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Autore: Aretusa    28/08/2013    1 recensioni
Jonathan Christopher Morgenstern, ha deciso di consegnarsi al Conclave e chiedere di essere perdonato per le colpe commesse da suo padre. Sa di non avere alcuna possibilità, ma che importa quando sei solo al mondo e ciò che ti resta non è altro che te stesso?
Il rituale di legame con il suo fratellastro Jace sembra averlo cambiato definitivamente, al punto che forse... forse, potrebbe anche arrivare ad innamorarsi.
Ma chi mai potrebbe ricambiarlo?
Chi amerebbe mai, una bestia?
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Izzy Lightwood, Jonathan
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4

IL FASCINO DEL DIAVOLO

 


 
L’odore intenso e pungente del caffè caldo si espandeva per tutti i corridoi dell’istituto saturando  l’aria fresca di Novembre di un delizioso aroma speziato che s’insinuava a forza fin sotto le porte delle camere da letto al piano di sopra.
Isabelle raccolse un paio di jeans sbiaditi dal mucchio infondo all’armadio e ci abbinò sopra un cardigan bianco dalla scollatura a V piuttosto profonda che smorzò con una sciarpa. Infilò i piedi in un paio di anfibi con la suola spessa che aveva recuperato da sotto il letto e che – ricordò distrattamente – aveva prestato a Clary la notte in cui avevano conosciuto Magnus Bane e in cui Simon era stato trasformato in un topo a causa di un cocktail azzurro che probabilmente era opera di qualche stupida fata che non aveva niente di meglio da fare che trasformare i suoi amici in piccoli roditori.
Sorrise al pensiero di Simon con le orecchiette rotonde e i baffetti che tremavano dallo spavento mentre Clary cercava disperatamente di raccoglierlo da sotto un tavolo. A pensarci adesso, poteva sembrare divertente, ma al tempo ricordava di essersi sentita tremendamente in colpa per aver lasciato che gli accadesse qualcosa del genere.
Rovistando in mezzo alle lenzuola aggrovigliate sulla quale aveva passato la notte completamente in bianco – in tutti i sensi – trovò il cellulare che la sera prima aveva lanciato li da qualche parte dopo aver litigato proprio con lui.
Il display registrava venti chiamate perse, oltre ad una decina di messaggi che la ragazza si premurò a cancellare ancora prima di leggere.
Non voleva sentire le sue patetiche scuse.
In quel momento era talmente infuriata che avrebbe anche potuto chiedere a Magnus di cercare un incantesimo che lo trasformasse in un pipistrello, tanto per fargli provare una volta per tutte l’ebbrezza di essere un vero vampiro, consacrato al sangue e al sesso, invece che ai videogiochi per nerd e alla consolazione di problematiche amiche dai capelli rossi con tutto il resto della famiglia al seguito.
Accidenti, in cosa credeva di essere stato trasformato? In un orsetto di peluche pronto per essere coccolato?
Era un vampiro, per l’Angelo!
Si cacciò il cellulare nella tasca posteriore dei jeans e scese a fare colazione, chiudendosi la porta alle spalle.
Dal piano di sotto, in prossimità della sala da pranzo, si udiva un denso brusìo di voci che facevano da sottofondo alle stoviglie e alle porcellane che venivano battute tra loro prima di essere adagiate con un tonfo secco sul legno di quercia robusto del tavolo. Isabelle si fermò un attimo ad ascoltare dietro la porta, prima di entrare. In realtà non sapeva bene cosa avrebbe potuto trovare dentro a quella stanza, ma di sicuro aveva le idee molto chiare su quello che invece sarebbe stata felice di trovare: Sebastian legato ad una delle sedie mentre qualcuno – sua madre, forse – gli bruciava la pelle di tutto il corpo con un attizzatoio bollente.
Sebastian.
Che una maledizione lo potesse colpire come un fulmine in piena testa!
Era colpa sua, se quella notte non era riuscita a chiudere occhio.
Sarai talmente innamorata di me che farai di tutto per proteggermi.
Come cavolo gli era venuto in mente di dire una cosa del genere?
Pazzo! Sebastian Morgenstern era maledettamente pazzo!
L’unico interesse che lei avrebbe mai potuto avere nei confronti di quell’individuo poteva essere quello di prenderlo a colpi di frusta e poi squartarlo lentamente, possibilmente evitando di fargli perdere subito i sensi, così che sentisse il massimo del dolore possibile. Portarlo in punto di morte e poi guarirlo disegnandogli iratze sulla pelle scorticata, e poi ripetere tutta l’operazione daccapo, ancora, e ancora, e ancora…
«Isabelle».
