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Autore: holls    27/08/2013    17 recensioni
Un investigatore privato, solo e tormentato; il suo ex fidanzato, in coppia professionale con un tipo un po' sboccato per un lavoro lontano dalla luce del sole; il barista del Naughty Blu, custode dei drammi sentimentali dei suoi clienti; una ragazza, pianista quasi per forza, fotografa per passione; e un poliziotto un po' troppo galante, ma con una bella parlantina.
Personaggi che si incontrano, si dividono, si scontrano, si rincorrono, sullo sfondo di una caotica New York.
Ma proprio quando l'equilibrio sembra raggiunto, dopo incomprensioni, rimorsi, gelosie, silenzi colpevoli e segreti inconfessati, una serie di omicidi sopraggiungerà a sconvolgere la città: nulla di anormale, se non fosse che i delitti sembrano essere legati in qualche modo alle storie dei protagonisti.
Chi sta tentando di mettere a soqquadro le loro vite? Ma soprattutto, perché?
[Attenzione: le recensioni contengono spoiler!]
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
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1. Riflessi

 

14 dicembre 2004.

Erano almeno dieci minuti che se ne stava sulla soglia del cimitero, troppo tormentato per entrare e troppo codardo per andarsene via.
C’era un gran viavai di anziane signore che gli lanciavano occhiate minacciose, chiedendosi quale altro universo stessero fissando quegli occhi persi nel vuoto.
Anche se non potevano vederlo, Alan stava osservando Oliver. Era lì, davanti a lui, con lo stesso sorriso della foto sulla sua tomba. Non erano dieci minuti che fissava il vuoto; erano dieci minuti che aspettava una risposta.
Per quanto tempo ancora sarebbe dovuto tornare alla sua tomba? Per quanto ancora Oliver avrebbe occupato uno spazio nel suo cuore?
Erano stati prima amici, poi amanti; il primo vero amore della sua vita.
Svanito con un tonfo sordo e una strisciata di pneumatici sulla strada.

Alan aveva passato i primi momenti a colpevolizzarsi: se solo non avesse permesso a Oliver di guidare, il ragazzo non si sarebbe trovato sul lato strada, una volta sceso di macchina, e quel pirata non l’avrebbe investito. Non aveva fatto in tempo a imprimere il sorriso di Oliver nella sua mente, che qualcuno glielo aveva già portato via.
E non c’era stata nemmeno giustizia per quel povero ragazzo.
Nel tentativo di alleviare i suoi sensi di colpa, inizialmente andava al cimitero tutti i giorni, portando un bel mazzo di fiori e una preghiera, che era più per sé che per quel povero ragazzo - ma questo lo capì solo dopo molto tempo.
Dopo alcuni mesi, si rese conto che non poteva davvero essere colpa sua; e così lasciò che il lavoro, la vita quotidiana e gli impegni tornassero a far parte della sua vita.
Ma quella ferita era ancora aperta e faceva male. E tempo per Oliver ce n’era sempre meno.
Passato qualche tempo, però, aveva ritrovato la voglia di innamorarsi ancora. Ma amare è mettersi in gioco; e quando si accetta di amare, si accetta anche di soffrire, anche se nessuno te lo dice.
E, viste com’erano andate le cose, forse non lo aveva capito veramente e non era così forte come credeva: probabilmente si era solo illuso di poter tornare ad amare davvero.
Alla fine, aveva deciso di tornare sulla sua tomba solo il giorno dell’anniversario.
Ecco cosa ci faceva lì, esitante sul da farsi, con un piede sul cuore e l’altro sulla mente. Oliver gli sembrava sempre di più il personaggio di un libro letto nell’adolescenza: avevano condiviso emozioni e un pezzo della loro vita, ma quel ragazzetto era rimasto fermo là, ghiacciato dal tempo, mentre lui era cresciuto ed era andato avanti con la sua vita.
E, doveva ammetterlo, dopo essere stato travolto dal ciclone Nathan, la priorità dei suoi pensieri era cambiata considerevolmente.
Avrebbe avuto ancora senso continuare a onorare la memoria di Oliver, benché lo sentisse sempre più distante?

Prese la sua decisione. Non avrebbe abbandonato Oliver, né lo avrebbe dimenticato: non credeva che fosse possibile. Ma, se voleva davvero tornare a vivere, il primo passo era fare dietro-front.
E così non entrò.

***
 
Erano ormai le sette di sera. Faceva buio molto presto ormai e, soprattutto, faceva freddo. Senza il sole ad alitare qualche soffio caldo, l’aria era veramente gelida. Girò intorno alla macchina per entrare dal lato guidatore, quando notò che qualcuno aveva lasciato un volantino sotto il tergicristallo. Lo raccolse e ne lesse a grandi linee il contenuto.
Il locale pubblicizzato era un certo “Naughty Blu”: il volantino ne annunciava il rinnovo e il cambio gestione e invitava a farci un salto; più sotto, una nuvoletta riportava prezzi bassi, qualità e tanto divertimento.
Alan scrollò le spalle, salì in auto e impostò la sua meta: casa. Di certo non aveva tempo da perdere in giro per locali, nel tentativo di consolarsi.
…O forse sì?
 
