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Autore: Mari087    28/08/2013    1 recensioni
Amelia e Zelgadiss, una serata a Saillone, tranquilla ma non troppo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zelgadis Greywords
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Onestamente, ero profondamente insicura sul fatto di pubblicarla o meno…però, già che c’è… e già che è finita… 
 
Dieci giorni non sono un tempo sufficiente per far sì che  qualcosa diventi un abitudine. Però ci possono essere delle eccezioni.
 Ed effettivamente Zelgadiss, se solo avesse voluto, avrebbe anche potuto ammettere senza sbagliarsi che si era abituato a molte cose, in quella sua ancora breve permanenza al palazzo di Saillone.
Meraviglie della complessità umana: sapeva (ma senza sapere) che, fra qualche minuto, Amelia avrebbe aperto la porta di quella stanza e lo avrebbe fatto rumorosamente, che appena entrata avrebbe detto qualcosa del tipo “come è andata la tua giornata?”, e sfilandosi con un solo gesto della mano destra la tiara, che evidentemente a fine giornata le doveva pensare un sacco sulla testa, si sarebbe seduta sul divano aspettando che qualcuno la chiamasse per cena, mentre continuava a chiacchierare di tutto quello che le passava per la mente.
Zelgadiss, appunto, si era abituato a quel momento. Solo che non lo sapeva. Ma non tanto da non accorgersi che quella sera le cose non andavano come di consueto: Amelia entrò nella stanza a passo lesto come al solito, ma non aveva nessuna tiara da sfilare, non gli chiese come stava, e non aveva nessuna intenzione di sedersi sul divano in attesa della cena: molto frettolosamente, gli comunicò che aveva da fare, e…buona serata, a domani.
Teoricamente, nessuno doveva accorgersi del fatto che quella sera la principessa Amelia abbandonava abito di corte e scarpette per indossare i suoi più comodi vestiti da viaggio e uscire senza pompa magna. Però, come osservando una sorta di dovere morale, Amelia non riuscì a trattenersi dall’entrare nella stanza dove sapeva (senza sapere, per altro) che c’era Zelgadiss che l’aspettava, per rispondere con qualche monosillabo o con qualche frase a metà del tipo “sì, qualcosa di non molto pertinente ma interessante” alle sue domande generali che però mascheravano (ma non troppo) l’ansia di chiedere come erano andate le sue ricerche della giornata.
Per cui, Amelia si ritrovò ad uscire dal castello di nascosto ma non da sola, seguita dal passo lento della chimera che senza molte spiegazioni l’accompagnava dove era diretta.
Il castello di Saillone era grande, e poteva anche succedere che qualcosa verificatosi in uno dei suoi appartamenti non trapelasse attraverso i muri per arrivare all’orecchio degli abitanti che si trovavano negli altri.
Ma Zelgadiss aveva le orecchie lunghe non solo in senso letterale, e aveva sentito che qualcosa era successo: la famiglia reale aveva sbagliato, due giorni fa, e si era scoperto solo quella mattina che un tizio trattenuto nelle celle e sottoposto ad interrogatorio perché sospettato di far parte di una qualche banda di criminali qualsiasi, era in realtà solo uno sfortunato omonimo di un ancora libero bandito, con il quale condivideva, sfortunatamente, non solo il nome ma anche  la corporatura e la fascia d’età.
Errare è umano: ma per un “paladino della giustizia”, o aspirante tale, sbagli del genere sono macchie indelebili, tanto più che a quanto pare questo tizio era molto giovane, e la principessa si era presa la briga di fargli qualche ramanzina personalmente.
E quindi Zelgadiss si ritrovò a guardare le spalle di Amelia che gli camminava davanti, con passo sicuro fra le strade del suo paese, ma per niente tranquilla.
Amelia saltava da un argomento all’altro senza soluzione di continuità, parlando di tutto e di niente, evitando deliberatamente di spiegare cosa voleva fare e dove era diretta, mentre con la mano destra tormentava un angolo innocente del suo mantello, e con la sinistra gesticolava con movimenti ampi che servivano ad accompagnare i numerosi tentativi di conversazione falliti.