La voce calma e seria di Maryse dietro di lei, la ridestò dai suoi pensieri omicidi appena un attimo prima che la porta della cucina si aprisse dall’interno e la testa di Jace non spuntasse fuori come un fungo. Il ragazzo aveva i capelli dorati arruffati in una massa disordinata, come se si fosse appena svegliato dopo aver dormito dentro ad una lavatrice.
«Alla buon ora!», disse il fratellastro, rivolgendogli un cenno col mento a mò di saluto, poi si rivolse a Maryse. «Buongiorno», la salutò, sorridendo  debolmente, come se fosse imbarazzato.
Sua madre rispose con un oscillazione del capo, mentre Isabelle sollevò un sopracciglio, incuriosita. Jace imbarazzato era uno spettacolo più unico che raro, una specie di fenomeno soprannaturale, come il sole che sorge a mezzanotte o Church che si mostrava affettuoso con qualcuno.
Non che ci volesse una laurea in psicologia per capire che il suo comportamento fosse dovuto al fatto che la presenza dell’assassino di un membro della loro famiglia all’interno della loro casa fosse in parte colpa sua, ma era comunque strano vedere un espressione del genere sulla sua faccia da schiaffi. Non che Maryse c’è l’avesse in qualche modo con lui per quello, solo era sempre stata una persona piuttosto pratica, non troppo incline alle manifestazioni d’affetto o a tutto ciò che considerasse superfluo. Era fatta così, c’era poco da fare, la cosa positiva era che raramente rimaneva arrabbiata per più del tempo necessario.
«Vi va di fare colazione?», chiese Jace, spalancando la porta della cucina con un sorriso speranzoso che insieme al profumo invitante di pastella rendeva praticamente impossibile rifiutare quell’invito.
Isabelle fece per entrare nella stanza, con sua madre alle spalle, ma si bloccò non appena si rese conto della scena che le si era parata davanti.
Ancora più assurdo del sole notturno, o di Jace intimidito, o di qualunque altra cosa assurda che qualcuno con un minimo di sale nel cervello avrebbe potuto immaginare: Sebastian armeggiava davanti ai fornelli con una grossa padella, e sopra la sua testa, un paio di frittelle roteavano in aria come piccoli dischi volanti mollicci. Clary era accanto a lui, poggiata con le anche sul bancone, con un’enorme scodella in una mano e una frusta da cucina nell’altra, indossava un grazioso grembiule addobbato con gale e balze bianche e rosa, si era fatta le trecce e, se avesse indossato anche uno di quei cappelli triangolari poteva essere scambiata per la figlia dodicenne di un gelataio. Non appena la sentì entrare si voltò verso di lei, la faccia sporca di pastella e un sorriso sbilenco, ma felice.
«Ehi», le disse, a mo di saluto.
«Che succede qui dentro?», chiese Isabelle fredda, mettendosi le mani sui fianchi per darsi un certo tono.
Clary la guardò sbattendo le palpebre, confusa. «Prepariamo la colazione», disse semplicemente. «Non hai fame?».
«L’avevo», ribatté, usando di proposito il verbo al passato mentre spostava lo sguardo in modo più che eloquente sulla schiena di Sebastian.
Prima di vedere il diavolo in persona preparare frittelle nella cucina di casa mia.
Quella era un’esperienza che, con ogni probabilità, avrebbe fatto passare l’appetito a chiunque.
Come se lui avesse percepito il suo sguardo, si voltò lentamente, prendendo al volo un paio di frittelle con un piatto  e impilandole come un giocoliere esperto.
«La colazione è il pasto più importante della giornata», intervenne Sebastian, posizionando il piatto sul tavolo e versando sulle frittelle una cucchiaiata di miele. «nessuno dovrebbe saltarlo. E tu sei una cacciatrice, hai bisogno di energie per far fuori i demoni cattivi a colpi di frusta, Belle».
Le rivolse un sorrisetto malizioso, e un barlume di divertimento gli accese l’oscurità degli occhi nerissimi.
Come osava proprio lui dare a lei dei consigli su come cacciare i demoni?
Isabelle lo fulminò con lo sguardo sopprimendo la strana sensazione alla bocca dello stomaco che aveva provato sentendogli pronunciare il suo nome.
Belle. 
Nessuno l’aveva mai chiamata così.
E comunque che cavolo era quella storia? Avevano deciso di giocare tutti insieme alla famigliola felice?
