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Autore: Hell96    27/08/2013    4 recensioni
–Come aspetti una farfalla? – chiese il bambino. – Non è possibile, mi sta prendendo in giro! – Concluse ridendo in maniera sommessa per poi incrociare la braccia al petto.
–Non ti sto prendendo in giro! – Naruto sorrise e si rese conto che non rideva da troppo tempo. –Viene ogni giorno a trovarmi da ormai cinquant’anni – Concluse, non smettendo di sorridere. Ormai non faceva più male. –Non ci credo – Disse convinto il ragazzino. –Le farfalle non sono mica così intelligenti! –
–Ma come non lo sai? – Chiese il vecchio. – Le farfalle vivono sì e no una settimana –
Fanfiction classificata al sesto posto al NaruHina Contest [V° Edizione: 'La nostra Leggenda'] indetto da Mokochan, Yume_no_Namida e ValeHina
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Konohamaru, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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Autore: Hell96
Titolo: La farfalla bianca
Personaggi e Pairing: Naruto, Hinata, Konohamaru – NaruHina.

Genere: Drammatico, romantico, sovrannaturale
Rating: Arancione
Avvertimenti: AU, tematiche delicate
Introduzione: 
–Come aspetti una farfalla? – chiese il bambino. – Non è possibile, mi sta prendendo in giro! – Concluse ridendo in maniera sommessa per poi incrociare la braccia al petto.
–Non ti sto prendendo in giro! – Naruto sorrise e si rese conto che non rideva da troppo tempo. –Viene ogni giorno a trovarmi da ormai cinquant’anni – Concluse, non smettendo di sorridere. Ormai non faceva più male. –Non ci credo – Disse convinto il ragazzino. –Le farfalle non sono mica così intelligenti! –
–Ma come non lo sai? – Chiese il vecchio. – Le farfalle vivono sì e no una settimana –
Note dell'Autore:
Questo è il primo contest a cui partecipo, quindi sono un po’ nervosa XD La data di scadenza è il giorno del mio compleanno, quindi chissà, magari mi porterà fortuna XD mi sono impegnata molto per scrivere questa storia, ho cercato un modo per far intrecciare la leggenda con la “trama” -o meglio, il testo- della canzone. Ed è venuto fuori questa oneshot XD
Inoltre colgo l’occasione per complimentarmi con le creatrici del contest per questa meravigliosa idea ^^ Brave!
 
 
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La farfalla bianca.

 
 
Anche quella mattina, Naruto aspettava.
Aspettava il sorgere del sole, aspettava grida o insulti. Forse aspettava qualcuno oppure che arrivasse semplicemente il momento.
Attendeva senza paura, ma neanche con impazienza; l'aspettava e basta. Senza emozioni, così come un piatto lago di montagna, che si increspa leggermente soltanto sotto di richiesta di qualche svogliato sbuffo di vento.
Ancora una volta aveva deciso di rintanarsi nella sua monotonia, in una casa grigia e piena di fantasmi del passato, dove non vi erano ricordi da rivivere o risate che riecheggiavano nei corridoi.
Si vestì di tutto punto anche quella mattina, indossando i suoi capi migliori. Tanto eleganti per lui ma così sciatti per il resto dell’umanità. Si sciacquò il viso solcato da mille rughe ed incorniciato dalla vecchiaia, che, ovviamente, aveva colpito anche lui, il giovane dagli occhi color del cielo così pieni di vita, che a distanza di anni, non si erano mai spenti. Sotto le palpebre riviveva ancora la sua vita passata, le risate perdute nel tempo e gli abbracci, che in qualche arcano modo riuscivano ancora ad infondere calore e sicurezza.
Le mani erano invece corrose dal lavoro e dalla stanchezza, ma non per questo avevano scordato come donare carezze e come stringersi attorno a mani più fragili e piccole.
Ancora una volta si sedette sul suo letto, una semplice brandina con qualche rappezzatura qua e là, rivolto verso la finestra, a guardare l’erba e il sole, là dove decenni fa si ergeva un grande albero.
Solitamente il paesaggio che gli si prospettava davanti era sempre uguale. Niente di troppo bello o troppo brutto. Una distesa d’erba e lontano il grande bosco.
Il tempo trascorreva veloce, le ore correvano ed il sole aveva voglia di tramontare. Naruto era ancora fermo allo stesso posto.
Così passava le giornate, che diventavano poi mesi ed anni.
 
