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Autore: s_smile    26/08/2013    3 recensioni
Pioggia incessante, tuoni, lampi e - soprattutto - tanta noia per Katniss, costretta a casa da un temporale. Eppure Peeta conosce sempre il modo per dissolvere le nuvole grigie dal suo cielo e tirarle su il morale.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Verde come le foglie.


 

Il ticchettio della pioggia sui vetri è un rumore che molti – stranamente – trovano rilassante, quasi distensivo. Un lieve mormorio di sottofondo ai vari pensieri che affollano la nostra testa. L’armonica e continua colonna sonora delle fredde giornate autunnali. Oppure, semplicemente, una piacevole sostituzione al silenzio. Per Katniss, invece, era l’ennesima conferma che quel giorno non avrebbe messo piede fuori di casa.
Si rigirò pigramente nel letto, trattenendo uno sbuffo per non rischiare di svegliare Peeta che ancora sonnecchiava lì accanto. Un po’ di pioggia era anche piacevole: rinfrescava l’aria del bosco e, soprattutto, rendeva più facile individuare delle impronte sulla fanghiglia fresca. Invece quello che la teneva segregata in casa era un vero e proprio temporale. E andava avanti da sedici giorni ormai.
Affondò la faccia nel cuscino immacolato mentre - per l’ennesima volta - il rombo di un tuono seguiva la folgorante luce del proprio lampo. “Un altro giorno di puro niente.” rifletteva amaramente, la testa nascosta sotto le pesanti coperte per contrastare il gelo mattutino. Peeta si rigirò su un fianco e mormorò qualcosa nel sonno. Tra poco avrebbe dovuto alzarsi, era quasi l’alba. Sarebbe sceso cautamente dal letto – mentre lei fingeva di stare ancora dormendo – e sarebbe andato a prepararle pane e marmellata giù in cucina. Li avrebbe lasciati sul comodino insieme ad una tazza di Thè fumante, dopo di ché avrebbe affrontato la tempesta là fuori per arrivare in panetteria, puntuale per l’apertura. Ovviamente non prima di averle depositato un lieve bacio del “buongiorno” sui capelli arruffati. Solo a quel punto lei avrebbe aperto gli occhi, divorato la – come sempre – deliziosa colazione e si sarebbe trascinata in salone per appollaiarsi sul davanzale della grossa finestra di fronte al camino a fissare il viale bucherellato di pozzanghere in attesa di vedere la testa bionda di Peeta sbucare da sotto un ombrello, al suo ritorno. Oppure sarebbe potuta restare a letto. “Entusiasmante..” ironizzò, accucciandosi ancor di più vicino al ragazzo e poggiando la fronte contro il suo petto. Per un attimo ebbe la bizzarra idea di passare a casa di Haymitch quella mattina, ma la scacciò subito. Aveva ancora nelle orecchie la risata sguaiata che le aveva regalato l’ultima volta, quando lei si era accigliata al suo “Limitati a lanciare frecce, dolcezza. La cucina non è proprio il tuo forte.” Niente da fare, nonostante lei fosse andata a casa sua e si fosse offerta di preparargli un piatto decente - invece della solita bottiglia di liquore e delle noccioline che raccattava tra i cuscini del divano – Haymitch era sempre il solito zotico impertinente, come lo aveva definito più volte Effie.
Il rumoroso boato di un altro tuono squarciò la quiete della camera da letto e Katniss sobbalzò leggermente, picchiando la testa sul mento del ragazzo. Peeta si sollevò appena, mugugnando dal dolore, e prese a massaggiarsi la parte colpita con gli occhi ancora chiusi. Lei si scostò immediatamente, fissandolo con apprensione. Per qualche secondo pensò che stesse ancora dormendo. 