«Ho l’impressione che ci vorrà ben altro che un paio di frittelle», borbottò bruscamente sedendosi davanti al piatto fumante, pensando che, se non fosse stato per sua madre, in piedi rigida e con un espressione disgustata davanti alla porta, quella sarebbe anche potuta sembrare la cucina dell’allegra famiglia di una pubblicità di biscotti. Così, invece, ,non sembrava altro che un osceno paradosso. La parodia di qualcosa che non sarebbe mai più potuto essere.
Non senza Max.
Isabelle ripensò ai tempi in cui era una bambina e tutto sembrava più semplice, alle lezioni di Hodge in biblioteca, che somigliavano più a sermoni biblici che a insegnamenti di demonologia, e a Jace che le tirava gomme da masticare nei capelli mentre Alec dormiva su una poltrona con la faccia conficcata in un libro che fingeva di leggere. All’epoca era capace di addormentarsi dappertutto, un abitudine che aveva assunto anche Max, parecchi anni dopo. Ripensò agli addestramenti con le spade di legno, quando ancora erano troppo piccoli per tenere in mano delle vere spade angeliche e al dolore dei primi marchi. Rivide i suoi genitori che si scambiavano il bacio della buonanotte dopo averle raccontato una storia, prima di metterla a dormire, e Jace che la prendeva in giro quando lei si era messa in testa di imparare a cucinare da sola perché sua madre si era rifiutata di farlo, mentre suo padre e Alec fingevano di mangiare con gusto ogni cosa per non ferire i suoi sentimenti.
Non sarebbe mai più stato così. Isabelle aveva la tremenda sensazione che non sarebbero mai più riusciti a ridere di vero cuore, che non avrebbero mai più mangiato tutti insieme come una vera famiglia. Non era possibile, con suo padre lontano a svolgere il compito di inquisitore e sua madre che si chiudeva nel suo studio e camminava per la cucina con lo sguardo assente come quello di un fantasma. E con Max, che non c’era più, e Sebastian che, come nel peggiore degli incubi, sembrava aver preso il suo posto nella loro famiglia con la stessa tranquillità con la quale aveva preso il suo posto e la sua sedia a tavola.
Tutto ciò era irreale, e il fatto che Clary fosse tutta contenta di aver ritrovato il suo legittimo e psicopatico fratello, e che Jace continuasse a comportarsi come se tutto ciò fosse normale, rendeva il tutto ancora più ridicolo, oltre che disgustoso e inquietante.
Senza dubbio, Valentine aveva istruito bene suo figlio a recitare la parte del bravo ragazzo, come tutti loro avevano già avuto modo di scoprire la prima volta che l’avevano incontrato, a Idris, quando ancora fingeva di essere l’amabile e premuroso Sebastian Verlac, ma dopo aver scoperto la sua vera natura, e ciò di cui poteva essere capace, il fatto che tutti loro si facessero ancora infinocchiare da lui era semplicemente inammissibile.
Quei due si erano bevuti il cervello. O forse l’amore glielo aveva fottuto completamente. Se era così, doveva necessariamente rivolgere una preghiera di ringraziamento all’angelo Raziel, per avergli risparmiato quell’atroce destino fino ad allora.
Certo, con Simon si trovava bene, era dolce e carino, anche se spesso si comportava da imbecille, tipo quando preferiva giocare alla consolle piuttosto che strofinarsi con lei su un comodo letto, e ogni tanto faceva della battute un po’ stupide, che probabilmente solo Clary poteva capire, ma infondo era un tipo apposto, ed era anche piuttosto innocuo, anche se al momento avrebbe voluto vederlo appeso al muro per la giacca di pelle con un pugnale a serramanico.
Ma non poteva certo dire di esserne innamorata.
In realtà non poteva essere del tutto certa neanche del contrario, non essendolo mai stata prima ma, se era questo l’effetto che faceva l’amore, allora sperava di non innamorarsi mai.
«Caffè?». La voce di Jace, calda e come sempre un po’ sarcastica, la fece tornare alla realtà. Aveva una caraffa colma di caffè fumante in mano e Isabelle stava già per mandarlo a quel paese perché immaginava che quella del caffè fosse solo una battuta per dirle di svegliarsi, ma lui glielo versò in una tazza e dedicò tutta la sua attenzione a Maryse che con la sua tazza fumante in mano uscì dalla cucina così come era entrata, senza proferire parola.