–Sapevo saresti venuta... –
 

We're living in a den of thieves
Rummaging for answers in the pages
We're living in a den of thieves

And it's contagious

 

Dalla sua finestra, Naruto aveva una visione completa del villaggio. Non usciva quasi mai, ma conosce tutti bene, meglio anche di loro stessi.
Il mercato ed i bambini che andavano a scuola accompagnati da madri troppo apprensive, uomini che si spezzavano la schiena nei campi con la pelle bruciata ed invecchiata dal sole. Intravedeva anche quel gruppetto di donne, quelle che ogni giorno si fermavano sotto la sua finestra ad osservarlo, per scoprire se le voci sul suo conto erano vere. Le sentiva sparlare, dire che aveva bisogno di cure perché era impossibile che un vecchio rimanesse sempre fermo e guardare fuori.
Era diventato un po’ un’attrazione, una sottospecie di fenomeno da baraccone.
Ogni tanto sorrideva beffardo alle persone, ridendo della loro caparbietà e della loro voglia di farsi i fatti altrui; pensò che infondo la civiltà non si era evoluta poi così tanto. Ancora ancorati in un passato mai conosciuto davvero, ancora a santificare falsi eroi. Persone che credono ancora di essere liberi di essere felici e di mettere su famiglia, senza essere sotto controllo di nessuno, che ancora vanno a pregare sotto inutili statue scolpite da criminali.
Era ancora intento ad osservare quando un rumore lo face sobbalzare.
Pensò a qualche stupido atto vandalico, negli ultimi tempi non erano una novità. Si recò il più velocemente possibile in cucina, il luogo da dove sembrava provenisse il trambusto.
La finestra era in frantumi ed un raggio di sole gli irradiò il viso con violenza, era un raggio così luminoso che dovette coprirsi gli occhi cerulei con una mano. Intanto una palla rossa rotolò goffamente accanto al piede, probabilmente non aveva resistito all’impatto.
–Ma cosa diamine… –
–Mi scusi signore…- disse una vocina terribilmente acuta – non volevo rompere la sua finestra, la colpa è del pallone però! –
– E tu chi cavolo sei? E come hai fatto ad entrare in casa mia? E’ una proprietà privata e potrei anche denunciarti – urlò Naruto piuttosto adirato.
–Ecco, la porta era aperta e la casa sembrava disabitata… volevo solo recuperare il mio pallone, ma ormai è rotto… può anche tenerselo… – concluse il ragazzino, sembrava visibilmente deluso.
–Va bene, non fa niente, adesso vattene però… sto aspettando qualcuno – disse Naruto spingendo leggermente il bambino verso l’uscita.
–Chi sta aspettando? Non credevo che un vecchietto come lei potesse aspettare qualcuno – sghignazzò maleducatamente il bambino.
–Non sono affari tuoi– sbuffò Naruto avviandosi verso la sua stanza, desideroso di riposizionarsi accanto la finestra. – Ritorna a casa tua a fare quello che fai di solito. Non ti preoccupare della finestra, farò finta che non sia successo niente. Adesso vai però –
Convinto di aver lasciato il bambino indietro, il vecchio ritornò al suo posto, preparando gli occhi a sopportare nuove lacrime.
Ma il bambino era ancora dietro di lui e sembrava non aver voglia di andarsene.
– Cosa vuoi? Ti ho detto di andartene! – Esclamò Naruto, molto irritato.
