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Autore: kenjina    28/08/2013    6 recensioni
- Betulla sequel -
«Vedo che anche oggi ti sei dato da fare. Trascorri più tempo rinchiuso lì dentro, piuttosto che nella Sala del Trono, mio Re.»
Thorin fece una smorfia ironica. «Sai bene quanto non mi piaccia stare con le mani in mano.»
«Ebbene, non sarò certo io a trascinarti lontano dalla fucina tirandoti per un orecchio!» Balin strizzò un occhio, porgendogli una pergamena. «Ma forse c’è qualcuno, là fuori, che avrà il potere di osare ben oltre.»
L’altro si voltò per guardare l’anziano Nano, che aveva ora tutta la sua attenzione. Prese il rotolo di carta ancora chiuso ed osservò con interesse la cera che lo sigillava: era un albero incorniciato da sette stelle, con una corona alata in alto.
Era lo stemma di Gondor.

(tratto dal secondo capitolo)
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Boromir, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Foreste di Betulle; giardini di Pietra.'
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Hej hej!

Aggiorno con qualche anticipo rispetto alla tabella di marcia che mi ero prefissata, perché ho scritto l’undicesimo capitolo, la scorsa notte, e ne sono più che soddisfatta.

Perché sì, io mi gaso quando scrivo di complotti e strategie di guerra nella Terra di Mezzo, più che di romanticismo!

Sapeste... eheheh.

Quindi, per festeggiare, eccovi il quinto – che, ad essere onesta, è uno di quelli che, invece, non mi piace più di tanto. A voi l’ardua sentenza!

Cheers!

Marta.

 

 

Pietra

-  sequel di Betulla -

 

 

 

05.

 

25 Agosto 3019 T. E.

 

L’aria fresca proveniente dal fiume che, placidamente, scorreva alla loro sinistra, era piacevole sulla pelle accaldata per l’ennesima giornata di viaggio. Si erano fermati da un paio d’ore ma, nonostante la stanchezza, nessuno aveva ancora intenzione di dormire. Il pericolo degli Esterling sembrava passato e l’eccitazione del vicino confine di Gondor, che avrebbero passato il giorno dopo, non li faceva riposare; un’aria gioiosa aleggiava nell’accampamento dei Nani. Attorno ai numerosi falò, molti chiacchieravano e ridevano, altri bevevano birra a fiumi e, un po’ alticci, iniziavano a cantare.

L’unico che non pareva divertirsi poi tanto era Dwalin, che lanciò irritato il suo boccale di birra, ormai vuoto. Era la quarta volta di fila che perdeva una partita ai dadi e aveva già detto addio ad un terzo delle monete che teneva nel suo personale sacchetto.

Balin, d’altro canto, si sfregò le mani, incassando la posta. «Avanti, fratello, dovresti essere felice che ti abbia alleggerito le tasche di qualche grammo!»

L’altro grugnì qualcosa in risposta, si alzò e andò a sedersi accanto al suo migliore amico. Thorin fumava silenziosamente la pipa, osservando con poco interesse ciò che gli accadeva intorno.

«Dove sono finiti quei due rompiscatole dei tuoi nipoti? C’è troppa calma, qui intorno.» fece Dwalin, stendendo le gambe e accendendosi la pipa a sua volta.

Thorin sbuffò il fumo, spostando lo sguardo poco più avanti, in un altro cerchio di persone. L’amico seguì lo sguardo del Re.

«Pare che si siano sinceramente affezionati a loro. Neanche tu sei riuscito a fermarli.»

«Non sono cieco, e quello che vedo non mi piace. Mi irrita oltremodo che spendano così tanto tempo con loro, piuttosto che stare al mio fianco.» La voce del Re era risentita e un po’ invidiosa; quei due giovanotti erano tutta la famiglia che gli rimaneva, insieme alla madre, e non avrebbe permesso che gli venisse portata via senza che lui facesse qualcosa per impedirlo. Eppure quell’allegra combriccola stava dando dimostrazione di coraggio e rispetto, e non poteva più aggrapparsi al fatto che il sangue Elfico scorresse nelle loro vene per discreditarli, poiché pochi dei suoi compagni gli avrebbero dato l’appoggio necessario.

«Qualche settimana fa avrei preferito tagliarmi la lingua, prima di dire una cosa simile, ma... mi piacciono.» fece Dwalin, stupendo se stesso e l’amico. «Beh, almeno i due chiamati Káel e Káir.»

Thorin non rispose, continuando ad osservare i nipoti e i Nani dai capelli rossi. Fili e Kili li raggiunsero poco dopo, ridenti, felici e un po’ brilli.

«Zio, questa dovresti davvero sentirla!» esclamò Kili, sedendosi con un tonfo accanto al Re. «Avanti, Fili, canta per il Re!»

Quando il diretto interessato, ubriaco dalla testa ai piedi, iniziò a cantare di un Troll che abbracciava una roccia scambiandola per suo padre, neppure Dwalin riuscì a trattenere le risate. Thorin si passò una mano sul viso, non sapendo bene se ridere o tirargli la prima cosa che gli capitasse sotto tiro per farlo star zitto – e dire che quello fosse il suo primo erede al trono!

Quando Fili terminò con le ultime strofe, chiunque era scoppiato a ridere e anche chi non aveva udito la performance del Nano, si unì all’ilarità.

Fili si chinò, ringraziando per gli applausi e barcollando nel tentativo di rimanere in piedi. «Grazie, compagni miei! Grazie! Ma parte del merito va anche ai miei amici dai buffi capelli rossi, senza i quali non avrei potuto comporre gran parte di questa splendida canzone – e che sono anche più ubriachi di me, a ben vedere.»

Un brusio si sollevò velocemente, ma nessuno osò dir male di loro. Era grazie a loro, infatti, che gli Esterling non li avevano colti di sorpresa nel sonno e che il Re Sotto la Montagna era vivo; e Thorin stesso aveva raccomandato a chiunque di tenere a freno la lingua e di mantenere per sé i commenti maligni sul conto della famiglia; eppure il Re si stava rendendo conto che, da quando i nipoti avevano messo gli occhi addosso a quel gruppo, e in particolar modo alla ragazza, e li avessero presentati ai loro amici più cari, quelli che lui si ostinava a chiamare Mezzi-Nani stavano acquistando favori e simpatie, giorno dopo giorno. Persino il timido Ori, dopo il giorno della ferita al braccio, trovava il coraggio di avvicinarli e parlargli. E più i suoi Nani si divertivano in loro compagnia, più il suo umore sprofondava sotto terra.