Isabelle fece una smorfia, non le era mai piaciuto il caffè nero, ma pretendere che qualcuno tra loro se ne ricordasse era pura follia, era suo fratello Alec, l’unico di quella famiglia che prestava attenzione a certe cose, peccato che fosse troppo arrabbiato per la storia di Sebastian, per mettere anche un solo piede all’istituto. Se lo immaginò con i capelli scompigliati dal sonno mentre, ancora mezzo addormentato e a piedi nudi, portava la colazione a letto al suo fidanzato, e per più di un attimo rimpianse di non essersene andata via da quell’incubo insieme a lui.
Perfino il Presidente Miao, il gatto di Magnus, era di gran lunga più simpatico di Church.
Isabelle cercò di ignorare il nodo alla gola che le chiudeva lo stomaco, concentrandosi sul colore del caffè che andava schiarendosi per via del latte, ma senza volerlo notò che anche Sebastian aveva aggiunto un po’ di latte nella sua tazza. Il fatto che anche lui il caffè piacesse macchiato le faceva uno strano effetto. Non che avesse mai pensato a lui che bevesse caffè, ovvio, ma se l’avesse fatto l’avrebbe immaginato di sicuro mentre beveva caffè nero.
Nero e amaro come veleno.
Probabilmente lui doveva essersi accorto che lei lo stava fissando da dietro il bordo della sua tazza, perché alzò la testa e la inclinò di lato, incuriosito, e le sorrise impercettibilmente.
Fu una di quei sorrisi appena accennati, di quelli che la gente fa contro la propria volontà, senza riuscire a trattenersi, ma lei lo vide. Lo vide bene, e nonostante intendesse ignorarlo liberamente e fingere che lui non fosse li, o magari che non esistesse, non poté fare a meno di fare un’espressione sorpresa.
Perché quello… quello era un sorriso vero.
Uno di quelli che oltre alla bocca coinvolgeva anche gli occhi.
Uno di quelli che sembrava dire: “Vedi? Noi siamo più simili di quanto pensi. Ci piacciono le stesse cose”. Sembrava parecchio divertito, tanto che, per un attimo, la sua espressione riuscì a farle dimenticare quanto lo odiasse.
Per un attimoebbe persino l’impressione che fosseumano.
I demoni sorridevano? Erano capaci di provare sentimento alcuno?
Non ci aveva mai fatto caso prima, ma i suoi occhi, seppur all’apparenza neri come la pece, avevano uno strano riflesso che li rendeva particolarmente luminosi, o forse era solo la luce del sole che filtrava dalle finestre della cucina a dargli questa impressione? Infondo gli occhi delle persone malvagie non avrebbero dovuto essere vuoti e inespressivi come pozze infinite di buio? Ricordava di aver sentito dire qualcosa del genere proprio a proposito di Sebastian da Clary, o forse da Jocelyn, non molto tempo fa. A lei però non davano quell’impressione. Anzi, se si riusciva a non pensare al soggetto in questione, avrebbe potuto definirli persino belli, caldi; il marrone scurissimo e quasi nero del caffè che stava bevendo, con le ciglia bionde e incredibilmente lunghe che proiettavano ombre scure sugli zigomi alti e perfettamente scolpiti,  e che davano al suo viso l’aria sprezzante e altezzosa di un principe delle tenebre. Stranamente, sembrava molto più cattivo ora, con i capelli  biondissimi come quelli di un angelo, rispetto a quando si era tinto di scuro per impersonare il vero Sebastian Verlac. Di sicuro comunque, nessuno poteva dubitare che quello fosse il vero figlio di Valentine Morgenstern, e Isabelle riusciva quasi a comprendere come la madre di Clary avesse potuto sposare quell’uomo malvagio.
I Morgenstern possedevamo quel tipo di fascino e di bellezza solenne che poteva spingere un angelo persino a rinnegare il paradiso, solo per poterla ammirare da vicino.
Sotto molti punti di vista, lui e Jace si somigliavano molto più di quanto si ci potesse aspettare, considerando il fatto che quei due non avevano una sola goccia di sangue in comune. Beh, senza tener conto del sangue dell’angelo, naturalmente.
Peccato che quello di Sebastian fosse corrotto da quello di demone, e che fosse un maledetto stronzo, anche se questo non toglieva il fatto che fosse decisamente carino. Molto più che carino, in realtà.
La prima volta che l’aveva visto, con i capelli tinti di nero e gli occhi che brillavano come la pece,  aveva pensato che quello fosse uno dei ragazzi più attraenti che le fosse mai capitato di vedere. Aveva fascino e carisma da vendere anche allora, anche se, a quel tempo, fosse troppo immerso nella parte del bravo ragazzo nel tentativo di fregarli tutti quanti come si deve, perché lei lo trovasse davvero interessante.