«Sei già sveglia.» constatò, la voce impastata dal sonno. Katniss annuì appena, ma poi si rese conto che lui aveva ancora gli occhi chiusi. «Mi hanno svegliata i tuoni.» mentì. Non voleva che sapesse quanto fosse infastidita dalla pioggia e della noia di quei giorni. Altrimenti – lo sapeva – Peeta di sarebbe prodigato in tutti i modi per allietare il suo tempo, e non poteva. Aveva la panetteria di cui occuparsi. Sapeva quanto a lui piacesse portare avanti l’attività di suo padre. Era come se in un certo modo si sentisse vicino ai suoi cari e questo lo rendeva felice. Non doveva permettergli di rinunciare a questo solo per farlo annoiare con lei per chissà quanti giorni ancora. Ma purtroppo per Katniss, Peeta era sempre un passo avanti quando si trattava di lei. «Katniss, sappiamo entrambi che non sei brava a dire bugie.» Le scostò una ciocca castana dagli occhi e si sistemò sul materasso appoggiando la schiena alla testiera del letto. «Ancora incubi?» chiese, con il solito tono apprensivo che assumeva ogni qualvolta percepisse che qualcosa non andava. Katniss scosse impercettibilmente la testa in segno di diniego e concentrò la sua attenzione in basso, dove le sue dita si intrecciavano alle lenzuola azzurre. Era consapevole che da quel momento in poi ogni tentativo di fargli credere che tutto andasse bene sarebbe stato inutile, perché Peeta la leggeva come un libro aperto. Lui la scrutò per alcuni istanti con la fronte corrugata – un’ espressione che, se lei avesse alzato la testa per guardarlo, probabilmente l’avrebbe fatta sorridere. Poi la sua mano prese il posto della coperta, intrecciandosi a quella di lei, e il volto si distese. «Ti manca non poter andare nel bosco, eh?» Non era la prima volta che il ragazzo del pane capiva così bene cosa le passasse per la testa, ma questo non le impedì di sollevare lo sguardo su di lui con un’espressione incredula. La sorprendeva sempre che lui riuscisse a capirla meglio di quanto non facesse lei stessa, ed anche questa volta Peeta aveva fatto centro. Non era davvero noia quella che lei provava, era nostalgia. Estremamente forte ed incredibilmente opprimente. Ed allora capì. La caccia non rappresentava solo un modo per passare le sue giornate, ed il bosco non era solo il luogo in cui poterla praticare. Entrambi erano diventati parte di lei senza che Katniss se ne avvedesse.
Era lo scricchiolio delle foglie secche sotto i suoi passi leggeri, il fango morbido che le si attaccava agli stivali, il frusciare dei cespugli che nascondevano le prede alla sua vista. Era lo scocco di una freccia ed il rumore della punta di metallo che fende l’aria. Era il suo arco e le frecce. Questo rappresentava la sua identità, quella vera. Quella di Katniss Everdeen, Distretto 12, non la Ragazza in fiamme o la Ghiandaia Imitatrice. Solo nei boschi era veramente lei e, adesso che era bloccata in casa, sentiva di aver lasciato una parte di quella Katniss a ripararsi dall’acqua tra cespugli di rododendro e tronchi cavi. Sospirò lievemente e fissò Peeta negli occhi. Sì, le mancava non poter andare nel bosco. Il ragazzo ricambiò il suo sguardo con aria pensierosa. Non c’era bisogno che gli desse una risposta, lui sapeva che aveva ragione.
Dopo parecchi istanti di riflessione una piccola scintilla gli accese gli occhi azzurri e lei si ritrovò a sperare che, qualunque idea avesse avuto, avrebbe potuto ridarle quello di cui aveva bisogno. Per tutta risposta, Peeta si precipitò giù dal letto e poi fuori dalla camera, lasciando la ragazza con le labbra appena schiuse ed una domanda che le moriva sulla lingua. Sentì che scendeva le scale con il suo passo pesante, raccattava alla svelta qualcosa al piano di sotto e risaliva frettolosamente. Solo quando udì una porta sbattere osò mettere piede a terra e andare a vedere dove si fosse cacciato - penultima porta a destra in fondo al corridoio.  A quel punto alcuni interrogativi le riempirono la mente – primo fra tutti come chiudersi in una stanza completamente vuota potesse risolvere il suo problema – ma decise di metterli a tacere e scendere in cucina per cercare qualche panino al formaggio avanzato, visto che Peeta non sembrava intenzionato a preparare la colazione quel giorno. Si sedette sul divano e prese a mangiucchiare distrattamente una brioche del giorno prima, aspettando che il ragazzo scendesse, ma non accadde. Peeta rimase  rinchiuso in quella stanza per quasi tutta la giornata e si ripresentò in salone solo a sera. La maglietta ed i pantaloni della tuta erano punteggiati da macchioline di vernice azzurra e verde, le mani erano ricoperte da strati variopinti e sulla guancia destra campeggiava una piccola scia giallo-arancio. Lui non disse neppure una parola per spiegare. Si limitò a prenderla per mano e trascinarla  su per le scale, fino alla porta della misteriosa camera. 