E la situazione lo stava irritando ed incuriosendo più di quanto avesse voluto.

«Zio, c’è qualche problema?» domandò Kili, notando lo sguardo ostile del Re, perso in chissà quali tormentati pensieri.

Thorin si voltò verso il nipote e abbozzò un sorriso, per rassicurarlo. «Vorrei che tu e tuo fratello cavalcaste con me, domani. Voglio attraversare i confini di Gondor al fianco dei miei nipoti. E non voglio nessun Nano dai capelli rossi con noi, sono stato chiaro?»

L’arciere annuì, senza controbattere, poiché sapeva che non avrebbe ottenuto niente con l’ostinazione. Eppure continuava a non capire il comportamento dello zio. Aveva tentato più volte di comprendere il perché odiasse tanto la razza Elfica, e non poteva certo biasimarlo se ripensava a come il Re di Bosco Atro si fosse comportato nei loro confronti, nel momento del bisogno. Ma trovava inutile e infantile riversare il proprio risentimento su qualcuno che neanche aveva mai messo piede nella terra degli Elfi, prima di allora. Ovviamente, quel pensiero fece bene a tenerlo per sé.

Teneva cara la vita e il suo collo, per vederselo staccare a suon di ascia dallo zio.

 

Il giorno dopo si misero in marcia di buona lena, qualche ora dopo il sorgere del sole. I canti dei Nani proseguirono, raccontando di Uomini e di quelle terre così lontane ed affascinanti. Trán non era mai stata così distante da casa e per un attimo, quando scorse l’affluente dell’Anduin che separava Rohan da Gondor, si voltò oltre le sue spalle, guardando nella direzione in cui ci sarebbe dovuta essere la sua casa. Sospirò e sorrise, tornando ad osservare le belle praterie di Rohan, che si stagliavano a perdita d’occhio. Aveva sempre sognato di vedere il mondo fuori le mura dei Colli Ferrosi, ed ora eccola lì, in viaggio da parecchie settimane, diretta verso il lontano Reame degli Uomini. Avrebbe voluto spronare il suo pony e andare al galoppo, sfiorando l’erba alta e gialla con la mano e godendo appieno del vento fresco che le soffiava tra i capelli intrecciati.

Come se il gemello le avesse letto la mente, diede una pesante pacca sul posteriore del pony che cavalcavano entrambi, e questo iniziò a galoppare; sordi ai rimproveri di Rulin e del maggiore dei figli, risero come facevano da bambini. Presto molti Nani vennero incuriositi da quel gran baccano e Fili e Kili, senza perdere tempo, si unirono ai due, dimentichi degli avvertimenti dello zio.

«Offro una pinta di birra a chi arriva per primo al fiume! Al mio via, pronti?» gridò Fili.

Ma gli altri tre, udendo un tale premio, spronarono immediatamente i loro pony e quello, preso alla sprovvista, si vide subito indietro. Neanche la voce autoritaria di Thorin servì a fermarli, poiché ormai erano già lontani.

«Lascia che si divertano.» fece Balin, sorridendo bonario nel guardare le sagome dei quattro diventare sempre più piccole. «Non vedevo i tuoi nipoti divertirsi così tanto da quando messer Bilbo lasciò la nostra casa.»

L’altro sospirò pesantemente, contrariato. «Sono adulti, al servizio del Re e miei eredi. Devono dimostrare maturità.»

«E sanno farlo quando è necessario, Thorin. Non dimenticare il loro valore, se per una volta loro si dimenticano dei loro compiti per svagarsi un poco. Dovresti farlo anche tu, sai?»

Dwalin scoppiò a ridere. «Fratello, questa era buona... anzi, ottima! Solo la tua fervida immaginazione potrebbe pensare a Thorin, sul suo pony, che ride e galoppa come un ragazzino!»

Thorin alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo e ritrovandosi suo malgrado a ridere al solo pensiero. Il volto serio si distese un poco, al ricordo di quando, tanto tempo addietro, era anche più indisciplinato dei suoi nipoti messi insieme. Ma la sua giovinezza era stata stroncata sul periodo più bello, poiché la guerra gliel’aveva strappata senza esitazioni. Aveva dovuto abbandonare i giochi da ragazzo troppo presto, per acquisire la fermezza e la serietà che non lo avrebbero più abbandonato in futuro.

Che ne era rimasto di quel giovane Nano pieno di vita e desideroso di avventure, Balin se lo era sempre domandato; eppure, era sicuro che fosse ancora lì, nascosto sotto quella corazza di testardaggine, orgoglio e serietà che ormai lo distinguevano. Doveva solo trovare qualcosa, o qualcuno, che lo aiutasse a ritrovare quella parte di sé che aveva dimenticato.

Centinaia di piedi più avanti, i quattro gareggianti avevano quasi raggiunto il confine. Purtroppo per i gemelli, il cui pony doveva sopportare il peso di entrambi, videro la vittoria svanire dopo pochi secondi, e i nipoti del Re raggiunsero per primi l’acqua fredda del fiume. Ovviamente iniziò la disputa su chi fosse arrivato davanti e chi no. La decisione di Trán di prendere le difese del minore non fu saggia, perché Fili, sentendosi tradito, la sollevò di peso dal pony con incredibile facilità, e il chiaro intento di farle saggiare la temperatura dell’acqua; e con sua somma sorpresa ed indignazione, Kili e il fratello non fecero niente per salvarla.

Quando Thorin e il suo seguito giunse al confine, qualche decina di minuti più tardi, si fermò per osservarli e rimproverarli con lo sguardo. «Risalite in sella e non stancate i vostri pony inutilmente. Davanti a noi abbiamo ancora più di una settimana di viaggio.»