E Dio sa quanto fosse stato bravo a farlo.
Che infame, bugiardo e manipolatore.
Accidenti a lei, quello era il demonio, l’incarnazione stessa del male, che cavolo le passava per la testa?
Il male non era carino, Sebastian era per metà demone, ed in quanto tale semplicemente disgustoso.  
E lei lo odiava. Lo avrebbe odiato, per tutti i secoli dei secoli. 
Amen!
«Sei molto pensierosa oggi», commentò Clary, mentre si rimpinzava tra un boccone e l’altro. Doveva avere molta fame, oppure era solo entusiasta di mangiare qualcosa cucinata dal fratello. Dio, stentava ancora a credere come fosse possibile che quel mostro fosse il vero fratello di Clary, la cosa che più la stupiva era il fatto che, per la prima volta da quando aveva scoperto di avere un fratello, sembrava davvero felice di averlo. Non come quando tutti erano convinti che fosse Jace e lei sembrava sul punto di volersi strappare il DNA ogni qualvolta si guardava allo specchio.
«Hai una faccia orribile stamattina», commentò Jace, gentile come sempre. Il tatto in persona.
«Non ho dormito bene, stanotte», disse senza alzare lo sguardo dalla sua tazza. Non voleva incontrare di nuovo lo sguardo malizioso di Sebastian che le ricordava quello che era successo quella notte.
Sarai talmente innamorata di me…
Isabelle si ficcò un pezzo di frittella in bocca e inghiottì senza masticare. Per l’angelo, se era buono! Com’era possibile che quell’imbecille sapesse cucinare?
«L’insonnia deve averti messo parecchio appetito», disse Sebastian guardandola mangiare, «considerando con quanta voracità stai divorando quello che hai nel piatto. Pensavo avessi detto che ti fosse passata la fame».
«E io pensavo che tu avessi detto che se intendevo far fuori qualche demone bisognava che facessi scorta di energie», ribatté lei, «come vedi è quello che sto facendo!».
«Isabelle!», fece Clary indignata, capendo al volo a quale demone in particolare si stesse riferendo.
«Che c’è?», disse, «il fatto che lui sia il tuo caro fratellino non lo rende meno pericoloso di qualunque altro demone. E poi, pensavo che anche tu lo odiassi, dopo quello che ha fatto a Max e a Jace, e invece stai qui a difenderlo come se non fosse mai successo niente? Tutto questo è ridicolo!».
«Sebastian ha detto che quello che è successo con Max… è stato un incidente. Non voleva che finisse così».
«Ma davvero? E tu gli credi?». Isabelle puntò i suoi occhi scuri su quelli verdi di Clary, e ve li affondò come coltelli roventi.
«Io… io voglio crederci».
Izzy fece una faccia nauseata e distolse lo sguardo. «Sembri il suo avvocato», mormorò.
«Lui è mio fratello».
«Già», fece Isabelle, «appunto! E Max era il mio. Cristo santo, non aveva neanche dieci anni, l’avete dimenticato?».
«Non l’abbiamo dimenticato», intervenne Jace, sollevando lo sguardo al soffitto. «So che per te è difficile, è una situazione difficile per tutti, ma non puoi provare a dargli almeno un briciolo di fiducia?».
«Non ci posso credere che lo stai dicendo davvero», lo accusò Isabelle, indignata, «questo non sei tu. E’ quel maledetto legame che ti ha fatto il lavaggio del cervello».
Jace la guardò calmo, come se tutto ciò non lo toccasse personalmente, e scosse le spalle. «Il legame non funziona così. Non sono il suo burattino, non più almeno. Riesco a pensare con la mia testa adesso, sai? Sto solo dicendo che tutti meritano una seconda possibilità».
La ragazza alzò le mani, in segno di resa. «Va bene», disse, «fingiamo che vada tutto bene, giocate pure alla bella famigliola felice mentre lui probabilmente pianifica di sterminare l’intera razza umana e quella dei Nephilim dalla faccia della terra».
«Mia piccola e diffidente Isabelle, la tua tenacia è disarmante. Se mettessi la stessa determinazione che hai nel dubitare di me per dare la caccia ai demoni… beh, ho la netta impressione che potrei essere davvero finito come il mio caro padre. Morto. Invece…».
«Invece lo saresti, se la tua premurosa mamma demone non ti avesse riportato in vita con la magia nera legandoti al mio fratello idiota», sbottò Izzy, rivolgendo ad entrambi un occhiata acida come veleno.