–Andiamo mi vuole dire chi aspetta? I miei genitori stanno lavorando e mi annoio a stare solo. Per favore, mi faccia passare del tempo con lei –
Prese in esame la sua richiesta per qualche istante. Per un certo di punto di vista si assomigliavano perché entrambi erano soli. Inoltre una parte di lui era felice di avere compagnia. Gli sarebbe piaciuto chiacchierare con qualcuno, cosa che non accadeva da molto tempo. Decise quindi di acconsentire, rendendo felice il bambino.
-Comunque mi chiamo Konohamaru. Tu? – Naruto notò che era passato dal “lei” al “tu”. –Sono Naruto. – Rispose scocciato. –Allora Naruto san, chi aspetti? – continuò Konohamaru in maniera innocente.
Il vecchio si prese qualche minuto per pensare. – Sto aspettando…qualcuno – Disse Naruto.
–Questo l’ho capito–
–Se l’hai capito perché me lo chiedi, allora?–
–Ma io voglio sapere chi aspetti!–
L’uomo sbuffò –Aspetto una farfalla, va bene?–
 –Come aspetti una farfalla? – chiese il bambino. – Non è possibile, mi sta prendendo in giro! – Concluse ridendo in maniera sommessa per poi incrociare la braccia al petto.
–Non ti sto prendendo in giro! – Naruto sorrise e si rese conto che non rideva da troppo tempo. –Viene ogni giorno a trovarmi da ormai cinquant’anni – Concluse, non smettendo di sorridere. Ormai non faceva più male. –Non ci credo – Disse convinto il ragazzino. –Le farfalle non sono mica così intelligenti! –
–Ma come non lo sai? – Chiese il vecchio. – Le farfalle vivono si e no una settimana –
-E come è possibile allora? Sei forse un mago? – Il bambino iniziava a farsi prendere dall’entusiasmo.
Mentre parlavano la farfalla entrò dalla finestra, lasciando estasiati sia Naruto che Konohamaru. Svolazzava in maniera elegante, era come se stesse danzando nell’aria, seguendo le note di una danza muta.
Aveva le ali bianche, dello stesso candore della luna nel suo apice. I due spettatori sorrisero, restando incantati da quella visione. Naruto non era mai riuscito ad abituarsi a questo spettacolo.
La farfalla si mostrò solo per qualche minuto. Così come era venuta, se ne andò. Lasciando dietro di sé una scia di speranza, la speranza di rivederla.
Non appena la farfalla andò via, Konohamaru disse a Naruto che doveva andare, che doveva aiutare la mamma a preparare la cena e che doveva tornare prima del crepuscolo. Il vecchio lo salutò. Era sicuro fosse rimasto spaventato, ma in cuor suo sperava comunque di rivederlo.
Konohamaru aveva mentito, poiché una volta uscito dalla casa del suo nuovo amico, non andò a casa.
La curiosità è come un bambino, e Konohamaru decise di seguire la farfalla bianca, che volava in alto e brillava nel cielo crepuscolare.
La farfalla lo condusse nel luogo dove vita e morte si incontrano, ma il bambino strinse i denti e decise di seguirla fra le tombe del vecchio cimitero. Arrivata davanti una certa tomba, la farfalla sparì improvvisamente, ritornando forse laddove proveniva.
Il ragazzino lesse attentamente il nome inciso nell’epitaffio.
Resosi poi conto che si trovava in un cimitero al buio, decise di tornare a casa, sperando di trovare un piatto caldo sulla tavola. Scoprire cose nuove gli metteva fame.
 