Trán non ricordava di aver riso così tanto da parecchio tempo. Era difficile per lei crearsi nuove amicizie, perché era spesso taciturna e scontrosa contro chi non conosceva. Eppure Fili e Kili avevano fatto, e stavano facendo, di tutto pur di entrare nelle sue grazie; ormai, per loro, essere suoi amici era diventata una questione personale e non si sarebbero arresi tanto facilmente.

Tamponò i lunghi capelli rossi e intrecciati con l’orlo della gonna, ma anch’essa era bagnata e l’unica cosa che ottenne fu un sonoro starnuto, al quale ne seguirono altri.

«Non dirmi che ti sei presa un raffreddore?» domandò Kili, divertito eppure preoccupato.

«Tu, ingrato! Avresti dovuto difendermi!» lo rimbeccò lei.

Fili rise, battendole compassionevoli pacche sulle spalla. «Sei proprio un fuscello, ragazza!»

Lei gli restituì un’occhiataccia, ma si era divertita e sperò con tutto il cuore che momenti come quelli non fossero unici; inoltre, non sarebbero stati un paio di starnuti a metterla di malumore, quanto l’occhiata dura del Re Sotto la Montagna, che pareva volerla incenerire con la forza del solo sguardo.

Ma Thorin, in realtà, non era adirato con lei. Balin aveva ragione nel fargli notare quanto i nipoti fossero lieti in compagnia di quei Nani dai capelli rossi, e forse sarebbe dovuto essergli ed esserle grato. Inoltre, ricordava il sorriso sulle labbra della ragazza, ed era qualcosa che sembrava molto raro in quel viso. Si avvicinò, con l’incredibile intento di sincerarsi delle sue condizioni di salute, dopo l’ennesimo starnuto, e di darle qualcosa con cui asciugarsi; ma il fratello lo aveva preceduto. La vide accettare con un sorriso radioso la sua tunica color ruggine, ma la sua ilarità svanì quando incontrò il suo sguardo. Rimasero ad osservarsi in silenzio, finché fu Thorin che, spronato il pony, affiancò i nipoti ancora ridenti, per raccontare loro antiche storie sugli Uomini di quelle terre e allontanare i suoi pensieri dagli intrusi che si stavano intrufolando tra le loro vite.

 

 

9 Settembre 3019 T. E.

 

Boromir sarebbe partito in poche ore per Osgiliath, dove un carico di attrezzi e mithril provenienti da Erebor e Moria era in arrivo in pochi giorni, insieme ad un cospicuo numero di lavoratori e, soprattutto, alla scorta del Re Sotto la Montagna. Sotto consiglio di Gimli, Boromir aveva spedito delle aquile nel profondo Nord, per richiedere l’aiuto e il fine lavoro dei Nani di Erebor e dei Colli Ferrosi nella ricostruzione della vecchia città distrutta, e Thorin era atteso finalmente in città.

«Quando tornerai?»

L’Uomo si avvicinò alla sua donna, una mano che accarezzava automaticamente il Corno di Gondor che lei aveva fatto riparare. «Un paio di settimane. Dopo che avrò accolto i Nani rimarrò in città per controllare che l’inizio dei lavori proceda nel migliore dei modi. Non dirmi che ti mancherò?» le domandò, con un guizzo di divertimento negli occhi, che si spense nel momento in cui lei gli disse che no, non le sarebbe mancato.

«Non avrò tempo di sentire la tua mancanza.» Brethil si alzò dalla panca in pietra su cui sedeva, fermandosi a pochi passi da lui. «Il Re mi darà parecchio lavoro per mantenere la mia mente occupata e lontana da Osgiliath, con tante interessanti ed avvincenti riunioni col Consiglio. Inoltre, dovrò probabilmente accompagnarlo in qualche battuta di caccia agli Orchi, il che mi terrà lontana da brutti pensieri.»

Boromir drizzò le spalle. «Ebbene, saremo in due ad avere del lavoro da compiere. Neanche tu, brutto pensiero, mi mancherai. Ho vissuto più di quarant’anni senza la tua presenza, sopravvivrò una manciata di giorni.»

La donna rise di quell’orgoglio mascolino ferito, rifugiandosi tra le sue braccia. Erano in un giardino nascosto alla vista dei curiosi, cosicché potessero lasciarsi andare a dimostrazioni d’affetto senza che nessuno li vedesse. Alzò lo sguardo su di lui, che pareva contrariato, e si alzò sulle punte dei piedi per baciargli lievemente le labbra. «Non ti dirò che invidierò persino i Nani più bassi che ti incontreranno e che discorreranno con te, poiché il tuo egocentrismo potrebbe lasciarmi senza fiato.»

Il Sovrintendente sembrò gradire quella frase e ammiccò. «Avrei in mente qualcos’altro per toglierti il respiro, in realtà.» E così dicendo la strinse con possessività, riappropriandosi di quella piccola e tagliente lingua con un bacio prepotente.

E sì che rimasero senza fiato entrambi.

Boromir le carezzò il viso sfregiato, il tocco lieve e ancora imbranato di chi aveva brandito armi per una vita e invece non aveva mai osato sfiorare una donna. Lei gli strinse la mano nella sua, e sorrise.

«Torna presto, mi raccomando. Minas Tirith e il Re hanno bisogno del suo Sovrintendente.»

«E il capo della Guardia Reale no?»

Lo spinse via, ridendo all’incredibile faccia tosta dell’Uomo.

Aspettò che se ne andasse a consumare un pasto caldo prima della partenza, qualche minuto più tardi, per riflettere su quelli che sarebbero stati i giorni successivi; un senso di disagio la fece sospirare profondamente. Nonostante vivesse a Minas Tirith da qualche mese e Gondor fosse realmente la sua casa, ancora non riusciva a sentirsi tranquilla e a suo agio. Tutte le amicizie che si era creata e che aveva consolidato nelle settimane precedenti la fine della Guerra, erano ora partite verso le proprie dimore: Elladan e Elrohir avevano fatto ritorno a Imladris dopo il matrimonio di Aragorn ed Arwen, e poco dopo la scorta funebre di Re Théoden era partita da Gondor, insieme ad Éomer, Gandalf e gli Hobbit. Ora persino Boromir la lasciava lì, in quella grande città di pietra, e infagottata in quella bella divisa che il Re le aveva donato. Fu solo per la consapevolezza che il Ramingo sarebbe stato al suo fianco gran parte del giorno a rincuorarla e a non farla cadere nello sconforto totale. Non le importava quali fossero le chiacchiere che sentiva sul suo conto – una Prima Guardia del Re donna! – ma si stava stancando delle occhiate che i soldati più anziani le riservavano. Aveva dato più volte prova del suo valore in battaglia, e allora perché temevano che non sapesse fare il suo lavoro?