Se fosse caduta da un momento all’altro, per Zelgadiss non sarebbe stato affatto difficile afferrarla per evitare che si facesse male, così come abbastanza facile sarebbe stato portarla via se si fosse verificata un’improvvisa esplosione (un uomo dalla vita tranquilla non avrebbe mai ponderato un’eventualità del genere in una serata d’estate per le pacifiche vie della capitale della magia bianca, ma chiunque, dopo aver viaggiato con Lina Inverse, sapeva con certezza che quest’ultima opzione non era poi così improbabile): cercare di aiutarla a non farsi male, però, era un conto. Aiutarla in qualche modo a non stare male, invece, era un altro paio di maniche, per niente facili da indossare.
Non perché lui non  avesse capito che  c’era qualcosa che non andava: semplicemente, non sapeva come far fronte allo stato d’animo che Amelia nascondeva sotto le chiacchiere, quella sera.
Era anche vero che poteva benissimo ignorare quel dato di fatto e continuare la sua passeggiata silenziosa senza interrogarsi ulteriormente sullo strano fastidio che questa difficoltà gli creava ma, per effetto vizioso, la difficoltà in questione aveva generato in Zelgadiss un inatteso quanto inappropriato accenno di senso di impotenza. Ci poteva essere cosa più fastidiosa al mondo?
Zelgadiss pensò che la presenza di Lina e del torrente inarrestabile d’energia che investiva chi le stava intorno, quella sera, sarebbe stata molto utile.
Amelia ovviamente di tutto quello che pensava la chimera era ignara, e continuava a perdere e a ritrovare da sola le fila dei suoi vuoti monologhi, fino a quando, svoltando l’ennesimo angolo, trovò finalmente la sua meta.
Un vero eroe non teme (quasi) niente: ma la mano della principessa tradì la sua stessa proprietaria quando, accostandola alla porta della casa davanti la quale si trovavano, tremò abbastanza visibilmente.
Ad ogni modo la mano traditrice fece il suo dovere, e subito dopo si sentirono chiaramente i passi di qualcuno che, dall’altro lato della porta, si avvicinava per aprire.
Amelia non aveva di certo una figura che può intimorire alla prima occhiata: eppure, la donna di mezza età che aprì l’uscio, vedendo la principessa del suo paese sulla soglia, non riuscì a trattenersi dallo spalancare gli occhi.
“Principessa…è successo… qualcos’altro?”
La mano destra di Amelia andò dritta a ricercare il tormentato angolo del suo mantello, e a stringerlo nervosamente. Stessa stretta, di natura diversa, allo stomaco di Zelgadiss, che si chiese da quando era diventato così dannatamente empatico con le stoffe dei mantelli.
“No, non si preoccupi, io…sono solo venuta  a scusarmi personalmente con il ragazzo che…insomma, lo sa. Immagino sia suo figlio, giusto? È in casa?”
Con un gesto della mano e uno della testa la donna diede conferma alle domande di Amelia e contemporaneamente invitò principessa e accompagnatore ad entrare.
Seduto al centro di un tavolo e circondato da tutto il resto della sua famiglia, quando il ragazzo ingiustamente arrestato vide entrare Amelia tirò la sedia indietro e si alzò di scatto, evidentemente preda degli stessi timori della madre.
Zelgadiss si chiese quanto il mantello di Amelia fosse resistente.
 “Ehm…ciao! Tranquillo, tranquillo! Come dicevo a tua madre, sono qui solo per portarti le mie scuse personali per…ehm…l’equivoco che si è creato…”
E piegando leggermente la testa da un lato, e forzando più che poteva il suo sorriso, mentre il povero angolo di mantello già torturato periva di morte improvvisa nonostante la strenua resistenza, gemendo con un “crac!” che sanciva lo strappo, Amelia, liberandosi frettolosamente del piccolo cadavere che passò senza tanta grazia a Zelgadiss che stese d’istinto la mano per raccoglierlo, continuò:
“Io…io…Amelia Wil…no, io, Amelia, ti chiedo scusa per l’errore e per averti trattenuto lontano dalla tua famiglia e dal tuo onesto lavoro”.