«Oh, giusto», disse Sebastian, dandosi un colpetto in fronte. «Quasi me ne dimenticavo, ma… ehi, non sarei qui se non fosse stato per il sangue del tuo fidanzato diurno. A proposito, ringrazialo per me».
«Ringrazialo da solo, se ci tieni tanto», ringhiò la ragazza.
«Puoi anche ringraziare me, se vuoi», fece presente Jace, sospirando come se si stesse annoiando. «Tecnicamente si è trasformato in un diurno grazie al mio sangue».
Sebastian non gli prestò attenzione, continuando ad importunare la ragazza.
«Non state più insieme?».
«Questi non sono affari tuoi», sibilò lei, stringendo la forchetta tra le dita fino a farsi sbiancare le nocche. Non aveva intenzione di cedere alle sue provocazioni. Non l’avrebbe fatto.
«Ma dovrebbero essere affari miei», intervenne Maryse, brusca, in piedi davanti alla porta. Tutti i presenti si voltarono a guardarla, sorpresi. Nessuno di loro si era accorto che fosse tornata. «Cos’è questa storia? Tu e quel vampiro…»
«Si chiama Simon», ribatterono in coro Clary e Isabelle.
Maryse le ignorò. «Lui è il tuo ragazzo?», chiese, con il mento sollevato e le sopracciglia aggrottate.
«No mamma, non è il mio ragazzo», sbuffò la figlia. Lasciò andare la posata contro il piatto, producendo un tintinnio fastidioso e incrociò le braccia davanti al seno. «Non più, almeno».
«Bene», fece Maryse, andando verso la macchina del caffè e dandole le spalle per chiudere lì il discorso.
«Stai dicendo che avete rotto?», chiese Clary balzando dalla sedia, «lui lo sa?».
«Bene?», ripetè Isabelle a sua madre, fingendo di non aver sentito Clary. Non c’era proprio niente che andasse bene, in realtà.
«E’ un nascosto Isabelle», disse Maryse con semplicità, come se ciò bastasse a chiarire la sua opinione in merito, «non puoi stare con un nascosto, lo sai».
«In realtà posso eccome! Gli accordi non… ».
«Gli accordi non hanno nulla a che vedere con questo», chiarì la donna. «Sono io che te lo proibisco».
«Ma Alec sta con Magnus. Anche lui è un nascosto. E la madre di Clary e Luke…».
«E’ diverso», la interruppe la madre.
Isabelle si alzò dalla sedia, spingendola indietro con le gambe, con furia. «Perché Simon è tecnicamente morto? O perché prima di essere un vampiro era un mondano?»
«Secondo me è perché somiglia ad un furetto», mormorò Jace con la bocca piena, nel malriuscito tentativo di allentare la tensione. «Non è strano che un vampiro somigli ad un furetto?».
«Jace!», sbottò Clary. «Taci».
«Tuo fratello ha diciotto anni, Isabelle.  E’ un adulto ormai, e per quanto io non approvi la sua decisione… non spetta certo a me dirgli ciò che può o non può fare. Per quanto riguarda Jocelyn, beh, Luke era uno di noi, un tempo. Lo erano entrambi, ma lei non è più una Cacciatrice, ha smesso di esserlo anni fa, non deve più rispondere all’opinione che il Conclave ha di lei, sempre che gliene sia mai importato qualcosa. Ma tuo padre è l’inquisitore, adesso,  abbiamo una reputazione da tutelare e tu sei mia figlia, sei una Lightwood e sei minorenne, per cui farai quello che ti dico».
«Ma mamma…».
«Il discorso è chiuso», la zittì Maryse. «Ci sono questioni più urgenti da discutere adesso».
Isabelle avrebbe voluto correre via piangendo e sbattere la porta, come quando aveva dodici anni e Jace e Alec la facevano arrabbiare dicendo che una donna non sarebbe mai potuto essere un buon Cacciatore come un uomo. Ma non era più una bambina, non poteva più sbattere i piedi e andarsene via. Doveva affrontare la questione da adulta, da donna. E l’avrebbe fatto, se un giorno ce ne sarebbe stato bisogno. Ma adesso… che senso aveva lottare per qualcuno che non sapeva neanche quello che voleva? Qualcuno che con ogni probabilità l’avrebbe messa sempre in secondo piano, preferendole un’altra?
«Di che si tratta?», chiese Jace. «E’ successo qualcosa?».