Decise di raggiungere gli altri nella Sala Grande, dopo che fu passata nella sua stanza per prendere Celeboglinn e appenderla al fianco; al tavolo trovò Boromir, Gimli e Legolas, che avevano quasi finito di mangiare una bistecca arrosto e qualche fetta di pane imburrata, ed erano già pronti per partire, e il Re, che la salutò con un caloroso sorriso. Brethil scambiò uno sguardo con il Sovrintendente, ma non si sorrisero né fecero nient’altro che potesse far partire ulteriori dicerie sul suo e sul loro conto. Solo Aragorn e la stramba coppia di amici era testimone del forte sentimento che li univa, e ciò bastava per il momento. Avrebbero voluto sposarsi presto, ma prima vi erano questioni ben più importanti di cui occuparsi, rispetto ad una cerimonia matrimoniale.

Come, per esempio, sedare il primo focolare di rivolta tra le dell’Harad, nel Sud. Nonostante la sconfitta di Sauron, gli Haradrim non sembravano volersi arrendere; ma di questa questione Aragorn si sarebbe occupato in quelle settimane, dopo che la delegazione del Re dei Nani fosse giunta a Minas Tirith tra qualche giorno. Anche Éomer lo avrebbe presto raggiunto nuovamente a Gondor per discutere di un’eventuale azione preventiva. Perché Rohan avrebbe sempre risposto alle richieste di aiuto del suo vicino ed alleato.

«Aragorn, prima di recarmi alle stalle avrei bisogno di parlarti. È giunta l’ora di partire.» disse Boromir, che si alzò.

«Ancora non capisco cosa sia tutta questa fretta.» borbottò Gimli. «La mia gente non arriverà prima di dopo domani sera, e io rischio seriamente di soffocarmi, continuando ad ingoiare pezzi di pane senza masticarli per la fretta di terminare questo pranzo in tempo!»

«Rischi di soffocarti ogni volta che mangi, Nano. Qualcuno avrebbe dovuto insegnarti che dovresti anche respirare, tra un boccone e l’altro.»

«E tu dovresti imparare a mangiare, invece, Orecchie a Punta. Continuando di questo passo finirai per diventare scarno peggio di quella creatura immonda che si chiamava Gollum.»

Brethil s’oscurò in viso nel sentire quel nome, e non fece caso all’occhiataccia che Aragorn riservò all’amico. Quello divenne rosso come quando beveva un po’ troppo e, rendendosi conto della gaffe, borbottò qualche scusa anche quando si ficcò un morso di mela tra i denti.

Tra un colpo di tosse e l’altro, il Sovrintendente guadagnò nuovamente l’attenzione del suo sovrano e amico. «Aragorn.»

Il Re annuì. «Andiamo fuori e camminiamo un poco insieme, Boromir.»

I due lasciarono momentaneamente la Sala e si avviarono verso il giardino, dove l’Alberello Bianco era in fiore, finché il più giovane dei due prese parola.

«Vorrei chiederti un favore prima di partire, se posso.»

«Sei un amico, Boromir, uno dei migliori che abbia mai avuto in tutta la mia lunga vita. Chiedi, e vedrò cosa posso fare per te.»

«Ebbene, è la prima volta che lascio Minas Tirith da quando tu sei giunto a Gondor, e con te Brethil.»

Aragorn sorrise, capendo bene dove l’altro volesse arrivare. «Boromir, non vorrai chiedermi di badare a lei, quando dovrebbe essere il contrario, spero?» gli domandò, divertito.

L’altro, che apparentemente si sentì letto come un libro aperto, voltò lo sguardo dalla parte opposta, trovando più interessante fissare il movimento di una bandiera piuttosto che guardare negli occhi il compagno. «Mi chiedevo se potessi starle accanto, invece. E non solo come Re e Guardia Reale. Nonostante stia cercando di farla sentire a suo agio, nella nostra bella capitale, posso percepire ancora parte della sua inadeguatezza. E non sono uno stupido, sento cosa alcuni dei nostri Uomini dicono sul suo conto.»

«Non devi preoccuparti delle malelingue, Boromir, poiché verranno messe a tacere quando dimostrerà ancora una volta il suo valore e il significato della divisa che indossa.» Aragorn sorrise, stringendogli un braccio con affetto. «Quanto al fatto di starle accanto... l’ho persa per più di un anno, non credi che ora voglia trascorrere quanto più tempo mi sia possibile con lei? Brethil è parte integrante della mia famiglia, così come lo sei tu e il resto della Compagnia. E ora avrà anche la vicinanza di una donna che sarà ben felice di discorrere con lei. Sia Brethil che Arwen hanno bisogno di una presenza femminile, in tutta questa mascolinità.»

Boromir si rilassò all’idea che la donna potesse stringere amicizia con la Regina – anche se l’idea gli riusciva difficile da immaginare. «Grazie, Aragorn. Ti prometto che mi impegnerò fino alle mie ultime forze per ripagarti di tutto questo. Osgiliath risplenderà come un tempo e sarà lo specchio del tuo reame.»

«Ne sono sicuro. Però non farlo per me, ma per te stesso e per il nostro popolo.»

I due si abbracciarono con forza; poi Boromir mandò a chiamare Gimli e Legolas, che lo seguirono fino alle stalle per preparare i cavalli e partire verso la città sul fiume. Il Nano era quantomeno euforico di rivedere suo padre e il Re, e ormai contava le ore che lo separavano dal suo lavoro preferito. L’artigiano.

«Vedrai, Elfo! Vedrai la maestria dei Nani nel lavorare la pietra e i metalli!»