Potere dell’animo umano: l’espressione di paura del ragazzo passò rapidamente ad un sorriso di compiacimento.  Il regno di Saillone si era già dimostrato generoso di scuse (e risarcimenti) nei suoi confronti, ma ricevere in casa l’ammenda personale di una principessa fa sempre piacere. Però, preso così alla sprovvista, il giovane non sapeva che fare. Doveva ringraziarla? In fondo, però, la “vittima” era lui…(e qui, la mente del povero innocente gli giocò un brutto scherzo, facendogli rivivere l’amaro ricordo dell’ora passata a tu per tu con la principessa del suo regno in piena modalità oratoria, ora a cui era sopravvissuto solo perché nell’atto di salire sul tavolo per rendere più efficace la perorazione l’abito di corte lasciava intravedere buona parte delle gambe dell’oratrice, che il giovane costatò, in maniera assolutamente oggettiva, non essere affatto male).
Stretto ancora nell’incertezza, il ragazzo non riuscì a fare altro che chinare lievemente la testa e mormorare qualcosa che era vagamente simile ad un “grazie”.
All’interno di quella casa della capitale della magia bianca si era riunita larga parte della famiglia del giovane, accorsa per visitare lo sfortunato e per commentare l’evento: a Saillone la giustizia sbagliava molto di rado e il ragazzo avrebbe avuto qualcosa di straordinario da raccontare ai suoi nipoti.
 Mentre una più sollevata Amelia cercava le parole giuste per accommiatarsi, il più vecchio fra i parenti del ragazzo, che a giudicare dall’aspetto doveva avere più anni che capelli in testa e che aveva sonnecchiato fino a quel momento, si alzò con evidente sforzo dalla sedia e disse:
“Ragazza! Non so quello che hai fatto a mio nipote né chi tu sia…”
Imbarazzo generale dei presenti, che vedevano svaniti nell’aria tutti i tentativi di spiegazione sull’accaduto tentati fino a poco prima l’arrivo di Amelia.
“Però, da quello che ho capito, sei stata così gentile da venirti a scusare di presenza e di fronte a tutti, quindi noi adesso dobbiamo necessariamente…”
Amelia si sentì improvvisamente preda della paura e la sua mano destra stava cercando nuovamente di afferrare un angolo del mantello, e ci sarebbe riuscita se  Zelgadiss, che evidentemente non aveva ancora superato il lutto precedente perché teneva ben saldo il piccolissimo pezzo di stoffa deceduto dolorosamente, non le avesse sussurrato un fermo “basta!” accompagnato da un lieve tocco con il quale le allontanava il polso dal mantello.
“…invitarti a cenare con noi!anche lui deve restare, si capisce, si capisce.”
Amelia non andava molto per il sottile, in certe cose: quando c’era da mangiare, mangiava, e in genere non disdegnava nemmeno l’idea di incontrare nuove compagnie.
Però, in quel momento, si sentiva in imbarazzo, e forse anche più di Zelgadiss, il che era un fatto assolutamente eccezionale.
Eppure, dato che non aveva alcuna intenzione di essere scortese, si ritrovò in un battibaleno stretta fra due sedie, fra la sorella maggiore dell’innocente e il braccio di Zelgadiss, impotente di fronte alle scuse dei suoi ospiti per la tavola piccola e per l’invito improvvisato…se avessero saputo di avere a cena niente di meno che la principessa, ovviamente, si sarebbero organizzati meglio, avrebbero tirato fuori la tovaglia e il servizio buono, ma così alla sprovvista…
Il fatto che comunque Amelia si dimostrasse di sano appetito, e che mangiasse lo stesso nonostante la tavola non fosse stata apparecchiata secondo i canoni dell’etichetta, rincuorò non poco le donne della casa, che videro cadere davanti ai loro occhi il mito secondo il quale le principesse mangiano quanto gli uccellini.
Zelgadiss, nel frattempo, non sapeva che pensare:  Amelia si scioglieva letteralmente, infervorandosi nel parlare e abbandonando qualsiasi tensione muscolare, e questo gli faceva estremamente piacere, per due ordini di motivi. Innanzitutto perché, volente o nolente, per riflesso, anche lui perdeva tensione, e poi perché la conversazione veniva assorbita dall’ospite principale della serata, che era appunto Amelia. Poteva mangiare in silenzio godendosi il piacere sottile che gli veniva dalla consapevolezza di avere Amelia seduta vicino: non che fosse inusuale per lui, ma il fatto di trovarsi circondato da persone che non conosceva affatto sottolineava in maniera particolare il senso di conforto  che provava ad averla accanto. Che il conforto venisse dall’avere accanto Amelia e non un'altra persona qualsiasi, ovviamente, era un fatto di poca importanza...