«Tieniti pronta.»  le sussurrò a quel punto, girando il pomello d’ottone e, quando la porta si spalancò, Katniss restò paralizzata dallo stupore.
Per tutta la lunghezza della parete di fronte a lei una manciata di alberi a fusto largo allungava le proprie fronde verso il cielo azzurro, in basso sulla destra qualche coniglio si acquattava guardingo tra i cespugli di more e ribes e, più in là, un cervo dalle folte corna saltava agile un tronco abbattuto al suolo. Sul muro alla sua sinistra le foglie di un’enorme quercia volteggiavano in aria spinte dal vento, mentre uno scoiattolo raccoglieva alcune ghiande sparse al suolo e giù, in fondo alla parete, si levavano le colline erbose che così tante volte si era soffermata ad ammirare con Gale dal loro posto segreto, mentre insieme sognavano una vita in libertà. Ma il suo sguardo si posò su una piccola macchia azzurra immersa tra alcuni tronchi, appena vicino alla soglia dove era rimasta. Era il lago, quello dove suo padre la portava a nuotare d’estate. Fu allora che si sentì come se Peeta avesse trasportato il bosco in quella stanza e lo avesse attaccato ai muri con della colla. Lui c’era stato una volta soltanto – quando lei era andata via per scacciare le immagini di un incubo particolarmente angosciante e lui l’aveva seguita preoccupato – ma si ricordava tutti i particolari alla perfezione. Le parve quasi di vedersi sgusciare tra i rami bassi del sottobosco con l’arco in mano ed una freccia incoccata.
Peeta – che era rimasto sulla porta dietro di lei – le prese gentilmente la mano. 
«Ti piace?»  le chiese piano, quasi sussurrando, come se gli animali dipinti potessero davvero spaventarsi e scappar via da un momento all’altro. Gli occhi della ragazza balzarono per l’ennesima volta da una parete all’altra, esaminando con cura ogni minimo dettagli e bloccandosi poi improvvisamente. Su uno dei rami bassi tra gli alberi alla sua destra, semi nascosto dalle fronde, stava comodamente appollaiato un piccolo uccello a lei sin troppo familiare. Il petto bianco era di poco sollevato, mentre le ali scure erano spalancate in alto ed il minuscolo becco leggermente schiuso. Una ghiandaia imitatrice stava cantando e quell’immagine ridestò in lei emozioni che, nei sei anni trascorsi dalla fine della guerra, era riuscita a sopprimere. Ma, con sua grande sorpresa, quel dolore insopportabile che l’aveva spezzata tempo prima non era più fra queste. Così rimase in piedi sulla soglia di quella stanza a rimirare un sole circondato da soffici nuvole - mentre, poco più in basso, dalla finestra penetrava la luce di un altro lampo – circondata dall’incanto che solo il suo bosco poteva procurarle. «È  magnifico, Peeta.» sussurrò di rimando. 




Angolo autrice:

Buon pomeriggio e ben tornati alla seconda edizione del festival 2013 "Regala fluff ad un amico"! *musichetta d'apertura*
Idiozie a parte, ho anche buttato giù qualche riga in stile angst/introspettivo ma purtroppo io sono dell'idea che ci voglia un po' più tenerezza ed un po' meno lacrime nel mondo. Quindi spero di avervi strappato un mezzo sorriso con occhi a cuoricino annessi. Poi se secondo voi la storia è pessima e volete prendermi a sprangate potete farlo virtualmente con una recensione! Io credo che si migliori soprattutto con le critiche (anche se un po' di complimenti fanno sempre bene al cuore) quindi dite tutto quello che avete da dire senza remore.
Grazie di aver letto!

S. ;)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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