Legolas sorrise. «Spero di poterlo fare, mastro Gimli. A meno che i tuoi consanguinei non mi strappino via gli occhi temendo che possa rubarvi il segreto del mestiere. Se la memoria non mi inganna, la tua famiglia ebbe qualche screzio con la mia, tanti anni fa.»

«Sciocchezze!» esclamò l’altro. «Neanche conoscendo tutte le tecniche che ci tramandiamo dalla notte dei tempi, un Elfo potrebbe essere in grado di emulare l’operato di un Nano!»

L’altro si voltò verso l’Uomo, fingendosi turbato. «Temo che Osgiliath sarà invasa da così tanto orgoglio e testardaggine che le pietre di quella città difficilmente crolleranno di nuovo.»

«E spero che così sia, Legolas. Il mio cuore non reggerebbe l’ennesima disfatta di quella città, e nemmeno il mio popolo.»

I tre montarono i propri cavalli, e Gimli si chiese cosa avrebbero pensato i suoi parenti se lo avessero visto galoppare insieme ad un Orecchie a Punta. Ma quel pensiero svanì velocemente quando un problema ben più urgente gli occupò la mente: reggersi all’Elfo per non cadere.

Boromir lanciò un’ultima occhiata verso il cancello che portava al Secondo Cerchio, e vide Brethil in piedi sull’uscio. Si fissarono per secondi interminabili, lasciandosi scappare un lieve sorriso. Ma nonostante non fossero quel tipo di coppia che si lasciava andare ad effusioni in pubblico, e che soprattutto non poteva permettersi tanto lusso, bastavano pochi sguardi, pochi gesti come quelli per capirsi. Sarebbero trascorse due settimane e forse più senza che potessero godere della presenza dell’altro, ma nessuno dei due stava partendo in guerra.

E ciò era confortante.

L’Uomo spronò il suo destriero e Legolas lo seguì immediatamente. Sparirono dietro un angolo dopo qualche metro e Brethil tornò ai suoi doveri.

 

 

10 Settembre 3019 T. E.

 

Raggiunsero nel tardo pomeriggio quella parte dell’Anduin che si allargava, per far spazio all’isola di Cair Andros. Essa era un punto strategico importantissimo, per Gondor, e il ponte naturale più utilizzato per attraversare il fiume e raggiungere gli avamposti dell’Ithilien sulla sponda orientale. Le torri di vedetta, che circondavano l’isola, culminavano in alte guglie, la cui cima sventolava il vessillo del Re Elessar. Al passaggio della carovana di Nani, gli Uomini fecero squillare le trombe e gli araldi, per dar loro il benvenuto, e i loro animi si rasserenarono; lì, all’ombra delle minacciose vette di Mordor, che non erano mai state così vicine da quando avevano calpestato la terra di Gondor, i Nani si accamparono per la notte, mentre il sole spariva proprio dietro la catena montuosa che barricava il regno del caduto Sauron.

Trán rabbrividì nel guardare le sagome scure di quelle cime che nascondevano gli orrori più grandi che la sua mente potesse immaginare. Fu scossa dalla mano rassicurante del fratello minore, che la strinse con affetto e la condusse dalla sua famiglia. Poiché l’ora non era tarda, dopo aver acceso i fuochi per riscaldarsi, molti Nani ne approfittarono per darsi una rinfrescata e rilassarsi un poco nelle acque limpide del fiume. Trán si avvicinò alla riva, saggiando la temperatura dell’acqua con un dito. Al suo fianco Káel e Káir erano già in calzoni e tunica intima, dandosi spintoni per decidere chi dei due sarebbe dovuto entrare prima. E visto che entrambi parevano molto cavallereschi da lasciare l’onore all’altro, ci pensarono Fili e Kili a decidere per loro. Con un bel calcio ciascuno, finirono dritti in acqua, maledicendoli in Khuzdul mentre quelli si sbellicavano dalle risate. Trán non fece in tempo ad avvertire i nipoti del Re di un altro pericolo alle loro spalle, che Dwalin li afferrò per la collottola e gli fece raggiungere gli altri due pochi istanti dopo.

Il burbero Nano lanciò un’occhiata incuriosita alla ragazza, che era caduta sulle ginocchia dalle troppe risate, e scosse il capo. «Cosa c’è, ne vuoi anche tu?» Il suo viso si distorse in quello che poteva essere un sorriso, quando si accorse che la giovane Nana impallidì e scosse veementemente il capo. Temeva davvero che potesse lanciarla in acqua come un sasso qualunque? Così, in un borbottio, s’affrettò ad aggiungere un “Stavo scherzando, sciocca ragazza.”

Trán si lasciò scappare un sorriso. Sapeva quanto poco l’avesse amata quel Nano, sin dall’inizio del viaggio. Lui e il suo migliore amico non potevano essere più simili, per certi versi – e il disprezzo verso gli Elfi lo condividevano entrambi. Ma da quando Trán aveva compiuto quel coraggioso gesto per salvare l’incolumità di Thorin – e distruggere contemporaneamente il suo ego – Dwalin aveva abbassato l’ascia di guerra; e se prima si limitava ad ignorarla e a borbottare qualche improperio diretto a lei o alla sua famiglia, ora pareva addirittura che le rivolgesse la parola. Per quel poco che sapeva e aveva potuto vedere di lui, Trán era sicura che fosse un privilegio alquanto unico.

Rimase seduta sulla riva, con quell’alto e temibile Nano in piedi a qualche passo di distanza, mentre osservavano quei quattro disgraziati che tentavano in tutti modi di affogarsi l’uno con l’altro.

«Quelli dovrebbero ricostruire una città.» brontolò Dwalin, scuotendo mestamente il capo, riferendosi al loro comportamento infantile.

«E gli Uomini ci osservano.» aggiunse Trán, aguzzando la vista e scorgendo le sentinelle attirate dal loro baccano.

Dwalin incrociò le braccia al petto, sbuffando. «Non ci vuole certo il tuo udito e la tua vista per capire cosa stanno dicendo. Se il buongiorno si vede dal mattino...» Non si aspettava certo che le sue parole potessero farla ridere ancora una volta e corrugò la fronte, perplesso. L’ultima cosa che voleva era di fare il simpatico, poiché era davvero preoccupato per la reputazione rispettosa dei Nani e che quei quattro contribuivano giorno dopo giorno a far crollare. Si voltò per incontrare lo sguardo severo di Thorin, più a sud rispetto a loro, e alzò le spalle, per fargli capire che quella ragazzina un po’ matta lo era sul serio.