Il giorno dopo ritornò da Naruto; la pancia era purtroppo vuota, ma la testa era piena di domande. Il vecchio questa volta lo accolse col sorriso sulle labbra, felice di aver condiviso il segreto, nonché la sua felicità, con qualcuno. Si posizionarono accanto alla finestra, desiderosi di assistere al miracolo.
Fu ancora una volta Konohamaru a rompere il silenzio.
–Naruto san, chi è Hinata Hyuga? –
 

They made a statue of us
The tourists come and stare at us
The sculptor's marble sends regards
They made a statue of us
They made a statue of us
Our noses have begun to rust
We're living in a den of thieves
Rummaging for answers in the pages
We're living in a den of thieves

And it's contagious
 

–Le verdi vie del villaggio sembravano tutte uguali. Un forestiero vi si sarebbe sicuramente perso nel giro di qualche ora. Ad occhio attento però, tutte le più piccole peculiarità non passavano di certo inosservate; io riuscivo ad intrufolarsi per ogni viuzza del villaggio, passando persino attraverso il grande bosco, infischiandomene delle raccomandazioni di mia madre, sempre preoccupata che potesse accadermi qualcosa – Naruto iniziò a raccontare. –Quella domenica mattina scesi giù dal letto quando il sole aveva appena raggiunto il suo apice di splendore. Uscii di casa rapidamente, attento a non svegliare nessuno.
Fuori, i raggi del sole battevano con forza e le cicale accompagnavano i viandanti mattutini con il loro canto, entrambi segni evidenti dell’imminente avvento dell’estate. Ben presto, mi resi conto che quella d’uscire, non era stata una grande idea; le fronde della grande betulla accanto casa mia, non mi donavano una grande ombra. Neanche immergere i piedi nel ruscello vicino non mi donava un grande refrigerio dell’asfissiante afa.
Era una mattina di inizio estate ma sembravano tutti senza vita; gente grigia in un mondo multicolore.
La gente aveva paura e fame. Erano stanchi e trascinavano ogni giorno le loro membra affaticate sui campi, a lavorare sotto sole cocente che picchiava forte in testa, creando un inferno di sudore e pelle ustionata.
Le gambe spesso si rifiutavano si collaborare. Dolevano e tremavano, mentre i piedi e le mani iniziavano a bruciare e sanguinare. La loro mente non era libera neanche di pensare, era troppo attanagliata dalla paura di non farcela, di morire fra le piantagioni di grano e riso, di non sfamare i figli piccoli o addirittura se stessi.
Nessuno viveva. Qui, a Konoha, si sopravviveva – Konohamaru pendeva letteralmente dalle sua labbra.
–Me ne accorsi all’età di circa cinque anni. Quegli anni sembravano secoli se solo ci penso, periodi infiniti e dipinti di grigio. Se avessi chiuso gli occhi, avrei rivissuto sotto le palpebre i momenti in cui i miei genitori mi osservavano mangiare, non capivo veramente cosa stesse accadendo, ero troppo preso dal mio pane raffermo.
A nove anni avevo capito che mamma e papà non mangiavano perché avevano lo stomaco chiuso. Preferivano vedere loro figlio con la pancia piena piuttosto che mangiare, lasciando che fosse solo la felicità a riempirgli lo stomaco con migliaia di farfalle colorate – Adesso Naruto si lasciava mangiare dalle fame, moriva dentro ma sembrava star bene fuori.
–Fu sotto quella betulla che la incontrai – L’uomo spostò lo sguardo fuori la finestra, ma ormai non vi era più alcun albero a farsi trasportare dal vento. Solo il vuoto, con le grandi montagne come sfondo.
–Era ormai domenica pomeriggio e faceva così caldo da non poter respirare. Ma quegli occhi. Mai viste iridi più luminose di quelle.
Sembrava quasi avesse rubato tutta la lucentezza dagli occhi dei cittadini di tutto il paese per portarla nei suoi, per farli risplendere come la luna nel plenilunio, per illuminare le vite perse delle persone, che ormai vivevano più vicino all’inferno che al paradiso. Era forse una ladra, perché sembrava possedere tutta la bellezza e la gioia di vivere perduta di cittadini di quel piccolo villaggio dimenticato da mondo, e forse anche dagli Dei.
Hinata.
Le chiesi il suo nome con tanta vergogna solo dopo qualche ora, dopo aver riempito spazi indeterminati di tempo con le sue parole, rendendosi conto che quella bambina sapeva già tutto di lui, eppure lui non era a conoscenza neanche del nome.
Lei non parlava molto, preferiva di gran lunga ascoltare. Dava l’impressione di quelle bambine solitarie, quelle che guardano tutti in modo indagatorio, che si siedono sull’altalena e lasciano che sia il vento a spingerle; a me sembrava sola, persa in mondo tutto suo. Ma neanche nel suo mondo si sentiva la protagonista.
Come se pensasse che non essere all’altezza. Non era all’altezza di parlare con nessuno, non era all’altezza di un abbraccio o di una stretta di mano. Non si sentiva all’altezza di niente e di nessuno. Avrebbe messo l’esistenza di qualsiasi persona davanti alla sua.