«Nulla di rilevante, ancora», disse Maryse, lanciando una rapida occhiata alla figlia e distogliendo lo sguardo, come se non sopportasse di guardarla. «Ho ricevuto un messaggio dalla città di Ossa. Un gruppo di Fratelli Silenti sarà qui in mattinata, per discutere di alcune importanti questioni. E’ probabile che vorranno farvi delle domande, quindi dovrete essere tutti presenti». Maryse fece una breve pausa e incrociò le mani in grembo. «Con tutti intendo anche Jonhatan, naturalmente».
 «Come ho gia detto preferirei mi chiamaste Sebastian», disse il ragazzo, tranquillo.
«Il tuo nome è Jonathan Cristopher Morgenstern», ribattè la donna, senza tuttavia guardarlo. «E’ l’unico modo in cui ti chiamerò».
Sebastian alzò le spalle, con rassegnata nonchalance, poi Clary disse: «Che genere di questioni dovremmo discutere? Si tratta di mio fratello? Vogliono cacciarlo?».
«E’ probabile che vogliano discutere di lui, certo», disse Maryse, «ma non credo intendano cacciarlo».
Purtroppo.
Quella parola rimase sospese a mezza’aria, come se tutti loro la pensassero, ma nessuno avesse il coraggio di pronunciarla ad alta voce.
«Lasciare che rimanga qui è un modo come un altro per tenerlo d’occhio», aggiunse la donna. Il suo tone era glaciale, autoritario, e quello aveva tutta l’aria di essere un avvertimento. «Inoltre, i fratelli Silenti stanno studiando insieme a Magnus Bane un modo per rompere il legame senza che venga fatto loro del male».
«Intendi senza che a Jace, sia fatto del male», la corresse Sebastian. «Puoi anche dirlo, non mi offendo mica. Non sono così ingenuo da pensare che al Conclave importi qualcosa di me, dopotutto. Se esistesse un modo per separarci senza che il mio fratellino rischi qualcosa, l’avrebbero già fatto, anche se questo dovesse significare la mia morte».
«Non è vero!», proruppe Clary, afferrando il braccio del fratello. «Non permetterò loro di farlo. E neanche Jace. Non ti faranno del male», aggiunse, «non è così, Maryse?».
La donna fissò lo sguardo in quello della ragazza, poi per la prima volta da quando aveva messo piede all’istituto, probabilmente, guardò Sebastian. «Non spetta a me decidere quale sia la sua sorte», disse con la voce dura e affilata come una scheggia di vetro. «Ma non permetterò che mi sia portato via un altro figlio». Puntò gli occhi azzurri come quelli di Alec, in quelli dorati di Jace, poi senza aggiungere altro, imboccò la porta.
 
Ci furono parecchi secondi di terribile silenzio. All’improvviso, tutti sembravano troppo impegnati a fissarsi l’un l’altro, invece che parlare o finire di mangiare. Jace guardava Clary che, con le piccole dita cosparse di lentiggini era ancora aggrappata al braccio del fratello e lo guardava con un misto di ansia e preoccupazione tutta fraterna. Mentre Sebastian… Sebastian guardava lei. La studiava come se fosse una strana creatura venuta da chissà quale mondo, o come se, all’improvviso le fossero spuntate le ali. Isabelle era consapevole del suo sguardo su di lei, ma preferiva non farci caso. Non poteva pensare davvero di stare dietro ai modi bizzarri di uno che, con ogni probabilità era folle quanto il padre, e malvagio come la madre che gli aveva donato il suo sangue quando non era altro che un minuscolo esserino nel grembo materno. Isabelle si chiese se ci fosse qualcosa di Jocelyn in lui. Una volta, quando Jace era convinto di essere un Morgenstern, aveva detto che tutti avrebbero sempre visto lui come il figlio di Valentine, e Clary come la figlia di Jocelyn, ora che tutti sapevano la verità, si chiese come la gente avrebbe visto quei tre. Nonostante fosse il legittimo figlio di Valentine, lei non riusciva a vedere altro che un demone in lui. Per lei sarebbe sempre stato semplicemente il figlio di Lilith.
Nient’altro.
Cercare di venire a capo dei suoi pensieri, era un’impresa senza alcun senso, ne via d’uscita.
Mentre cercava con tutte le proprie forze di resistere alla tentazione di intimargli di smetterla di fissarla in quel modo – avrebbe significato ammettere che anche lei lo aveva guardato a sua volta – Isabelle notò la benda bianca arrotolata sul palmo della sua mano, da cui sbocciava, come un piccolo fiore rosso, una piccola macchia di sangue. La ferita che lei stesse gli aveva provocato la sera prima, nella sala degli addestramenti. Anche se, tecnicamente, era stato lui stesso a chiudere la mano intorno alla lama.