«Trán, dai! Vieni a nuotare con noi!» esclamò Kili, agitando un braccio prima di sparire sott’acqua per mano di Káel.

Lei scosse il capo e si strinse le gambe al petto, arrossendo. Non aveva nessuna intenzione di rimanere in sottoveste con tutti quei maschi e rischiare la vita per le sue scarse capacità di nuotatrice.

«Trán! Allora?»

«Non so nuotare.» mormorò colma di vergogna, più a se stessa che a loro – e che, ovviamente, non la udirono e le gridarono di parlare a voce più alta. Lo ripeté un paio di volte, finché perse la pazienza e sbottò. «Mahal! Ma ublûr zârm! Mim ra khigirâlh dhargîthmênu!*»

Molti Nani ammutolirono e lei, che odiava essere al centro dell’attenzione – soprattutto se aveva appena gridato al mondo di non saper nuotare – nascose il viso tra le ginocchia, per celare tutto l’imbarazzo che stava provando. Coloro che avevano imparato a conoscerla come la ragazza calma e paziente, rimasero parecchio colpiti dal suo tono – e soprattutto, dal fatto che avesse parlato in Khuzdul. I quattro disgraziati, ovviamente, avevano ripreso a ridere, tralasciando il piccolo particolare che li avesse insultati chiamandoli piccoli e puzzolenti troll. Persino Thorin, che si stava riposando seduto contro una roccia, accanto a Balin, non poté fare a meno di sogghignare.

Kili nuotò vicino alla riva, sorridendole sornione. «Ti insegno io. Sarò un ottimo maestro.»

La voce della ragazza giunse ovattata, nascosta com’era tra gambe e braccia. «Scordatelo.»

«Perché no? Non ti fidi di me?» Il Nano capì al volo la risposta nel vedere lo sguardo eloquente che gli regalò.

«Ho trascorso fin troppo tempo galleggiando su una barca, e mi è bastato per capire che l’acqua alta non mi piace e che non sono un pesce.»

«Parole sante.» brontolò Dwalin. Abbassò lo sguardo sulla Nana, umiliata davanti a decine di orecchie ed occhi, e fu quasi tentato di batterle una manona sulla testa indiavolata, in un inspiegabile gesto di compassione. Ma sbuffò e preferì allontanarsi alla volta di Thorin, e lì rimase finché non si fece notte e cenarono.

La famiglia di Rulin si ritirò attorno al loro piccolo focolare, e mangiarono la carne di coniglio avanzata da pranzo. Era diventata un po’ stopposa, ma nessuno si lamentò. Del resto, non c’era più gusto nell’incolpare la loro sorella, dato che manteneva sempre le sue promesse e non avrebbe più cucinato per loro.

«Trán.»

La ragazza abbassò lo sguardo sul gemello, che dopo la cena si era sdraiato sulle sue gambe ed era intento ad osservare il cielo stellato.

«Secondo te nostra madre è da qualche parte, lassù?»

Gli altri fratelli, che stavano chiacchierando tra una boccata di fumo e l’altra, fecero calare il silenzio. Il loro lutto era ancora forte e neanche gli anni avrebbero potuto cancellare il dolore che provavano nel sapere che non l’avrebbero più rivista. Rulin chinò il capo, chiudendo il suo unico occhio sano e riportando alla mente i tempi della sua gioventù, quando l’aveva incontrata per la prima volta ed aveva capito che sarebbe stata lei l’unica Nana che avrebbe mai amato.

«No, non lo credo.» Trán si lasciò scivolare le occhiate dei fratelli, che la guardavano come se avesse detto una blasfemia. Il minore, in particolare, aveva abbassato con delusione lo sguardo dalle stelle a lei, come se l’immagine che si era creato della madre, lassù tra gli astri del cielo, si fosse sgretolata come un castello di sabbia. «Lei riposa qui.» gli disse, portando una mano alla sinistra del suo petto, mentre l’altra gli accarezzava i lunghi capelli rossi. «È nel tuo cuore, nel mio e in quello di chiunque l’abbia amata.»

Káel le strinse la mano. «Sto iniziando a dimenticare il suo viso. E anche il suono della sua voce.»

Una stretta di dolore le fece mancare il respiro e si morsicò un labbro, pur di non piangere. Anche lei, in cuor suo, aveva iniziato a non vederla più. L’immagine di quel volto sereno ed amabile sbiadiva di giorno in giorno, e lei non poteva fare niente per impedirlo. Si sentiva in colpa, per questo, chiedendosi se non l’avesse guardata abbastanza quando ancora ne aveva la possibilità.

Káel si rese conto di aver parlato troppo e di aver riportato a galla qualcosa che stavano cercando di seppellire tutti, e si diede mentalmente dello stupido. Così, aggiunse in tono più leggero: «Ma ricordo bene la pesantezza della sua mano... tu, sorellina mia, me la rimembri ogni volta.» Lei ridacchiò, senza riuscire a fermare qualche lacrima che Káel si affrettò ad asciugare. «Scusami, non volevo rattristarti.»

Trán si chinò per baciargli la fronte e lo abbracciò con tutte le forze che aveva. Gli altri sorrisero e ripresero a chiacchierare.

Un’ora dopo i Nani iniziarono a preparare i giacigli per la notte, ma lei non aveva sonno. Continuava a guardare le stelle, ripensando alle parole di Káel. Attese che le chiacchiere chiassose venissero presto rimpiazzate dal russare dei Nani addormentati, e si alzò per allontanarsi un poco e rimanere sola con i suoi pensieri. Il fiume scorreva poco lontano, ma abbastanza distante da non udire più i concerti dei loro nasi. Si chinò sulla riva, osservando il suo riflesso sull’acqua calma dell’Anduin. Accarezzò la pelle del volto, sperando di ritrovare nei suoi lineamenti qualche ricordo della madre, ben sapendo che di suo aveva solo il colore degli occhi e nient’altro. Sobbalzò quando accanto al suo viso ne vide un altro, ben più inaspettato di un Orco.

