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Autore: darkrin    03/03/2008    0 recensioni
Ci sono momenti in cui ha addirittura paura di guardarlo, proprio come in quella situazione, perché è sicura che i suoi occhi non riescano a nascondere il sentimento che dirompente ha messo seme nel suo petto.
In quei momenti [non] si chiude in bagno [lo guarda] e si trucca [mai].
Copre il suo volto nel modo più banale possibile. Lo seppellisce sotto strati di trucco e quando esce dal bagno lei [non è più] è solo la ragazza del Principe delle Serpi [Pansy Parkinson].
Ed è per sempre.
[Dedicata a Cecilia <3]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ron Weasley
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ci sono momenti in cui ha una fottuta paura che lÕenormitˆ di quello che prova sia di dominio pubblico
   
Dedicated To:
    
A Lei, mia carissima Amica che da che la conosco mi è sempre stata vicina nonostante tutto. 
   
A colei che mi ha sempre ascoltato e capito.
   
A colei a cui confido sempre tutto. Anche ciò di cui mi vergogno.
   
A colei che mi consola sempre e comunque.
       
A colei che sa tirarmi su di morale con una semplice parola.
   
A colei che mi conosce e nonostante ciò mi resta vicina.
   
A colei che sopporta sempre tutto. Compresi scleri insulsi e da ricovero.
    
A colei che con santa pazienza mi sopporta.
   
A colei che mi ha fatto passare il capodanno migliore della mia misera esistenza.
   
A Cecilia. Semplicemente per tutto. E perché io senza di te non saprei davvero come fare.
 
       

   

      

     

    

    

Ci sono momenti in cui ha una fottuta paura che l'enormità di quello che prova sia di dominio pubblico.

Ci sono momenti in cui ha paura di parlare di lui perché qualcosa potrebbe trasparire dalla sua voce.

Ci sono momenti in cui ha addirittura paura di guardarlo, proprio come in quella situazione, perché è sicura che i suoi occhi non riescano a nascondere il sentimento che dirompente ha messo seme nel suo petto.

In quei momenti [non] si chiude in bagno [lo guarda] e si trucca [mai].

Copre il suo volto nel modo più banale possibile. Lo seppellisce sotto strati di trucco e quando esce dal bagno lei [non è più] è solo la ragazza del Principe delle Serpi [Pansy Parkinson].

Ed è per sempre.

  

 

 

Make-up

[It's only a trick]

 

 

"[...]e la sconcertante scoperta di quanto sia silenzioso, il destino, quando, d'un tratto, esplode. [...] "

A. Baricco, Oceano Mare

  

  

Pansy avanzò con passo lento ed elegante [calcolato] nella sala addobbata a festa, i suoi compagni avevano decorato il soffitto con festoni verdi e argento, fuori, lo sapeva bene stava piovendo a dirotto ma nella Sala Comune della sua casa nonostante l'umidità e gli sguardi malevoli per un attimo si sentì come a casa dimenticandosi per un attimo che uno è a casa solo dove sente il calore della famiglia [dove c'è il suo cuore]. Le pareti erano state decorate con numerose luci azzurre. Contro un muro era stato piazzato un tavolo coperto da una tovaglia bianca con il rinfresco; e negli angoli della sala erano stati predisposti delle poltrone e dei tavolini, chiaramente tutti verde e argento.

Per un attimo Pansy si sentì fuori posto con il suo abito rosso [colore scontato per la puttana di Hogwarts per antonomasia] quando Daphne Greengras le passò accanto con un abito bianco ed un sorriso di scherno sulle labbra, come a voler dire: "Guarda tutto questo è stato fatto per te, ammiralo perché questo è tutto quello che non avrai mai." .

Nessuno notò il suo piede esitare all'ingresso della Sala Comune e lei ringraziò il Cielo e anche il Diavolo per questa minima grazia.

Ma quel momento di smarrimento era passato e ora Pansy Parkinson avanzava con passo misurato verso il gruppetto di Slytherin dell'ultimo anno che era appostato in un angolo della sala accanto al rinfresco.

Non un saluto quando li raggiunse, solo il braccio di Draco Malfoy che si stringeva possessivo intorno alla sua vita e i complimenti che rivolse a se stessa perché era riuscita a non tremare nel sentire quel contato gelido contro la sua epidermide calda e al ricordo di un altro braccio che l'aveva stretta con disprezzo.

 

 

I passi rimbombavano per i corridoi vuoti creando l'illusione di un inseguimento [dal proprio cuore] a perdifiato in quel dedalo di corridoi il cui silenzio era interrotto solo dal ticchettio delle scarpe sulla roccia fredda e dal suo respiro ansimante [che sembrava supplicarlo: "va via, va via. Va via, per favore"].

Si fermò un attimo appoggiandosi alla parete fredda [come le sue mani, come il suo cuore] per riprendere fiato. I capelli neri fino a poco prima intrecciati in una sapiente quanto complicata pettinatura, ora le ricadevano sul volto e sulle spalle in ciocche scomposte e disordinate, ma quello, a differenza del fiatone non era colpa della corsa ma di come Draco aveva deciso di festeggiarle i suoi diciotto anni.