Questo suo atteggiamento non è sinonimo di debolezza, ed io lo capì subito. Lei era forte nel suo mondo di vetro, perché nella sua dimensione lontana sopportava in silenzio, permettendosi solamente qualche arrossamento sulle guance di tanto in tanto. Non piangeva e non frignava, sopportava gli schiaffi e le carezze allo stesso modo, limitandosi a guardare il suolo ed annuire, stringendosi le mani come a darsi forza e guardando lontano dalla finestra, non limitandosi a vedere solo un bel paesaggio, ma leggendo nel cielo la libertà. Fu difficile per me capirla così a fondo fra una parola e l’altra.
Una volta mi chiesi se fossi felice. Non aveva mai detto niente fino a quel momento se non il suo nome; lessi nella sua domanda inquietudine. Una inquietudine che non avrebbe mai dovuto appartenere ad una bambina.
Risposi si ma non ci pensai molto. Forse perché nella sua casetta piccola e semplice aveva davvero trovato la felicità. Le dissi poi che sarei stato più felice se avessi avuto qualcosa da mettere sotto i denti.
Così lei mi offri il suo pranzo.
Volevo darle anche io qualcosa. Avevo pensato ad un fiore, ma in giro non ce n’erano. La mia attenzione fu catturata da una fogliolina verde chiaro attaccato ad un ramo basso della betulla. La strappai senza troppe cerimonie e gliela diedi. Non era tanto diversa dalle altre cento foglie di quel ramo. Era piccola, forse sarebbe dovuta crescere ancora; ma adesso era stata strappata, non sarebbe vissuta a lungo.
Le dissi che quella foglia fra qualche mese sarebbe diventata marrone e secca. Sarebbe precipitata a terra e qualcuno l’avrebbe calpestata. Ma anche se la sua bellezza sarebbe durata poco, io e lei l’avremo ricordata così per sempre. Piccola e carina. Inoltre era stata colta da quell’albero. Non un albero qualsiasi.
Sorrise e mi ringraziò mille volte, nonostante fosse una foglia piccola e bruttina, che avrebbe anche potuto prendere da sola se lo avesse voluto. Quella cosina aveva uno strano potere su di lei: ogni volta che lo guardava, sorrideva. Come se fosse veramente felice.
Parlammo tanto quella mattina, eppure non era mai abbastanza.
Ci demmo allora appuntamento sotto quell’albero, il giorno dopo alla stessa ora. Ci incontrammo mille volte. Ma poi diventammo ragazzi.
Ci amammo per nove anni, poi tutto svanì, come in un sogno.
Noi ci nutrivamo di amore e vivevano di carezze, ma il mondo intorno a loro no. Lui non aveva scrupoli. Era stagnante e cattivo, piaceva distruggere gli altri mondi più piccoli, quelli più fragile e più insicuri. Al mondo piaceva tramutare l’amore in odio e la gioia in lacrime. I piccoli ladri diventarono dittatori, feroci tiranni con le tasche piena degli averi del popolo. La dittatura incatenò il popolo con catene invisibili plasmate dalla paura e dal rimpianto. Così la gente cadeva e non si rialzava, e non vi neanche nessuna guerra, né nessuna carestia.
Erano le casate fondatrici a comandare, ad imporre le loro regole avverse, a far sembrare un amore controcorrente e sbagliato. Hinata faceva parte di una delle casate fondatrici, ed una ragazza con quel cognome non poteva sposare un contadino – Dopo una piccola pausa, Naruto continuò.
–Il popolo si ribellò. Eravamo il volto della rivolta. Ma noi eravamo un semplice pretesto; la gente voleva vivere, non voleva più spaccarsi la schiena ogni giorno per ricevere poco cibo. Erano tutti stanchi di vedere i bambini morire e le donne piangere. La gente iniziò a reclamare la propria libertà, il popolo iniziò a far sentire la propria voce. E quest’ultima era diventata una vera e propria arma; le voci si espandevano e l’intero paese si coalizzò contro la casata della famiglia di Hinata.
Fu così che scoppiò la guerra. Molta gente morì.
Hinata fu una vittima. Sì, lei fu la vera martire della guerra. Non perse la vita, fu lei che la lasciò andare.
Non poteva sopportare tutto quell’odio. Non poteva più vedere il suo villaggio andare in frantumi. Aveva retto troppo. L’avevano fatta diventare fragile e alla fine l’avevano spezzata silenziosamente. Ed io la vedevo piangere e non capivo. No, io non capivo niente – Le lacrime ormai avevano bagnato il viso di Naruto.
– La ritrovai una mattina. Hinata si era suicidata, aveva deciso di impiccarsi al nostro albero. Voleva morire laddove la sua vita era iniziata.
Anche io volevo morire, voleva raggiungerla nell’oltretomba. Volevo far continuare il nostro amore in eterno. Mentre stavo per lasciare questo mondo, intervenne lei – Il vecchio indicò la farfalla bianca, appena entrata dalla finestra spalancata. – La riconobbi e mi fermai – Il volto di Naruto si distese ed accennò un sorriso.
–Il popolo vinse. Schiacciò la dittatura grazie alla loro voglia di libertà, il loro ardente desiderio di donare un futuro migliore ai propri figli. Pensarono tutti che avevo deciso di uccidermi, così io ed Hinata diventammo i martiri della guerra. Costruirono addirittura una statua in nostro onore e cambiarono il nome del villaggio in Konoha. Divenne così il villaggio della Foglia, come la foglia che le donai quando la vidi.
Avevano tutti la loro libertà tranne me, che ancora vivevo nel passato –
 