Thorin si fermò accanto a lei, in piedi nella sua consueta postura da altezzoso Re, con le mani dietro la schiena. «È così difficile farti dormire?»

Lei si alzò, chinando il capo e scuotendo il tessuto della gonna, sporco di terra. «Potrei farti la stessa domanda, sire Thorin.» Quando finalmente decise di guardarlo, lui pareva assorto nei suoi pensieri, mentre osservava il cielo stellato. Nonostante la tenue luce della luna e le ombre marcate sul suo volto, Thorin le apparve bello e regale, più del solito; e forse, si disse, perché la sua espressione non aveva niente di quel rancore e quel disprezzo che solitamente gli increspava fronte e labbra. Il Re di Erebor sembrava sereno e lei si sentì un’emerita idiota. Volle, però, saltare a piè pari il motivo.

«Cosa ti turba?»

Quella domanda giunse inaspettata quanto la sua visita. «Il passato.»

Thorin la osservò con curiosità. Era esattamente quella la risposta che avrebbe dato ad una simile domanda qualche anno prima. Il passato era ciò che lo aveva turbato per tutta la vita, ciò che gli aveva permesso di diventare il Nano che era quel giorno; la paura di ricadere negli errori di suo nonno, il timore di non riuscire a reclamare ciò che era di sua proprietà e di non restituire al suo popolo una vita migliore, nella loro casa. Il passato lo aveva fatto invecchiare più velocemente del previsto, ma ormai era parte di sé ed era riuscito a superarlo egregiamente. Avrebbe voluto dirglielo, per rasserenarla; ma trovava ancora strano parlare con lei, e lasciarsi andare a confidenze non era esattamente il motivo per cui si era avvicinato. Non era neanche pronto a farlo, in realtà; non ancora.

«Molte volte è quello il suo compito, turbare. La maturità di una persona sta nel riuscire a superarlo, qualsiasi sia il proprio passato.»

«Allora sono ben lungi dall’essere matura.»

«Su quello non ho dubbi.» Sorrise provocatorio nel vedere l’espressione oltraggiata della ragazza. Guardò il fiume, pensieroso. «E così non sai nuotare... hai paura dell’acqua?»

Trán arrossì furiosamente e si affrettò a dargli le spalle, indispettita. «Non ho paura dell’acqua.» disse, a denti stretti. «Ho paura di non riuscire a respirare.»

«Hai mai provato?» La vide scuotere il capo dopo qualche secondo di titubanza. «Un passo per superare il tuo passato è affrontare le tue paure.» Stette in silenzio qualche secondo, indeciso se continuare. «Vorresti provarci?»

Trán credette di non aver udito bene. Così si voltò a guardarlo, sollevando le sopracciglia in una tacita domanda. Come, prego?

Il Nano si schiarì la gola, improvvisamente secca. «Mi chiedevo, se avessi qualcuno pronto a sorreggerti, vorresti imparare a nuotare?» Incatenò i suoi occhi chiari in quelli di lei, sgranati per la sorpresa, e notò che stesse trattenendo il fiato. Era quello l’effetto che le faceva? Paura? Ribrezzo? Sarebbe presto scoppiata a ridere per quel suo inaspettato slancio di gentilezza o gli avrebbe risposto con la sua estrema e pungente calma?

«Non...» Trán s’inumidì le labbra, impacciata. Si maledì mentalmente per la momentanea imbecillità. «Non credo che Kili sarebbe un buon maestro, mio signore. Con il rispetto e l’affetto che provo per tuo nipote, s’intenda.» Trán fu quasi più sorpresa di lui nel rendersi conto delle sue parole. Provava davvero affetto per Kili, e di conseguenza per il fratello? Lei, che non aveva mai avuto legami di amicizia al di fuori della sua famiglia, poteva davvero voler bene a quei due scalmanati eredi al trono di Erebor? E loro? Loro cosa provavano per lei?

Thorin non riuscì a nascondere un sospiro. Se fosse di sollievo o di irritazione, lei non seppe dirlo. «Per una volta ci troviamo d’accordo.» Osservò il fiume e poi, nervosamente, il lontano accampamento addormentato. «Infatti, mi domandavo, dato che nessuno di noi due riesce a dormire...» Si schiarì ancora una volta la gola. Perché era dannatamente così secca?

«Ora?» chiese lei, sorpresa, capendo la sconclusionata domanda del Nano. «Tu? A me?»

Non seppe cosa lo trattenne dal riderle in faccia, così come non seppe dire se fosse più penosa la sua non-formulata domanda, o la serie confusa della Nana. «Ecco, non tenterei di affogarti, come farebbe mio nipote.»

Trán ridacchiò, senza ironia. «Mi riesce difficile crederlo, sire Thorin, visto il cattivo sangue che scorre tra noi.»

Lui alzò gli occhi al cielo. «Cercavo solo di essere cortese.»

Le sue parole vennero quasi troncate da quelle della Nana. «Non credo sia una buona idea.»

Thorin inspirò pesantemente, iniziando a pentirsi di quel patetico tentativo di approccio. Insomma, persino Dwalin era riuscito a scambiarci due parole, perché a lui risultava così difficile e lei era così restìa?

«Insomma, sarei una pessima allieva.»

La osservò chinare vergognosamente lo sguardo e si ritrovò inspiegabilmente a sorridere. «Questo vorrei che lo decidessi da solo. Ma se non vuoi, sei libera di non farlo.»

Trán si mordicchiò l’interno di una guancia, indecisa e, soprattutto, presa in contropiede. Non riusciva a capire da dove saltasse fuori quella proposta, né volle indagare oltre. Forse si stava rendendo conto che i loro diverbi non avevano ragione di esistere; forse stava lasciando in un angolo il suo orgoglio e la sua arroganza per mostrarle il vero volto del Re di Erebor; o forse era un modo come un altro per prendersi gioco di lei, facendosi forte delle sue debolezze – e magari voleva affogarla sul serio. Si convinse che fosse proprio quest’ultimo il motivo di tanta gentilezza, ma la sua voce tradì i suoi pensieri nel momento in cui lui stava per allontanarsi e lasciar perdere.

«Vorrei imparare.»