Era più bella del solito, peccato che non ci fosse nessuno ad osservarla in quel luogo, almeno così lei credeva fino a quando non sentì una voce gelida sussurrarle:

– Parkinson che diavolo stai facendo in giro a quest'ora? –

Pansy voltandosi s'impose di mantenere un'espressione neutra sul volto.

– Potrei farti la stessa domanda. – replicò gelidamente la Slytherin osservando il suo interlocutore dalla testa ai piedi.

Ron Weasley indossava un paio di pantaloni di una tuta e una polo bianca con il colletto aperto, i capelli rossi erano scarmigliati e sul collo aveva il segno di un succhiotto.

– Parkinson non costringermi a togliere dei punti alla tua casa. –

– Potrei fare lo stesso con te. – gli ricordò lei sardonica. – E poi non penso che sarebbe una costrizione. Non vedi l'ora di togliermi dei punti. – continuò melliflua.

 

Era un dolce veleno quello che scendeva tra di loro che le scivolava lento in quel vuoto che c'era al posto del cuore ogni volte che lo vedeva.

Si chiese per quanto sarebbe andato avanti questo loro gioco fatto di dolci stilettate al petto e sguardi sprezzanti e invidiosi.

 

Il Grifone s'irrigidì a quelle parole consapevole che la ragazza aveva ragione e aspettandosi una stoccata più profonda che non arrivò.

Ron rimase comunque in attesa di qualcosa, qualsiasi cosa che spezzasse il silenzio che era calato, solo perché Pansy aveva preferito non seguire il loro copione, e pesava sulle loro teste come una condanna o una promessa di novità.

– Allora, cosa fa un Grifondoro in giro per il Castello a quest'ora di notte? – domandò lei come a volersi scusare per non aver avuto la forza di portare a termine il suo affondo.

– Non siete gli unici ad andare in giro di notte. – ribatté lui acidamente ringraziando però di quel ritorno alla normalità.

Lei ghignò:

– Ma come? E voi dovreste essere i bravi ragazzi? –

– Almeno noi non siamo dei seguaci di Tu-Sai-Chi. – ringhiò lui.

– Ma siete comunque razzisti. – rispose lei placidamente sentendosi al sicuro, nascosta dall'ombra rassicurante dei sotterranei, protetta dal silenzio complice di quella notte e rassicurata dall'alcol che le scivolava languido nelle vene mischiato al suo sangue purissimo.

– Weasley, tornatene nella tua Torre e vedrò di chiudere un occhio sulla tua scampagnata notturna. – affermò lei.

–Come ti permetti di minacciarmi eh, Parkinson? – chiese lui con rabbia.

Lei rimase un attimo in silenzio, come a voler soppesare quelle parole, assaporarle e lasciarle scivolarle piano nella carne, come un'ennesima coltellata su un corpo già martoriato.

Aprì la bocca, come a voler replicare a quella domanda che era più un'accusa ma un giramento di testa la colse di sorpresa, costringendola ad appoggiarsi al muro per rimanere in piedi, e poi a farsi scivolare lungo la parete di pietra fredda, fino a sedersi a terra.

– Pensi di farmi pietà? – domandò lui con un astio malcelato.

– Non è questo che voglio. – sibilò lei e per un attimo [lungo una notte intera] pensò, o meglio, sperò che quella fosse l'unica realtà e che non ci fosse nessun domani, ma solo delle confessioni lunghe una vita intera.

– Allora cosa vuoi, Parkinson? – ringhiò lui infastidito da quella, che aveva deciso fosse falsa, debolezza.

– Voglio la verità. – sospirò lei.

Lui scoppiò, semplicemente, a ridere, amaramente. Pansy trovo quasi fastidiosa quella risata che spezzava il silenzio dei corridoi con un'ingiusta violenza.

– Tu vuoi la verità? – alitò Ron. – Voi Serpi neanche lo sapete cosa sia la verità. –

– Ti sbagli. Per nasconderla agli occhi degli altri noi dobbiamo conoscerla alla perfezione. – rispose lei con finta dolcezza, come se stesse spiegando un concetto basilare ad un bambino che non voleva saperne di capirlo.

Lui sbuffò non riuscendo comunque a credere alle parole della ragazza.

– La nostra è una conversazione inutile. – affermò lei dopo un paio di minuti d'insopportabile silenzio, sperando così di mettere fine a quella conversazione che tutto ad un tratto non riusciva pi? a sopportare. – Rimaniamo entrambi fermi sulle nostre certezze. –

– Magari perché le tue certezze sono quelle di una sporca Mangiamorte. – ringhiò lui.

Pansy non rispose, ma si alzò incamminandosi poi verso il suo dormitorio con l'unico desiderio di mettersi a correre ed andare a nascondersi nel suo letto al sicuro, da quelle accuse ingiuste.

Proprio come da quell'ennesima possibilità sprecata nel nome di uno spirito di auto-conservazione che avrebbe solo finito col trascinarla a fondo.

   
 
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