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Autore: Caesar    02/03/2008    3 recensioni
Continuo dell'"Eredità di Sangue".
Dimmi, Tom Riddle, Oscuro Signore, tu hai mai provato…paura?
Sì.
Di cosa?
Di lui.
Lui chi?
[Non ci fu risposta]
Harry Potter?
No.
Allora chi?
Lui. Caesar.
Caesar chi?
Mio figlio. Caesar Alexander Riddle.
"Undici dopo la morte di Harry Potter e la sigillazione di Tom Riddle
il Marchio Nero torna a splendere
e tra amori, avventure e avversità, l'erede di Slytherin varca le soglie di Hogwarts".
Genere: Generale, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Draco Malfoy, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Voldemort
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Incompiuta
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Prima di iniziare, informo tutti i lettori che la descrizione del demone, personaggio di questo capitolo, è preso dalla meravigliosa saga di Axia e Kysa – che invito chiunque a leggere – ed è proprio da Axia che ho ottenuto il permesso.

Poi, consiglierei a tutti, se non l’hanno già fatto, di leggere la one-shot l’”Eredità Del Sangue” di cui questa storia è il continuo.

Benché non sia completamente indispensabile, rinnovo nuovamente il mio consiglio.

Buona lettura.

 

Il Richiamo Del Sangue

Prologo:

 

Dimmi, Tom Riddle, Oscuro Signore, tu hai mai provato…paura?

Sì.

Di cosa?

Di lui.

Lui chi?

Harry Potter?

No.

Allora chi?

Lui. Caesar.

Caesar chi?

Mio figlio. Caesar Alexander Riddle.

 

- Hai paura di tuo figlio? –

[Sangue del tuo Sangue]

C’era una voce beffarda, in quella landa di ghiaccio.

Maschile e profonda. Affilata, quasi.

Come la peggiore delle lame.

Sembrava provenire da ovunque, e da nessuna parte.

E c’era anche Tom, macchia scura su sfondo bianco.

Camminava lento, avvolto in un mantello color inchiostro.

La mascella era serrata, i denti sfregavano gli uni sugli altri.

Scoccava sguardi rubino al nulla, con un cappuccio scuro calato ad oscurare il volto.

Digrignò i denti, innervosito.

- Ti sembra così assurdo? –

Chiese sibilando.

[No]

Faceva freddo. Gelo.

Quel gelo che entra nella carne, nel sangue.

Nel cuore.

Sottili strati di ghiaccio trasparente gli rivestivano le mani, escoriate.

C’erano feroci turbini di neve, che si adagiava sui vestiti.

Tanta neve. Arrivava fino al ginocchio.

Si formavano nuvolette d’argento, davanti al suo volto.

Simili a sbiaditi spettri di un passato che non ritorna.

[Che non ritorna]

E avanzava. Senza una destinazione in mente.

Camminava, perché non sapeva cos’altro fare.

[Se non lasciarsi morire]

Solo in una sconfinata landa desolata da esplorare.

Solo un’opprimente bianco da osservare.

Di ghiaccio e neve. Di gelo.

Suo dominio. Assoluto.

- In verità sì –

Sembrò portagliela il vento tagliente quella risposta.

Sibilò minaccioso, sollevandogli il mantello scuro.

Gli arrivò in viso, incidendo la pelle.

Le labbra - viola scuro – erano screpolate.

Il volto sfregiato da sottili serpenti vermigli.

- Perché lo temi? –

Chiese quella voce senza volto. Se non quella del gelo.

- Non cercare di capirmi –

Sibilò Tom, continuando ad avanzare nella tempesta, il mantello che si muoveva sinuoso alle sue spalle.

- Tanto non ho nient’altro da fare –

Gli rispose, voce sussurrata e portata dal vento.

Già, nulla da fare.

Come lui, alla fine.

Intrappolato in una dimensione che non era la sua.

In un mondo in cui il tempo passava lento. Anzi, non sembrava passare affatto.

Non avvertiva il pendolo scandire i secondi.

I minuti.

Le ore.

[Semplicemente, il tempo]

- Potresti suicidarti –

Propose ironico.

- Se vuoi ti aiuto io –

[Non ho nient’altro da fare]

Sembrò arrestarsi, la tempesta.

Come se quel pendolo immaginario si fosse rotto.

Non che cambiasse poi tanto, a Riddle.

[Il tempo non scorre]

Sfumò, quel paesaggio ghiacciato.

Come un ricordo sbiadito nella mente.

Calò l’ombra, uno sconfinato spazio nero inchiostro.

Senza pareti, senza cielo. Senza limiti percepibili con i cinque sensi.

A Tom sembrò quasi precipitare in un abisso scuro, senza un suolo a cui fare riferimento.

[Smarrito per la prima volta in vita sua]

- Certo –

Rimbombò cupa e sinistra, quella voce.

Come il fragore lontano di un tuono.

- Però magari potrei uccidere prima te –

Sussurrò. Ed apparve.

In una luce accecante, quasi. Per occhi abituati all’oscurità.

Un Dio sceso in terra, forse.

Furono dei capelli argentati quelli che per primi vide Riddle.

Squarciavano l’oscurità, come pugnali di luce.

Un uomo. Se uomo era, poi. Tom ne dubitava fortemente.

Non con quella pelle diafana. Troppo diafana.

Sembrava splendere di luce propria.

Non quei capelli d’argento. Non in quella dimensione.

Furono i suoi occhi ad impressionare Tom. Atterrire No.

Cosa poteva spaventarlo, ormai? La morte?

Aveva perso quel sentimento anni prima.

[O erano passati solo pochi minuti?]