Thorin fermò i suoi passi e socchiuse le labbra, sorpreso. Annuì con lentezza, studiando quel viso ancora riluttante, ma incuriosito. Con un gentile gesto della mano le indicò una sporgenza rocciosa, dove si sarebbe potuta spogliare di stivali e abito, e rimanere nella sua tunica intima. Era consapevole che, se anche si fosse spogliata accanto a lui, Thorin avrebbe fatto di tutto pur di non metterla in imbarazzo; perché anche ora che lei si stava dirigendo a passo tremante verso il suo spogliatoio naturale, lui le dava le spalle. Lo sbirciò qualche secondo, mentre si toglieva la pesante giacca blu, ma decise di non guardare oltre, sentendo le guance andare a fuoco nel vederlo sfilarsi anche la maglia dello stesso colore. Trán si poggiò contro la fredda parete della roccia e respirò profondamente, cercando di riordinare le idee e gli avvenimenti degli ultimi dieci minuti. Forse non si era mai alzata dal suo giaciglio e stava sognando ad occhi aperti. O doveva considerarlo un incubo?

Capì che fosse tutto vero quando sfiorò la superficie dell’acqua con un piede e rabbrividì in un istante. Se non fosse morta per affogamento, ci avrebbe pensato la temperatura gelida a fare il suo sporco lavoro. Percepì qualche piccola increspatura data dai movimenti di Thorin, che evidentemente era già entrato in acqua e ora la stava attendendo. Trán prese un respiro profondo e sperò di riuscire a muovere più di due passi senza perdere l’uso delle gambe. Oltre al fatto che, prima di lasciarsi andare, controllava che il piede non sprofondasse nel vuoto e che l’acqua non raggiungesse livelli preoccupanti per il suo naso. Quando sbucò dal suo nascondiglio e vide il Nano che si rinfrescava il viso, Trán percepì tutto il sangue fluirle al viso. Prima di quelle settimane, non aveva mai visto un altro Nano vestito solo dei suoi indumenti intimi, a meno che non si trattasse dei fratelli; e quando i Nani si erano fatti il bagno fregandosene allegramente della presenza di poche femmine, lei aveva fatto di tutto pur di non guardare; ma Thorin... lui era tutta un’altra storia. La tunica aderiva come una seconda pelle alla linea marcata dei suoi muscoli, un fisico ben diverso da quello della maggior parte dei Nani, e fu solo allora che si rese conto che anche lei avrebbe lasciato ben poco all’immaginazione, in pochi istanti. Si fermò ad osservarlo e fu tentata dal tornare indietro e scappare accanto al fuoco; ma prima che potesse muovere un muscolo, Thorin l’aveva già scorta e la esortò ad avvicinarsi. Trán si strinse le braccia al petto, sia per il freddo che per nascondere la curva dei seni; egli, di rimando, scosse il capo.

«Non è mia intenzione metterti a disagio.» le disse, tenendo gli occhi fissi sui suoi e porgendole una mano. «Sei pronta?»

Trán scosse il capo, ma accettò timidamente la mano di lui. Sentì l’altra che le si poggiò su un fianco e nonostante il freddo dell’acqua e la presenza dei loro leggeri indumenti, poté chiaramente percepire il calore del suo corpo prestante contro le sue spalle.

«Chiudi gli occhi e non pensare; ti sostengo.» le mormorò, sollevandola sul pelo dell’acqua per schiena e gambe. La sentì irrigidirsi e trattenere il respiro, e s’impose di non sorridere. «Rilassati, non ti succederà niente. Immagina di essere sul tuo letto.»

«Il mio letto non è così bagnato.»

«Immagino che tua madre non dicesse lo stesso quando eri piccola.»

Accusò l’occhiataccia con un ghigno e lei inspirò profondamente, sentendosi ridicola come mai in vita sua. Ma seguì il consiglio del Nano, e poco dopo la sentì rilassarsi tra le sue braccia. La sensazione dell’acqua che le lambiva il corpo era piacevole, decisamente piacevole. Si fece guidare con lentezza sulla superficie del fiume calmo e Thorin si perse qualche istante ad osservarla meglio: lì, con gli occhi chiusi e il viso disteso e sereno, la trovò bella. E non che non fosse stato un pensiero che non gli avesse accarezzato la mente più volte, in quelle settimane, anzi; aveva cacciato via quei pensieri ogni momento che lei gli rispondeva con audacia, ma si era reso conto che anche quando lei era sul limite di perdere la pazienza fosse attraente. Perché Trán, figlia di Rulin, che tanto somigliava ad un giovane Elfo cresciuto troppo poco, era fiera ed orgogliosa come lui, e questo era un tratto del suo carattere che lo mandava in bestia e lo affascinava, non certo senza una vena di timore.

Sorrise sinceramente quando scostò con lentezza le mani da quel corpo che ora galleggiava senza rendersene conto. «Apri gli occhi e guardami.»

Lei lo fece senza obiettare, ma le venne un colpo quando vide le braccia robuste incrociate sul petto, e non sotto di lei a sorreggerla. Per lo spavento rischiò di sprofondare sott’acqua, se non fosse stato per lui che la sorresse in tempo. Trán gli si aggrappò alla tunica, rilassandosi nel sentire nuovamente il terreno melmoso sotto i piedi, e rise e si vergognò contemporaneamente. Mosse un passo indietro, rabbrividendo per il freddo e per il contatto con quel corpo imponente. «Da quanto non mi sorreggevi più?»

«Hai sentito differenza quando l’ho fatto?»

Trán lo rimproverò con lo sguardo per averle risposto con un’altra domanda. «No, non me ne sono accorta.»

«Bene; allora ricominciamo.»

La Nana annuì prima ancora che se ne rendesse conto. E la loro notte galleggiò placidamente sul fiume per l’ora successiva.

 

 

 

*Mahal! Non so nuotare! Voi piccoli e puzzolenti troll!

 

 

*

E dunque Thorin si improvvisa bagnino... ma non lasciatevi ingannare, quei due sono ancora ben lungi dal trovare una tregua. :P

Un grazie a chiunque si è fermato a leggere, a preferire, ricordare, seguire... e commentare. :)

A presto!

Marta.

   
 
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