***
 
Era la prima volta che entrava al Naughty Blu. La sgangherata insegna al neon suggeriva un ambiente dai colori piuttosto freddi, ma il cigolio di quella porta scardinata dal tempo lo rivelò invece tendente all’ocra, troneggiato da un severo bancone d’acero.
Il pungente odore di sigaro cubano intriso dell’olezzo di alcool richiamava un’atmosfera da tipici anni ‘50: chiacchiere di uomini d’affari accompagnati da donne di una sera, il tabacco inalato seguito da un roco tossire e l’impastato sottofondo jazz di quell’ormai vecchio giradischi.
Ma, in quel momento, quegli stessi uomini avevano perso ogni traccia di eleganza, con le unghie ingiallite dalle troppe sigarette e il viso invecchiato da quel brutto vizio. L’addome informe, sottolineato da una camicia troppo stretta, era volgarmente accarezzato da sgualdrinelle senza ritegno e senza più un briciolo di sensualità. E quel vecchio giradischi stonato era stato soppiantato da musica capace solo di penetrare negli orecchi come  colpi di gong.
Si sfilò i guanti di lana – che di guanti avevano solo il nome – e si sfregò rapidamente le mani, alitandovi dentro. Il timido tepore del locale bastò a scrollargli di dosso la patina di freddo dicembrino, che attecchiva senza pietà a ogni lembo di pelle che trovasse scoperto. Prese posto a uno sgabello davanti al bancone; sussultò quando avvertì quello stesso freddo sul nervato piano di marmo bianco. Ritrasse immediatamente le mani, nascondendole dentro le maniche del suo maglioncino di cotone, evidentemente di poco aiuto.
In corrispondenza del bancone, poté osservare meglio un’enorme parete di specchi, che ben si prestava a un gioco di luce visto anni addietro nelle sale da ballo di Versailles. Il lampadario al centro del locale non era certo il candelabro Settecentesco della famosa reggia, ma gli faceva tornare comunque in mente quel geniale escamotage con cui, grazie alla luce riflessa, la sala appariva più luminosa di quanto non lo fosse realmente.
Ordinò una bevanda non troppo forte, nella speranza che l’alcool  potesse dargli anche solo una vaga sensazione di calore. Nell’attesa che l’affabile barista lo servisse, non poté fare a meno di notare l’unico individuo stonato di quel locale. Il riflesso degli specchi mostrava la barba ben tenuta, la giacca tirata a lucido e solo leggermente scomposta, il colletto correttamente girato, la cravatta dal nodo impeccabile. Stava seduto sui divanetti antistanti il bancone, con un drink in mano, lo sguardo rivolto alla pista da ballo. Non gli avrebbe dato più di trent’anni, con quell’aria di chi ha appena comprato il suo primo gessato e non lo vuole rovinare.
Il tintinnio del campanellino all’entrata del locale portò con sé una folata di quel vento gelido, provocandogli un brivido che lo scosse fino alla punta dei capelli. Ma annunciò anche l’arrivo di nuovi clienti: tra questi spiccava una giovane ragazza, dalle forme generose ma armoniose. Era l’unica del gruppo a non portare tacchi ma, nonostante questo, raggiungeva in statura le altre amiche.
Il barista gli porse la sua bevanda. La sua voce lo frastornò, avendo dimenticato per un momento di aver ordinato qualcosa. Ringraziò, e vide il barista elargire un sorriso, per poi tornare ad asciugare distrattamente i bicchieri. Anche il suo era evidentemente appena uscito dalla sauna in corso nel lavandino, evento che stuzzicò la gioia delle sue mani, ormai sul punto di screpolarsi.
Aspirò la bevanda a piccoli sorsi, constatando che di alcool, per fortuna, ve ne era ben poco: aveva sempre odiato quella sensazione di amaro perenne in gola, o lo stomaco in fiamme dopo nemmeno mezzo bicchiere. Giochicchiò con i cubetti di ghiaccio all’interno del boccale, divertendosi ad affogarli per poi vederli riaffiorare di colpo.
E constatò che quello era il tipico atteggiamento dei suoi spiacevoli ricordi, che tornavano alla carica proprio quando pensava di averli affondati. E lo sapeva bene: non era forse quello il motivo per il quale si trovava al Naughty Blu?
Tirò un sorso più deciso e fu invaso dal tenue sapore del cocco.
«…Amore, sono tornato!»
Chiuse gli occhi. Un altro sorso, stavolta dal sapore più amaro.
«…Che significa tutto questo? Chi cazzo è quel figlio di puttana nel mio letto?»