Zelgadiss era appena riuscito a convincersi con sufficiente forza del suo ultimo pensiero, quando in un attimo i suoi sforzi furono spazzati via dalla curiosità del vecchio sonnacchioso, che a quanto pareva non rinunciava affatto al vino, nonostante le lamentele sul suo stomaco che non funzionava più come prima, che gli chiese:
“E quindi, tu, giovane… sei straniero? che fai qui di bello a Saillone? Non che qui manchino le cose da fare, si capisce, si capisce…”
Domanda lecita e forse anche abbastanza prevedibile, per la quale Zelgadiss aveva una risposta altrettanto lecita: bisognava solo trovare una frase idonea per dire che era lì per fare delle ricerche, mantenendosi sul generico, e quindi…
Ma Zelgadiss fece il grave errore di girarsi per un attimo ad osservare Amelia che gli porgeva un piatto, dicendo qualcosa ad una commensale del tipo “sì, a lui questo piace, grazie, che gentile, Zelgadiss assaggia questo, è per te!, allora, ti stavo dicendo…”…
Lui era a Saillone per motivi puramente legati alla ricchezza di informazioni che vi si potevano trovare, e viaggiare con Amelia non rientrava nemmeno lontanamente nelle sue priorità. Risposta troppo lunga, che nella versione originale fu rimodulata in un più semplice:
“Sono qui per fare delle ricerche nelle biblioteche”.
Chiaro, preciso e deciso. Il vecchio si sarebbe ritenuto soddisfatto della risposta. Lui se ne sentiva stranamente sempre meno convinto.
Ma l’età ha il sopravvento sulle capacità di ascolto degli esseri umani, per cui l’anziano ospite aveva già dimenticato cosa aveva chiesto al suo commensale, e stava puntando il dito dritto verso chi gli sedeva accanto:
“Comunque, signorina, tu somigli a qualcuno che io conosco!aspetta…”
Attimi di attesa: vuoi vedere che…
“Non sei la figlia di Joseph?”
E Amelia che rispondeva, fra le risate nascoste dalla mano che teneva davanti alla bocca:
“Mi ricorda tanto qualcuno che io e Zelgadiss conosciamo bene!”
Ancora qualche risata generale, un po’ di risentimento per il vecchio,  e la cena volgeva al termine. I saluti finali furono molto più cordiali e calorosi dell’accoglienza: ormai il giovane ingiustamente trattenuto pensava che in fondo quell’ora passata nella cella con la principessa non era stata poi così pesante da sostenere, e che forse durante qualche parata regale poteva anche sperare di ricevere un saluto personale da Amelia, che continuava però a preferire in abito di corte, per motivi assolutamente oggettivi, naturalmente.
E così principessa e chimera al seguito lasciarono quella casa di Saillone, e furono immersi nelle strade buie della capitale del regno della magia bianca, non senza aver udito, subito dopo che la porta fu chiusa, la voce stridula dell’anziano che esclamava un costernato:
“Cosa, quella era la principessa?!”
Sì, era la principessa, che ora sorrideva di sollievo nel buio delle strade di Saillone.
Ogni tanto Amelia sembrava nascondere momentaneamente da qualche parte tutta l’energia che le circolava per il corpo, per assumere un atteggiamento che si poteva quasi (ma solo quasi) definire come riflessivo, anche se il termine non restituiva l’esatta sensazione che la principessa dava agli altri in quei brevi momenti.
 Durante le rare volte nelle quali Zelgadiss aveva visto Amelia immersa in quella strana pace, aveva sempre pensato di lei che in quell’istante non bloccasse affatto il fluire naturale degli stimoli esterni verso il suo interno, come tentavano di fare molti esseri umani nei momenti di pausa, ma sembrasse anzi impegnata a bilanciare l’enorme quantità di cose che i suoi occhi spalancati sul mondo vedevano (o avevano visto) e tutto quello che al mondo Amelia avrebbe voluto restituire, sotto forma, ovviamente, di convinzioni ed azioni che secondo lei erano conformi a quello in cui più fortemente credeva.
