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Autore: Midnight_whisper    26/08/2013    1 recensioni
La lotta perpetua fra noi stessi e ciò che vorremmo essere, la possibilità di miglioramento umano in un tragico capitolo di pazzia e autodistruzione.
ps_il titolo è preso in prestito da un'area di KHII, ma non c'entra nulla, prima che si gridi al plagio!
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un sogno malato da perseguire nel totale desiderio di colmare le proprie inadeguatezze, che conduce inevitabilmente a mettere sul piatto delle scommesse anche ciò che più si reputa positivo in se stessi. Un inestinguibile vortice di sensazioni frustrate, emozioni incompiute, gestualità taciute, movimenti strozzati scuote lentamente l’intera persona fino a distruggerla, fino a lasciarne solo un vago dolente ricordo tormentato che non basterà più a riconoscersi. Pensavo tutto questo mentre la tela squarciata, lasciava intravedere un vetro riflettente al suo interno che, subito, mi parve di riconoscere. Chi rappresentava?
L’insoddisfazione della propria stessa esistenza, l’improvvisa presa di coscienza di non desiderare ciò che la nostra indole ci relega a possedere. Quel bisogno innato di migliorare, di migliorarsi, di ottenere di più, di adempiere a un proprio bisogno di compimento umano. Quando ti rendi conto di non voler essere ciò che in realtà sei, è già troppo tardi. Quel tuo carattere, quel temperamento, quelle convinzioni, quelle impulsività sono ormai proprie della tua persona, tanto intrinsecamente da non potertene sbarazzare facilmente. Ti rendi conto di non sopportare più tutto ciò quasi per scherzo. Poi lo scherzo incarna la realtà, un sottile velo di malinconia ricopre ogni cellula esitante, ma palpitante al tempo stesso, del nostro indesiderabile corpo. Bisogna cambiare.
Arrivi a una drastica conclusione non appena inizi a sentire il rigetto dei tuoi stessi organi vitali, nel momento in cui sai di essere un estraneo, un ospite, invitato benevolmente a bere una tazza di tè o a scherzare, al banchetto della tua anima svuotata. Ciò che sei non vale ciò che non sei. Dovresti essere tu a tenere il banchetto in casa tua e ti ritrovi stupidamente sorridente, coinvolto in un mondo che gira nella direzione opposta a quella corretta.
La cultura, mi dicesti. Con la cultura si può cambiare. La cultura non è un fronzolo, un ornamento estetico, non è uno stucco bianco alla parete spoglia; quello è nozionismo. Devi aprire le porte a ciò che non sei mai stato, puoi migliorare, puoi cambiare, puoi smettere di vivere intrappolato e incatenato in quella marcia area di te stesso che non cade dall’albero e non ti lascia libero. E anzi, ti corrode, lentamente, e si espande in tutto il resto di ciò che credi possa meritare ancora la tua vita, il tuo inestinguibile impegno, le tue ultime, tremanti forze. Solo con la cultura puoi intraprendere questa salita e perpetuare questo elicoidale movimento di ascesa verso la cima di un monte che ti è sempre stata lontana, che non hai fatto altro che immaginare, quasi scettico della sua esistenza che per te non era verificabile.
Iniziai a detestare con tutto il mio animo la mia stessa identità, fino anche a rinnegarla; fino anche a convincermi di non aver trasformato un sano e selezionante sistema di miglioramento umano, in una paranoica ricerca di una introvabile perfezione, in una estenuante, eccessiva brama dell’altro, del diverso. Decisi di sostituire tutti gli specchi di casa con dipinti. Ci misi un anno intero, che segnò la prima parte dell’accettazione di me stesso, della fine della mia nausea. Potevo finalmente guardarmi, solo in un modo diverso, che mi permetteva di sorridermi e di accostarmi a una mia nuova eccitante e vibrante possibilità in questo mondo, che tanto ingiusto mi si era dimostrato fino a quel momento. Mi osservavo in quei quadri; quella scintilla negli occhi che non avevo mai avuto mi diceva proprio che io ero al di sopra, ero qualcosa che gli altri non potevano mai essere, poiché mai si erano sottoposti al processo che io tanto stavo soffrendo ma che mi stava portando a qualcosa di sopraelevato. Quella fu la prima spinta che mi permise di valicare la soglia della salita e mi consentì di puntare a quella vetta e, finalmente, provarne l’esistenza sulla mia stessa nuova pelle.
Per circa un mese, mentre mi approssimavo alla cima corroborante per la mia essenza, alla purificazione completa, fui davvero soddisfatto del mio lavoro e di me stesso. Potevo ancora trattenere con mano salda e convinta tutto ciò che non dovevo permettermi di perdere e, allo stesso tempo, mi ero riuscito ad aggrappare ad un nuovo modo di vivere che legavo alla mia cinta come una corda e che mi issava verso l’alto e mi portava dove ognuno non poteva che osservarmi, ammirato, sconvolto, imbarazzo per la sua stessa esistenza.