Ancora un altro sorso. Troppo forte.
«…Sei uno stronzo! Non farti vedere mai più! Sparisci dalla mia vita! »
L’eco della porta sbattuta, nella sua mente, si confuse con il raschiare della cannuccia sui cubetti nudi. Appoggiò le tempie sui palmi delle mani, e sospirò. Erano ormai due mesi che quell’immagine gli si presentava nella mente nei momenti più disparati; e tutte le volte si chiedeva cosa aveva fatto per meritare di trovare il suo ragazzo tra le braccia di un altro uomo, oltretutto così sfrontato. E in qualche modo maledì anche il fato, per averlo fatto rientrare all’ora sbagliata e, soprattutto, nel momento sbagliato.
I suoi pensieri cominciarono a vorticare, e si domandò per l’ennesima volta da quanto tempo andasse avanti quella storia, e si diede dello stupido ancora, per non essersi accorto di nulla.
Alzò lo sguardo verso il barista.
« Dammene un altro, vai » disse porgendo il boccale. « Anzi no. Più forte. »
Il barista poggiò bicchiere e canovaccio sul piano.
«Abbiamo qualcosa da dimenticare, eh? »
Alan inarcò le sopracciglia, abbozzando un sorriso.
« Si vede così tanto? O hai una palla di vetro? »
Il barista scosse lo shaker all’altezza della spalla, con movimenti laterali. Lo guardò dritto negli occhi.
« Leggo i Tarocchi. »
Alan socchiuse le labbra, sorpreso. Il barista ridacchiò.
« Sto scherzando, studio psicologia. Ma, soprattutto, ho visto un miliardo di cuori spezzati qua dentro.»
Versò il drink nel boccale, dopodiché glielo porse.
« Grazie. E ora suppongo di doverti raccontare la mia storia. »
Cominciò a bere voracemente, fregandosene dell’incendio che già stava avvampando dentro il suo stomaco.
« Se ti va. » Il barista poggiò i gomiti sul tavolo, il mento sul palmo destro. « Sono tutto orecchi. »
Finì di bere. Quella fastidiosa sensazione di percezione ampliata lo pervase, rendendolo particolarmente emotivo.
 « Be’, è la prima volta che ne parlo, ma non c’è molto da dire. Sono rientrato prima e l’ho trovato a letto con un altro. »
Avvertì una stretta al cuore: sembrava che qualcuno glielo stesse strappando via a mani nude. In quel momento si maledì per aver bevuto un po’ troppo.
« Accidenti, brutta storia. »
« Già, avrei dovuto accorgermi prima che era uno stronzo. »
« Ma non aveva nessun comportamento sospetto? »
« Qualche sera spariva inspiegabilmente. Andava a lavorare al bar, diceva. A volte andavo a trovarlo, ma non c’era mai. » Fissò un punto nel vuoto, lo sguardo vacuo. « Non c’era mai… »
« Mentiva? »
Non rispose. Il suo sguardo, diretto allo specchio, si impietrì. Deglutì, e sentì quel gesto rimbombargli nella testa e giù per la gola.
Riconobbe quella scarsella. Era un pezzo unico al mondo: un prototipo, mai venduto, regalatogli da amici che lavoravano la pelle. Non ce ne erano altri. Poteva appartenere solo a una persona.
Poté vedere il suo stesso sguardo attonito, riflesso, affiancato dall’immagine del ragazzo ben vestito ammaliato da un altro.
« Nathan…! »
Vide il ragazzo scostare il viso. Era proprio lui.
«Amore, sono tornato!...
…Che significa tutto questo? Chi cazzo è quel figlio di puttana nel mio letto?...
…Sei uno stronzo! Non farti vedere mai più! Sparisci dalla mia vita! »
Emise un suono strozzato. Tutto ciò che vedeva erano soltanto le carezze di lui sul viso dell’altro.
Si alzò ansimante dallo sgabello. Trovò il coraggio di distogliere lo sguardo da quell’immagine. Cominciò a correre, trafelato. Udiva in lontananza, come un'eco confusa, la voce del barista che lo richiamava, e quella stizzita di una donna che aveva urtato.
Abbassò con decisione la maniglia, sotto lo sguardo attonito di tutti. E il cigolio della porta fu l’ultima cosa che sentì.

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Salve a tutti! Che dire? Sono emozionatissima all'idea di ripubblicare questa storia. Per i nuovi lettori, spero che la storia vi piaccia! Per quelli che invece seguivano già la vecchia versione, potrete trovare ringraziamenti e indicazioni in fondo al capitolo precedente.
A presto, spero che questo inizio vi abbia incuriosito almeno un po'. Se vi va, potete seguire i miei momenti di pazzia su questa storia sulla mia pagina Facebook, a questo indirizzo.
Alla settimana prossima! :)


 

   
 
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