Diamanti. Sì, due diamanti di ghiaccio.

Nessuna emozione. Nessun sentimento.

Neppure vita. Solo bianco lucente. Senza iride.

Occhi che tutto scrutano e tutto osservano.

Avvolto in un mantello d’argento, sottile nube di vapore nel nero della notte buia e scura.

Dai tratti marcati, e freddi.

Come il ghiaccio.

- Accomodati –

Sussurrò Riddle, mentre un ghigno amaro gli increspava lento le labbra.

- Agogno solo all’inferno, ormai –

Sembrò strano il sorriso di quell’essere.

Con delle labbra sottili.

[Troppo]

Rimase un attimo in silenzio, entrambi sospesi in un limbo di falsa pace.

- E’ davvero l’inferno quello che vuoi? -

Sussurrò poi, con voce sottile.

[Affilata]

- E’ davvero questo, Tom Marvolo Riddle? –

Si avvicinò di un passo, lento e sinuoso.

[Un serpente che si prepara a stringere le proprie spire]

- Quello che voglio è tornare –

Disse Tom a bassa voce, chinando il capo.

- Tornare? –

Chiese l’uomo, come se non capisse.

- Tornare –

Confermò il Lord Oscuro.

[Nel proprio mondo. Al proprio nome.

Al proprio figlio]

- Solo quello? –

Richiese l’essere, lo sguardo ora simile a quello di un rapace.

Ci fu un riflesso d’ambra, nelle iridi.

Di quale luce, poi, non l’avrebbe saputo dire neppure Tom.

- Solo quello –

Disse Riddle, abbassando ulteriormente la voce.

Rimasero in silenzio per pochi istanti, che tuttavia parvero eterni.

In attesa. Di cosa, poi?

- Sai cosa sono io, Tom? –

Chiese improvvisamente l’essere, sparendo improvvisamente in una nube di…cenere.

Rimase sospesa per un attimo nell’aria fredda, prima di scemare.

- No –

Rispose Riddle, senza neanche alzare il capo.

- Un demone, Tom –

[Immortale]

Ricomparve davanti a lui.

- L’ultimo. Vafer è il mio nome –

Rise, Riddle, una risata falsa.

Gracchiante e rauca.

E come sembrò sinistro quel suono. Simile al sibilo di un serpente.

- Sei bravo a mentire, demone

[Immortale]

Pronunciò l’ultima parola sprezzo.

- Io non mento -

Disse duro Vafer, alzando un braccio.

 

- Mai –

Punto un dito contro Tom, accusatore.

- Tu sei in grado di poter dire la stessa cosa? –

Chiese sprezzante.

[No]

- Se sei veramente un demone, caro il mio Vafer –

Sussurrò Tom, alzando il capo, le iridi accese.

Dalla follia, forse. O forse, più umanamente, dalla nostalgia.

[Di Casa. Del proprio mondo. Del proprio figlio]

Incrociò i suoi occhi bianchi neve con i suoi rubino.

E sembrò udire in lontananza il fragore di un tuono.

Intenso. Rabbioso, quasi. Di una tempesta senza tempo e senza luogo.

La stessa che era scoppiato all’incrocio dello sguardo.

Tempesta di lampi e tuoni. Incolori come lo scorrere del tempo.

- Fammi uscire –

Disse, con tono piatto.

[Ordine e supplica]

Ci fu un soffio di vento, e il cappuccio scuro ricadde all’indietro.

Fu visibile, il viso di Tom.

Serpentino. Pallido. Due rubini incastonati in orbite prive di sentimenti.

Emaciato, quasi. Le labbra viola spaccate in più punti.

La pelle sfregiata da profondi tagli causati dal vento.

- Lo farò, amico mio –

Disse il demone.

[Immortale]

Indietreggiò di qualche passo, iniziando a sparire in una nube di fumo.

- Quando? –

Chiese Riddle.

- Presto –

Rispose Vafer, diventando lentamente cenere.

- Molto presto –

- Quando? –

Richiese Tom.

- Quando la tua maggiore paura comincerà a camminare sporca di sangue –

[Caesar]

Sparì, il demone, e non rimase che cenere.

E la sua voce riecheggiò per un’ultima volta, in un’eco che, Tom lo sapeva, non l’avrebbe lasciato mai.

- Quando la tua maggiore paura comincerà a camminare su strade lastricate di cadaveri –

[Alexander]

Sparì, il buio. Come spazzato via dal vento freddo. Gelido.

Perso, nel vento.

E ci fu luce, accecante. Troppo.

Troppo candore per occhi bui e scuri.

[Riddle]

Tornò il ghiaccio. Tornò la neve.

Ma c’era qualcosa di diverso, ora, in Tom.

C’era una fiamma. Nel petto.

Ardeva, consumava. Impietosa.

Una fiamma verde come lo smeraldo. Verde come la Speranza.

 

*

Ci rivediamo con il prossimo capitolo “Dark Angel”.

*

 

Eccomi con il continuo dell’Eredità Del Sangue.

Spero vi sia piaciuto questo prologo come lo è stato per me scriverlo.

Sono nuovo di Efp, escludendo l’one-shot “Eredità Di Sangue” e il primo capitolo di una long-shot -  che, avverto, non avrà la precedenza su questa storia – intitolata “The Nameless”, perciò vi chiederei gentilmente dei commenti.

Grazie in anticipo.

Come avvertito all’inizio del capitolo la descrizione di Vafer è presa dalla saga di Axia e Kysa.

A proposito dell’aggiornamento, sarà strettamente legato alla mia ispirazione.

Spero mi concediate dei commenti, grazie ancora,

Caesar

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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