato anche mia sorella, che gli ha letti), ma spero che questo non lo renda meno piacevole alla lettura!
Un bacione, Chiara.
  
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