Cominciai a chiedermi se così facendo avrei infine portato la specie intera a una nuova selezione naturale. Le persone si sarebbero rese conto della mia superiorità dovuta a questo processo di esaltazione della mia metà buona e devastazione di quella marcia. E allora cosa le avrebbe trattenute dall’inerpicarsi al pari mio lungo la loro, di montagna. I miei sentimenti, contradditori al riguardo, mi convincevano parzialmente di poter essere un nuovo faro luminoso per le loro ancora traballanti e poco soddisfacenti vite; ma, contemporaneamente, mi dimostravano e mi rendevano palese, evidente che la mia leadership, che tanto mi stava a cuore, oramai si sarebbe esaurita in breve tempo. Se l’intera umanità giace sul terzo scalino di un percorso, io sto per compiere il passo che mi consentirà di tastare e confermare l’esistenza di un quarto gradino. Ma quando la confermerò tutti potranno raggiungerlo e allora la mia supremazia si risolverà banalmente in un solo soffuso onore e un ringraziamento freddo, falso, ipocrita. Io sto più in alto di voi.
Decisi di lanciarmi verso il mio obbiettivo finale con tutta la forza che mi rimaneva in quello che restava del mio vecchio corpo. Rinnegai il mio intero essere, misi in discussione il mio stesso nome, la mia stessa famiglia, quegli stessi soffocanti vincoli che non potevo più volermi portare dietro se il mio desiderio di superiorità e di cambiamento totale doveva essere compiuto. Persi lentamente i pochi legami, quella parte dell’albero che ancora non era stata intaccata, influenzata, contaminata dal marciume che mi aveva quasi interamente abbracciato e che, in passato, avevo con altrettanta felicità, stupidamente corrisposto. Non ebbi tuttavia la percezione di tutto ciò perché, salendo il monte, non riuscivo a vederne che la sommità, che tanto agognavo, e avevo definitivamente perso di vista quello che mi era rimasto alle spalle.
Fu tanta la foga che mi spinse al massimo, su quel punto dal quale non è più possibile ascendere, che io non potei più frenarmi e mi ritrovai, mio malgrado, a intraprendere una discesa vertiginosa, senza avvedermene, ma senza dolermene.
Ogni mio sacrificio si rivelò in breve tempo vano, quella sopraelevata mi aveva condotto al niente e persino il mio viso dipinto riusciva ormai a osservarvi col rinnovato disprezzo, addirittura maggiore di quello che io stesso avevo nutrito nei confronti del mio primordiale marciume. Nell’irrefrenabile precipitare al quale mi ero ormai offerto, non potevo rendermi conto della mia totale mancanza di senno e della depravazione che mi aveva già corroso dentro durante la salita. A differenza di questa, la discesa mi stava sembrando tanto semplice, poiché non richiedeva al nuovo me alcuno sforzo e mi trascinava per inerzia.
Mi fu poi chiaro che avevo intrapreso quel percorso all’inverso, solo quando i limiti dell’umano erano ormai sconfinati in quelli della corruzione, dell’ingiustizia più totale. Io, che ero partito dal mio iniziale stato d’essere col preciso e fermo obbiettivo di innalzare qualitativamente me stesso su me stesso e poi su tutti gli altri, avevo perso tutto e grattavo il fondo per cercare di scendere ancora più giù, totalmente sconvolto, sommerso, dal mio nuovo, sporco, spento me.
Non so come accadde, non so a dirla tutta nemmeno se accadde davvero, ma ebbi quello che gli alcolisti definiscono momento di lucidità. E tutto mi apparve chiaro, come in disegno, quel mio movimento bidirezionale, che mi aveva infine allontanato dall’oggetto del desiderio, dopo averlo quasi sfiorato, e che mi stava rendendo un inasprimento infinito dell’imperfezione alla quale ero inizialmente relegato. Ero lì, senza nulla da fare, senza niente, ormai, a cui agognare. E mi resi conto di tutto. Credete che sia facile trovare le palle di salire di nuovo? Credete che sia possibile farlo, quando hai già consumato le misere energie della tua misera esistenza in una sfrenata, irrisolvibile corsa verso il nulla infinito? Ecco a cosa mi aveva portato quella mia corsa a perdifiato.
Dopo aver quasi per caso intagliato uno dei numerosi dipinti ne ricavai uno dei tanti specchi, di cui mi ero con tanto ardore liberato nella mia dirompente ascesa. Ecco quello che mi ero sempre celato, ecco quello che non volevo essere e che avevo smesso di essere, quel marciume, che tanto ora mi mancava e che avrei volentieri accettato per potermi tirare fuori da questa umiliante e dilaniante autodistruzione progressiva. Mi guardai ancora nello specchio. Lo guardai. Chi era?
  
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