 

They'll name a city after us
And later say it's all our fault
Then they'll give us a talking to
Then they'll give us a talking to
Because they've got years of experience
We're living in a den of thieves
 

Konohamaru decise di tornare da Naruto il giorno dopo.
La casa era strana, più buia e fredda. Un nuovo fantasma si era aggiunto alla schiera che già popolava quell’abitazione. Un’altra morte da piangere.
Naruto era riverso sul letto, era pallido e rigido. Il bambino provò a svegliarlo, ma il vecchio si ostinava a non aprire gli occhi.
Konohamaru, dopo qualche minuto, realizzò che Naruto aveva raggiunto la sua Hinata e che forse era riuscito a riabbracciarla. Si disse di non rattristarsi, ma le lacrime ormai scendevano controllo. Scappò in preda al panico, scappò dalla morte e dalla paura.
Nessuna farfalla volava più nel cielo.
Scappò nel bosco con le lacrime agli occhi, perché aveva perso il suo vecchio amico e perché capì che ormai il villaggio stava inesorabilmente ritornando come quello del passato di Naruto. E lui non poteva fare niente; non poteva né scappare né cambiare le cose, perché era un essere così piccolo, così insignificante che sembrava quasi invisibile. Non poteva che restare inerme a guardare il villaggio sfaldarsi sotto i suoi occhi.
Pianse per ore, fino a quando una mano si posò sulla sua spalla; era una bambina dai capelli rossi e con gli occhi vispi.
– Che hai? –

We wear our scarves just like a noose
But not 'cause we want eternal sleep
And though our parts are slightly used
New ones are slave labor you can keep

 
L’odio è contagioso.
E (forse) l’amore non è per tutti.
 
 
 
 


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Spero che questa storia vi sia piaciuta ^__^ mi raccomando, fatemi sapere il vostro parere!
Grazie per avermi letto, a presto! <3

   
 
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