Quei rari istanti, Amelia se li concedeva perlopiù quando era sola su di un ramo di un albero o quando fissava il fuoco.  Succedeva anche, però, che si impegnasse in quella strana attività di bilanciamento in una versione più sociale: alcune sere, quando parlava con  Lina, ad esempio, sembrava letteralmente bere con gli occhi le informazioni e notizie che la maga-genio le forniva, e così le due ingaggiavano lunghe  conversazioni a mezza voce che sfociavano poi, quasi sempre, in uno scontro di idee e opinioni che di silenzioso aveva poco.
Zelgadiss si era accorto che sempre più spesso Amelia riservava le particolari accortezze di chi ascolta veramente anche a lui. E la cosa non gli dispiaceva affatto.
In quel momento, Amelia stava concentrandosi nella sua attività di assorbimento-rilascio a beneficio dell’atmosfera delle strade di Saillone. Perché adesso era rilassata, e gli camminava accanto, senza sforzarsi di nascondere niente dietro fiumi inutili di parole.
Forse avrebbe dovuto dire qualcosa. Forse avrebbero dovuto commentare l’accaduto. O forse no. Lo tolse dall’imbarazzo Amelia stessa, che fermatasi in un punto preciso di un ponticello che stavano attraversando, gli disse:
“Guarda, questo è uno dei miei punti preferiti della città. Da qui, si può vedere il castello…ma anche le case e le strade che ci sono intorno.”
Silenzio.
“Zelgadiss, come è andata la tua giornata?”
A certe cose ci si abitua in fretta. Però, per quanto piacevoli, certe abitudini possono diventare distrazioni. La consapevolezza, come spesso accade, colpì Zelgadiss come un fulmine scaraventato all’improvviso dal cielo sereno di Saillone su di lui.
“Amelia?”
“Sì?”
“Domani parto”.
Ad Amelia sembrò che le ultime parole il suo amico le avesse pronunciate con un certo senso di sollievo. Ed era vero, perché come il tuono segue sempre il lampo, all’improvvisa presa di coscienza di Zelgadiss si era affiancata anche la certezza che Amelia, da bella distrazione quale poteva diventare, si sarebbe benissimo potuta trasformare per lui in uno di quei ricordi che spingono a vivere meglio il presente.
Fino ad un certo punto, aveva tenuto il conto di quante volte aveva perso la speranza, per poi recuperarla appena veniva a conoscenza di una nuova possibilità: per cui, non si era mai arreso.
Infatti, ad ogni nuova parata reale che si sarebbe svolta, il giovane una volta ingiustamente incarcerato, che ormai era un uomo fatto e finito, faceva di tutto per trovarsi giusto in prima fila, per scoprire se quello che aveva pensato una volta fosse vero, e cioè se la principessa si sarebbe ricordata di lui, presa come era dal partire e ritornare periodicamente a Saillone.
Solo che la cosa non era affatto facile: tutta la gente si riversava dalle case per le strade, e anche se una o due volte si era trovato abbastanza vicino da poter vedere chiaramente la parata, non lo era sicuramente abbastanza per essere visto da chi sfilava.
Quel giorno, finalmente, ci era riuscito. Era in prima fila. In primissima fila. E la carrozza aperta della principessa si stava avvicinando.
Tentò di intercettarne lo sguardo: e i suoi sforzi ripetuti furono ripagati da un cenno della mano della principessa del suo paese e da un sorriso che confermava il fatto che, comunque, il “Ciao!” che lo aveva accompagnato era di quelli che si pronunciano non per educazione, ma perché hai appena riconosciuto il viso di una persona di cui in quel momento forse non ricordi il nome, ma con cui sai di aver parlato, almeno una volta nella vita.
“Quel tizio che hai salutato durante la parata, non era quel giovane che..?”
“Sì. Come è andata la tua giornata, Zelgadiss?”
Silenzio.
“Amelia?”
“Sì?”
“A che ora partiamo, domani?”.
Perché anche le volontà più ferree non possono non riconoscere quando una distrazione è in realtà una necessità, e perché di certe cose il ricordo decisamente non basta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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