La fasciatura e con lei anche la ferita erano li, in bella vista, sotto gli occhi di tutti. Isabelle sapeva che, sebbene Sebastian avesse tutti i motivi del mondo per meritare un trattamento anche peggiore di quello da lei offertogli, ferire volutamente un compagno senza alcuna ragione, per quanto disonesto esso potesse essere, era punibile dalla legge, e lui era pur sempre un Cacciatore, in fondo.  
Se lui avesse deciso di dire a qualcuno ciò che era successo, se avesse deciso di condire la verità, piegandola a suo favore, lei sarebbe potuta incorrere in guai molto seri, e per quanto l’idea di fare a pezzettini Sebastian valesse a pieno la punizione che avrebbe potuto ricevere, Isabelle sapeva che c’erano altre persone che doveva tutelare. Non poteva permettere che il nome dei Lightwood venisse infangato per un suo gesto sconsiderato, doveva stare più attenta. Dopotutto, Maryse aveva ragione, suo padre era l’inquisitore, adesso. Non poteva permettersi di agire pensando solo a se stessa e ai suoi sentimenti.
Si voltò lentamente e fece per seguire la madre, appena uscita dalla stanza, quando Clary la chiamò.
«Aspetta un attimo. Izzy, tu e Simon avete litigato?».
«Gia», bofonchiò lei, senza tuttavia voltarsi.
«Oh… ehm.. okay».
«A quanto pare io non sono esattamente il suo tipo», spiegò la ragazza..
«Assurdo, tu sei il tipo di chiunque». Clary rise nervosamente, come se non riuscisse a credere a quello che aveva sentito, o pensasse che fosse solo un trucco per imbrogliare Maryse. «E’ stato lui a dirtelo?».
«Non proprio».
«Allora non capisco come…»
«Non c’è niente da capire, Clary». Le parole le uscirono spezzate, incerte, eppure risuonarono forte e chiare sia nelle proprie orecchie che all’interno della cucina.
 
Forse le mie gambe sono troppo lunghe, oppure i miei capelli non abbastanza rossi per lui. O forse semplicemente gli piacerei di più se avessi le lentiggini o le tette di una dodicenne. In ogni caso, non ho alcuna intenzione di essere il rimpiazzo di nessuno, io. 
 
Avrebbe voluto dirle, quelle parole, urlarle anche, così che anche Simon avrebbe potuto sentirle, dall’altro capo della città, invece le uniche parole che uscirono dalla sue labbra furono fredde e ispide come cristalli di ghiaccio, il suo tono, molto più simile a quella di sua madre di quanto avrebbe mai ritenuto possibile. «Semplicemente mi sono stancata di lui, tutto qui». Mise la mano sulla maniglia della porta, poi si bloccò e con la più indifferente delle espressioni aggiunse: «Anzi, se per caso ti capita di vederlo, digli pure di non chiamarmi più».
Poi si voltò e se ne andò, con il ghiaccio dietro di lei che si sgretolava in migliaia di pezzi, fragili come frammenti di cristallo.






***NOTE DELL'AUTRICE***

Come sempre tremendamente in ritardo, ecco qui a distanza di mesi, il 4° capitolo.
Mi ci è voluto tanto per sciverlo, o meglio, riscriverlo, dal momento che il pc lo aveva cancellato quando era ormai ultimato, ma posso dire di essere soddisfatta delle "modifiche" che sono stata obbligata a fare, causa scarsa memoria.
In questo capitolo abbiamo visto una Isabelle più risoluta che mai, e decisa a comportarsi bene per l'onore della sua famiglia. L'abbiamo vista continuare a odiare Sebastian, ma chissà se sarà in grado di seguire queste strade, nei prossimi capitoli? Seb è troppo irresistibile perchè persino l'orgogliosa Izzy possa continuare ad odiarlo! Mi piace tanto scrivere di questi due personaggi, sia insieme che separatamente. Hanno entrambi dei caratteri forti e determinati... e credo che ne vedremo delle belle grazie a loro.
Come sempre non posso che ringraziare le persone (anche se poche) che seguono la mia storia. I vostri commenti sono importanti e mi spingono a continuare. Spero che continuiate a tenervi compagnia con la mia storia, nonostante i miei ritardi cronici XD

Baci, _RosaSpina_ <3
 
 
   
 
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